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Malnutrizone correlata a sclerosi laterale amiotrofica (SLA : strategie per affrontarla : revisione della letteratura

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Scuola Universitaria della Svizzera Italiana-SUPSI

Dipartimento Economia aziendale, Sanità e Sociale-DEASS

Corso di Laurea in Cure Infermieristiche

Tesi di Bachelor

di

Negar Alavinejad Aflaki

MALNUTRIZIONE CORRELATA A SCLEROSI

LATERALE AMIOTROFICA (SLA):

STRATEGIE PER AFFRONTARLA

REVISIONE DELLA LETTERATURA

Direttrice di Tesi:

Laura Canduci

Anno Accademico: 2014-2015

Data di consegna: Manno, 31 Luglio 2015

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ABSTRACT Introduzione

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una delle malattie neurodegenerative più frequenti negli adulti, devastante per i pazienti e caregivers; allo stesso tempo una delle malattie più sconcertanti in medicina in termini di comprensione della sua patogenesi. È stato riconosciuto che la sopravvivenza nella SLA è ormai dipendente da diversi fattori, inclusa la presentazione clinica, la presenza precoce d’insufficienza respiratoria e lo stato nutrizionale dei pazienti. Molto spesso i malati colpiti dalla SLA soffrono di malnutrizione, la quale influisce negativamente sulla prognosi e sulla qualità della vita, rendendo essenziali degli interventi nutrizionali precoci.

Questo lavoro di ricerca di revisione della letteratura, si sviluppa attorno alle molteplici strategie e agli interventi infermieristici per affrontare la malnutrizione correlata alla SLA.

Obiettivi

Lo scopo del presente lavoro di Bachelor è di approfondire la conoscenza in merito alla presa a carico appropriata dei pazienti con malnutrizione correlata a Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).

Gli obiettivi specifici sono i seguenti:

-Individuare le evidenze scientifiche per affrontare la malnutrizione in seguito alla SLA. -individuare delle strategie infermieristiche per favorire la nutrizione di pazienti affetti dalla SLA.

Metodologia

È stata effettuata una revisione di letteratura. Sono stati considerati 14 articoli di letteratura primaria e secondaria degli ultimi dieci anni. Per approfondire e rispondere agli obiettivi ho svolto un lavoro in tre fasi. La prima è costituita da una descrizione dello svolgimento del mio elaborato e da un quadro teorico che permette di avere una visione più completa della malattia e in particolare della malnutrizione dovuta ad essa. Nella seconda parte del lavoro ho risposto alla domanda di ricerca mettendo in luce quali sono le evidenze scientifiche sulla presa a carico infermieristica di pazienti con malnutrizione sia dal punto di vista preventivo che della promozione della nutrizione. Nella terza parte ho concluso il lavoro mettendo in discussione i risultati ottenuti dalla ricerca.

Risultati

Le evidenze scientifiche hanno individuato alcune strategie a livello generale per migliorare lo stato nutrizionale dei pazienti, quali: la presa a carico interdisciplinare, il trattamento della disfagia, la cura della scialorrea, il trattamento dell’ansia e della depressione, l’utilizzo di una dieta ipercalorica, l’introduzione della nutrizione artificiale come la posa della Gastrostomia Endoscopica Percutanea (PEG) e Gastrostomia Percutanea Radiologica (RIG) o Sonda Nasogastrica. Inoltre, sono state trovate delle evidenze scientifiche dalle quali si possono evincere alcuni ruoli infermieristici (secondo il profilo di competenza SUPSI), ma non strategie specifiche, perché non presenti in letteratura.

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INDICE

1. Introduzione………....1

1.1. Scelta del tema………... 2

1.2. Obiettivi della tesi………..2

1.3. Metodo di lavoro………..……….2

2. Quadro teorico………3

2.1. Malattia del motoneurone………3

2.2. Accenni anatomici e fisiologici: neuroni motori e le vie di trasmissione dell’impulso………….………...3

2.3. Sclerosi laterale amiotrofica………6

2.3.1. Patofisiologia………...…6

2.3.2. Epidemiologia………..7

2.3.3. Prognosi………...7

2.3.4. Cause e fattori di rischio………8

2.3.5. Sintomatologia……….9

2.3.6. Complicanze………..11

2.3.7. Trattamento………...12

2.4. Malnutrizione………...13

2.4.1. Malnutrizione e le patologie neurologiche………13

2.4.2. Malnutrizione e la SLA……….13

2.4.3. Strumenti di valutazione della malnutrizione………14

2.4.4. Cause di malnutrizione………18

2.4.5. Circolo Vizioso………..21

3. Metodologia.………..22

4. Revisione della letteratura ………26

5. Risultati della ricerca………..33

5.1. Supporto nutrizionale e metabolico in pazienti con la SLA……….33

5.2. Multidisciplinarietà………..33

5.3. Terapia della disfagia……….34

5.4. Terapia della scialorrea……….34

5.5. Terapia dell’ansia e della depressione………...35

5.6. Dieta ipercalorica………35

(4)

5.8. Nutrizione con Sonda Nasogastrico (SNG)………...37

5.9. Formula della nutrizione artificiale………...37

6. Discussione dei risultati……….38

7. Conclusione………...41

8. Ringraziamenti...42

9. Bibliografia……….43

9.1. Sitografia………..47

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1. INTRODUZIONE 1.1. Scelta del tema

Questo lavoro di tesi si sviluppa attorno al tema di una delle malattie neurodegenerative più frequenti negli adulti, devastante per i pazienti e gli assistenti di cura e allo stesso tempo una delle malattie più sconcertanti in medicina in termini di comprensione della sua patogenesi: la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) (Mitchell e Borasio 2007).

La neurologia mi ha affascinato sin da quando ho iniziato a studiarla durante la formazione e il mio interesse è stato rafforzato dopo aver svolto due stage presso i reparti di Neurochirurgia e Neurologia. Durante il mio secondo stage ho assistito alcuni pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e ciò mi ha spinto a voler approfondire la conoscenza a riguardo.

La SLA è una malattia neurodegenerativa progressiva, altamente invalidante e più diffusa in età adulta, la cui incidenza a livello mondiale è rispettivamente di circa 1-2 / 100000/anno e la prevalenza di circa 6/100 000/anno (Sathasivam 2008), con una modesta variabilità da paese a paese e un graduale incremento le cui ragioni non sono completamente conosciute (Vanzetta 2007).

Dal 1990, c'è stato un crescente interesse scientifico e clinico per la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). I progressi nella nostra comprensione del sistema dei neurotrasmettitori e la scoperta dei geni responsabili dello sviluppo della SLA familiare hanno stimolato interessi di ricerca. Inoltre sono stati identificati vari tipi clinici delle malattie di motoneuroni ed è stato riconosciuto che la sopravvivenza nella SLA è ormai dipendente da diversi fattori, inclusa la presentazione clinica (fenotipo), la velocità di progressione della malattia, la presenza precoce d’insufficienza respiratoria e lo stato nutrizionale dei pazienti. Il prolungamento dell'aspettativa di vita nella SLA sembra dipendente dal miglioramento della comprensione della sua patogenesi, che porta allo sviluppo di metodi diagnostici specifici e precoci. Vi è la necessità di elaborare delle terapie che rallentino la progressione della malattia, ma anche che affrontiano le conseguenze secondarie di malnutrizione e insufficienza respiratoria. Tutti gli sforzi collaborativi porteranno indubbiamente ad una migliore comprensione della SLA e allo sviluppo di linee guida per una migliore cura dei pazienti (Kiernan et al. 2011).

Dalle esperienze acquisite durante lo stage e dalla lettura di alcuni articoli ho conosciuto alcune complicanze della SLA e ho constatato che il paziente affetto dalla SLA è un soggetto molto difficile da gestire sotto diversi punti di vista. Uno dei più importanti è l’aspetto nutrizionale. Molto spesso, infatti, i malati colpiti dalla SLA soffrono di malnutrizione che a sua volta peggiora il decorso della malattia, ho dunque ritenuto davvero importante soffermarmi su quest’ultimo disturbo. A conferma dell’importanza di questo punto, esistono degli studi tra i quali quello di Desport e Maillot (2002) che dichiara che la malnutrizione è un fattore prognostico significativo ed indipendente di sopravvivenza. Fattori come mancanza di appetito, disturbi di salivazione, disturbi di deglutizione e ipermetabolismo contribuiscono alla malnutrizione che è presente nel 15-30% dei casi.

