• Non ci sono risultati.

La rilevanza dell’autovincolo e il problema del sindacato sulla fondatezza della pretesa in caso di discrezionalità tecnica.

L’AZIONE AVVERSO IL SILENZIO INADEMPIMENTO

2. L'oggetto del sindacato giurisdizionale nel ricorso contro il silenzio-rifiuto: l'evoluzione dottrinale e giurisprudenziale fino al

2.3 La rilevanza dell’autovincolo e il problema del sindacato sulla fondatezza della pretesa in caso di discrezionalità tecnica.

Il concetto di attività vincolata nella logica della norma di cui all’articolo 31, comma 3, c.p.a, è un concetto dinamico e non statico; è un concetto che va

verificato anche alla luce dell’autovincolo nel fluire dell’azione amministrativa. L’attività vincolata della pubblica amministrazione può divenire tale anche per effetto dei limiti che l’amministrazione si autoimpone di rispettare.

Pertanto, per provvedimento vincolato, non si intende solo un provvedimento vincolato ab origine sul piano del diritto, vale a dire un provvedimento che in base alla norma strettamente intesa non poteva che essere quello, ma anche un provvedimento vincolato per effetto di un autovincolo, in quanto l’Amministrazione con un precedente atto regolamentare, un bando di gara, una lex specialis di un concorso o di una gara, un atto generale, un atto specifico nell’ambito del procedimento, ha consumato la sua discrezionalità, cioè si è data delle regole che impongono un vincolo che nella legge ab origine non c’era.

Le procedure concorsuali ed, in particolare, di appalto sono, da questo punto di vista, un caleidoscopio di esempi sostanzialmente ampio.

Si intende anche un vincolo pattizio, alla luce dell’art.11 della 241/1990. E’ evidente che se l’Amministrazione si obbliga con il privato in sede di accordo ad adottare un certo provvedimento amministrativo, questo provvedimento, pur se ab

origine discrezionale, diventa un provvedimento vincolato.

Un’attenta dottrina ha evidenziato come le riforme legislative dello scorso decennio mostrino una tendenza ad anticipare il momento dell’esercizio della discrezionalità rispetto a quello dell’emanazione dell’atto diretto al cittadino, con

la conseguenza che, in questa ulteriore fase, la discrezionalità amministrativa si sarebbe notevolmente ridotta o addirittura esaurita.116

Dal punto di vista dell’organizzazione amministrativa, gli interventi normativi, sia la legge n.142/1990 che il decreto legislativo n.29/1993, al di là delle numerose modificazioni intervenute nel corso degli anni successivi, “nel momento in cui escludono gli organi di indirizzo politico dalle attività di gestione della cosa pubblica attraverso provvedimenti puntuali, implicano che le linee generali per l’individuazione degli interessi pubblici e privati rilevanti e per il loro confronto debbano essere tracciate all’atto dell’emanazione delle misure espressione dell’indirizzo politico amministrativo”117

Con specifico riferimento agli interessi pretensivi viene poi in rilievo l’articolo 12 della legge n. 241/1990, il quale prevede la predeterminazione dei criteri e delle modalità per la concessione di contributi, sussidi e ausili finanziarie l’attribuzione di vantaggi economici di qualsiasi genere.

Come è stato evidenziato, “rettamente intesa, la disposizione può portare all’individuazione di criteri la cui applicazione ai casi concreti non lasci margini di discrezionalità alla pubblica amministrazione. Più in generale, l’autorità amministrativa può autolimitare l’esercizio della propria discrezionalità, e, in ogni caso, il rispetto del principio di imparzialità impone alla pubblica amministrazione coerenza di comportamenti: una fondata censura di eccesso di potere per disparità

116Cfr. Caranta, Margini di apprezzamento e responsabilità della pubblica amministrazione, 309 117 Caranta, op.ult.cit., 310

di trattamento è l’altra faccia della consumazione della discrezionalità amministrativa, prevista dalla norma, ma esaurita nei casi concreti”118.

Proseguendo lungo questa direttiva, una parte della dottrina ha proposto di ricostruire la decisione amministrativa “come fattispecie precettiva a formazione progressiva”, nella quale è possibile distinguere almeno due fasi. Quella che è stata definita “ascendente”, e che si individua nelle varie operazioni occorrenti per giungere alla fissazione della fattispecie precettiva, della regola iuris che disciplina un determinato assetto di interessi; e quella discendente connotata dall’applicazione del precetto così formato alla fattispecie concreta e ai singoli interessi in esso disciplinati.

In quest’ottica, il momento discrezionale della decisione amministrativa si pone a monte, al culmine della fase ascendente, nel momento in cui l’amministrazione valutando e concretizzando l’interesse pubblico specifico, elabora “scale di priorità”119. Tutta l’attività esecutiva di tali criteri, invece, andrebbe considerata

attività valutativa non discrezionale, come tale sindacabile da parte del giudice amministrativo120.

Molto spesso quindi il giudice si trova ad operare in contesti nei quali la discrezionalità vera e propria si è esaurita e il giudizio prognostico può essere formulato nelle valutazioni propriamente riservate alla pubblica amministrazione.

118 Caranta, Margini di apprezzamento e responsabilità della pubblica amministrazione, 310-311 119 Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, n.1445/1999.

La giurisprudenza è, altresì, intervenuta sulla questione, connessa alla precedente, dell’ammissibilità dello scrutinio della fondatezza della pretesa nel caso in cui l’attività amministrativa omessa sia espressione di discrezionalità tecnica, ricorrente in tutti i casi in cui la determinazione amministrativa sia il portato dell’applicazione di regole tecniche di vaia natura (medica, scientifica ecc.), che si caratterizzano per la loro opinabilità.

Al riguardo la risposta è prevalentemente negativa, considerato che, come chiarito dalla giurisprudenza uno dei limiti al sindacato sulla fondatezza dell’istanza è costituito dalla completezza dell’istruttoria.

Pertanto, qualora l’attività amministrativa omessa implichi valutazioni tecniche, al giudice non è consentito effettuarle in sede processuale, con la conseguenza che allo stesso è impedito di sindacare la fondatezza della pretesa al provvedimento che implichi l’applicazione di regole tecniche.

Inoltre, va considerato che, riconoscendo il potere del giudice del silenzio di valutare la fondatezza della pretesa in presenza di attività tecnico-discrezionale, si ammetterebbe più di quanto si ritiene da parte di chi pure consente un controllo forte sulla discrezionalità tecnica dell’amministrazione.

Infatti, il giudice esercitando il proprio potere sostitutivo, non si limiterebbe semplicemente a sovrapporre la propria valutazione a quella (mancante) dell’amministrazione, ma opererebbe direttamente come amministratore, dettando per la prima volta la disciplina del rapporto.

In altri termini, il giudice non si limiterebbe a controllare la valutazione dell’amministrazione, ma finirebbe per sostituire la propria scelta tecnica a quella che l’amministrazione, rimasta inerte, non ha mai compiuto.

Diversamente, nel caso in cui l’attività amministrativa omessa implichi il compimento di meri accertamenti tecnici, la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile il sindacato sulla fondatezza della pretesa al fine di conformare puntualmente la successiva azione amministrativa.