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Le evidenze scientifiche per far fronte alla malnutrizione possono essere elencate come segue:

5.1. Supporto nutrizionale e metabolico in pazienti con la SLA

Nonostante i notevoli progressi nella comprensione dei meccanismi patogenetici, la SLA rimane un mistero della medicina clinica. Le necessità dei pazienti affetti dalla SLA sono enormi e spesso non vengono adeguatamente soddisfatte a causa della mancanza di rimedi terapeutici efficaci ed di una insufficiente conoscenza del processo della malattia e della tragedia personale e sociale che essa rappresenta (Muscaritoli et al. 2012).

Una cura globale della SLA implica un percorso complesso, impegnativo, multiprofessionale e multidisciplinare, finalizzato a soddisfare nel limite del possibile le esigenze del paziente nel corso della malattia. In questo contesto, il monitoraggio e il supporto nutrizionale e metabolico svolgono un ruolo primario e devono essere attuati al momento della diagnosi della malattia. I pazienti con la SLA dovrebbero seguire un percorso parallelo di cura metabolica-nutrizionale. I dati clinici e sperimentali suggeriscono che la ricerca futura dovrebbe muoversi verso l'individuazione di protocolli nutrizionali specializzati per la SLA. Un approccio nutrizionale che consiste nella prescrizione di nutrienti specifici in quantità adeguate potrebbe incidere positivamente sulla qualità della vita, la progressione della malattia e la risposta alle terapie farmacologiche (Muscaritoli et al. 2012).

La valutazione neurologica e nutrizionale periodica rappresenta il primo passo nella presa a carico nutrizionale dei pazienti affetti dalla SLA e può contribuire a migliorare la loro qualità di vita. All'inizio la valutazione nutrizionale, risulta obbligatoria per ottimizzare i tempi e le modalità dell’intervento nutrizionale, In effetti, deve essere eseguita appena la malattia viene diagnosticata (Greenwood 2013; Muscaritoli et al. 2012).

La terapia nutrizionale applicata alla SLA si prefigge di soddisfare i bisogni nutrizionali per tutte le fasi di progressione della malattia, ridurre il catabolismo proteico, garantire l'alimentazione orale e indicare un supporto nutrizionale precoce. Inoltre, il trattamento dietetico viene applicato per facilitare la deglutizione, ottimizzare l’apporto nutrizionale e ridurre il rischio di aspirazione (Salvioni et al. 2014).

5.2. Multidisciplinarietà

Un approccio multidisciplinare, oltre a ottimizzare i servizi diagnostici e gestionali e migliorare la qualità delle cure, è fondamentale per impostare un piano adeguato e per garantire un supporto metabolico e nutrizionale adeguato (Andersen et al. 2012; Muscaritoli et al. 2012; Rio et al. 2010).

Un team multidisciplinare della presa a carico della SLA dovrebbe essere composto da: neurologo, pneumologo, gastroenterologo, personale infermieristico, fisioterapista, assistente sociale, ergoterapista, logopedista, infermiere specializzato, dietista, psicologo, dentista e un’équipe di cure palliative. Questi membri del team lavorano insieme per mantenere la massima qualità di vita possibile per il paziente con la SLA. I pazienti devono essere vistati dalla squadra interdisciplinare ogni 2-3 mesi, secondo la fase della malattia e la progressione (Greenwood 2013).

5.3. Terapia della disfagia

L’intervento nutrizionale in presenza di disfagia deve essere finalizzato a impedire la malnutrizione conseguente alla riduzione degli ab ingestis e ridurre il rischio di aspirazione (Muscaritoli et al. 2012).

La gestione iniziale della disfagia nei pazienti con la SLA si basa sul monitoraggio del grado di compromissione della deglutizione durante la progressione della malattia (Muscaritoli et al. 2012). Il trattamento si basa sull’adattamento della consistenza, della viscosità, della temperatura, della presentazione del cibo, delle posture particolari (ad esempio Chin-tuck: flettendo il collo in avanti alla deglutizione per proteggere le vie respiratorie) e dell'alimentazione parenterale, nell’ottica di facilitare la deglutizione, ottimizzare l’apporto nutrizionale, ridurre il rischio di aspirazione ed evitare episodi di soffocamento (Phukan e Hardiman 2009; Salvioni et al. 2014). La viscosità del cibo e la sua consistenza devono essere correlati al grado di disfagia presentata. La consistenza morbida, semisolida o stati semiliquidi rendono più facile la deglutizione. L'uso di liquidi più densi, alimenti semisolidi con un alto contenuto di acqua, può aiutare a diminuire il rischio di aspirazione (Muscaritoli et al. 2012). I pazienti che richiedono modifiche nella consistenza del cibo devono ricevere il monitoraggio nutrizionale e clinico ed eventuali integrazioni alimentari, affinché il cibo assunto quotidianamente possa essere qualitativamente e quantitativamente sufficiente per soddisfare i bisogni di questi pazienti (Salvioni et al. 2014). Nel trattamento della disfagia è molto importante coinvolgere tempestivamente un logopedista (Sathasivam 2009). Se questi interventi non possono garantire una corretta assunzione di liquidi e nutrienti, la nutrizione artificiale diventa indispensabile (Muscaritoli et al. 2012).