Sathasivam (2008), oltre che affermare che la malnutrizione è un indicatore prognostico indipendente per la sopravvivenza nella SLA, mostra attraverso i suoi studi che il rischio di mortalità nei pazienti malnutriti affetti dalla SLA aumenta di otto volte rispetto ai

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pazienti ben nutriti.

Inoltre Holm et al. (2013) confermano che nel corso della malattia, il 15-55% dei pazienti soffrono clinicamente di una grave perdita di peso. Secondo questi autori lo stato nutrizionale è un fattore prognostico importante per la sopravvivenza nella SLA e la perdita di peso che porta ad un indice di massa corporea (BMI) inferiore a 18,5 kg / m2 risulta un tasso di mortalità di 7,7 volte più alto, rispetto ai pazienti con peso normale.

Greenwood (2013) afferma che l’alto rischio di malnutrizione influisce negativamente sulla prognosi e sulla qualità della vita, rendendo essenziali degli interventi nutrizionali precoci. Una gestione nutrizionale che include una valutazione continua e l’utilizzo di diete speciali e di approcci nutrizionali e metabolici, dovrebbe iniziare appena viene effettuata la diagnosi di SLA e diventare parte integrante della cura continua del paziente.

Un’ulteriore motivazione nella scelta di questo argomento deriva dal fatto che nel contesto di stage ho notato la mancanza di protocolli e linee guida utilizzabili per la SLA e la gestione della malnutrizione nell’ambito di questa malattia. Presso l’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC), ho potuto appurare che sono presenti protocolli per la gestione di nutrizione enterale ma non esiste ancora un protocollo specifico per la gestione di pazienti affetti dalla SLA e le sue complicanze, come la malnutrizione.

L’aspetto che voglio andare ad indagare con la mia tesi è la presa a carico appropriata dei pazienti con malnutrizione correlata a Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).

Generalmente i pazienti con la SLA sono seguiti a domicilio e ricevono delle cure infermieristiche a livello domiciliare. Possono anche essere seguiti in ospedale, di solito in seguito ad esacerbazioni, e ricevere delle cure molto specializzate. Per scrivere la mia ricerca di tesi non ho identificato quindi uno specifico contesto di cura poiché delle indicazioni sulla gestione della malnutrizione possono essere effettuate da professionisti in entrambi i contesti, sia a domicilio che in ambito ospedaliero.

1.2. Obiettivi della tesi

Lo scopo del presente lavoro di Bachelor è di approfondire la conoscenza in merito alla presa a carico appropriata dei pazienti con malnutrizione correlata a Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).

Gli obiettivi specifici sono i seguenti:

-Individuare le evidenze scientifiche per affrontare la malnutrizione in seguito alla SLA. -individuare delle strategie infermieristiche per favorire la nutrizione di pazienti affetti dalla SLA.

1.3. Metodo di lavoro

È stata effettuata una revisione di letteratura. Sono stati utilizzati diversi strumenti a disposizione come libri inerenti al tema presso la biblioteca SUPSI, motori di ricerca, siti internet, consultazione con gli esperti e banche dati, in particolare PubMed, Elsevier, Cinhal, Cochrane e UpToDate. Le parole chiave utilizzate nel percorso di ricerca

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Malnutrition, Malnutrition risk factors, Malnutrition Signs, Nursing care e Nursin interventions.

Per approfondire e rispondere agli obiettivi di ricerca ho svolto un lavoro in tre fasi. La prima è costituita da una descrizione dello svolgimento del mio elaborato e da un quadro teorico che permette di avere una visione più completa della malattia. In questa fase è stata svolta una prima revisione della letteratura per poter individuare la fisiopatologia, l’epidemiologia, la sintomatologia, i fattori di rischio, le cause e le complicanze della SLA e in particolare la malnutrizione dovuta ad essa.

Nella seconda parte del lavoro ho risposto alla domanda di ricerca attraverso una seconda revisione della letteratura e l’analisi del materiale raccolto, che ha permesso di mettere in luce quali sono le evidenze scientifiche sulla presa a carico infermieristica di pazienti con malnutrizione causata dalla SLA sia dal punto di vista preventivo che della promozione della nutrizione.

Nella terza parte ho concluso il lavoro mettendo in discussione i risultati ottenuti dalla ricerca e valutando il percorso seguito nell’elaborazione del lavoro e gli obiettivi raggiunti, nonché i possibili sviluppi della ricerca.

2. QUADRO TEORICO

2.1. Malattia del motoneurone

La malattia del motoneurone si riferisce ad un gruppo di disturbi progressivi caratterizzati dalla distruzione dei motoneuroni superiori nel ponte, nel bulbo e nel midollo spinale insieme con la perdita dei primi motoneuroni nella corteccia motoria del cervello. Il processo è notevolmente selettivo, lasciando integre le funzioni sensoriali, cerebellari, sensitive e quelle autonomiche. Si instaura una progressiva difficoltà nel compiere qualsiasi azione, con una riduzione graduale della forza muscolare che sottomette il paziente. (Miller e Britton 2011; Wilkinson e Graham 2007). La causa della perdita neuronale nella malattia non è nota, anche se sono state proposte molte teorie al proposito (Stokes 2000).

La presentazione clinica della malattia tende ad essere insidiosa e variabile da un paziente all'altro, ciò dipende dai seguenti fattori: 1) se sono compromessi in maniera preminente i motoneuroni superiori o inferiori; 2) quali muscoli sono colpiti (bulbari, arti superiori, tronco, arti inferiori) maggiormente dalla malattia e 3) la percentuale di perdita cellulare.

Ci sono diversi tipi di classificazione di queste patologie. Miller e Britton (2011) descrivono quattro tipi di esordi negli adulti: la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), l’atrofia muscolare progressiva, la paralisi bulbare progressiva e la sclerosi laterale primaria.

La SLA è responsabile di circa il 66% di tutte le malattie del motoneurone ed è più comune nell'età avanzata (Stokes 2000).

2.2. Accenni anatomici e fisiologici: neuroni motori e le vie di trasmissione dell’impulso

Un motoneurone è una cellula efferente del sistema nervoso che attiva direttamente o indirettamente la contrazione dei muscoli volontari o controlla il loro tono e il loro movimento. I motoneuroni che si occupano di comunicare con i muscoli, sono sotto il

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controllo del sistema nervoso centrale autonomo e non controllano le contrazioni dei muscoli viscerali (Miller e Britton 2011).

Esistono principalmente due tipi di neuroni motori, quelli superiori e quelli inferiori.

I motoneuroni superiori, ovvero i primi motoneuroni, sono situati maggiormente nella corteccia cerebrale. Inviano impulsi dai livelli superiori del sistema nervoso, soprattutto dal cervello anteriore, alle cellule neuronali (motoneuroni inferiori) situate nei livelli più bassi del sistema nervoso centrale, in particolare nel tronco cerebrale e nel midollo spinale e sono essenziali per l’esecuzione dei movimenti volontari del corpo (Miller e Britton 2011). Altri motoneuroni superiori invece, originano dai centri motori del tronco encefalico e regolano il tono muscolare, controllano i muscoli posturali e aiutano a mantenere l’equilibrio e l’orientamento della testa e del corpo. Sia i nuclei della base sia il cervelletto influenzano sui motoneuroni superiori.

I motoneuroni inferiori, in altre parole i secondi motoneuroni, che sono situati nella zona grigia del tronco cerebrale e il midollo spinale, vengono attivati e modulati dai motoneuroni superiori (Miller e Britton 2011). Dal tronco encefalico i loro assoni si estendono attraverso i nervi cranici per innervare i muscoli scheletrici della faccia e della testa. Dal midollo spinale, invece, partono gli assoni dei motoneuroni inferiori che attraverso i nervi spinali innervano i muscoli scheletrici degli arti del tronco (Tortora e Derrickson 2011).

Gli assoni dei motoneuroni superiori si estendono dall'encefalo ai motoneuroni inferiori attraverso due tipi di vie motorie somatiche: diretta e indiretta, piramidale rispettivamente extrapiramidale (Tortora e Derrickson 2011).

La via motoria diretta (via piramidale) trasporta input ai motoneuroni inferiori a partire dalla corteccia cerebrale, mentre la via motoria indiretta (via extrapiramidale) dal tronco encefalico. Entrambe le vie, diretta e indiretta, controllano la generazione degli impulsi nervosi nei motoneuroni inferiori che a loro volta stimolano la contrazione dei muscoli scheletrici (Tortora e Derrickson 2011).

