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L A RISPOSTA DI B RONZINO RITRATTISTA

Come s‟è visto, l‟Inchiesta del 1546 è ulteriore strumento nelle mani di Benedetto Varchi, per ribadire il noto pregiudizio dell‟inferiorità della pittura, e delle arti visive tutte, rispetto alla poesia. Pregiudizio, che già di origine classica, era tornato in auge a partire da Petrarca, soprattutto grazie alla fama raggiunta dai suoi versi e, nel caso specifico, dei due sonetti dedicati al ritratto di Laura realizzato da Simone Martini. Tali versi, che incarnarono l‟imprescindibile modello di riferimento per tutta la poesia sul ritratto, nonostante gli iperbolici elogi tributati all‟artista senese dal poeta, decretano la definitiva sconfitta del ritratto pittorico, che seppur sembri suggerire la vita, viva non è, e che inganna il poeta, fingendo di ascoltarlo, per poi tradirlo non fornendogli risposta: «Ma poi ch‟i‟ vengo a ragionar co llei,/ benignamente assai par che m‟ascolte,/ se risponder savesse a‟ detti miei»538

. È questa in primis una sconfitta nei confronti della natura, poiché la pittura non riesce a coglierne che gli aspetti più esteriori e formali, e allo stesso tempo anche rispetto alla poesia, che ha invece gli strumenti non solo per mostrarne la forma ma l‟essenza, la parte migliore, l‟interiorità.

Le ragioni di un tale recupero, come sottolineato in precedenza, non sono da ricercarsi esclusivamente nella pura emulazione dei classici o della poesia petrarchesca, quanto nella necessità dei letterati di riappropriarsi del primato culturale presso le corti, primato del quale erano stati gradualmente privati dagli artisti, che sempre più al centro dell‟attenzione dei grandi committenti, rivendicavano per le arti l‟emancipazione dallo stato di discipline meccaniche, anche attraverso strumenti messi a disposizione dagli stessi poeti, come la riproposizione del topos oraziano dell‟ut pictura poesis. Non casualmente, come ha sottolineato Giorgio Padoan539, in questo periodo letterati quali Benedetto Varchi e Ludovico Dolce iniziano a scrivere a proposito delle arti, invadendo un campo che pur tutto il secolo precedente era stato appannaggio degli artisti, architetti in primis. Risultati di tali studi, non sono chiaramente delucidazioni rispetto alle arti – nulla aggiungono difatti su questioni quali

538 F.P

ETRARCA, Canzoniere, cit., p. 400, n. LXXVIII, vv. 9-11.

539

161 la prospettiva, il disegno, o ancora sulla formazione dell‟artista e sugli obiettivi della rappresentazione – quanto piuttosto complessi sistemi teorici, all‟interno dei quali, scrivendo “filosoficamente”, l‟obiettivo è ribadire una gerarchizzazione delle arti, che vede la poesia vincitrice sulla pittura e sulle arti in genere.

