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LA RISCOPERTA DEL MITO IN GERMANIA

§ 4.1 Dall’Inghilterra alla Germania

§ 4.1.1 Un quadro generale

Il fatto che Coleridge, dovendo scegliere un’università tedesca per svolgere un soggiorno di studi, abbia accordato la propria preferenza proprio a Gottinga non deve stupire. Come scrive infatti Marino «Nella seconda metà del secolo XVIII, per un convergere singolare di circostanze, Göttingen era stata la più importante università tedesca. Se per la filosofia non poteva ovviamente gareggiare con Königsberg o con Jena, in compenso per lo studio del diritto e delle lettere classiche, delle scienze naturali e dell’antropologia, della storia e della “statistica” non aveva eguali»184.

La fama dell’ateneo probabilmente non è l’unico motivo in grado di spiegare la scelta di Coleridge. Un altro fattore, particolarmente importante all’interno della presente discussione, che può aver indirizzato il giovane studioso inglese verso la famosa università tedesca è il rapporto particolarmente stretto che sussisteva tra l’Hannover e l’Inghilterra, un legame evidente a partire dalla successione alla corona d’Inghilterra di Giorgio I di Hannover. La vicinanza tra Gottinga e il Regno di Gran Bretagna va in ogni caso ben oltre l’unione tra corone. La maggior parte degli studiosi che lavoravano nell’università tedesca intrattenevano infatti stretti rapporti con l’Inghilterra. Georg Christoph Lichtenberg, ad esempio, professore a Gottinga a partire dal 1769, viaggiava spesso tra la Germania e l’Inghilterra, dove nel 1793 è diventato membro della Royal Society. Johann David Michaelis, come si vedrà185, intratteneva stretti rapporti con Bryant, e anche

Blumenbach, del quale Coleridge frequenterà le lezioni, aveva frequenti contatti con la Royal Society, come dimostra ad esempio la dedica da parte dell’antropologo tedesco del De generis humani varietate nativa a Joseph Banks, presidente della famosa accademia. Quest’ultimo fa parte del vasto numero delle personalità del mondo politico e della cultura che hanno attivamente

184 L. Marino, I maestri della Germania, op. cit., p. 6. 185 Cfr. infra, nota 192.

contribuito all’ampliamento della biblioteca dell’università di Gottinga186

, che sotto la direzione di Heyne, dal 1763 al 1802, è passata da circa settantamila a duecentomila volumi187. Proprio la biblioteca, elemento centrale per valutare

l’importanza e il carattere della Georgia Augusta, offre un altro elemento a sostegno dello stretto legame tra Inghilterra e Hannover. La biblioteca conteneva infatti diverse pubblicazioni inglesi, alcune delle quali molto rare188

.

Un'altra istituzione utile a sottolineare lo stretto rapporto tra Inghilterra e Hannover è infine la Königliche Societät der Wissenschaften, modellata sulla

Royal Society inglese e, come la biblioteca, diretta e animata da Heyne per

diversi anni189

.

Sebbene, come dimostra Marino, quella inglese non sia l’unica presenza straniera che è possible riscontrare a Gottinga tra il Settecento e l’Ottocento190,

è fuor di dubbio che essa sia quella preponderante. Tenendo presente il quadro generale rapidamente tratteggiato mi rivolgo dunque all’analisi dei rapporti tra Gran Bretagna e Gottinga per quanto riguarda, nello specifico, i temi affrontati nei capitoli precedenti. In particolare esaminerò l’opera di Heyne, che oltre ad essere unanimamente riconosciuto come il principale artefice e rappresentante della fortuna della Georgia Augusta, ha svolto un ruolo di fondamentale importanza nell’elaborazione di quel nuovo metodo di approccio al mito che ben presto sfocierà nel cosiddetto Higher Criticism, basato sull’applicazione di questo stesso metodo all’analisi delle Sacre Scritture.

Dal momento che il numero di pagine in cui Coleridge si riferisce esplicitamente ad Heyne è decisamente inferiore rispetto a quello delle pagine dedicate ad altri studiosi tedeschi come ad esempio Herder o Eichhorn, ci si potrebbe chiedere perché dilungarsi proprio su Heyne e non passare invece direttamente agli altri due. Il motivo principale di questa scelta è l’immensa influenza esercitata dallo studioso tedesco sugli sviluppi dell’approccio storico al mito. Per valutare questa influenza sarebbe sufficiente scorrere la

186 Ivi, p. 10.

187 M.M. Sassi, La freddezza dello storico: Christian Gottlob Heyne, in Annuali della Scuola Normale

Superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, Vol XVI, 1, Pisa 1986, pp. 105-126, p.