Il controllo dei movimenti del corpo avviene attraverso circuiti nervosi in parecchie regioni dell'encefalo. L'area motoria primaria, localizzata nel giro precentrale del lobo frontale della corteccia cerebrale, cosi come l'area pre-motoria adiacente, costituiscono una regione fondamentale per il controllo e l'esecuzione dei movimenti volontari. Muscoli diversi hanno una

diversa rappresentazione

nell'area motoria primaria.

Un'area maggiore è dedicata ai muscoli implicati in movimenti fini o complessi (Tortora e Derrickson 2011).

La comunicazione tra il cervello e il midollo spinale avviene attraverso due vie principali in cui gli assoni dei neuroni cerebrali scendono lungo il midollo. La prima via corre nella

colonna laterale del midollo, la

seconda invece nella colonna ventromediale. La via laterale è coinvolta nel movimento volontario della muscolatura distale ricevendo input dalla corteccia, mentre

Figura 1: I tratti discendenti del midollo spinale (Bear, Connors, e Paradiso 1999).

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la via ventromediale è coinvolta nel controllo della postura, stimolata dal tronco encefalico (Bear, Connors, e Paradiso 1999).

La via laterale: La componente principale della via laterale è il tratto corticospinale

che si origina nella neocorteccia e risulta il più lungo ed uno dei più larghi tratti del SNC (Bear, Connors, e Paradiso 1999). La via corticospinale porta gli impulsi nervosi dalla corteccia motoria ai muscoli scheletrici del lato opposto del corpo per i movimenti del tronco e delle parti prossimali degli arti, specialmente i movimenti volontari precisi delle parti distali degli arti. Gli assoni dei motoneuroni superiori attraversando il midollo allungato s’incrociano e vanno al lato controlaterale del midollo spinale a formare questo tratto. Questi motoneuroni superiori terminano nella sostanza grigia del corno anteriore del midollo spinale e fanno sinapsi con i motoneuroni inferiori, che innervano i muscoli scheletrici (Tortora e Derrickson 2011).

Un componente di dimensione più piccole della via laterale è il tratto rubrospinale, che origina nel nucleo rosso del mesencefalo (Bear, Connors, e Paradiso 1999). Porta impulsi nervosi dal nucleo rosso (che riceve stimoli dalla corteccia cerebrale e dal cervelletto) ai muscoli scheletrici che governano i movimenti volontari precisi delle parti distali degli arti superiori (Tortora e Derrickson 2011).

La via ventromediale: È costituita da quattro tratti discendenti che originano nel tronco

encefalico e terminano negli interneuroni spinali che controllano i muscoli prossimali ed assiali. Questi tratti sono: il tratto vestibolospinale, tettospinale, reticolospinale

pontino e quello

reticolospinale bulbare.

Da un punto di vista funzionale, i quattro tratti vengono divisi in due

gruppi: (1) i tratti

vestibolospinale e

tettospinale controllano la postura del capo e del

collo; (2) i tratti

reticolospinali pontino e

bulbare controllano la

postura del tronco e i muscoli antigravitari degli arti (Bear, Connors, e Paradiso 1999).

Entrambi i percorsi

laterale e ventromediali

devono funzionare in

modo ottimale per poi poter fornire gli impulsi ai motoneuroni inferiori con un flusso equilibrato, che a loro volta trasmettono una corretta informazione ai muscoli per garantire i movimenti volontari in un modo qualificato e equilibrato (Miller e Britton 2011).

Figura 2: Breve descrizione dei tratti spinali discendenti e della loro origine (Bear, Connors, e Paradiso 1999).

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2.3. Sclerosi Laterale Amiotrofica

La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è la forma più comune di malattia progressiva del motoneurone. Rappresenta un esempio paradigmatico di malattia neurodegenerativa e può essere considerata la più devastante di tali patologie (Hauser 2007). La SLA è conosciuta anche come malattia di Lou Gehrig, dal nome del famosissimo giocatore statunitense di baseball che ne fu colpito, o malattia di Charcot dal nome del neurologo francese che per primo la scoprì alla fine dell'800. La caratteristica principale di questa malattia è la neurodegenerazione progressiva, attualmente incurabile, che causa debolezza muscolare, disabilità e morte (Elman e McCluskey 2014).

Sebbene in questo lungo periodo di tempo siano stati realizzati importanti progressi nel campo della ricerca, rimane ancora una malattia per molti aspetti ignota (Miller e Britton 2011).

La SLA può essere definita come un disturbo neurodegenerativo caratterizzato da una progressiva paralisi muscolare causata dalla degenerazione dei neuroni motori nella corteccia motoria primaria, nel tronco cerebrale e nel midollo spinale. La denominazione "Amiotrofica" si riferisce all’atrofia delle fibre muscolari, che sono denervate in conseguenza della degenerazione delle cellule delle corna anteriori, portando a debolezza dei muscoli interessati e a fascicolazioni visibili. "Sclerosi laterale" si riferisce ad una durezza della via laterale discendente (Wijesekera e Leigh 2009).

2.3.1. Patofisiologia

Tortora e Derrickson (2011, 587) affermano che “la SLA interessa le aree motorie della corteccia cerebrale, gli assoni dei motoneuroni superiori nelle colonne laterali della sostanza bianca (tratto corticospinale e rubrospinale ovvero la via laterale) e i corpi cellulari dei motoneuroni inferiori“.

Sebbene l'esordio della SLA possa causare una perdita selettiva di funzione del solo primo o del secondo motoneurone, alla fine porta inesorabilmente alla perdita progressiva di entrambe le categorie di motoneuroni. Infatti, la diagnosi della SLA è discutibile in assenza di un chiaro coinvolgimento sia del primo sia del secondo motoneurone. Altre malattie del motoneurone coinvolgono solo particolari sottopopolazioni di motoneuroni (Hauser 2007).

È possibile riscontrare una proliferazione di astroglia e microglia (detta Gliosi) che accompagna inevitabilmente tutte le patologie degenerative del sistema nervoso centrale (Hauser 2007). La perdita delle fibre delle colonne laterali e la conseguente gliosi fibrillare conferiscono una particolare consistenza che a volte si vede nel cervello dei pazienti con la SLA attraverso risonanza magnetica (sclerosi) (Maragakis e Galvez-Jimenez 2014).

La morte dei neuroni motori del tronco cerebrale e del midollo spinale causa denervazione con conseguente atrofia delle fibre muscolari corrispondenti. Nelle fasi precoci della malattia i muscoli denervati possono essere reinnervati; ma il processo di “reinnervazione” in questa patologia è notevolmente meno esteso che nella maggior parte delle altre malattie del motoneurone. Con il progredire della denervazione, l'atrofia muscolare diventa facilmente riconoscibile all'esame obiettivo e alle biopsie muscolari. Tale atrofia muscolare viene identificata con il termine “amiotrofia neurogena” (amiotrofico).

Il coinvolgimento all'interno del sistema motorio risponde a criteri di selettività. Per esempio, i motoneuroni che controllano la motilità oculare non sono mai interessati,

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così come i neuroni parasimpatici localizzati nel midollo spinale sacrale che innervano gli sfinteri intestinale e vescicale (Hauser 2007).

2.3.2. Epidemiologia

Secondo la classificazione di Maragakis e Galvez-Jimenez (2014), la sclerosi laterale

amiotrofica può venir classificata come forma sporadica (idiopatica) o forma familiare. Nel 5-10% dei casi la SLA è una malattia ereditaria di carattere genetico con una trasmissione in genere autosomica dominante e raramente recessiva (McCluskey e Falcone 2013). Nel caso in cui, nella stessa famiglia, ci sia stato almeno un altro caso di della SLA, allora è del tipo familiare. Il restante 90-95% dei casi di SLA è di forma sporadica in cui non c'è alcuna familiarità genetica trasmissibile da padre in figlio (Maragakis e Galvez-Jimenez 2014). Non vi sono differenze tra la SLA geneticamente determinata e la SLA sporadica poiché i quadri clinici sono sostanzialmente sovrapponibili (Miller e Britton 2011).

Come afferma Sathasivam (2008) la SLA è conosciuta come la malattia neurodegenerativa più diffusa e rapidamente progressiva in età adulta e ha un'incidenza di circa 1-2 / 100000/anno e una prevalenza di circa 6/100 000/anno in tutto il mondo. Mentre, Corcia e Meininger (2008) evidenziano che la sua incidenza è più o meno uniforme in tutto il mondo ed è di circa 1,1/100 000, ma potrebbe variare da 0,2/100000 a 2,4/100000/anno.

