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Diversamente dalle motivazioni ufficiali che presiedettero alla deduzione della colonia aquileiese nel 181 a.C., la cui popolazione (alleati italici, latini, indigeni) doveva volontariamente avere risposto ad appositi bandi coloniari, l‟inserimento nella comunità altinate tra il tardo II e il I secolo a.C. di famiglie dell‟Italia centrale risponde a logiche migratorie dipendenti da ragioni economiche (nuovi terreni da coltivare; l‟apertura di nuovi mercati; la riconversione di attività commerciali in conseguenza della chiusura del mercato delio) e politiche (le proscrizioni che toccarono la gens Saufeia o, alla luce del riesame condotto sull‟intera documentazione, alcuni rami di essa).

In realtà, al di là di più o meno stringenti confronti onomastici con i già noti e più arcaici repertori centro-italici, l‟epigrafia tardo-repubblicana altinate ed aquileiese risulta ben poco illuminante ai fini di una precisa determinazione di modalità e tempi di insediamento delle singole gentes nel II secolo a.C., fornendo viceversa numerosi e significativi elementi per la ricostruzione della vita politica ed economica del secolo successivo.

Come già puntualmente rilevato da Bandelli per Altino737 e Nonnis (confermando analisi già formulate da Càssola) per Aquileia738, l‟attestazione di medesimi gentilizi a Delo e nei due porti alto-adriatici in un orizzonte cronologico leggermente sfalsato (seconda metà del II secolo a.C. – 69 secolo a.C., nel caso dell‟isola egea, e I secolo a.C., per i centri veneti), rappresenta allo stato attuale un indizio ancora labile per sostenere a pieno titolo una contemporanea e comune frequentazione delle gentes commerciali attive nel Mediterraneo orientale.

Appare però nel contempo evidente come, estendendo l‟indagine oltre la mera coincidenza onomastica e integrandola con le più generali informazioni archeologiche provenienti dal comprensorio cisalpino e dalla colonia aquileiese, il quadro si dinamizzi, autorizzando una pluralità di possibili articolazioni.

Un dato preliminare riguarda l‟ormai evidente precocità di presenze allogene nelle località portuali del Caput Adriae. Nel caso di Aquileia tali presenze sono innanzitutto riconducibili alla commercializzazione schiavile, attiva sia verso le regioni danubiane (si richiama a tal proposito il noto passo straboniano sulla dimensione emporiale del centro), sia probabilmente verso le regioni mediterranee orientali (se l‟elemento cognominale non inganna, servi e/o liberti siri e greci risulterebbero attestati ad Aquileia fin dall‟inizio del I

737 Bandelli 2003a, pp. 179-198.

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secolo a.C.)739. Allo stesso tempo, non infrequenti dovevano risultare le frequentazioni commerciali di soggetti peregrini, come sembra esemplarmente dedursi tra la fine del II e l‟inizio del I secolo a.C. dal Theuda, Theudae filius, dedicante ad Attis, qui associato all‟epiclesi Papas di chiara connotazione frigia, e attestato anche su anfore. Ma gli elementi di un florido asse commerciale tra il Caput Adriae, o più generalmente la Cisalpina, e il mondo egeo sono rilasciati anche da una cospicua documentazione anforaria, rinvenuta con frequenza soprattutto ad Aquileia, a testimonianza dell‟abbondante commercializzazione del vino rodio nell‟Italia settentrionale (e forse anche nel Norico, utilizzando le botti lignee) lungo tutto l‟arco del II secolo a.C. Ed è sempre l‟instrumentum anforario, in questo caso relativo alle Lamboglia 2, a documentare in un lasso di tempo leggermente posteriore (fine II secolo a.C. - prima metà I secolo a.C.) una comune rete distributiva che collegava le principali zone produttrici dei contenitori e del vino che vi veniva conservato (alla luce dei dati emersi, l‟intero versante adriatico occidentale, dalla Calabria alla Venetia orientale) con le coste illiriche-epirote, fino a raggiungere i principali centri mediterranei occidentali (coste iberiche e narbonensi) e orientali (in particolare Atene, Efeso e Delo, toccando anche le regioni palestinesi ed egiziane).

Se lo scambio vino-schiavi regge alla prova dei fatti, perpetuandosi senza soluzione di continuità anche all‟indomani della distruzione delia di Mitridate, non va peraltro trascurato, e l‟eterogenità dei carichi di numerosi relitti mediterranei ne è fedele testimonianza, che tale rete doveva immettere nei porti alto-adriatici anche prodotti ceramici da mensa, come segnalato ad esempio dalla ceramica sigillata orientale e da quella ellenistica a rilievo (cosiddetta “megarese”), ampiamente documentate, oltre che ad Altino e ad Aquileia, anche in gran parte dei principali centri portuali dell‟Adriatico occidentale e dell‟area padana.