In questo contesto, sarà allora utile domandarsi quale fosse l‟opinione di Bronzino in merito. Un Bronzino, che poeta, risponde in maniera evasiva agli “attacchi” di un Varchi che continuamente gli sottolinea le differenze tra pittori e poeti – invitandolo, dopo aver realizzato un dipinto e aver mostrato le sembianze esteriori di un personaggio, a rivolgersi alla poesia per eternarne l‟interiorità – e che pittore, al contrario, pare mettere in campo mirate strategie figurative, già a partire dal Ritratto di Lorenzo Lenzi, al fine di permettere alla sua ritrattistica di superare i limiti insiti nell‟immagine e raggiungere gli obiettivi desiderati: eternare il personaggio e mostrarne le sembianze esteriori come l‟anima, il carattere, la personalità, la storia. Strategie figurative che si dovranno, inoltre, interpretare alla luce del nuovo contesto politico di Firenze, dove, per opera di Cosimo I de‟ Medici, si era instaurata per la prima volta una corte su modello di quelle europee e che Eleonora di Toledo540 contribuì notevolmente a plasmare in modo sempre più formale. All‟interno di un tale sistema, nel quale le arti divengono strumento fondamentale di “propaganda politica” nelle mani dei duchi, è chiaro che le scelte portate avanti dagli artisti, dovranno necessariamente essere rapportate alle intenzioni di Cosimo e Eleonora, concentrati a trasmettere un‟immagine ben precisa e studiata di loro stessi, depositaria di istanze univoche che non lasciano spazio a sfumature o ad ombre, ma esclusivamente a luci541. Per Bronzino – che dei Medici fu principale pittore e ritrattista per almeno un ventennio – questo può in parte spiegare quell‟estremizzazione della linea di contorno, che seppure radicata nella tradizione fiorentina del disegno, troppo velocemente sembra aver dimenticato l‟insegnamento della pittura leonardesca e l‟impatto significativo che ebbe su artisti quali Andrea del Sarto, Rosso Fiorentino, Pontormo, i cui esiti, per almeno due di loro, erano certamente vivissimi nella mente del pittore. Bronzino rinuncia alle possibilità offerte dal chiaro scuro avvolgente proposto da Leonardo e a quello studio minuto delle luci e delle ombre, che se strumento imprescindibile per la resa di un rilievo che rifugge la linea di contorno, si palesa altrettanto fondamentale per la resa dei “moti dell‟animo” e per aggiungere

540 Si veda a proposito: G.L

ANGDON, Medici Women, cit., pp. 65-67. Si veda, inoltre, per il ruolo di Eleonora relativo alla committenza artistica: B.L.EDELSTEIN, Bronzino in the service of Eleonora di Toledo and Cosimo I

de‟ Medici: conjugal patronage and the painter-courtier, cit.

541

Si vedano sulla politica cultura di Cosimo e sul suo uso propagandistico dell‟immagine: HENK TH. VAN VEEN,

Cosimo I de‟ Medici and his self-representation in Florentine art and culture, Cambridge, Cambridge University

Press, 2006; The cultural politics of Duke Cosimo I de‟ Medici, a cura di Konrad Eisenbichler, Aldershot, Ashgate, 2001.

162 vivezza ai volti. Insegnamenti ben sintetizzati dal Vinci in quel noto precetto dal titolo In che

termine si debba ritrarre un volto e dargli grazia d‟ombre e lumi:

grandissima grazia d‟ombre e di lumi s‟aggiunge ai visi di quelli che seggono sulle porte di quelle abitazioni che sono oscure, e gli occhi del riguardatore vedono la parte ombrosa di tali vissi essere oscurata dalle ombre della predetta abitazione, e vedono alla parte illuminata del medesimo viso aggiunta la chiarezza che le dà lo splendore dell‟aria: per la quale aumentazione di ombre e di lumi il viso ha gran rilievo, e nella parte illuminata le ombre quasi insensibili, e nella parte ombrosa i lumi quasi insensibili; e di questa tale rappresentazione e aumentazione d‟ombre e di lumi il viso acquista assai di bellezza542

Le sperimentazioni sulla lumeggiatura del volto sono al centro delle ricerche leonardesche, che in numerose occasioni torna sull‟argomento nel suo Trattato della pittura543

. Una strada, quella indicata da Leonardo, che, con le dovute differenze, fu portata avanti in ambito veneto, prima da Giorgione e poi dal giovane Tiziano, la cui ritrattistica giova tantissimo, in termini di resa della vivezza e del sentire dei volti, dello strenuo studio, piuttosto che della resa dei dettagli minuti, del gioco di luci e ombre sulle membra. Significativamente, annota Lina Bolzoni, Leonardo e Tiziano costituiscono i due baluardi della ritrattistica cinquecentesca, intorno ai quali i letterati avvertono il problema di auto-interrogarsi sulla veridicità del pregiudizio perpetrato per secoli nei confronti della pittura544. È questo il caso dei versi, già citati, dedicati da Bernardo Bellincioni al ritratto di Cecilia Gallerani eseguito da Leonardo545, o ancora dei tanti componimenti di cui sono oggetto le effigi del pittore cadorino, nei quali i poeti, Pietro Aretino in particolare, quasi cedono di fronte ai risultati ottenuti dalla sua ritrattistica.