La SLA predomina nei maschi, con un rapporto di 1.6: 1 tra i sessi (maschi e femmine). I tassi d’incidenza della SLA in Europa e Nord America oscillano tra 1,5 e 2,7 per 100.000 persone in un anno, mentre i tassi di prevalenza variano tra 2,7 e 7,4 per 100.000 persone. Negli Stati Uniti, sono diagnosticati circa 7000 nuovi casi di SLA ogni anno. Una revisione sistematica dei dati epidemiologici mondiali ha concluso che l'incidenza della SLA può essere inferiore tra africani, asiatici, e gruppi etnici ispanici che tra i caucasici. Incidenza e mortalità della SLA sono lentamente aumentate nel corso dei decenni. Questo aumento potrebbe essere dovuto all’aspettativa di vita più lunga (Maragakis e Galvez-Jimenez 2014).

Non è stato possibile reperire i dati attendibili svizzeri.

L’età di picco d’insorgenza è tra 58-63 anni per la SLA sporadica e tra 47-52 anni per la SLA familiare. La SLA sporadica è più comune nei giovani maschi che nelle giovani donne, mentre dopo i 65 anni, l'incidenza è uguale in tutti e due gruppi. La SLA familiare colpisce maschi e femmine a tassi simili (Schub e Buckley 2014).

2.3.3. Prognosi

Una valutazione della progressione della malattia è difficile: anche se sono state sviluppati diverse scale funzionali e nuovi test neurofisiologici nessuno ha sufficiente certezza diagnostica o prognostica (Jinsy 2009). La sopravvivenza media è compresa tra 20 a 48 mesi (Miller e Britton 2011). Circa il 50% dei pazienti sopravvive per circa 30 mesi dopo l'insorgenza dei sintomi (Jinsy 2009). Il 15% dei pazienti con la SLA sopravvive per 5 o più anni, mentre solo il 5% sopravvive per più di 10 anni (Schub e Buckley 2014).

Importanti indicatori prognostici di sopravvivenza includono il fenotipo clinico, cioè il sito d’insorgenza (bulbare o spinale), l’età d’insorgenza dei sintomi, il tempo tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi, il declino della capacità vitale forzata e l'uso di Riluzolo (vedi pag. 12). Una misura clinica utile è la scala rivisitata di valutazione funzionale della SLA (ALSFRS-R). Come strumento, la ALSFRS-R monitora la progressione della disabilità

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nei pazienti con la SLA e si compone di 12 elementi che valutano i livelli di autosufficienza dei pazienti in aree che coinvolgono la nutrizione, la cura di sé, la deambulazione, la comunicazione, la dispnea, l’ortopnea e il supporto ventilatorio applicato. Ogni item è classificato secondo una scala da zero a quattro punti; più basso è il punteggio, più grave è la malattia (Salvioni 2014). La progressione della malattia può essere variabile; sapendo che alcune persone sopravvivono (più) a lungo è una fonte importante di speranza per i pazienti con la SLA. Tempi di sopravvivenza maggiori si verificano con la sclerosi laterale primaria (Jinsy 2009; Wijesekera e Leigh 2009). La prognosi peggiore è determinata dall’insorgenza nell'età avanzata e l’insorgenza bulbare, mentre la causa più comune di morte è l’insufficienza respiratoria (Greenwood 2013).

Una bassa percentuale (5%) di pazienti sviluppa demenza frontotemporale caratterizzata da profondi cambiamenti cognitivi che influiscono significativamente sull’evoluzione, sulla prognosi e sugli interventi necessari riguardanti la malattia. Mentre nella maggior parte della popolazione colpita dalla SLA la mente e le capacità intellettive e cognitive rimangono inalterate (Miller e Britton 2011).

2.3.4. Cause e fattori di rischio

La causa primaria della SLA resta ancora da determinare e attualmente la si considera come una malattia multifattoriale. È probabile che sia causata da una combinazione di fattori genetici e ambientali (Ngo, Steyn, e McCombe 2014). Commenti recenti sul ruolo dei fattori di rischio ambientali nella causalità della SLA hanno concluso che non vi è alcuna associazione coerente tra un singolo fattore ambientale e il rischio di sviluppare la SLA. La maggior parte degli autori favorisce un'ipotesi di complessa interazione genetico-ambientale come fattore causale per la degenerazione dei motoneuroni (Wijesekera e Leigh 2009).

Fattori di rischio esogeni che sono stati associati allo sviluppo della SLA sono stati elencati ed analizzati da Maragakis e Galvez-Jimenez (2014) e comprendono: servizio militare, lavoro agricolo, lavoro in fabbrica, lavoro manuale pesante, esposizione a saldatura o brasatura, fumo di sigaretta, esposizione a metalli pesanti, lavoro nel settore delle materie plastiche, uso ripetitivo dei muscoli, atletismo, giocare a calcio, traumi e shock elettrico professionale. Applicando un approccio basato sulle evidenze, si è constatato che tra tutti questi fattori, solo il fumo è associato allo sviluppo della SLA, mentre gli altri fattori di rischio sono stati debolmente correlati. Alcuni studi recenti hanno stimato il rischio relativo (RR) della SLA di 0,8-1,67 nei fumatori rispetto ai non fumatori, indipendentemente dall’età, dal livello d’istruzione e di occupazione (Armon 2009; Wijesekera e Leigh 2009). Maragakis e Galvez-Jimenez (2014) affermano che gli unici fattori di rischio dimostrati e stabiliti per la SLA, oltre al fumo di sigaretta, sono l'età e la storia familiare.

Com’è stato accennato prima, la SLA è stata delineata la prima volta nel ‘800. Sebbene in questo lungo periodo di tempo siano stati realizzati importanti progressi nel campo della ricerca, il meccanismo responsabile della degenerazione delle cellule motoneuronali non è stato identificato. Sono state ipotizzate e studiate alcune teorie che vengono qui di seguito descritte:

• Genetica: Fino ad oggi, è stata identificata l'eziologia genetica della SLA familiare e di circa il 10% del tipo sporadico, rimane ancora ignoto quanto la

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genetica sia responsabile nella percentuale rimanente della SLA sporadica e quanto lo siano altri fattori, quali l’esposizione ambientale, l’invecchiamento o lo stile di vita. Sono stati identificati più di 25 geni legati alla SLA (Marangi e Traynor 2014); alcune di queste mutazioni sono state identificate occasionalmente anche in pazienti con la SLA sporadica (Maragakis e Galvez-Jimenez 2014).

Oltre al fattore genetico studiato dagli autori sopracitati, Wijesekera e Nigel (2008) hanno evidenziato altre cause tra le quali:

• Accumulo di rifiuti tossici: All’interno dei motoneuroni dei pazienti con la SLA, il livello degli antiossidanti è basso e sono poco efficienti; si accumulano, quindi, i rifiuti tossici che sono nocivi per la vita delle cellule.

• Disfunzione mitocondriale: Nei malati della SLA, i mitocondri non lavorano più in modo adatto e sono stati descritti anomalie e mutazioni nella morfologia mitocondriale e nel DNA mitocondriale.

• Squilibrio dei livelli di glutammato: Excitotoxicity è un termine che indica un danno neuronale indotto da un eccesso di glutammato (neurotrasmettitore eccitatorio del SNC) che è dovuto a un’eccessiva stimolazione dei recettori del glutammato post-sinaptici.

• Trasporto assonale compromesso.

• Formazione di aggregati proteici: Nei motoneuroni di molti pazienti con la SLA si accumulano degli aggregati proteici a livello assonale causando disfunzione cellulare.

Mancanza di fattori nutrienti: Nelle persone che soffrono della SLA si è notata

la mancanza di fattori nutrienti essenziali a livello dei motoneuroni.

• Disfunzione delle cellule non neuronali: La mutazione del gene SOD1 causa l’attivazione e il coinvolgimento anomalo delle cellule microglia e delle cellule dendritiche (cellule specializzate nella cattura di antigeni). Queste cellule attivate non neuronali, producono citochine infiammatorie come Interleuchine, COX-2, TNF e MCP-1 che sono tossiche per i motoneuroni.