La tesi che la commercializzazione dei prodotti avvenisse attraverso l‟intermediazione dei porti adriatici centro-meridionali appare allo stato attuale degli studi come la più accreditata, tenuto conto delle accertate, e talora precoci, frequentazioni dell‟isola delia da parte di negotiatores apuli, calabri ed anconetani. Allo stesso modo, ma la documentazione in questo senso risulta decisamente meno cogente, è ipotizzabile che i medesimi operatori commerciali dell‟Italia centro-meridionale gestissero la commercializzazione di vino e olio nei porti adriatici settentrionali. All‟interno di tale contesto, e nel tentativo di comprendere quelle che dovevano essere le dinamiche commerciali della Venetia costiera del I secolo a.C., particolare rilevanza acquisisce l‟articolato graffito dell‟anfora Lamboglia 2 proveniente dall‟isola di S. Francesco del Deserto, databile nella sua fase di reimpiego

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secondario alla metà del I secolo a.C. Nell‟ipotesi che l‟elenco dei gentilizi, associati comunemente ad un duplice indice numerico, relativo a quantità e pesature di singoli lotti di anfore, corrisponda alla registrazione a mo‟ di promemoria del navicularius, risulta plausibile identificare nei soggetti menzionati un gruppo di mercatores (Fadienus, Marcius,

Publicius, Trosius, Satrienus), che da un lato delegano all‟armatore, nei termini giuridici

del rapporto di locatio-conductio, l‟acquisto di un numero predefinito di anfore (corrispondente ad una precisa quantità di vino o olio) e dall‟altro, una volta ottenuta la merce, si occupano di ottimizzarne “aziendalmente” la distribuzione. Il dato più rilevante però deriverebbe dal fatto che, risultando Altino il luogo ultimo di rinvenimento dell‟anfora graffita (reimpiegata per specifiche opere di bonifica disposte dalle autorità municipali lì dove era giunta originariamente) e constatato l‟elevato numero di anfore menzionato, il documento registrerebbe quasi certamente un carico di anfore (vinarie od olearie) proveniente presumibilmente dalla regione apula, e destinato direttamente al mercato locale.

Se appare dunque definibile il ruolo svolto dagli operatori commerciali, particolare interesse riveste il dato prosopografico, per il fatto che in quattro casi su cinque (l‟eccezione è rappresentata dai nordadriatische Trosii), si tratterebbe di gentes originarie delle regioni centro-italiche, alcune delle quali (Poblicii, nella ramificazione dei Malleoli e

Marcii), già con pregresse esperienze in campo imprenditoriale e commerciale sia nelle

regioni di provenienza sia a livello locale.

Se nella maggioranza dei casi proprio la distruzione del mercato delio sembra motivare una possibile riconversione delle attività da parte di alcuni dei rami familiari trattati, particolare significato va acquisendo la documentazione in tal senso attestante. È in tale contesto che, pur in un orizzonte cronologico ormai augusteo, si inserisce il cavaliere patavino Caius

Avillius Caimus, i cui interessi mirati verso l‟estrazione dei metalla della Valle di Cogne è

testimoniata dalla costruzione del ponte “minerario” che fece costruire in una delle vallate laterali.

Proprio tra i cosiddetti “ceti medi” dovevano emergere talune gentes ben presto destinate a distinguersi non solo nel ramo della produzione dei laterizi ma anche in altri settori dell‟economia antica. In questo senso particolarmente significativo è il caso dei Trosii, che pur non approdando alla locale aristocrazia vantano molteplici interessi commerciali e una certa posizione sociale tra Altino ed Aquileia, nel lungo periodo a cavallo tra la metà del I secolo a.C. e il I secolo d.C. (Trosius negotiator altinate; la lanifica circlatrixs, imprenditrice del mondo della lana, Trosia Hilara; il Trosius implicato con il commercio

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e/o la navigazione dell‟urna funeraria; le varie produzioni laterizie aquileiesi), connotandosi come una delle gentes maggiormente dinamiche nell‟economia della Venetia orientale. In assenza di precise connessioni, le ricorrenze onomastiche in diversi settori (talora complementari, come sembrerebbe desumersi per Trosii e Saufeii) dell‟economia tardo- repubblicana e poi proto imperiale della Venetia costiera, ruotanti attorno all‟asse marittimo-endolagunare Altino-Aquileia, aprirebbero dunque ad un duplice scenario, sottintendendo una specializzazione dei diversi rami familiari all‟interno di un‟autonoma conduzione delle attività.

Diversamente, come sembrerebbero confermare diverse coincidenze onomastiche in comuni contesti geografici e documentari, si potrebbe estendere la dimensione di quelle imprese produttive e commerciali aquileiesi in più occasioni analizzate da Šašel e Panciera, che a partire dalla metà del I secolo a.C. dovevano gestire una fetta dei prodotti smerciati lungo il Caput Adriae. Il fatto che dietro tali imprese non compaia regolarmente un rappresentante dell‟aristocrazia locale (è il caso dei Trosii) potrebbe indurre a ipotizzare una conduzione non tanto verticale, quanto orizzontale, trovandosi tali attività nella dimensione delle piccole o medie imprese.

In definitiva, anche qui come altrove, nelle rivisitazioni del mondo antico, varrebbe dunque la tesi del lento ma progressivo formarsi di reti commerciali atte ad assecondare il superamento della dimensione meramente autarchica dell‟autoconsumo mediante pratiche comunicative e mercantili più ampie e già “mature”. Migrazioni, scambi, una diversa organizzazione dell‟offerta, incremento dei consumi, maggiore dinamicità sociale, nuovi soggetti economici sulla scena politica: gli elementi che abbiamo colto e cercato di sistematizzare nel corso di questa ricerca indicano, a partire dai pochi dati certi a disposizione, linee di evoluzione comuni a quelle più generali trasformazioni epocali di cui è ben consapevole l‟odierna storiografia.

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