106.

188 Cfr. L. Marino, I maestri della Germania, op. cit., p. 16. 189 Ivi, pp. 44-45.

190 L’autore mostra ad esempio gli stretti rapporti sussistenti dell’università tedesca sia con la

lista dei suoi allievi, tra cui figurano ad esempio il danese Zoega, che nel 1788 scrive un breve saggio su Omero che cita Scienza Nuova di Vico191, ma

soprattutto gli Schlegel, Wolf ed Eichhorn. Le ricerche di quest’ultimo, su cui ritorneremo192, svolgono anch’esse un ruolo fondamentale all’interno del

percorso che sto tentando di tracciare, dal momento che costituiscono probabilmente la prima esplicita e consapevole applicazione del metodo elaborato da Heyne per l’analisi dei miti antichi alle Sacre Scritture. Prima della pubblicazione dell’Urgeschichte, nel 1779, e dell’Einleitung ins Alten

Testament, nel 1780, non sono mancati, come si è già visto, tentativi e accenni

di applicazione ai testi sacri del metodo ermeneutico che si andava precisando. Agli esempi già citati è da aggiungere almeno il caso di Robert Lowth: il De sacra poesi Hebraeorum (1753), che raccoglie le sue lezioni di poetica svolte a Oxford tra il 1738 e il 1748, applica sistematicamente alla poesia ebraica gli stessi criteri interpretativi utilizzati per la poesia profana. Nonostante la prima mantenga uno status privilegiato, poiché divino, essa viene trattata alla stregua di qualsiasi altro testo, e analizzata rispetto alla struttura metrica, alla presenza di figure retoriche ecc.193

. Questo precedente, di certo non l’unico, è molto importante perché oltre a caratterizzarsi per la sistematicità con cui lo studio estetico della poesia sacra viene portato avanti, rappresenta un ulteriore esempio del legame tra Inghilterra e Hannover. Il testo di Lowth infatti suscita un forte interesse in Michaelis, che nel 1758 ne cura la prima traduzione tedesca194. L’opera di Eichhorn tuttavia, successiva

all’opera di consolidamento e sistematizzazione del nuovo metodo di analisi del mito portata avanti da Heyne, e consapevole delle precedenti riflessioni sui testi sacri, costituisce il primo caso di applicazione di questo nuovo metodo alla critica biblica195. Per questo l’Urgeschichte «Ebbe una grande

191 L’opera, scritta originariamente in italiano, è uscita prima in traduzione tedesca, nel 1817, e

in versione originale solo nel 1901, in Strassburger Festschrift zur XLVI Versammlung Deuscher

Philologen und Schulmänner, herausgegeben von der Philosophischen Fakultät der Kaiser-

Wilhelms-Universität, Verlag Von Karl J. Trübner, Strassburg 1901, pp. 3-10.

192 Cfr. infra, § 7.2 Coleridge ed Eichhorn.

193 Cfr. L. Marino, I maestri della Germania, op. cit., p. 263; L. Ferreri, La questione omerica dal

Cinquecento al Settecento, op. cit., p. 214.

194 R. Lowth, De sacra poesi Hebraeorum. Praeleciones academicae Oxonii habitae. Notas et epimetras

adiecit I.D. Michaelis, Göttingen 1758; cfr. L. Marino, I maestri della Germania, op. cit., p. 263; V.

Verra, Linguaggio, mito e storia. Studi sul pensiero di Herder, a cura di C. Cesa, Edizioni della Normale, Pisa, 2006, p. 135-139.

195 Cfr. L. Ferreri, La questione omerica dal Cinquecento al Settecento, op. cit., pp. 291-296; L.

Marino, I maestri della Germania, op. cit., pp. 270 e seguenti; V. Verra, Linguaggio, mito e storia.

Studi sul pensiero di Herder, op. cit., pp. 207-215; G. D’alessandro, L’infuenza di Vico in Heyne e nella scuola storico mitologica di Gottinga, op. cit., pp. 200-203. Interessante notare che secondo

notorietà a partire dalla ristampa del 1790-93, con una introduzione e commento a cura dell’allievo di Eichhorn Johann Philip Gabler (1753-1826). Da allora fu considerato una sorta di manifesto programmatico di quella che si disse “Scuola del mito” (mythische Schule)»196. Particolarmente interessante

infine il fatto che, come ha mostrato Grafton197, l’Einleitung di Eichhorn può

essere considerata il modello dei Prolegomena di Wolf.

