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2.4.1

Rischio da eccessivo sollevamento del livello dell’acqua

Un eccessivo sollevamento del livello dell’acqua nel lago può causare il collasso delle dighe ”a monte” anche se non si ha la tracimazione. Questo innalzamento del livello può essere prodotto da intense precipitazioni o da errata gestione del sistema. Se la larghezza del- la spiaggia emersa risulta troppo piccola la superficie freatica all’interno dell’argine risale creando condizioni di instabilità del piede dell’argine. L’intera diga può collassare a partire dalla parte bassa.

2.4.2

Rischio da tracimazione delle acque

Se tuttavia il livello dell’acqua sale fino a superare la quota della cresta si avrà la tracimazione accompagnata da fenomeni erosivi e da completa sottomissione del corpo dell’argine alla superficie freatica. Sarà molto elevata la probabilità di rottura della continuità dell’argine con progressivo aggravamento della situazione. L’evoluzione dell’evento disastroso dipende dalla quantità d’acqua e, nei casi estremi si potrà avere il completo cedimento dell’accumulo in pochi minuti.

2.4.3

Rischio da ”piping”

Il fenomeno del Piping (flusso attraverso vie di pervietà tubolari) ha luogo se l’infiltrazione dell’acqua attraverso i sedimenti produce erosione lungo il percorso. Se l’evento diventa importante può provocare il cedimento locale o generalizzato del bacino.

2.4.4

Rischio da eccessiva velocità di crescita dell’argine

Se di ricorre ad un’eccessiva velocità di crescita, nella costruzione dell’argine con crescita verso monte, si può verificare il cedimento dello stesso a causa dell’eccessiva pressione neutra indotta all’interno del corpo della diga.

CAPITOLO

3

Problematiche geotecniche ed ambientali dei bacini di

decantazione

In questo capitolo vengono presentate le principali problematiche di carattere geotecnico– ambientale che caratterizzano i bacini di decantazione degli sterili di flottazione. Ven- gono presentate le principali tecnologie attualmente utilizzate per la loro messa in si- curezza, mirate soprattutto all’isolamento dei siti in modo da eliminare i percorsi di migrazione dei contaminanti presenti.

Viene infine presentata un’ipotesi di intervento innovativa e basata sull’utilizzo dei metodi elettrocinetici per la creazione di barriere di contenimento o di isolamento.

3.1

Introduzione

L’esame dei minerali oggetto di attività estrattiva presenti in Sardegna, evidenzia che per la maggior parte si tratta di solfuri misti di Fe, Pb, Zn, Cu e Sb, e questi sono presenti in concentrazioni variabili nei residui minerari a causa della bassa efficienza delle tecniche di trattamento e della scarsa volontà di minimizzare gli impatti sull’ambiente. Questi elementi principali sono sempre accompagnati da quantità inferiori di Cd, As, W, e spesso da Cr, Hg, Co, Al e Mn. Si registrano inoltre un numero discreto di coltivazioni minerarie di F e Ba, spesso associate ai solfuri misti di Pb-Zn.

La pericolosità geochimica di questi elementi inorganici viene spesso amplificata a causa del contenuto in solfuri dei minerali che, a seguito dell’ossidazione indotta dalla esposizione all’aria, innesca fenomeni di acidificazione delle acque (AMD Acid Mine Drainage), aumen- tando quindi la mobilità e disponibilità dei potenziali contaminanti nelle matrici ambientali e influenzando il pH di suoli ed acque anche su aree molto estese. Inoltre per quanto riguar- da i residui del trattamento di arricchimento dei minerali, possono essere presenti additivi utilizzati nel processo di trattamento.

3.1 Introduzione

Risulta quindi chiaro come i siti minerari dismessi ed in special modo i bacini di conte- nimento dei fanghi di risulta dei processi, possono rappresentare un rischio per l’ambiente, vista la possibilità di contaminazione che possono comportare sulla matrici ambientali.