Inoltre, Sommers (2010) accenna un’altra teoria riguardante lo sviluppo della malattia, la quale ipotizza che la causa possa essere un’infezione virale, che crea un disturbo metabolico nei motoneuroni, o una risposta autoimmune diretta contro i motoneuroni. Secondo l’autore, i fattori scatenanti includono esaurimento fisico, grave stress, infezioni virali, condizioni come infarto del miocardio, malnutrizione e lesioni traumatiche.

2.3.5. Sintomatologia

La SLA è rapidamente progressiva e incurabile. L’insorgenza iniziale è spesso insidiosa, asimmetrica, e in una regione focale del corpo (Miller e Britton, 2011). La presentazione clinica della SLA è variabile da persona a persona e dipende dal tipo dell’insorgenza della malattia. Tre principali presentazioni cliniche possono essere riconosciute: lesioni del motoneurone spinale (cervicale, toracico o lombo-sacrale), bulbare o centrale (Muscarioti et al. 2012; Wijesekera e Nigel 2008).

Nell’80% dei pazienti i sintomi sono legati alla lesione iniziale dei motoneuroni del midollo spinale (i nervi spinali toracici o lombo-sacrali) cioè di tipo a insorgenza

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spinale (spinale onset). Gli esami obiettivi sulla SLA con questa modalità

d’insorgenza, di solito rivelano atrofia muscolare focale che coinvolge a livello degli arti prossimali soprattutto i muscoli delle mani, gli avambracci e le spalle, mentre a livello distale interessa le cosce e la muscolatura del piede (Wijesekera e Nigel 2008). Un sintomo principale causato dalla atrofia è la debolezza muscolare. Nell’insorgenza spinale, la debolezza è riscontrabile negli arti. Raramente, i pazienti possono notare l’atrofia muscolare focale prima della comparsa della debolezza. Se la manifestazione coinvolge le mani e/o le dita, il paziente potrà avere difficoltà in attività quotidiane come vestirsi, lavarsi o mangiare. Se, invece, viene interessato un arto inferiore, il sintomo conseguente può essere un piede cadente o, ancora, perdita di equilibrio, deambulazione impacciata, difficoltà nella coordinazione del movimento e fatica. La debolezza si aggrava conseguentemente al freddo (Vanzetta 2007; Wijesekera e Nigel 2008).

La spasticità è un altro sintomo comune nella SLA con esordio spinale. Durante le fasi tardive della malattia, i pazienti possono sviluppare spasmi flessori, che sono spasmi involontari e si verificano in alcune parti del corpo. Gradualmente, la spasticità può svilupparsi negli arti atrofici e colpire l'abilità manuale e l'andatura (Wijesekera e Nigel 2008).

Ulteriori sintomi possono essere: disfunzione della vescica (come urgenza della minzione), sintomi sensoriali, sintomi cognitivi e coinvolgimento multisistemico (ad esempio la demenza, parkinsonismo) (Wijesekera e Nigel 2008).

Alla fine la maggior parte dei pazienti con un esordio spinale continua a sviluppare sintomi bulbari e sintomi respiratori (anche se non necessariamente in questo ordine) (Wijesekera e Nigel 2008).

In circa il 25-30% dei pazienti le lesioni dei motoneuroni interessano il tronco cerebrale/bulbare (tipo bulbare) e di conseguenza la debolezza muscolare si manifesta a livello dei muscoli innervati dai nervi cranici, ad esempio vengono colpiti i muscoli responsabili della fonazione, della respirazione e della deglutizione.

Paralisi bulbari e paralisi pseudobulbare implicano che la causa sia, rispettivamente, nei motoneuroni inferiori o superiori che innervano questi muscoli.

Nei due casi sono presenti segni fisici specifici (Wilkinson e Lennox 2007; Vanzetta 2007):

I pazienti con la SLA d’insorgenza bulbare, si caratterizzano dall'incapacità iniziale di pronunciare fonemi consonantici, la manifestazione evolve in una totale inabilità di protrusione della lingua con ridotta mobilità del velo palatino causando disartria del discorso (Muscarioti et al. 2012; Wijesekera e Nigel 2008). Quando sono coinvolti i nervi cranici, appaiono paralisi del viso, della lingua, delle labbra e della faringe, provocando modifiche nella masticazione e una difficoltà di deglutizione per solidi e liquidi (Muscarioti et al. 2012). Il progressivo deterioramento della funzione bulbare determina la perdita di peso. Quasi tutti i pazienti con sintomi bulbari sviluppano scialorrea (una sovrapproduzione di saliva) a causa di difficoltà di deglutizione della saliva e della debolezza facciale bilaterale. Inoltre, l'interessamento dei muscoli respiratori può portare a una progressiva insufficienza respiratoria (Muscarioti et al. 2012; Thibodeaux e Gutierrez 2008; Vanzetta 2007). Questi pazienti presentano sintomi d’ipoventilazione notturna come dispnea, ortopnea, disturbi del sonno, mal di testa mattutino, eccessiva sonnolenza durante il giorno, anoressia, diminuzione della concentrazione e irritabilità o cambiamenti di umore. I sintomi bulbari possono svilupparsi contemporaneamente a quelli spinali e nella maggioranza dei casi si verificano in 1-2 anni.

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Nel 50% dei pazienti con la SLA, si riscontrano sintomi pseudobulbari, come labilità emotiva ed eccessivi sbadigli. I pazienti possono improvvisamente piangere o ridere in modo incontrollato e fuori dal contesto, indipendentemente dal loro stato d'animo prevalente. Questa incontinenza emotiva può essere socialmente invalidante e avere un impatto negativo sulla qualità di vita (Maragakis e Galvez-Jimenez 2014, Thibodeaux e Gutierrez 2008; Wijesekera e Nigel 2008).

Le lesioni dei motoneuroni centrali (insorgenza centrale) sono caratterizzate da un aumento del riflesso propriocettivo (senso della posizione e del movimento) e della spasticità, dai disturbi trofici (Trophic disturb), da paralisi glossofaringeale e da alterazioni della masticazione e della deglutizione (Muscarioti et al. 2012).

Circa il 50-60% dei pazienti lamenta un dolore di tipo muscoloscheletrico (Stokes 2000), che è determinato da crampi o erosioni della cute (Maragakis e Galvez-Jimenez 2014; Stokes 2000). Altri sintomi della SLA sono: la depressione, l’ansia, l’insonnia, la stitichezza, la ritenzione urinaria e la riduzione dell’ammiccamento degli occhi che possono portare allo sviluppo di ulcerazioni, infezioni secondarie agli occhi (Stokes 2000).

Tuttavia, i pazienti che vengono tenuti in vita da tracheotomia e ventilazione assistita, giungono ad un severo stato di paralisi motoria di tutti i muscoli volontari, definito come sindrome di “locked-in” (Katzberg e Benatar 2011).

2.3.6. Complicanze

Le complicanze, che derivano dalle difficoltà di deglutizione, possono anche essere fatali e sono: La polmonite da aspirazione, la malnutrizione e la disidratazione (Katzberg e Benatar 2011).

Le cause più comuni di morte nella SLA sono l’insufficienza respiratoria e le complicanze polmonari associate. In alcuni casi documentati l’insufficienza respiratoria acuta è stata la prima manifestazione della malattia, ma di solito si tratta, invece, di una manifestazione tardiva. La malattia polmonare è provocata dalla debolezza progressiva della muscolatura del diaframma, come pure di quella intercostale, accessoria e addominale. Ripetuti episodi di aspirazione e di ritenzione di secrezioni a causa di

debolezza bulbare e tosse inefficace causano micro-atelectasie polmonari1.

La respirazione diventa inefficiente e ne consegue un’ipoventilazione cronica. I sintomi più evidenti d’insufficienza respiratoria sono la dispnea da sforzo e l’ortopnea.

Tuttavia, il primo indicatore d’insufficienza respiratoria può essere il problema del sonno, correlato a disfunzione respiratoria in forma di frequenti risvegli notturni, che si manifesta come sonno non ristoratore, mal di testa mattutino, eccessiva sonnolenza diurna, stanchezza invalidante e disfunzioni cognitive. La debolezza del muscolo diaframmatico nella SLA diventa evidente durante il sonno REM, quando è sostanzialmente l'unico muscolo ad eseguire il lavoro respiratorio; la posizione supina nel sonno peggiora la condizione. Per i pazienti in cui il coinvolgimento bulbare è significativo, l’aumento della resistenza delle vie aeree superiori durante l'inspirazione provoca episodi di apnea ostruttiva, complicando ulteriormente le anomalie ventilatorie durante il sonno; anche l’apnea centrale può svolgere un ruolo in tal senso (Thibodeaux e Gutierrez 2008).

