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Si cercheranno ora di fare alcune riflessioni su una serie di elementi che sono emersi durante le ricerche per la stesura di questo lavoro. Urge innanzi tutto un rapido chiarimento riguardo ai dati che si stanno utilizzando: l’idea della costruzione di una base                                                                                                                

192 AFG, FPCdI, fascicolo 1372 – Relazioni sull’attività della sezione “legali”, folio 7. Verbale del

Convegno dei Fiduciari del Lavoro di Direzione delle cinque regioni parigine, 13/09/1936. Su Di Vittorio in Spagna si veda anche: Gloria Chianese e Javier Tebar Hurtado (a cura di). Spagna 1936: Giuseppe Di

Vittorio e la lotta internazionale per la democrazia, Ediesse, Roma 2008.

di dati sui partecipanti alla Sezione Italiana è nata a Salamanca, più precisamente presso l’Archivo General de la Guerra Civil Española; proprio qui è infatti conservato, diviso tra le casse PS Barcelona 454, PS Barcelona 455, PS Madrid 485, PS Madrid 486 e PS Madrid 487, quello che doveva essere l’archivio dell’ufficio di arruolamento della Sezione

Italiana.194 Oltre a dei fascicoli, nei quali è conservata un’eccellente documentazione personale, imprescindibile per poter ricostruire le vicende dei singoli volontari, ci siamo imbattuti nelle schede di larghissima parte dei partecipanti; queste, compilate al momento dell’arruolamento, sono un’importante risorsa per avere un quadro generale sui volontari.195 Oltre al nome, al cognome, alla data di nascita e a quella di arruolamento, vi sono riportati altri interessanti dati: la professione, l’appartenenza politica, lo stato civile, con il numero di figli, e la provenienza geografica, sia italiana sia dell’esilio. A volte sono inoltre presenti delle note aggiunte successivamente: un’eventuale ferita riportata oppure la dimissione del gruppo ed il ritorno in Francia. Questi dati sono stati incrociati con quelli, sia editi sia inediti, ottenuti in Italia. Per quanto riguarda quest'ultimi, ci riferiamo in particolare a due importanti fondi dell’Archivio Centrale dello Stato: il Casellario Politico Centrale e la Divisione Polizia Politica – Fascicoli Personali. I dati editi sono invece quelli raccolti in lavori realizzati negli anni scorsi come La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939, frutto degli sforzi dell’AICVAS [Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti

in Spagna, N.d.A.], pensato per raccogliere le biografie dei circa 4.000 volontari italiani in

Spagna, o il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani, realizzato con il patrocinio della Fondazione Franco Serantini.196 Nelle prossime pagine si analizzerà quindi la composizione dei partecipanti alla Sezione Italiana: non limitandosi ai 130 che partirono per il fronte il 19 agosto, ma prenderemo in considerazione tutti coloro per i quali si sono trovate notizie: 644.

Crediamo siano indispensabili alcune premesse a proposito di questi dati; innanzi tutto prendendo in considerazione tutti i partecipanti verranno inevitabilmente messe sullo stesso piano esperienze tra di loro molto diverse: saranno cioè considerati, ad esempio, sia il giellista Oreste Archetti, tra i primissimi a partire (la sua scheda di arruolamento porta                                                                                                                

194 L’ufficio, gestito da Lorenzo Giusti, si trovava naturalmente a Barcellona; presso quello che era il

quartier generale del movimento anarcosindacalista catalano, la Casa CNT-FAI, un imponente edificio che si affacciava sulla odierna via Layetana.

195 Per la realizzazione delle schede venne usato il retro di alcuni moduli prestampati per la contabilità di

un’impresa tessile della provincia di Barcellona; molto probabilmente collettivizzata dopo il luglio ’36.

196 AA. VV. La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939 – Tre anni di storia da non dimenticare, AICVAS,

infatti la data del 18 agosto ’36), che sarebbe rimasto in Spagna, passando alle Brigate Internazionali, fino al febbraio ’39; sia l’autista anarchico Mario Poggi, di 32 anni, che arruolatosi nel settembre, già il 25 ottobre ’36 avrebbe lasciato la Spagna per tornare a Parigi. Ci sono poi alcuni volontari per i quali non siamo stati in grado di trovare alcun elemento biografico. Nel caso di Enrico Turrini, ad esempio, sappiamo solo che cadde, ma ignoriamo addirittura dove e quando; oppure per quanto riguarda Giuseppe Starnini sappiamo solo che era originario di Ancona. I dati sono quindi, in piccola parte, disomogenei; fortunatamente i casi limite come i due appena citati sono un’assoluta minoranza. Sarà interessante provare a capire quale fosse la tipologia del volontario che si arruolava: afferrare chi fossero quei 644 partecipanti ad una esperienza tanto peculiare come quella che vide alleati dei libertari ad un movimento borghese come Giustizia e