Alla luce di quanto detto la figura di Heyne può essere considerata come una sorta di punto di convergenza di molte delle tracce che finora sono state seguite. Da una parte, all’indietro, lo studioso tedesco costituisce probabilmente colui che più di tutti ha messo a frutto, sistematizzato e promosso una linea di pensiero i cui antecedenti possono essere considerati, tra gli altri, i già citati Vico, Blackwell e Wood. Dall’altra, in avanti, può essere considerato come un punto di partenza ideale rispetto ai rapidi sviluppi successivi di questa tradizione, potendo annoverare tra i suoi allievi da Eichhorn a Creuzer, da Wolf agli Schlegel, da Humboldt a Coleridge. Rivolgiamo dunque la nostra attenzione ad Heyne, non senza prima considerare con attenzione il suo rapporto con il primitivismo inglese e in particolare l’influenza esercitata sulla sua riflessione da Robert Wood.

§ 4.1.1 Heyne, Blackwell e Wood

Il rapporto tra Heyne e il primitivismo inglese, diversamente da quello tra Blackwell e Vico, poggia su basi solide, e si fonda principalmente sullo studio da parte dell’accademico tedesco dell’opera di Robert Wood. Il genero e biografo di Heyne, Arnold H.L. Heeren, è stato tra i primi a sottolineare l’influenza esercitata dall’inglese sullo studioso tedesco198. Nella biografia

dedicata al suocero, Heeren scrive infatti che la lettura di An Essay on the

D’Alessandro in Eichhorn, che pure non sembra conoscere Vico, «sono percepibili echi vichiani».

196 L. Ferreri, La questione omerica dal Cinquecento al Settecento, op. cit., p. 294.

197 Cfr. F.A. Wolf, Prolegomena to Homer (1795), translated with introduction and notes by A.

Grafton, W.G. Most and J.E.G. Zetzel, Princeton 1985, pp. 18-26; A. Grafton, “Prolegomena to

Friedrich August Wolf”, in Journal of the Warburg and Courtaud Institutes, Vol. 44, 1981, pp. 101-

129, pp. 116-129; L. Ferreri, La questione omerica dal Cinquecento al Settecento, op. cit., p. 291.

198 A.H.L. Heeren, Christian Gottlob Heyne: biographisch dargestellt, J. F. Römer, Göttingen 1813,

pp. 210-212. Sul rapporto tra Heyne e Wood si veda anche S. Fornaro, I Greci senza lumi, op.

Original Genius and Writings of Homer199

ha avuto ampie conseguenze non solo sugli studi omerici di Heyne, ma sul suo pensiero in genere200. A sostegno

delle affermazioni di Hereen basti rilevare che Heyne, che come scrive il suo biografo ha letto l’opera di Wood pochissimo tempo dopo la sua uscita, ha pubblicato nel 1770, sulle Göttingische Anzeigen von gelehrten Sachen201, una

recensione in cui mostra tutto il suo apprezzamento per l’opera. È ancora a Heyne inoltre che si deve, sempre secondo il suo biografo, il progetto di traduzione dell’Essay in tedesco che vedrà la luce nel 1773202

. Le Göttingische

Anzeigen torneranno inoltre ad occuparsi dell’opera nel 1775, pubblicando

una nuova recensione in occasione della ristampa del testo, diventato ormai molto noto non solo in Inghilterra ma anche in Europa203

.

La recensione di Heyne si apre con un paragone tra l’opera di Wood e quella del suo principale predecessore Blackwell: sebbene l’Enquiry costituisca senza dubbio la base teorica dell’Essay, quest’ultimo sopravanza decisamente l’opera precedente204. Wood infatti, diversamente da Blackwell, può vantare

una conoscenza diretta dei luoghi in cui i poemi omerici sono ambientati: questo fa sì che egli sia in grado di penetrare nello spirito di queste opere come nessun’altro prima di lui205

. Heyne continua mostrando chiaramente apprezzamento e condivisione rispetto alle principali teorie esposte da Wood, dalla necessità di tenere conto, nell’analisi dei poemi omerici, dello stato di arretratezza dell’epoca in cui sono nati206

, alla necessità di utilizzare i resoconti di viaggio per comprendere meglio quell’epoca.

Per valutare il rapporto tra l’opera di Wood, e più in generale il primitivismo inglese, e la riflessione sul mito di Heyne, procederò dunque analizzando i punti principali dell’Essay.

199 R. Wood, An Essay on the Original Genius and Writings of Homer: With a Comparative View of

The Ancient and Present State ot the Troade, H. Hughs, London 1875.