                                                                                                     

1  Condizione patologica del polmone caratterizzata da assenza o marcata riduzione del contenuto in aria di questo

organo. La sua comparsa in un polmone precedentemente normale potrebbe essere la conseguenza di processi patologici che portano all’occlusione di un bronco.  

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Le altre complicanze che si presentano frequentemente sono la malnutrizione e la disidratazione. Entrambe possono essere variabilmente, ma significativamente, influenzate durante il corso della malattia (Muscarioti et al. 2012).

Fattori di rischio di malnutrizione nella SLA comprendono: depressione, difficoltà

comunicative nell’esprimere i propri bisogni, mancanza di appetito, fatica in assunzione del cibo e prolungamento di durata dei pasti, scialorrea, problemi respiratori, mancanza di autonomia nell’assunzione del cibo e nel preparare i pasti, astinenza da cibo e liquidi per evitare il bisogno di andare in bagno, ipermetabolismo, stipsi, declino cognitivo o demenza, disfagia e ansia (Greenwood 2013).

La perdita di peso e la malnutrizione possono essere causa di altre complicanze, le quali di per sé possono aggravare o accelerare il decorso della malattia (perdita della funzione muscolare, immunità compromessa, riduzione di vitalità del tessuto e conseguente progressivo deterioramento clinico) (Greenwood 2013).

2.3.7. Trattamento

Un trattamento specifico per la SLA non è attualmente disponibile. Gli interventi medici sono focalizzati sul rallentare la progressione della malattia per allungare la sopravvivenza, mettendo in atto interventi profilattici per ridurre al minimo il rischio di effetti secondari e complicanze, per il mantenimento della qualità di vita, e per facilitare la capacità decisionale dei pazienti durante la progressione della malattia (Greenwood 2013; Miller e Britton 2011).

L'unico farmaco attualmente approvato per il trattamento della SLA è il Rilutek®, un agente di Glutammato-modulante che contiene il principio attivo Riluzolo (Greenwood 2013; Miller e Britton 2011) . Studi clinici hanno dimostrato un rallentamento della progressione della malattia in alcuni soggetti che hanno utilizzato questo farmaco (Miller e Britton 2011). Il meccanismo di azione del Riluzolo non è del tutto certo, ma si pensa che faccia interferenza sui canali del sodio, inibisca il rilascio del glutammato dai terminali pre-sinaptici e aumenti l’assorbimento extracellulare del glutammato. L’uso del Riluzolo a 100 mg al giorno per una durata di 18 mesi presumibilmente prolunga la sopravvivenza mediana da 2-3 mesi. Il farmaco è generalmente ben tollerato ma esistono anche dei possibili effetti collaterali (Andrews 2009; Wijesekera e Leigh 2009). Nonostante i vantaggi del Riluzolo, l'effetto marginale e modesto del farmaco sulla sopravvivenza ci conferma che questo non può essere una cura definitiva per la SLA. Il costo annuale per il trattamento con il Riluzolo negli Stati Uniti ammonta a $ 10 000 / paziente, e a £ 2.865 / paziente nel Regno Unito, e questo costo esorbitante pone alcune speculazioni sul fatto di quanto vale la pena l’utilizzo di tale farmaco (Andrews 2009; Wijesekera e Leigh 2009).

È probabile che una terapia efficace e di successo comporterà una combinazione di interventi di attività nutrizionali e fisiche, al fine di operare su diversi meccanismi coinvolti nella patogenesi della SLA. Un approccio globale per il trattamento di questa malattia multiforme non solo sarebbe l'ideale per rallentare la progressione della SLA, ma anche per migliorare la qualità della vita nel corso della durata della malattia (Patel e Hamadeh 2009).

Accanto alla terapia con il Riluzolo, un miglioramento significativo dei sintomi presentati dal paziente è ottenibile con un trattamento sintomatico (Vanzetta 2007).

Sono di estrema importanza per le persone con la SLA, la gestione della respirazione, l'alimentazione e la comunicazione (Miller e Britton 2011).

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2.4. Malnutrizione

“L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la malnutrizione come lo squilibrio cellulare tra apporto di nutrienti e di energia necessaria al corpo per garantire la crescita, il mantenimento, e le funzioni specifiche dell’organismo. Principalmente, la malnutrizione avviene quando il corpo non riceve abbastanza energia o nutrienti essenziali come proteine, vitamine, minerali o altre sostanze nutrienti indispensabili per mantenere i tessuti sani e le funzioni degli organi” (EUFIC 2015; Prudhon et al. 2006). “Tale condizione comporta un eccesso di morbilità e mortalità o un’alterazione della qualità di vita” (Amerio e Domeniconi 2010).

“La condizione non si limita solo alle persone evidentemente denutrite, infatti, ne possono soffrire anche le persone in sovrappeso e obese” (EUFIC 2015). Si possono identificare una malnutrizione per eccesso (sovranutrizione: obesità) e una malnutrizione per difetto (sottonutrizione) (Amerio e Domeniconi 2010). Tuttavia, in questo lavoro, il termine si riferisce specificamente a coloro che sono malnutriti a causa della scarsa nutrizione.

2.4.1. Malnutrizione e patologie neurologiche

L’apporto di nutrienti svolge indubbiamente un ruolo chiave nello stato nutrizionale di ogni individuo e poiché l’assunzione e la digestione è regolata dal sistema nervoso centrale (SNC), qualsiasi analisi di malattie neurologiche richiede di tenere in considerazione il loro potenziale impatto sulla nutrizione. Il SNC agisce non solo attraverso vari meccanismi interni come l'omeostasi del glucosio e degli elettroliti, ma attiva anche la sensazioni di fame e di sete. È quindi evidente che se delle lesioni colpiscono le zone del SNC che in qualche maniera controllano il nutrimento, lo stato nutrizionale sarà più o meno modificato in funzione sia del grado di lesione che della acutezza o cronicità della malattia o della sua localizzazione (Vilà 2014).

Lo stato nutrizionale, da un punto di vista generale, è diverso nelle malattie neurologiche acute, che spesso colpiscono persone con un buono stato nutrizionale prima dell’esordio. Facendo invece riferimento a casi di trauma cranico, a lesioni del midollo spinale o a patologie neurologiche croniche, si può notare maggiormente un cattivo stato nutrizionale, perché di solito queste malattie colpiscono le persone anziane con un certo grado di malnutrizione già prima dell’esordio della malattia (Vilà 2014). Le persone con deficit neurologici possono non essere in grado di preparare i propri pasti da sé o possono avere difficoltà di deglutizione: questo influisce sul tipo di cibo che assumono, oltre a rappresentare un motivo d’imbarazzo sociale poiché possono tossire inaspettatamente o avere scialorrea. Inoltre, possono affaticarsi facilmente e non avere molta voglia di mangiare se sono di umore depresso. Questa tipologia di disturbi si manifesta in molte condizioni neurologiche, una delle quali è la SLA (Iggulden 2007).

Questo capitolo si concentra sul rischio di malnutrizione. Si è scelto di trattare questo aspetto perché è quello che più frequentemente si riscontra nei pazienti con la SLA e che implica la necessità di rispondere ai loro bisogni nutrizionali mettendo in atto degli interventi adeguati.

2.4.2. Malnutrizione e SLA

Come già accennato, la malnutrizione è un indicatore prognostico significativo e

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livello di compromissione delle funzioni neurologiche e ha un impatto negativo sulla qualità di vita.

Il malato, durante il decorso della malattia, tende a perdere peso. Quando la perdita di peso supera il 10% del peso corporeo abituale rispetto al peso usuale negli ultimi sei mesi o quando l’indice di massa corporea (BMI) è inferiore a 18,5 kg / m2 siamo in presenza di indici relativi a una malnutrizione e di indicatori negativi di sopravvivenza nella SLA (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Desport et al. 1999; et al. 2013; Muscaritoli et al. 2012).

Un basso indice di massa corporea e la malnutrizione influenzano negativamente il decorso della malattia e la sopravvivenza in pazienti con la SLA. In pazienti malnutriti con la SLA è stato rilevato un aumento del rischio di mortalità fino a 7,7 volte (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Corcia e Meininger 2008; Desport et al. 1999; Holm et al. 2013; Muscaritoli et al. 2012; Sathasivam 2009). Inoltre, Holm et al. (2013) suggeriscono un’altra definizione più precisa della malnutrizione nella SLA dichiarando che una massa corporea inferiore a 18,5 kg / m2 nei pazienti con la SLA fino all'età di 65 anni e una inferiore a 20 kg / m2 in pazienti con più di 65 anni è un indicatore di malnutrizione; così come una grave perdita di peso del 3,5% a 3 mesi, 5% in 6 mesi o 10% in 1 anno.