Tali esempi non sfuggono di certo a Bronzino, che tuttavia dovrà trovare strade alternative per mostrare l‟interiorità dei personaggi effigiati, dovendo in alcune circostanze piegarsi alle necessità di Cosimo ed Eleonora, e della corte tutta. Se si confrontano i ritratti dei duchi con le effigi realizzate per altri committenti, si ritroveranno difatti, nella stragrande maggioranza dei casi, forme meno algide e svolte in chiave fortemente più espressive, oltre che una minore

542

L.DA VINCI, Trattato della pittura, cit., p. 70, paragrafo 90.

543 Ivi, pp. 97-98, paragrafo 152, Se il lume deve essere tolto in faccia alle figure, o da parte, e quale dia più

grazia («Il lume tolto ai volti posti dentro a pareti laterali, le quali siano oscure, sarà causa che tali volti avranno

gran rilievo, e massime avendo il lume da alto, e questo rilievo accade perché la parte dinanzi di tal volto è illuminata dal lume universale dell‟aria a quello anteposta, onde da tal parte illuminata ha ombre quasi insensibili, e dopo essa parte dinanzi del volto seguitano le parti laterali, oscurate dalle predette pareti laterali delle stanze, le quali tanto più oscurano il volto, quanto esso volto entra fra loro con le sue parti: ed oltre di questo seguita che il lume che scende da alto priva di sé tutte quelle parti alle quali è fatto scudo dai rilievi del volto, come le ciglia che sottraggono il lume all‟incassatura degli occhi, ed il naso che lo toglie a gran parte della bocca, ed il mento alla gola, e simili altri rilievi»).

544 L.B

OLZONI, Il cuore di cristallo, cit., p. 160.

545 Ci riferiamo al sonetto: «Di che te adiri, a chi invidia hai, natura?». L.B

OLZONI, Poesia e ritratto, cit., pp. 186-188.

163 tendenza all‟astrazione e all‟idealizzazione dei caratteri. Questo è vero non solo per il Lenzi o per il Giovane con liuto – entrambi frutto di un periodo di transizione e di riflessione – ma anche per opere successive quali il Ritratto di Pierino da Vinci e il cosiddetto Ritratto di

collezionista, fino al Ritratto di gentildonna della Sabauda di Torino, che sebbene esprimano

quella poetica pittorica improntata al culto del disegno, a questa aggiungono una modellazione della forma che passa attraverso un chiaroscuro meno netto, finalizzato a creare “identità” psicologiche e a mostrare i moti dell‟animo.

Nel Lenzi, l‟obiettivo è proprio creare un‟identità complessa e riconoscibile e favorire una maggiore presa di posizione della figura nello spazio, attraverso la modulazione delle ombre, che si insinuano nell‟abito di panno nero e segnano i tratti del volto del giovane. Centro focale della rappresentazione sono gli occhi, poiché proprio questi – come scrive lo stesso artista nei due sonetti dedicati al ritratto di Laura Battiferri546 – sono il luogo di espressione di quella “grazia” interiore che Dio ha donato agli uomini. Da qui lo sguardo un po‟ allucinato del giovane Lorenzo – memore inoltre della sua formazione pontormesca – che allo spettatore rivolge i suoi fanciulleschi occhi sgranati, tipici di colui che si affaccia con stupore e, in parte, con paura ad un mondo che non ha ancora gli strumenti per comprendere. Sfuggenti e ambigui sono invece gli occhi del giovane con liuto del ritratto degli Uffizi – a proposito del quale, un probabile contatto con il Tiziano delle collezioni Della Rovere, come anche del giorgionesco Ritratto di Francesco Maria della Rovere del Kunsthistorisches Museum di Vienna547, durante il soggiorno pesarese, potrebbe averlo spinto a perseguire la strada testé descritta – la cui identità non meno complessa è costruita proprio sulla sfuggevolezza e sull‟ambiguità del volto, che, metà in ombra e metà alla luce, sembra concentrato e beffardo insieme. Misure che l‟artista adotta al fine di restituire la vivezza dell‟effigiato, la sua presenza stessa. In questa direzione si muove pure il Ritratto di giovane con libro del Metropolitan Museum of Art, nel quale, seppure già orientato verso una concezione più ricercata della forma, Bronzino trova il modo per conferire allo sguardo dell‟effigiato un fare comunicativo ammaliante. Non meno espressivo è il volto di Bartolomeo Panciatichi, o quello meditabondo di Ugolino Martelli, colto in un attimo di concentrata riflessione su un brano omerico.

