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Le riforme degli anni Ottanta; il consolidamento del sistema e

Il successivo intervento legislativo risale al 1981 con la legge n. 659/1981. Questo progetto di legge di iniziativa governativa passo più volte da un ramo all'altro del Parlamento e fu poi approvato con la sola opposizione dei Radicali.

Questa legge intervenne su due profili: il primo inerente alle somme stanziate, che furono elevate, e l altro andò a toccare le condizioni di erogazione dei contributi pubblici, furono inaspriti i divieti, i controlli e le sanzioni.

Per quanto riguarda il primo aspetto, anche per la necessità di tener conto dell'inflazione, fu aumentata l'entità del finanziamento statale a titolo

contributo ordinario per i partiti e di concorso nelle spese sostenute per le elezioni. Tali somme saranno poi ulteriormente aumentate nel 1985.

Il secondo profilo però fu quello principale che portò all'approvazione di questa legge. L'esigenza di imporre maggiori regole di responsabilità e trasparenza finanziaria emerse chiaramente dalla relazione dell'onorevole Gitti, per conto della I Commissione, alla Camera dei deputati: “E' stato più volte notato che l'esistenza del finanziamento pubblico ai partiti non elimina di per sé il rischio e la realtà di finanziamenti illeciti. Da essa semmai, discende l'urgenza di una normativa più rigorosa, come è proposto con il testo in discussione. Ma soprattutto, il dovere di una risposta politica che, nella rispettiva autonomia, spetta alle forze politiche e ai loro esponenti, chiamati a dare nella concretezza e trasparenza della loro azione politica, autentica legittimazione al ruolo che la legge loro riconosce.”71

La legge n.659 infatti andò ad intervenire sull'impianto della legge del 1974. Essa intervenne sui criteri di riparto per l'erogazione del finanziamento; si stabilì la possibilità di accedere alla contribuzione pubblica anche per le formazioni politica espressive delle minoranze linguistiche. Essa inoltre stabilì che il venti per cento e non più il quindici per cento dei contributi per il concorso nelle spese elettorali, sarebbe stato ripartito in maniera equa fra i partiti che ne avrebbero avuto diritto (a vantaggio delle formazioni minori) mentre la forma residua sarebbe stata divisa in proporzione ai voti ottenuti. Fu diminuita anche la quota minima di trasferimento dai gruppi ai partiti dal 95 per cento al 90 per cento.

Si intervenne anche sulle modalità dell'erogazione che passarono da rate annuali a una quota unica entro trenta giorni dalla proclamazione dei risultati.

La medesima legge, come in precedenza ricordato, intervenne inoltre sui divieti, le sanzioni e gli obblighi di trasparenza. Si levarono infatti critiche inerenti ad alcuni episodi di corruzione, per alcuni dovuti al fatto che l'ordinamento nulla prevedeva in merito al finanziamento delle campagne elettorali dei singoli candidati. Vennero quindi estesi i divieti diretti e

indiretti di ricevere finanziamenti da parte di società “ pubbliche” anche ai singoli parlamentari , divieti già previsti per i partiti e i gruppi parlamentari. Fu introdotta una sanzione pecuniaria per i partiti, le loro articolazioni politico-organizzative e i gruppi parlamentari che avessero ricevuto finanziamenti in violazione e che ciò fosse stato accertato con sentenza passata in giudicato.72

Per quanto riguarda i contributi privati ricevuti dai partiti furono previsti diversi obblighi per renderli più trasparenti. In primo luogo per ottenere ciò fu introdotta la cosiddetta “dichiarazione congiunta”: in caso di erogazione di un contributo superiore a cinque milioni di lire, il soggetto erogante e quello ricevente avrebbero dovuto fare, entro tre mesi dall'erogazione, una dichiarazione congiunta da depositare presso la Presidenza della Camera dei deputati.73

Per quanto riguarda poi la scarna disciplina, previsa dalla legge del 1974, relativamente alla redazione del bilancio da parte dei partiti fu abrogato l'Art. 8 e furono previste nuove regole.