5.4. Terapia della scialorrea

La scialorrea (eccessiva salivazione e secrezioni sierose) è il sintomo più comune tra i pazienti con la SLA, deriva dalla stimolazione colinergica e beta-adrenergica e dall’incapacità di deglutire la saliva correttamente. Crea il rischio di bronco-aspirazione

e provoca imbarazzo sociale (Andersen 2012; Sathasivam 2009); questa influenza

direttamente la possibilità di alimentarsi, quindi, la sua gestione può migliorare la qualità della alimentazione.

Le opzioni di trattamento comprendono: la terapia farmacologica con i broncodilatatori anticolinergici come Amitriptilina per via orale o Atropina gocce per via sublinguale, oppure Hyoscine (Buscopan) per via sotto cutanea. Gli agenti mucolitici (Carbocisteine) possono aiutare i pazienti a liberarsi dalle secrezioni della gola e facilitare la

deglutizione della saliva (Andersen 2012; Sathasivam 2009). Gli antidepressivi triciclici

sono una scelta farmacologica alternativa: la giusta combinazione diminuisce il rischio di bronco-aspirazione (Greenwood 2013) e l’iniezione della tossina botulinica nelle ghiandole salivari riduce la salivazione eccessiva in pazienti con scialorrea resistente. Un'altra opzione è l’irradiazione esterna delle ghiandole salivari (Andersen 2012;

Greenwood 2013; Sathasivam 2009). Interventi chirurgici non sono raccomandati

poiché possono causare effetti collaterali come l’aumento della secrezione di muco

denso (Andersen 2012; Sathasivam 2009).

Evitare cibi dolci e amari, così come il mantenimento di un'adeguata idratazione, può ugualmente aiutare nella gestione della scialorrea. Un terapista occupazionale (ergoterapista) può suggerire opportune posate adattabili a promuovere un'alimentazione autonoma per il tempo più lungo possibile (Greenwood 2013).

5.5. Terapia dell’ansia e della depressione

Secondo Miller et al. (2009), la prevalenza della depressione nella SLA varia dallo 0% al 44% e in particolar modo è presente in circa il 10% dei soggetti nella fase avanzata Vi è consenso tra gli autori che nei pazienti affetti dalla SLA, per migliorare lo stato nutrizionale, la depressione e l’ansia devono essere trattate.

Come affermano anche Andersen et al. (2012), la depressione e l’ansia sono frequenti nei pazienti affetti dalla SLA e coloro che se ne prendono cura. L'ansia è particolarmente diffusa durante la fase diagnostica e quella terminale. Non sono stati condotti studi formali sull’uso degli antidepressivi nei pazienti con la SLA, ma empiricamente gli antidepressivi triciclici (ad esempio Amitriptilina) oppure SSRIs come Escitalopram possono essere efficaci. Mirtazapine può essere più tollerabile nelle fasi avanzate della malattia rispetto a SSRI o Amitriptilina. La scelta dipende anche dai sintomi secondari (es. scialorrea, insonnia, apatia, perdita di appetito), che vengono influenzati dai vari antidepressivi.

Non ci sono studi sistematici sugli ansiolitici nella SLA. Alcuni antidepressivi, come Escitalopram, esercitano anche degli effetti contro l’ansia, per la cura della quale possono essere necessari Diazepame per via orale o Lorazepam per via sublinguale (Andersen et al. 2012).

5.6. Dieta ipercalorica

Com’è stato già accennato, i pazienti con la SLA presentano un aumento dei fabbisogni nutritivi. Dall’altra parte però, sono segnalati per consumare il 15-16% in meno di calorie rispetto a quanto raccomandato. Dal momento in cui l'alimentazione inadeguata e la perdita di peso contribuiscono negativamente alla malattia, si raccomanda che i pazienti consumino calorie in eccesso rispetto ai loro effettivi fabbisogni quotidiani (Ngo, Steyn, e McCombe 2014).

Diete ipercaloriche possono aiutare a ritardare la progressione della malattia; in particolar modo quella ricca di grassi, ha un effetto positivo sul decorso della malattia (Muscaritoli 2012).