Libertà. Si consideri, in primis, il dato riguardante la composizione politica del gruppo; al

momento dell’arruolamento i volontari erano infatti invitati a segnalare quale fosse la propria fede politica. Quanto emerge dovrebbe rispondere a realtà: si era nelle prime fasi del conflitto e non era ancora nata un’organizzazione come quella delle Brigate Internazionali nella quale, appartenere o meno ad un partito, poteva essere una discriminante e, soprattutto, erano ancora lontane quelle frizioni che avrebbero portato ai fatti del maggio ’37. Non c’era quindi motivo perché si dovesse mentire al riguardo.

Anarchico 382 Antifascista 52 Comunista 89 GL 42 LIDU197 4 Repubblicano 18 Sindacalista 1 Socialista 40 Trotskista 3  

Figura 1.1 – Appartenenza politica dei volontari

 

Chiara, e prevedibile, è la maggioranza anarchica: i libertari erano poco più del 60% del totale, mentre i comunisti sarebbero stati circa il 14%. Un elemento che dovrà essere tenuto in conto quando, più avanti nel lavoro, si parlerà delle tensioni tra gli                                                                                                                

anarchici e le altre famiglie politiche della colonna. Un dato che salta immediatamente all’occhio, sono i 52 volontari (il 7,9% del totale) che si dichiararono semplicemente antifascisti, senza la necessità di doversi collocare in nessuna famiglia politica; alcuni di loro, come Ernesto Borgognoni o Domenico Giardi, una volta passati alle Brigate Internazionali, si sarebbero scoperti comunisti.198 Altri invece, come il reggiano Rodolfo Giovanardi, avrebbero maturato una certa affinità con il movimento libertario, tanto da preferire, una volta disciolta la Sezione Italiana, rimanere in una colonna anarchica piuttosto che passare alle Brigate Internazionali. Tra coloro che si dichiararono antifascisti molto interessante anche il caso di Otorino Orlandini: formatosi a Firenze in seminario, si era avviato alla politica nel primo dopoguerra tra le fila del Partito Popolare: strano destino quello che lo volle arruolato in una colonna a maggioranza anarchica. L’elemento interessante è la precisa volontà nel definirsi semplicemente antifascisti: dando in questo modo un’inequivocabile connotazione di opposizione al regime italiano alla scelta di partire per la Spagna. Se poi questo aggettivo lo si trova anche sulla scheda di un personaggio inequivocabilmente vicino a GL, come l’avvocato romano Alberto Cianca, è evidente come si trattasse di una scelta fortemente simbolica.

Altrettanto importante è poter stabilire, quando, in che momento, questi volontari arrivarono in Spagna. Come si è detto, alla partenza per il fronte il gruppo era composto da circa 130 elementi; per la precisione si sono rintracciati 137 nominativi. Quello che colpisce analizzando i flussi (si veda la figura 1.2), è che entro il mese di agosto arrivarono ben 212 volontari (quasi il 33% del totale): un movimento che quindi nacque sull’onda emotiva delle notizie provenienti dalla Spagna, un movimento impulsivo, che tese, come si può vedere, ad esaurirsi rapidamente. Nei mesi successivi sarebbero continuati ad affluire volontari ma, viste sia la “concorrenza” del Battaglione Garibaldi sia le difficoltà cui sarebbe andata incontro la stessa Sezione Italiana, non si sarebbe mai tornati sui valori iniziali. Con l’abbandono, a gennaio, di GL ci fu una drastica caduta negli arruolamenti: si passò dagli 80 di gennaio agli appena 16 del mese successivo. Pur essendo GL, con i suoi 42 uomini, una componente minoritaria non si deve dimenticare il peso che aveva a livello “pubblicitario”: le sue pubblicazioni erano tra le più diffuse tra gli esiliati italiani ed il suo abbandono avrebbe quindi inciso negativamente sulla visibilità internazionale della

Sezione Italiana.