L'obbligo di pubblicare il bilancio in un giornale nazionale o del partito rimase ma fra le novità previste vanno ricordate: la sostituzione del modello di bilancio, prima allegato alla legge del 1974, con un altro deliberato dal Presidente della Camera dei deputati in accordo con quello del Senato; la sottoposizione del bilancio alla cosiddetta “certificazione””da parte di un collegio composto da tre revisori dei conti iscritti nell'albo professionale da almeno 5 anni e nominati dal Presidente della Camera dei deputati in accordo con quello del Senato.74; fu previsto l' obbligo di allegare al bilancio una relazione dettagliata in cui dovevano essere illustrate le proprietà immobiliari, la titolarità di imprese o di redditi derivanti da attività economiche, le partecipazioni del partito a a società commerciali , le ripartizioni dei contributi statali fra organi centrali e organi periferici.75;

72L' importo del contributo statale a titolo di finanziamento ordinario sarebbe stato decurtato in misura pari al doppio delle somme illegittimamente percepite.

73 Se si trattava di un'erogazione proveniente da un soggetto estero l'obbligo di dichiarazione pendeva solo sul soggetto percipiente. In caso di violazione ci sarebbe stata una multa da due a sei volte l'ammontare non dichiarato e con la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici.

74 La scelta avveniva fra una rosa di almeno 9 nomi designati in base alle regole interne di ciascun partito.

75 Successivamente con l'integrazione dell'articolo 4 da parte della legge 413 del 1985, fu previsto l'obbligo di una relazione sulle spese sostenute per la campagna elettorale.

l'obbligo di trasmettere copia del bilancio e della relazione dei revisori al Presidente della Camera dei deputati che d'intesa con quello del Senato è chiamato a controllarne la regolarità avvalendosi di un comitato tecnico composto da revisori ufficiali dei conti; L'obbligo di pubblicare copia del bilancio e delle relazioni, il rapporto del comitato tecnico e le rettifiche del bilancio irregolare in una parte speciale della Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

In caso di inottemperanza degli obblighi di relazione del bilancio o in caso di irregolare redazione, qualsiasi contributo statale sarebbe stato sospeso con decreto da parte del Presidente della Camera dei deputati e del Presidente del Senato secondo la rispettiva competenza fino alla regolarizzazione di questi obblighi.

Tutte queste novità introdotte con la legge del 1981 e volute fortemente per un'esigenza di maggior trasparenza in realtà non portarono ai risultati sperati. Innanzitutto bisogna sottolineare che il modello di bilancio apportato dai Presidenti di Assemblea era un modello molto simile al suo predecessore. In secondo luogo nonostante ci fosse stato lo sforzo per prevedere dei bilanci “certificati” per rafforzare i controlli, in realtà quest'ultimi rimasero tutti interni ai partiti in quanto affidati a soggetti di nomina politica.

La legge n. 195 del 1974, così modificata dalla legge n. 659 del 1981, rimase in vigore fino al referendum del 1993. In questi anni i partiti, come poi emergerà chiaramente dalle inchieste giudiziarie, sfrutteranno le maglie larghe lasciate dalla normativa sul finanziamento per ottenere denaro per vie occulte.

4 Il referendum del 1993 e la successiva legge 515/1993

Le inchieste giudiziarie degli anni Novanta misero in luce come il finanziamento pubblico non fosse stato sufficiente ad arginare la corruzione della politica. La conseguenza di questa situazione fu la richiesta di un nuovo referendum abrogativo della legge del 1975.

Questo si svolse il 18 aprile del 1993 e fu promosso dal partito radicale, che già da diversi anni aveva tentato di ottenere il medesimo risultato tramite la

via parlamentare, attraverso progetti di legge volti ad introdurre un contributo statale solo per specifiche attività elettorali e referendarie.

Questo referendum fu approvato con il 90,3 % dei favorevoli all'abrogazione e l'affluenza fu del 77 per cento.

Per capire ancora meglio il clima di quell'anno bisogna ricordare che il 5 marzo del 1993 il Consiglio dei ministri aveva approvato un decreto legge che avrebbe depenalizzato il reato di illecito finanziamento ai partiti, il cosiddetto decreto Conso ma l'allora presidente della Repubblica Scalfaro si rifiutò di emanarlo rilevando l'inopportunità di ricorrere ad un atto provvisorio per interrompere il procedimento referendario.