546 Ci riferiamo ai sonetti «Se quell‟honesto ardor, che ‟n voi s‟interna» (LXXVII) e «Tale ha virtute insé l‟Alma

mia terna» (LXXVIII). Per l‟interpretazione dei due componimenti si veda il paragrafo relativo al ritratto di Laura Battiferri.

547

Sul dipinto, la cui provenienza dalle raccolte dei Della Rovere sembra essere ormai certa, si veda ALESSANDRO BALLARIN, Portrait de Francesco Marian Della Rovere, in Le siècle de Titien. L‟ânge d‟or de la

peinture à Venice (II ed.), catalogo della mostra (Parigi, Grand Plais, 9 marzo-14 giugno 1993) a cura di Michel

164 Tale approccio, finalizzato alla resa di identità specifiche e dei “moti interiori” degli effigiati, si intreccia e in seguito, in alcune circostanze, viene sostituito da una maniera che mira esclusivamente alla pura rappresentazione esteriore, proprio quando Bronzino inizia a lavorare ai ritratti ducali, in primis il ritratto di Eleonora a Praga (Fig. 26)548. In questo caso, nonostante la scelta del taglio busto contribuisca nell‟immediato a suggerire al riguardante la presenza fisica della duchessa, quest‟ultima risulta assente, poiché manchevole di una connotazione psicologica che la rende priva di una qualsiasi identità interiore. Non è difatti un‟identità ambigua o sfuggente, ma un animo che non traspare, non è Eleonora ad essere rappresentata, ma la duchessa di Firenze: a tal fine lo sfoggio di tessuti preziosi e gioielli sontuosi è magniloquente. Il risultato è quello desiderato, nessuno ha il diritto di accedere o di farsi domande sull‟animo della duchessa, le cui porte sono chiuse per tutti. Lo schema si ripete identico nel ritratto di Cosimo in armi degli Uffizi, il prototipo di tutti i ritratti successivi del duca, nel quale la distanza che separa il riguardante dal duca-condottiero è sottolineata da uno sguardo che sfugge allo spettatore e che fisso, senza lasciar trasparire alcuna emozione, si volge altrove. Entrambi sono irraggiungibili, distanti come busti marmorei di divinità di epoca romana, ieratici come santi bizantini.

Bronzino raggiunge il medesimo risultato qualche anno più tardi, in occasione di altri due ritratti dei duchi, di più ampie dimensioni, per i quali l‟artista mostra i due Medici raffigurati fino al tre quarti, Eleonora accompagnata dal figlio Giovanni e Cosimo con l‟elmo posato su un tronco dal quale fiorisce un ramo di alloro. Una volta di più in questa circostanza, nulla è suggerito dei due effigiati, se non la promessa, a questa data già concretizzatasi, di una continuità del casato dei Medici e di una stabilità politica per Firenze. I due duchi sono difatti presentati come i garanti di un futuro stabile per la città attraverso la propria prole549. In particolare nell‟immagine d‟Eleonora sconvolge l‟effetto di regalità e ieraticità raggiunto dal pittore, anche attraverso il contributo del figlio Giovanni, un manichino nelle mani della madre, che l‟ostenta, al pari delle perle e del suo ricco abito damascato, come un attributo iconografico. Niente è indagato del rapporto tra madre e figlio, Eleonora non è madre nel ritratto, ma genitrice. Un effetto che non si può non imputare alle scelte della committenza