5.7. Nutrizione enterale (EN): Gastrostomia endoscopica percutanea (PEG) e Gastrostomia percutanea radiologica (RIG)

La nutrizione enterale (EN) è attualmente il metodo standard di cura per i pazienti malnutriti con la SLA che necessitano di nutrizione artificiale. Gli scopi di utilizzo di un tubo di alimentazione enterale nei pazienti con la SLA sono quelli di ridurre la disidratazione, migliorare la malnutrizione in uno stato di ipermetabolismo, stabilizzare il peso e diminuire la perdita di peso – che (di per sé,) può contribuire ad una sopravvivenza prolungata –, migliorare significativamente la BMI, ridurre lo stress del paziente e della famiglia e migliorare la qualità della vita (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Muscaritoli et al. 2012).

Un tubo gastrostomico è tipicamente inserito utilizzando due metodi, la scelta dei quali dipende dalle condizioni del paziente (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

La gastrostomia endoscopica percutanea (PEG) è l'accesso enterale più appropriato

e comunemente usato per medio e lungo termine nei pazienti con la SLA che presentano sintomi bulbari minori e senza debolezza muscolare respiratoria significativa, definita con una capacità vitale forzata (FVC) minore del 50% rispetto ai

valori previsti e con una perdita di peso più del 10% del loro peso corporeo. Essa è gestibile anche a domicilio (Muscaritoli et al. 2012).

La posa di una PEG richiede una sedazione moderata, l'uso di un endoscopio e un’ospedalizzazione per un massimo di 5 giorni dopo la procedura (Muscaritoli et al. 2012).

Indicazioni supplementari per il posizionamento di un tubo gastrostomico includono (Muscaritoli et al. 2012) :

• la compromissione dell'assunzione orale a causa di stanchezza e scialorrea, • la presenza di reflusso gastroesofageo e il rischio di aspirazione e polmonite, • la disidratazione,

• i sintomi bulbari,

• la disfagia significativa con evidenza di aspirazione,

• il declino dello stato respiratorio: una valutazione accurata della funzione respiratoria è essenziale prima di pianificare una PEG.

L’utilizzo della PEG non è raccomandato nei pazienti con una capacità vitale forzata inferiore al 50% (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Muscaritoli et al. 2012).

L’efficacia di una PEG sembra essere significativamente dipendente dall'intervallo tra la diagnosi della SLA e l’introduzione della PEG e dalla presentazione clinica e la conseguente evoluzione della malattia. Nei pazienti sottoposti alla PEG all'inizio della malattia, la sopravvivenza è aumentata da 6 a 24 mesi, molto probabilmente a causa del miglioramento del loro stato nutrizionale. Tuttavia, la sopravvivenza media è molto più bassa nei pazienti con insorgenza bulbare rispetto a quelli con insorgenza a livello degli arti. Inoltre, l'intervallo tra la comparsa della malattia e l’introduzione della nutrizione artificiale è più breve nei pazienti con insorgenza bulbare che in quelli con insorgenza spinale o pseudobulbare. Dunque, è la rapida progressione di alcune forme della SLA che determina un posizionamento precoce della PEG. In queste forme con una rapida evoluzione, la morte avviene precocemente nonostante un adeguato supporto nutrizionale e l’introduzione della PEG, mentre nelle forme con un’insorgenza non bulbare un supporto precoce e adeguato con la PEG potrà influire positivamente sulla morbosità, sulla mortalità e sulla qualità della vita (Muscaritoli et al. 2012).

Una valida alternativa alla PEG è rappresentata dalla Gastrostomia percutanea

radiologica (RIG), la quale viene eseguita attraverso un accesso percutaneo con guida

fluoroscopica e anestesia locale ed è associata ad un basso tasso di complicanze e un alto tasso di successo tecnico. Il grande vantaggio della RIG è la sicurezza nel posizionamento anche per i pazienti con una significativa compromissione respiratoria. Può essere il metodo più appropriato per il posizionamento del tubo di alimentazione enterale in pazienti con FVC <50%, perché richiede l'anestesia locale e non generale. Gli svantaggi della RIG sono il rischio di ostruzione – a causa del suo piccolo diametro – e di dislocazione del tubo. Confrontata l'efficacia della RIG con quella della PEG, non risultano differenze significative nelle complicazioni o nei tassi di sopravvivenza (Greenwood 2013; Muscaritoli et al. 2012).

Alcuni ricercatori hanno concluso che la RIG sia più sicura della PEG, soprattutto se un paziente ha sofferto di un’insufficienza respiratoria moderata o grave (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

La mancanza di prove definitive che mostrino un miglioramento della qualità della vita e/o un prolungamento della sopravvivenza nella popolazione con la SLA dopo l’inserzione del tubo crea un dilemma rispetto alla decisione di procedere al trattamento

con il tubo gastrostomico (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

Un altro dilemma che i pazienti, i loro assistenti e i medici devono affrontare è: quando acconsentire al tubo di alimentazione? Tutti i pazienti con la SLA devono essere valutati dal neurologo, da esperti di cure palliative e respiratorie e da squadre dietetiche prima dell’introduzione della nutrizione enterale (Rio et al. 2010).