200 A.H.L. Heeren, Christian Gottlob Heyne: biographisch dargestellt, op. cit., p. 210.

201 Bryant, al quale era stato chiesto di occuparsi della revisione dell’opera di Wood in seguito

alla morte dell’autore, nel 1775 scrive a J.D. Michaelis, collega di Heyne alla Georgia Augusta di Gottinga, che gli spedirà una copia dell’edizione rivista dell’Essay. Heyne, su indicazione di Michaelis, scrisse una recensione dell’opera che uscì nel 1770. Cfr. D.M. Foerster, Homer in

English Criticism, op. cit., pp. 95-96; M.M. Sassi, La freddezza dello storico: Christian Gottlob Heyne, op. cit., p. 109; Göttingische Anzeigen von gelehrten Sachen, I Band, 32 Stück. Den 15 Marz 1770,

pp. 257-270.

202 A.H.L. Heeren, Christian Gottlob Heyne: biographisch dargestellt, op. cit., p. 212.

203 Göttingische Anzeigen von gelehrten Sachen, II Band, 143 Stück. Den 30 November 1775, pp.

1225-8.

204 Göttingische Anzeigen von gelehrten Sachen, I Band, 32 Stück. Den 15 Marz 1770, p. 257. 205 Ibidem.

Il volume di Wood, pur inserendosi nell’alveo dell’approccio primitivistico di cui Blackwell rappresenta uno dei primi e maggiori esponenti, presenta rispetto al lavoro del suo predecessore un’interessante differenza: esso nasce infatti, ed Heyne nella già citata recensione non manca di sottolinearlo, come resoconto di viaggio. Wood, insieme a James Dawkins, ha visitato la Grecia e l’Asia Minore nel 1751. È solo nel 1767 però che una prima versione del suo testo omerico vede la luce sotto forma di prefazione ad un’opera intitolata A Comparative View of the Ancient and Present State of Troade.

To Which Is Prefixed an Essay on the Original Genius of Homer. Nel 1769 invece

l’opera su Omero viene pubblicata autonomamente e in versione accresciuta. Diversamente che in Blackwell il punto di partenza di Wood non sembra coincidere con il tentativo di spiegare il successo di Omero, quanto piuttosto con quello di verificare l’attendibilità delle descrizioni contenute nei poemi omerici:

Un’analisi delle scene in cui è ambientata l’azione in Omero conduce necessariamente alla considerazione dei tempi in cui è vissuto. Più ci accostiamo alla sua terra e alla sua epoca e più constatiamo l’accuratezza della sua descrizione della natura e che ogni genere della sua imitazione mostra la maggior cura della verità che si possa trovare in un poeta, antico o moderno che sia.207

L’accostarsi alla terra di Omero di cui Wood parla, alla luce di quanto detto, deve essere inteso in senso letterale. Lo studioso ci tiene infatti a distanziarsi da tutti quei critici che, nel tentativo di risolvere le apparenti contraddizioni contenute nelle descrizioni omeriche si sono basati sulla sola critica letteraria, e non sull’osservazione diretta. Qual è tuttavia il senso di un’operazione di questo tipo? Perché, in altre parole, per valutare la verosimiglianza di un’opera letteraria, sarebbe necessaria l’osservazione diretta dei luoghi e, in un certo senso, delle persone208, che in essa sono descritti? Perché infine la

verosimiglianza dovrebbe essere necessariamente una caratteristica positiva? Considerando l’opera di Wood alla luce di queste domande essa risulta un interessante esempio del nuovo approccio critico che si è in parte già visto all’opera nell’Enquiry di Blackwell. Nel momento in cui i poemi omerici vengono considerati come il frutto del loro tempo, come il prodotto del

207 R. Wood, An Essay on the Original Genius and Writings of Homer, op. cit., p. vi.

208 Come si vedrà Wood adotta un approccio comparativo che utilizza i popoli che nel suo

tempo sono considerati sevaggi come esempi a sostegno della verosimiglianza dei poemi omerici.

geniale interprete di una precisa epoca storica, cambia il modo in cui il problema del realismo – intendendo questo termine non come sinonimo di

aderenza al vero, ma piuttosto di modalità attraverso la quale il reale viene rappresentato – viene affrontato all’interno della critica letteraria. Fino a che la