La prevalenza della malnutrizione nei pazienti con la SLA dipende dall’indicatore nutrizionale considerato e il momento della valutazione. Utilizzando un BMI inferiore a 18,5 kg / m2, Genton et al. (2011) hanno riscontrato una malnutrizione nel 16%-19% dei pazienti affetti dalla SLA; mentre usando un BMI inferiore a 20 kg / m2, i loro studi hanno riportato una prevalenza della malnutrizione nel 26%-55% dei pazienti. Secondo Braun, Osecheck, Joyce (2012), Holm et al. (2013) e Vilà (2014), la prevalenza della malnutrizione varia dal 15% al 53%, a seconda dei parametri considerati e della modalità di presentazione della malattia. In un studio svolto da Muscaritoli et al. (2012), al momento della prima valutazione nutrizionale, il 53% dei pazienti ha presentato un BMI inferiore a 20 kg / m2 e il 55% di loro ha riportato una perdita di peso superiore al 15% rispetto al loro peso normale.

La perdita di peso nella SLA è uno dei sintomi più comuni e un fenomeno frequente ed

è la conseguenza sia della perdita di massa muscolare sia di una riduzione della massa grassa. Essa accade non solo in associazione con la disfagia, ma anche a causa di motivi specifici non ancora pienamente compresi. Le ipotesi per spiegare la perdita di peso nella SLA includono l’aumento del consumo d’energia dovuto a fascicolazioni muscolari, l’aumento degli sforzi respiratori, l’ipermetabolismo e la diminuzione dell'assunzione di cibo a causa della depressione. La perdita di peso ha un impatto significativo sulla qualità di vita dei pazienti, poiché i pazienti si sentono più esausti, stanchi e abulici, indipendentemente dallo stadio della malattia (Körner et al. 2013). 2.4.3. Strumenti di valutazione della malnutrizione

Gli strumenti principali utilizzati nella pratica clinica per valutare lo stato nutrizionale nei pazienti con la SLA, sono quelli antropometrici, che comprendono: il calcolo dell'indice di massa corporea, ovvero il BMI, e il controllo dei cambiamenti del peso corporeo, dello spessore delle pliche cutanee di tricipite (TSF) e la circonferenza muscolare del braccio (MAMC) (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

La composizione corporea può essere misurata con tecniche differenti e ciascuna varia nel costo e nella probabilità di errori (Desport et al. 2003).

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1. I dati antropometrici

Secondo Salvioni et al. (2014), i dati atropometrici considerati comprendono: Peso e

altezza (BMI), circonferenza del braccio (AC), misura dello spessore delle pliche cutanee del tricipide (TSF), misura della circonferenza del braccio (MAC), misura della zona muscolare del braccio senza osso (AMA) e misura della zona grassa del braccio (AFA).

1.1. Indice di massa corporea (BMI): consente di sapere se una persona ha un peso

normale o se è in sovrappeso e si definisce come segue: BMI = “peso corporeo in kg” /

“altezza in m”2 (Holm et al. 2013; Salvioni et al. 2014). Utilizzando il BMI, Salvioni et al.

(2014) classificano lo stato nutrizionale in quattro categorie: secondo gli autori si parla della malnutrizione quando il BMI <18,5 se l’età <60 anni e BMI <22 se l’età ≥60 anni; si parla di normalità (eutrofia) quando 18,5 ≤ BMI <25 se l’età <60 anni e 22 ≤ BMI se l’età <27 ≥60 anni; si tratta di sovrappeso quando 25 ≤ BMI <30 se l’età <60 anni e 27 ≤ BMI <30 se l’età ≥60 anni; l’obesità viene definita con un BMI ≥30 kg / m.

Mentre alcuni ricercatori come Desport e Maillot (2002) pensano che un BMI inferiore a 18.5 indichi un stato di malnutrizione con esito negativo sulla sopravvivenza e un BMI di

30 sia la soglia di obesità con lo stesso esito, un’altra valutazione recente della

relazione tra indice di massa corporea e la prognosi della SLA di Ngo, Steyn, e McCombe (2014) ha trovato che i pazienti con un BMI tra 30 e 35 hanno avuto un esito migliore di sopravvivenza rispetto a quelli con un BMI inferiore a 30 o superiore a 35. Lo studio di Ngo, Steyn, e McCombe (2014) ha dimostrato che un ritmo più rapido di riduzione del BMI (quindi riduzione del peso corporeo) influisce negativamente sulla sopravvivenza nei pazienti con la SLA. Inoltre, essi affermano che un BMI normale non solo ha un effetto benefico sul processo della SLA e sulla diminuzione del rischio di mortalità, ma che un BMI normale o tendenzialmente alto nella popolazione sana è associato ad una minore incidenza della insorgenza della SLA.

Sebbene questi studi suggeriscano che l'aumento di massa corporea (presumibilmente grassa) nella SLA può essere protettivo, non è del tutto confermato che un BMI alto sia vantaggioso. Infatti, l'associazione del BMI con la sopravvivenza nella SLA è indicata da una curva a forma di "U", in cui sia BMI bassi che alti sono dannosi per la durata della sopravvivenza. Per quanto riguarda gli effetti negativi di un alto BMI nella SLA, si può prevedere che le comorbidità (tra cui le malattie cardiovascolari e il diabete di tipo II) associate con l’obesità sarebbero la causa di una ridotta sopravvivenza (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Ngo, Steyn, e McCombe 2014). Mentre, la riduzione di un 1 kg / m dal peso normale sarebbe associato con un rischio di mortalità del 20% (Salvioni et al. 2014).

L’indice di massa corporea, il peso e il cambiamento di peso, come metodi clinici facili da applicare, risultano sì utili, ma non forniscono informazioni sui compartimenti corporei e il tipo di tessuto guadagnato o perso correlati ai cambiamenti di peso; cioè non consentono la valutazione di eventuali perdite di massa magra o incrementi di massa grassa (Desport e Maillot 2002) e sono comunque sempre da valutare con cautela. Ad esempio i pazienti con edemi possono essere denutriti pur avendo un BMI normale. Questo problema viene spesso riscontrato nei pazienti affetti da cirrosi epatica, insufficienza renale o cardiaca (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

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Inoltre nei pazienti molto disabili, che non mantengono la posizione eretta, la valutazione del peso corporeo può essere difficile poiché richiedono la disponibilità di attrezzature specifiche (sedie e letti a bilancia). Nei casi in cui la mobilità dei pazienti è difficile, il curante può utilizzare l’altezza della gamba attraverso formule definite da Chumlea et al. (1990) per arrivare al peso del paziente (Desport e Maillot 2002).

1.2. Misura dello spessore delle pliche cutanee del tricipide (TSF): fornisce dati

riguardanti la massa grassa e la massa magra tramite delle formule specifiche e può essere seguito nel tempo. Il TSF viene misurato usando pinze Harpenden e le misure ottenute vengono confrontate con una tabella di riferimento per determinare la mancanza o l’eccesso di grasso corporeo (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

1.3. Misura della circonferenza muscolare del braccio (MAMC) 2 :fornisce informazioni sulla massa magra attraverso una formula nella quale viene utilizzato il valore di TSF e la misura di circonferenza del braccio (MAC) (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

1.4. Misura della zona muscolare del braccio senza osso (bone free arm muscle area)(AMA): combina i valori di TSF e MAMC. L’AMA è stata utilizzata per misurare lo

stato clinico dei pazienti affetti dalla SLA fornendo una valutazione precisa dell’atrofia muscolare. I valori AMA sono correlati in modo significativo con la massa corporea e la ventilazione massima volontaria. In realtà queste misure sono limitate nella SLA a causa delle disfunzioni bulbari e della atrofia muscolare. Nonostante la loro facilità d'uso, i risultati di pazienti affetti dalla SLA confrontati con tabelle di riferimento potrebbero non rappresentare esattamente lo stato di nutrizione dei pazienti (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

La validità di queste misure, MAMC, TSF e massa magra e massa grassa, è discutibile nel quadro clinico della SLA e i valori ottenuti dovrebbero essere interpretati con cautela poiché il rischio di errore è evidente. Possibili cause sono (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Desport e Maillot 2002; Desport et al. 2003):

1) una distribuzione disarmonica e anormale di grasso è possibile nella SLA e la distribuzione del grasso non è uguale dappertutto nel corpo. Questo fatto si vede ad esempio in un coinvolgimento predominante degli arti inferiori rispetto a quelli superiori nella forma spinale della malattia;

2) la malattia può avere effetti più marcati su un lato del corpo rispetto all'altro, in altre parole i sintomi sono di solito asimmetrici;

3) in modo non specifico, misurare la TSF e la MAMC di solito è accompagnato a un rischio di errori nel processo di misura. Quindi, la misurazione delle pliche cutanee si effettua in più parti del corpo per migliorare la precisione della valutazione.