A seguito dell'esito favorevole del referendum furono abrogati l' articolo 3 e l' articolo 9 della legge 195 del 1975 ovvero quelli riguardanti il finanziamento pubblico per l'attività ordinaria dei partiti mentre rimasero in vigore le disposizioni riguardanti un contributo per le spese elettorali.

Di poco successiva fu l'approvazione della legge del 10 dicembre del 1993 n. 505 con la quale furono introdotte misure per garantire un accesso uguale ai mezzi di informazione e il regolare svolgimento della campagna elettorale. Questa legge inoltre aumentò i contributi per il rimborso elettorale con la previsione di tetti massimi sia per i singoli candidati sia per le liste76.

Il referendum del 1993 ha avuto l'effetto di inserire il problema dei finanziamento dei partiti nell'ambito del più ampio tema del finanziamento della politica valorizzando solo la funzione di selezione dei candidati svolta dai partiti e abbandonando così la strada fissata dalla legge del 1974 dove il contributo pubblico era visto come effetto del riconoscimento costituzionale del ruolo dei partiti nel funzionamento delle democrazie contemporanee. Per quanto riguarda il reperimento e l'uso dei fondi la legge 515 del 1993 introdusse la figura del mandatario elettorale ovvero il soggetto incaricato dal candidato a effettuare tutte le operazioni finanziarie relative alla

76 Fu la prima volta che furono previsti tetti massimi per le spese elettorali dei singoli candidati. La stessa filosofia fu applicata dopo qualche anno anche per le campagne elettorali regionali mentre nessun limite fu previsto ne per le elezioni europee ne per quelle provinciali e comunali.

campagna elettorale.77

In questa legge tre furono le disposizioni dedicate ai partiti: l'Art. 9 chiamato a rideterminare l'entità e le modalità dell'erogazione del contributo alle spese elettorali che non era stato toccato dal referendum; l'Art. 10 che fissò i tetti massimi di spesa per i partiti e i movimenti politici78; l'Art. 12 dedicato alla pubblicità e al controllo delle spese elettorali di partiti liste e movimenti.

Quanto ai contributi elettorali si stabilì che l'ammontare dei fondi destinati al rinnovo delle Camere dovesse essere quantificato nella metà della somma risultante dalla moltiplicazione di 1.600 lire per abitante fino a un massimo di 91 miliardi di lire.

Riguardo a questi “ contributi” è bene sottolineare che essi in realtà non era commisurati alle reali spese sostenute ma neppure presuntivamente al numero degli elettori effettivi, o almeno potenziali. Ci fu infatti chi parlò di un legislatore truffatore del risultato referendario.

Tenendo conto dell'allora vigente sistema elettorale “misto” a prevalenza maggioritaria c'è da dire che il fondo destinato alle elezioni della Camera dei deputati sarebbe stato ripartito in proporzione ai voti ottenuti. Accesso ai rimborsi era riservato a chi dimostrava di avere un discreto consenso elettorale. Il fondo destinato al rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato invece sarebbe stato ripartito su base regionale.

Si intervenne anche sul fondo stabilito nel 1981, per il rimborso delle spese sostenute per il rinnovo del Parlamento europeo stabilendo che il contributo sarebbe stato diviso proporzionalmente fra i partiti e i movimenti che avessero ottenuto almeno un rappresentante.

Per quanto riguarda le forme di finanziamento pubblico indiretto introdotte da questa legge furono previste agevolazioni postali e agevolazioni fiscali. Esse furono da subito estese a tutte le competizioni elettorali.

Il controllo delle spese fu demandato da questa legge a un apposito collegio

77 Anche questa previsione sarà estese alle elezioni regionali.

78 Si stabilì che il tetto massimo di spesa sostenuto per i candidati dai partiti o dai movimenti non avrebbe potuto superare la somma risultante dalla moltiplicazione di 200 lire per il numero complessivo degli abitanti delle circoscrizioni per la Camera dei deputati e dei collegi per il Senato della Repubblica.

istituito presso la Corte dei Conti79. Entro quarantacinque giorni dall'insediamento delle Camere si stabilì che fosse presentato, ai Presidenti delle due Camere, un consuntivo relativo alle spese per la campagna elettorale e alle relative fonti di finanziamento.

Questo quadro introdotto dalla legge 515 fu negli anni successivi molte volto modificato con interventi frammentati e disorganici.