La normativa di riferimento, ovvero il D.M. 471 del 1999, prevede la possibilità di deroga dai limiti tabellari fissati come obiettivi di risanamento, se è dimostrabile che tali limiti non possono essere raggiunti con l’applicazione delle migliori tecnologie a costi sostenibili.

Nelle Aree Minerarie a seguito di quanto sopra esposto, è fondamentale l’accertamento dei valori di fondo e la verifica puntuale delle interazioni tra un ambiente con valori geochimici anomali naturali, ed i potenziali bersagli, utilizzando lo strumento dell’analisi di rischio che evidenzi e valuti la reale consistenza di elementi di rischio per la salute e l’ecosistema e quindi, orienti la progettazione delle opere di risanamento e tutela.

E’ necessario considerare quindi che, per la peculiare situazione oggettiva precedente- mente descritta, nelle aree minerarie il concetto di ”limite tabellare” introdotto dalla legislazio- ne italiana, soprattutto per i suoli, deve essere superato dal confronto con il valore di fondo geochimico.

Sulla base delle metodologie di geochimica mineraria ed ambientale, la matrice am- bientale che meglio rappresenta il fondo geochimico, riferito al singolo bacino idrografico, è costituita dai sedimenti fluviali (stream sediments) a monte dei lavori minerari. Per loro na- tura essi evidenziano, infatti, un sostanziale legame con la realtà geo–giacimentologica dei suoli e delle rocce adiacenti, fornendo un quadro chiaro della distribuzione degli elementi metallici, che costituiscono il maggior componente di potenziale contaminazione nelle aree minerarie dismesse.

In generale, gli interventi di messa in sicurezza di emergenza vengono proposti e quindi autorizzati, in caso di improvvisa modifica di condizioni ambientali, a causa di sversamenti di contaminanti, oppure di problemi di statica dei cumuli di ”rifiuti” che possono incrementare la diffusione di contaminanti nelle matrici ambientali.

I siti in cui sono presenti i rifiuti prodotti dalle attività minerarie risultano invece già com- promessi e potenzialmente contaminati da diversi anni, se non addirittura da decenni. Il concetto quindi di ”evento improvviso” mal si applica a questa tipologia di siti, in particolare a riguardo della diffusione dei contaminanti, che per la maggior parte dei siti è già avvenuta. L’esperienza degli ultimi anni ha evidenziato comunque, che il tipo di eventi più significa- tivi in questi siti, sono legati alle risorgenze di acque di falda, variamente contaminata, dai lavori minerari, oppure all’innesco di fenomeni franosi dei versanti interessati da discariche minerarie e scavi, che contribuiscono ad una maggiore diffusione della contaminazione delle matrici ambientali.

Gli interventi di messa in sicurezza di emergenza ammissibili all’iter procedurale, sono strettamente identificati nelle situazioni che presentano rischi immediati per la sicurezza delle persone e delle cose, di seguito elencate:

3. Problematiche geotecniche ed ambientali dei bacini di decantazione

ralizzate, abbancamenti fini e bacini sterili di laveria;

• Stabilizzazione statica di abbancamenti fini o bacini sterili di laveria;

• Regimazione idraulica nei casi critici di risorgenze di acque da lavori minerari;

• Rimozione e smaltimento di rifiuti pericolosi, quali oli esausti, serbatoi con residui, coperture in cemento-amianto, trasformatori elettrici.

E’ ammessa inoltre l’esecuzione di ulteriori misure di messa in sicurezza di lavori minerari aperti quali pozzi, gallerie e scavi o di edifici pericolanti.

Risulta quindi chiaro come, per quanto riguarda i bacini di contenimento dei fanghi di processo, non sia possibile applicare il concetto di bonifica, inteso come rimozione della sorgente della contaminazione. In questo caso, visto e considerato la mole dei rifiuti, sempre essere più appropriata una messa in sicurezza dei siti rispetto alla loro bonifica.

La messa in sicurezza dei siti può essere intesa come un isolamento dei centri di poten- ziale pericolo dalle via di migrazione. Interrompendo quindi la migrazione dei contaminanti, viene impedita la possibilità che i contaminanti raggiungano le matrici ambientali.