2. I dati strumentali

2.1. Impedenza bioelettrica (AIB): è una tecnica utilizzata per tenere traccia delle

modifiche del componente del grasso corporeo e la sua componente muscolare, mentre la malattia progredisce. Tale metodo per esplorare la composizione corporea, è un metodo semplice, economico e indolore che può essere rapidamente e facilmente utilizzato al letto del paziente. L’AIB utilizza la corrente elettrica per misurare la resistenza dei compartimenti corporei per stabilire i valori di massa magra corporea, di                                                                                                      

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massa grassa e d’acqua corporea totale (Desport et al. 2003).

2.2. Dual-energy X-ray Absorptiometry (DXA): misura direttamente l’assorbimento di

raggi X da parte del corpo a 2 livelli energetici. Permette di effettuare una misura diretta di compartimenti corporei (massa magra e massa grassa), inoltre fornisce una distinzione più chiara tra atrofia miogenica e atrofia neurogena. Tanti studi utilizzando questo metodo sono riusciti a confermare che i pazienti affetti dalla SLA perdono massa corporea magra nel tempo nonostante un normale o elevato apporto calorico. Pertanto, il mantenimento o l’aumento di peso in questa popolazione, durante la progressione della malattia rispecchia presumibilmente un cambiamento nella composizione corporea con un aumento di grassi immagazzinati (Desport et al. 2003).

Entrambi questi strumenti, AIB e DXA, sono in grado di monitorare il cambiamento della composizione corporea nel corso del tempo, ma ognuno presenta una sfida diversa relativa a costi, disponibilità, e comfort del paziente. Ad esempio, il DXA è più costoso da usare e meno portabile in confronto all’AIB (Desport et al. 2003), quindi si utilizza in pochi ospedali; oppure l’utilizzo del DXA richiede l'immobilizzazione dei pazienti per almeno 10 minuti nella posizione supina, il che non è sempre ben tollerato o possibile da parte loro (Desport e Maillot 2002).

La misura della massa magra e del peso del paziente, come determinato da AIB o DXA, può aiutare a stimare il fabbisogno energetico in relazione alla SLA associato all’ipermetabolismo (discusso più avanti).

3. Gli indici biochimici

Esistono strumenti progettati per valutare le proteine somatiche (massa proteica scheletrica immagazzinata nel corpo), che possono risultare utili nella valutazione della malnutrizione (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

I marcatori sierici sono utili per diversi scopi nel valutare lo stato nutrizionale dei pazienti affetti dalla SLA. Alcuni marcatori sierici forniscono informazioni riguardanti l'attuale stato nutrizionale dei pazienti, mentre altri sono correlati con la progressione della malattia e la sopravvivenza. I marcatori sierici utilizzati più frequentemente includono l’albumina sierica, la prealbumina, l’emoglobina, il magnesio, il calcio (totale e ionizzato), il fosforo, lo zinco nel siero e il rame (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

4. Le scale di valutazione

Nutritional Risk Screening 2002 (NRS) è uno strumento di screening della

malnutrizione elaborato dalla Köndrup et al. (2003) e viene utilizzato per individuare i pazienti malnutriti o quelli a rischio di malnutrizione, cosi da poter intraprendere una terapia nutrizionale. Tuttavia, secondo gli autori, è molto più semplice prevenire la malnutrizione (assicurandosi che il paziente mangi abbastanza, che riceva dei supplementi nutritivi o se necessario somministrando un'alimentazione per sonda o parenterale) che trattarla.

In questa modalità di screening i pazienti sono classificati mediante un punteggio basato sul peggioramento dello stato nutrizionale (da 0 a 3 punti), sulla gravità della malattia (da 0 a 3 punti) e sull' età (da 0 a 1 punto). II risultato complessivo può situarsi tra 0 e 7 punti: Se lo screening iniziale è negativo o il punteggio dello screening completo è meno di 3, significa che il rischio di malnutrizione è basso e che il paziente necessita unicamente di una sorveglianza della nutrizione durante la degenza.

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Se il punteggio finale è uguale o maggiore a 3, significa che sussiste un rischio di malnutrizione e che l'équipe curante deve stabilire se sia necessaria una valutazione nutrizionale approfondita mediante un consulto dietetico.

2.4.4. Cause di malnutrizione

La malnutrizione è uno dei sintomi più comuni dei pazienti con la SLA e si verifica nel 50% dei casi (Holm et al. 2013).

La patogenesi della malnutrizione nella SLA è multifattoriale. Atrofia muscolare, ipofagia secondaria alla perdita di autonomia, disfagia e ipermetabolismo sono alcuni fattori che giocano un ruolo nel determinare il deterioramento dello stato nutrizionale. Questi fattori causali e i loro singoli ruoli sono descritti di seguito.

1. Disfagia e diminuzione di apporto nutrizionale: La disfagia, ovvero la difficoltà a

deglutire, è una caratteristica comune nei pazienti con la SLA e porta all’ipofagia progressiva, alla disidratazione e alla malnutrizione proteico-energetica (Molfino et al. 2009). Nei casi della SLA di tipo bulbare, la disfagia può derivare dal coinvolgimento del nervo trigemino, del nervo vago e di altri nervi cranici che innervano il viso, l’ipoglosso e

la glossofaringea (nervi cranici V, VII, IX, X e XII). Nella SLA di tipo bulbare la disfagia

progredisce più rapidamente rispetto al tipo spinale, nel quale la disfagia si sviluppa più tardi e più lentamente (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Silani, Kasarkise, e

Yanagisawa 1998). Tuttavia, indipendentemente dalla modalità di esordio, la disfagia è

presente in oltre l’81% dei pazienti con la SLA in fase avanzata e nel 45% dei casi con la SLA di insorgenza bulbare anche se spesso non viene riconosciuta subito (Braun, Osecheck, e Joyce 2012; Muscaritoli et al. 2012). La debolezza della lingua e delle labbra interferisce con l'assunzione del cibo e la deglutizione del bolo. Il palato molle è debole e non è in grado di chiudere l'istmo faringeo durante la deglutizione, causando la fuoriuscita di aria attraverso il naso. La debolezza dei muscoli faringei porta ad una mancanza di coordinamento, spasmi cricofaringei e ostruzione da cibo, aumentando il rischio di polmonite da aspirazione (Muscaritoli et al. 2012).

Il risultato della disfagia è un’assunzione di liquidi e alimenti gradualmente diminuita sia a causa della paura di tosse e soffocamento sia perché il tempo necessario per mangiare diventa insostenibilmente lungo (Muscaritoli et al. 2012). Un povero apporto nutrizionale prolungato provoca stanchezza, perdita di peso e malnutrizione (Rio et al. 2010). Tutti questi dati sottolineano l'importanza della disponibilità e l’emergenza a fornire assistenza ai pazienti affetti dalla SLA come pure di avere un logopedista in un team multidisciplinare (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

2. Atrofia muscolare: La massa dei muscoli e la loro contrattilità dipendono dalla

stimolazione chimica da parte dei motoneuroni. La perdita di motoneuroni e delle giunzioni neuromuscolari associate nella SLA riduce la segnalazione neuronale al

muscolo, portando alla disfunzione mitocondriale con una cattiva gestione del calcio. La

regolazione alterata del calcio dà inizio all’atrofia muscolare, la quale viene complicata ulteriormente dal malfunzionamento dei mitocondri, con conseguente produzione di derivati reattivi dell'ossigeno (reactive oxygen species) cha porta a stress ossidativo. L'aumento dello stress ossidativo può potenziare ulteriormente l’atrofia muscolare attraverso l'apoptosi delle cellule muscolari e la degradazione delle proteine muscolari (Braun, Osecheck, e Joyce 2012).

Riferimenti

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