Con queste nuove regole bisogna ricordare che i partiti di trovarono spesso in difficoltà finanziarie e la loro sopravvivenza in quegli anni fu garantita solo grazie al ripetersi frequente delle consultazioni elettorali che determinavano ogni volta l'erogazione dei contributi.

5 La legge n 2 del 1997

In questa situazione vanno inquadrati il decreto legge n. 83 del 1995 sulla par condicio con cui si concesse un'anticipazione dei finanziamenti; la decisione di aumentare i contributi regionali ( Art 6 della legge 43/1995) ; e soprattutto l'approvazione della legge n.2 del 1997 intitolata “Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici” con cui si introdusse un “aiuto” pubblico alle finanze dei partiti80. Vanno ricordati i tentativi di rintrodurre il finanziamento pubblico subordinandolo al rispetto, da parte dei partiti, di regole di democrazia interna e all'accettazione di maggior controlli contabili. Essi però non andarono mai in porto per il timore della reazione dell'opinione pubblica. Nessuna forza politica infatti, come emerge dal dibattito parlamentare, ebbe il coraggio di proporre il superamento del referendum; esse sottolinearono solamente la necessità di introdurre queste disposizioni per far fronte alle esigenze dei partiti e misero in luce inoltre il carattere “volontario” del meccanismo di contribuzione.81 Fu previsto infatti che il singolo cittadino, all'interno della dichiarazione annuale dei redditi, dovesse indicare se intendesse o meno contribuire al sostegno del sistema dei partiti.

Questa legge stabilì la destinazione del quattro per mille dell'imposta sui

79 Esso era composto da tre magistrati estratti a sorte fra i consiglieri in servizio coadiuvati da nove addetti alla revisione e dal personale ausiliario necessario.

80 In una norma transitoria questa legge dispose una prima erogazione di una tantum per l'anno finanziario 1997 di 160 miliardi di lire.

redditi delle persone fisiche per il finanziamento dei partiti82. L a condizione per partecipare alla ripartizione dei fondi, in misura proporzionale ai voto ottenuti, era costituita dall'avere almeno un parlamentare eletto. Le risorse confluite in un fondo, di cui fu determinato l'ammontare massimo, sarebbero poi state distribuite fra i partiti e i movimenti che rispettassero la condizione sopra ricordata e che, entro il 31 ottobre di ciascun anno, avessero presentato la relativa domanda.

I criteri per la distribuzione del fondo erano: la tutela delle forze politiche espressione delle minoranze linguistiche; la proporzionalità rispetto ai voti validi conseguiti dai partiti in ambito nazionale nella più recente elezione per la Camera; attribuzione di un novecentoquarantacinquesimo del fondo per ogni parlamentare che avesse dichiarato di far riferimento a partiti che non si erano presentati alle elezioni.

Questi criteri però portarono a risultati irragionevoli: in sede di prima applicazione della norma, ben 44 partiti ottennero un contributo; ottennero la possibilità di usufruire di finanziamenti consistenti anche partiti che avevano riscosso un certo numero di voti nella quota proporzionale della Camera, ma che non avevano ottenuto alcun seggio e li ottennero grazie alla dichiarazione “di riferimento” anche di un solo parlamentare.

Questa stessa legge inoltre stabilì sgravi fiscali per erogazioni liberali da parte di persone fisiche nonché da parte di società di capitali e di enti pubblici commerciali. Anche in riferimento a esse fu previsto un importo massimo di mancato gettito nelle casse dello Stato derivante dalle detrazioni.

Furono infine modificate le norme in materia di controlli sul bilancio dei partiti. Fu previsto che il tesoriere del partito o il rappresentante legale, a cui per statuto è affidata la gestione delle attività patrimoniali, redigessero un bilancio detto “rendiconto di esercizio”, comprendente tanto lo stato patrimoniale quanto il conto economico secondo un modello allegato alla legge. Questo rendiconto sarebbe stato poi completato dalla relazione sulla situazione economico-patrimoniale del partito e dall'andamento della gestione nonché dalla nota integrativa.

Scomparve l'obbligo di far “certificare” il bilancio dai revisori, nominati dl partito, e al suo posto si stabilì che fosse allegata una “relazione dei revisori dei conti”.

Fu inoltre confermato l'obbligo di pubblicare i bilanci sui quotidiani e sulla Gazzetta Ufficiale.