poesia, compresa quella omerica, viene valutata sulla base di un canone immutabile, considerato invariabilmente valido per i prodotti di ogni epoca, il problema del realismo rimane fondamentalmente confinato all’interno del mondo della carta stampata. Per questo nell’ambito della critica di stampo neoclassico le inesattezze, quelle che erano percepite come volgarità, o le descrizioni di episodi troppo violenti o sconci rispetto al gusto dell’epoca, erano considerate difetti del poeta Omero. Viceversa, nel momento in cui si osservano con occhi diversi i testi letterari che risalgono alle prime fasi della civiltà europea, considerandoli come narrazioni legate a doppio filo all’epoca all’interno della quale sono state prodotte, anche il modo in cui viene affrontato il problema del realismo cambia: «Nel momento in cui l’Iliade e l’Odissea iniziano ad essere studiate come prodotti di condizioni culturali specifiche, la natura della loro poesia viene posta su nuove basi. Ciò che prima in Omero era considerato volgare inizia ad esser visto come realistico, e ciò che nell’epica omerica veniva condannato in quanto primitivo viene ad essere considerato, verso la metà del diciottesimo secolo, come la principale prova dell’originalità e del genio creativo del poeta greco»209

. È bene precisare che non ci troviamo di fronte a un passaggio da un modello all’interno del quale il problema del realismo non sussiste a uno in cui questo problema diventa centrale. Ciò che accade è che nel nuovo approccio storico assume un peso sempre maggiore il riferimento all’osservazione diretta della natura, a ciò a cui l’opera artistica si riferisce, e questo muta profondamente il modo in cui l’opera stessa viene valutata: quelli che prima erano considerati difetti possono diventare pregi e viceversa. Un passaggio di questo tipo si verifica non solo per quanto riguarda la considerazione dei poemi omerici e quella, a questa strettamente legata, dei poemi ossianici, ma anche per quanto riguarda il teatro shakespeareano. La teoria dell’illusione drammatica di Coleridge costituirà un’importante tappa di questo passaggio, e sarà influenzata dal principio secondo il quale ogni opera deve essere giudicata nel suo contesto, e

non sulla base di una regola invariabile210

. È interessante infine ricordare come il problema del realismo, all’interno del mutamento a cui si è fatto riferimento, si configuri non solo e non tanto come mero problema artistico, quanto come conseguenza di tensioni ed esigenze in ultima analisi storico- politiche.

Alla luce del mutamento descritto, dovrebbe apparire più chiaro l’appello di Wood all’osservazione diretta. L’Enquiry di Blackwell, nonostante sia citata da Wood esclusivamente per prenderne le distanze211

, rappresenta un gradino fondamentale all’interno del processo che porta dalla critica di stampo neoclassico alla considerazione storica dei prodotti artistici. Rispetto a questo processo, l’Essay di Wood costituisce un gradino ulteriore. Facendo tesoro della considerazione storica già operante nell’Enquiry, Wood, come si è visto, per verificare la verosimiglianza dei poemi omerici, fa appello all’osservazione diretta dei luoghi descritti da Omero: una volta ammesso che l’Iliade e l’Odissea possono essere considerate come descrizioni attendibili dell’ambiente che circondava il loro autore, risulta più utile perlustrare direttamente questo ambiente che rifarsi ad altre descrizioni, bisognose di ulteriori verifiche. Riferendosi alle dispute, all’interno delle quali colloca esplicitamente anche Blackwell, a proposito dell’inesattezza di un passo del quarto libro dell’Odissea in cui Menelao racconta a Telemaco che Pharos si trova a un solo giorno di navigazione dalle coste egiziane, Wood scrive:

Questo era lo stato della questione ai tempi dei Tolomeo e Cesare. Con quanto poco profitto, sia per quanto riguarda il Poeta che i lettori, la disputa sia andata avanti, può essere giudicato dalla nota annessa. Non è attraverso i libri, ma attraverso il confronto diretto con i luoghi che Omero descrive, che spero di fargli giustizia. Avendo fatto con questo scopo il viaggio di Menelao per due volte, con l’Odissea tra le mani, ho appurato che la descrizione del Poeta della sua lunghezza e dei suoi pericoli era rispettosa dello stato di cose ai tempi di Omero, e che questo passo è stato misinterpretato per scarsa attenzione rispetto a ciò che è successo, sia per quanto riguarda la situazione che i nomi dei luoghi, in quella parte del mondo a partire dalla costruzione di Alessandria.212

Se per verificare la verosimiglianza delle descrizioni dei luoghi è sufficiente l’osservazione diretta, come comportarsi per quanto riguarda le descrizioni di usi e costumi di popoli ormai scomparsi?

210 Cfr. infra, § 8.2 Storicismo e universalismo.

211 R. Wood, An Essay on the Original Genius and Writings of Homer, op. cit., p. 99 e 117. 212 Ivi, pp. 94-100.

Per rispondere a questa domanda Wood adotta quell’approccio comparativo che è stato brevemente descritto nel capitolo precedente213:

Le abitudini [manners] degli Americani potrebbero essere addotte in questo caso

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