Per alcuni pazienti, il tempo di una decisione per quanto riguarda la nutrizione enterale può arrivare prima di quanto ci si aspetti. Il team multidisciplinare deve, quindi, avviare la discussione sulla nutrizione enterale alla prima occasione per preparare il paziente all’evento. Le informazioni date al paziente devono comprendere i benefici, i rischi e il potenziale impatto per la qualità della vita (Rio et al. 2010). Prima di posizionare un tubo alimentare, di qualsiasi tipo, i pazienti ed i loro curatori richiedono l'educazione sulla gestione quotidiana del sistema (Greenwood 2013).

5.8. Nutrizione con Sonda Nasogastrica (SNG)

La nutrizione tramite SNG rappresenta un’alternativa affidabile alla la nutrizione enterale (EN) solamente quando quest’ultima è controindicata o addirittura impossibile (Corcia e Meininger 2008). Le controindicazioni della EN sono: la mancanza di accesso al tratto gastrointestinale con disfagia, la debolezza diaframmatica in cui lo stomaco si trova sotto le costole, condizioni come il malassorbimento, le alterazioni della motilità, il dolore addominale e le fistole entero-cutanee; perciò vengono utilizzate sonde naso gastriche (Greenwood 2013).

Per i pazienti con grave insufficienza respiratoria, la scelta di un supporto nutrizionale è limitata: la SNG offre una soluzione alternativa promettente. Nei pazienti con la SNG sono stati riscontrati un miglioramento nella perdita di peso, la diminuzione dell’anoressia e il miglioramento o la stabilizzazione della qualità di vita (Verschueren et al. 2009). Il sondino nasogastrico è indicato come supporto nutrizionale a breve termine a causa sia dell'alto rischio di aspirazione sia della sua natura scomoda e imbarazzante in quanto aumenta le secrezioni orofaringee e può causare disagio o addirittura ulcerazioni nasofaringeo (Greenwood 2013).

Nei pazienti trattati con la SNG esistono delle complicanze come infezioni, emorragie e peritoniti che a volte possono essere letali (Greenwood 2013).

Una volta stabilita la SNG, l’alimentazione per via orale può essere mantenuta per migliorare la qualità della vita quando non vi è alcun rischio di aspirazione (Phukan e Hardiman 2009).

5.9. Formula della nutrizione artificiale

A differenza di altre malattie acute e croniche, una formula nutrizionale enterale specifica per i pazienti con la SLA non è ancora disponibile e non esistono linee guida per il supporto nutrizionale artificiale (Muscaritoli et al. 2012). È stato ipotizzato che una formula enterale specifica ideale per la popolazione con la SLA deve includere (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Muscaritoli et al. 2012):

1) un’alta densità calorica per abbreviare i tempi d’infusione ed evitare un sovraccarico di liquidi (con 1,5 o più calorie per millilitro);

2) un aumento dei lipidi e una diminuzione dei carboidrati contenuti per ridurre al minimo la produzione di anidride carbonica e rallentare la progressione della malattia; 3) una quantità elevata di acidi grassi per le loro proprietà anti-infiammatorie e poter quindi controllare lo stato infiammatorio;

5) un elevato contenuto di antiossidanti per contrastare un eventuale danno ossidativo; 6) fibre per prevenire stitichezza.

L'uso di formule arricchita con fibre può aiutare a prevenire la stipsi, ma queste formule spesso richiedono liquidi aggiunti. Ne consegue un volume del fluido troppo elevato rispetto alle effettive esigenze di fluidi giornalieri dei soggetti. Inoltre, a causa delle complesse alterazioni metaboliche dovute alla SLA, una formula ricca di fibre non può costituire un adeguato fabbisogno calorico ed essere sufficiente a ottenere un metabolismo ottimale in questa popolazione ipermetabolica (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Muscaritoli et al. 2012).

Com’è già accennato, una formula enterale con le suddette caratteristiche non è attualmente disponibile sul mercato: vengono utilizzate le formule per le lesioni polmonari acute e / o l’insufficienza respiratoria acuta che sono ricche di grassi omega- 3 e di vitamine antiossidanti come C e E (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Muscaritoli et al. 2012). Studi clinici controllati sono attualmente in corso e perseguono l’obiettivo di valutare se questo tipo di alimentazione speciale possa migliorare la funzione respiratoria dei pazienti, ritardare l'uso della ventilazione assistita e rallentare la progressione della malattia riducendo lo stress ossidativo delle cellule e diminuendo il danno neuronale (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Muscaritoli et al. 2012).

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