548 È possibile che il ritratto sia quello citato in una nota di Pietro Camaiani, aggiunto ad una lettera inviata da

Cristiano Pagni a Pierfrancesco Riccio, datata 23 ottobre del 1543, in A. CECCHI, Il maggiordomo ducale

Pierfrancesco Riccio, cit., p. 128 («Si è ricevuto in questo punto el ritratto della Ill.ma Signora Duchessa et io

proprio l‟ho consegnato a S.Ex.tia»). Per il dipinto si vedano: M.BROCK, Bronzino, cit., pp. 81, 87; J.COX- REARICK, Bronzino‟s "Young woman with her little boy", «Studies in the history of art», 12, 1982, pp. 67-79: 72- 73; Pontormo, Bronzino and the Medici, cit., pp. 136-138.

549

165 ducale, attuate in relazione alla destinazione di rappresentanza che tali ritratti dovevano assolvere.

Non sorprenderà di conseguenza, nella stessa tornata di anni, ritrovare un Bronzino impegnato a restituire la vivezza dell‟effigiato, il suo animo, parimente in ritratti medicei, la cui destinazione doveva essere quasi certamente privata. Così, l‟inanimato manichino che accompagnava la madre nel dipinto pocanzi analizzato diviene, in un ritratto sempre degli Uffizi (Fig. 28)550, giocondo fanciullo. Giovanni, ora da solo, in un‟immagine che ne vuole fermare la fase puerile, è rappresentato vivo, senza maschera alcuna, sorridente, con un bagliore che gli pervade le pupille, mentre gioca con un uccellino, un episodio di vita “vera” come appare da una lettera inviata da Lorenzo Pagni a Pierfrancesco Riccio l‟11 di agosto del 1545: «Sua eccellenza ha riso un‟poco di quei passerini, che mordevano il Signor Don Giovanni»551. Bronzino restituisce con delicatezza il mondo infantile, non intaccato dalle necessità cortigiane, che pure trapela dall‟immagine di Bia (Fig. 23)552

, che, anche qualora fosse stata dipinta dopo la sua morte (1543), è connotata da quelle guance rosate, come se la bambina si fosse messa in posa ancora accaldata da un momento precedente di gioco. Più ingessati – nonostante Bronzino non rinunci a suggerire la tenera età degli effigiati, si pensi alla resa delle guance e alle mani paffute – sono invece i ritratti di Francesco (Fig. 42)553 e Maria (Fig. 39)554, l‟erede della famiglia Medici e la primogenita della coppia ducale. Tale considerazione vale soprattutto per il ritratto di Maria, sicuramente curato nel dettaglio al fine di combinare un matrimonio vantaggioso per la giovane, che appena undicenne è già mostrata

550 Sul ritratto si vedano: E.B

ACCHESCHI, L‟opera completa, cit., p. 94, n. 53; M.BROCK, Bronzino, cit., p. 160; A.CECCHI, Agnolo Bronzino, cit., p. 40.