Per quanto riguarda il controllo sui bilanci si stabilì che il Presidente della Camera, in accordo con quello del Senato, comunicasse al ministro del Tesoro sulla base del controllo compiuto dal collegio di revisori, la conformità dei documenti presentati. In caso di mancata conformità l'erogazione dei fondi sarebbe stata sospesa.

Questa legge del 1997 destò non poche polemiche. Parte del mondo della dottrina e del mondo politico infatti reagirono a questa legge affermando che nella sostanza era stato aggirato il referendum del 1993 in quanto era stato rintrodotto il finanziamento pubblico. L'elemento della volontarietà infatti incideva solo sul meccanismo di determinazione della quantità di risorse che però rimanevano risorse pubbliche.

Il comitato promotore del 1993 sollevò un conflitto di attribuzione nei confronti di Camera e Senato sostenendo che questa legge violasse la volontà popolare ma la Corte Costituzionale lo dichiarò inammissibile per carenza del requisito soggettivo.83

Per altri invece questa legge non violava la volontà popolare espressa con il referendum ma costituiva piuttosto “una surrogazione impropria” della volontà popolare dal momento che subordinava ogni anno l'erogazione del contributo alla scelta dei cittadini.

Le aspettative riposte nella nuova disciplina furono di gran lunga disattese. Tanto che la scelta di erogare delle somme di denaro ai partiti, fatta a titolo di prima applicazione nel 1997, fu ripetuta l'anno successivo. Quando le previsioni dimostrarono che i fondi raccolti con la contribuzione volontaria si sarebbero attestati tra i 20 e i 40 miliardi fu necessario prevedere la possibilità per il Ministro del Tesoro di ripartire fra i vari partiti e

83 Ordinanza n. 9 del 1997. La Corte affermò che il comitato promotore non era “un organo di permanente controllo” e che con la proclamazione dei risultati e l'abrogazione delle disposizioni oggetto del referendum si esaurisce il procedimento rispetto al quale sussiste appunto la titolarità dell'anzidetto potere.

movimenti una somma predeterminata pari a 110 miliardi di lire.

Per la seconda volta quindi la ratio della legge fu elusa in favore della necessità di assicurare ai partiti quei mezzi di sostentamento che si temeva non riuscissero a raccogliere con la contribuzione volontaria.

6 La legge n. 157 del 1999 e le sue modifiche successive; il ritorno nella sostanza al finanziamento pubblico ordinario

I successivi due interventi alla legge 2/1997 sono andati nel senso di reintrodurre l'attribuzione automatica di un contributo fisso a carico del bilancio dello Stato, per ogni votante.

In tempi rapidissimi e con larghissima maggioranza nel 1999 fu votata la legge n. 157 del 1999.

Il meccanismo della contribuzione volontaria era sostanzialmente fallito e questo spinse il Parlamento ad abrogare la quasi totalità della legge n. 2 del 1997, ma anziché fare una scelta coraggiosa e disciplinare l'ordinamento dei partiti insieme al loro finanziamento, si volle solo dare prova di rispettare il referendum del 1993 tornando ad intervenire sulle spese per le consultazioni elettorali. Si parlò di “rimborsi” ma tale interventi economici furono talmente elevati tanto da essere nella sostanza finanziamenti ordinari. Questa legge aveva previsto l'attribuzione ai partiti di una quota corrispondente al numero di voti ottenuto nelle elezioni politiche e europee, abbassando la soglia per avere accesso al finanziamento e aumentando il tetto per le spese elettorali.

Rispetto alle disposizioni del 1993 e del 1995 (per quanto riguarda le elezioni regionali) furono istituiti quattro fondi il cui ammontare fu fissato nella somma risultante dalla moltiplicazione dell'importo di lire di 4.000 per il numero di cittadini iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera . I rimborsi dovevano essere richiesti entro dieci giorni dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle liste per il rinnovo di ciascun organo e sarebbero stati disposti per decreto del Presidente della Camera per il rinnovo della Camera , del Parlamento europeo e dei consigli regionali e del Presidente del Senato per quanto riguarda il rinnovo del Senato.

Per quanto riguarda l'accesso ai fondi fu confermato l'impianto precedente con una sola e rilevante differenza: per il rinnovo della Camera dei Deputati,

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