551 Lettera di Lorenzo Pagni dal Poggio al riccio a Firenze, l‟11 agosto 1545. ASF, MdP 1170 A, c. 54 in A.

CECCHI, Il maggiordomo ducale Pierfrancesco Riccio, cit., p. 128. Non è tuttavia da escludere che il dipinto abbia un significato di natura metaforica, quest‟ultimo verosimilmente legato alle aspettative di una florida carriera ecclesiastica che Cosimo nutriva per Giovanni. Speranze in parte concretizzatesi nel 1560, anno della nomina cardinalizia del giovane Medici, e due anni dopo disattese definitivamente per la sua morte prematura a causa di una febbre malarica. In questo senso, come già proposto da Maurizia Tazartes, e recentemente ricordato da Alessio Baldinotti, l‟uccellino stretto nella mano destra dal fanciullo, come i due pendenti di corallo che si stagliano sull‟abito color porpora, andrebbero letti come riferimenti cristologici. ANDREA BALDINOTTI, Ritratto

di Giovanni di Cosimo I de‟ Medici, in Bronzino pittore e poeta, cit., p. 134; M.TAZARTES, Bronzino, Milano, Rizzoli-Skira, 2004, p. 122. Più difficile accogliere l‟ipotesi di Deborah Parker, che ipotizza una sorta di gioco burlesco in cui l‟uccellino aprirebbe a significati legati al membro maschile. D.PARKER, Bronzino, cit. pp. 156-

157.

552 Sul ritratto si vedano: E.B

ACCHESCHI, L‟opera completa, cit., p. 94, n. 51; A.BALDINOTTI, Ritratto di Bia, in

Bronzino pittore e poeta, cit., p. 132; M.BROCK, Bronzino, cit., pp. 78-79; A.CECCHI, Agnolo Bronzino, cit., p. 40; M.TAZARTES, Bronzino, cit., p. 112.

553 Sul ritratto si vedano:E.B

ACCHESCHI, L‟opera completa, cit., p. 100, n. 88; M.BROCK, Bronzino, cit., pp. 160-161;SIMONE GIORDANI, Ritratto di Francesco di Cosimo I de‟ Medici, in Bronzino pittore e poeta, cit., p. 138.

554 Sul ritratto si vedano:E.B

ACCHESCHI, L‟opera completa, cit., pp. 99-100, n. 87; M.BROCK, Bronzino, cit., p. 89;SIMONE GIORDANI, Ritratto di Maria di Cosimo I de‟ Medici, in Bronzino pittore e poeta, cit., p. 140;G. LANGDON,Medici Women, cit., pp. 108-111; M.TAZARTES, Bronzino, cit., p. 146.

166 come una piccola donna di corte, riccamente abbigliata e ornata da un trionfo di gioielli e perle.

Identità più spiccata caratterizza invece la fanciulla del Ritratto di giovinetta con libro della Tribuna degli Uffizi (Fig. 35). In questa occasione, Bronzino connota in senso notevolmente più espressivo il volto della giovane, che incontra lo sguardo dello spettatore con decisione e carattere, attraverso ombre che ne incidono fortemente i tratti, distribuendosi in maniera marcata sullo zigomo sinistro, intorno alle narici, al labbro inferiore e al mento. Non c‟è astrazione in questo ritratto, gli occhi sono penetranti, grazie inoltre alla particolare cura che l‟artista dedica alla resa delle palpebre superiori, tornite dal contrasto tra luce e ombre, che si inseriscono prepotentemente nell‟arcata sopraccigliare. Sulla stessa scia si pongono il Ritratto di Pierino da Vinci e il cosiddetto Ritratto di collezionista del Louvre. In queste tre effigi, realizzate verosimilmente nello stesso periodo, o poco prima, dell‟esecuzione del ritratto della piccola Maria, l‟artista si muove in una direzione diametralmente opposta a quest‟ultima, rifuggendo l‟astrazione e puntando a rendere vivi i personaggi rappresentati suggerendone identità individuali caratterizzate.

Il Ritratto di giovinetta con libro, documentato nelle raccolte fiorentine dal 1773, anno in cui fu trasferito da Palazzo Pitti agli Uffizi, si trovava in realtà nelle collezioni medicee già dalla seconda metà del Seicento. L‟opera andrebbe, infatti, identificata con il «quadro in tavola alto 7/8 largo 3/4, dipintovi il ritratto di donna giovane vestita di bigio guarnito di nero, con collana e libriccino nella destra, di mano di Alessandro Allori, con adornamento

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