                                                                                                               

198 Si è spesso detto come la gran parte di coloro che entrarono nelle Brigate Internazionali senza partito ne

Figura 1.2 – Afflusso mensile di volontari

 

Se si confrontano questi dati con quelli dei volontari britannici (Richard Baxell,

British Volunteers in the Spanish Civil War) si noteranno delle interessanti differenze.199 Il maggiore afflusso britannico si ebbe a cavallo tra il dicembre ‘36 ed il gennaio ’37 (con circa 200 arrivi mensili), mentre in agosto erano entrati in Spagna meno di 30 uomini; un flusso esattamente opposto rispetto a quello della colonna italiana. Quello che emerge inequivocabilmente è, nel caso britannico, un volontariato più vincolato all’organizzazione delle Brigate Internazionali: se per gli italiani quella della partenza fu una scelta impulsiva, dettata dalle prime notizie che arrivavano nell’estate del ’36, gli inglesi invece aspettarono che venisse istituito un sistema di reclutamento da parte del Partito Comunista britannico. Non dobbiamo però neanche dimenticare il fattore geografico: se infatti da un lato buona parte degli italiani viveva, al momento dell’insurrezione militare, in Francia, e quindi il viaggio era abbastanza semplice, per i britannici il discorso si faceva invece più complicato: arrivare in Spagna presupponeva infatti un percorso, anche a livello economico, più impegnativo. Nonostante queste dovute precisazioni, crediamo che le radici di questi diversi atteggiamenti vadano ricercate negli anni precedenti: essere costretto a vivere da esule, essersi dovuto confrontare personalmente con il fascismo, era una condizione che determinava una prospettiva diversa rispetto a quella di chi il fascismo lo conosceva solamente da fuori. Ad ulteriore conferma di una certa “maturità” del primo                                                                                                                

volontariato italiano, potrebbero essere fatte alcune rapide considerazioni inerenti l’età dei volontari. Se infatti nel caso inglese la fascia più rappresentata sarebbe stata quella compresa tra i 21 e i 25 anni (32,2% del totale), in quello italiano fu invece quella tra i 36 ed i 40 (quasi il 30%).200 Lo squilibrio maggiore lo si nota tra gli over 40: solo un 7,3% nel primo caso, mentre tra gli italiani furono praticamente il 20%; nella colonna italiana uno su cinque avrebbe quindi avuto più di quarant’anni.

Questa differenza tra le due esperienze è da ricondurre a quanto che si stava dicendo riguardo alle differenze nei flussi di arrivo. Per gli italiani la condizione di esule fu determinante ed era strettamente legata ad un fattore generazionale: essersi dovuti confrontare direttamente con il fascismo sin dalle sue origini. Il 49,2% dei partecipanti alla

Sezione Italiana aveva infatti scelto precocemente la via dell’esilio tra il ‘21 ed il ’27, e

questo portò ad un’età media abbastanza alta. Ben l’82,2% era nato prima del 1907, questo significava avere avuto almeno 15 anni nel ’22 ed aver quindi vissuto, in presa diretta, i traumi e le violenze degli anni dello squadrismo e dell’avvento al potere del fascismo:201 il fattore generazionale, sottolineato egregiamente da Stéfanie Prezioso nel suo lavoro su Fernando Schiavetti, emerge in questo caso con forza.202 La spiegazione che vuole l’impulsività ed il radicalismo, tipici dell’ardore giovanile, alla base del volontariato, se potrebbe anche funzionare per i britannici entra decisamente in cortocircuito per i “nostri” volontari: le motivazioni che spinsero degli uomini, e delle donne, di mezza età ad abbandonare i propri impieghi e le proprie famiglie (il 41,1% degli italiani era sposato, mentre il 26,3% aveva almeno un figlio) vanno ricercate nel periodo a cavallo tra gli anni ’20 e ’30; nell’impossibilità di vivere nel proprio paese d’origine; nelle difficoltà, socioeconomiche, e nel senso di sradicamento dati dalla condizione di esule; nell’inevitabile precoce presa di coscienza del fascismo come problema non                                                                                                                

200 Vedendo il grafico rappresentato nella figura 1.3 possiamo notare come lo spettro di età sia molto ampio.

Si passa infatti dal 1873 al 1920, quindi con uno scarto di ben 47 anni. Non desta quindi sorpresa incontrare alcune famiglie per le quali sono presenti due generazioni (padre e figlio): il caso più interessante è quello della famiglia Giglioli di Modena. Emigrata in Francia, a Parigi, prestissimo, nel ’22, si trattava di una famiglia molto numerosa, i figli erano infatti ben nove. Il padre Onofrio (classe 1882) combatterà in Spagna al fianco di due dei suoi figli, Rivoluzio (1903) ed Equo (1910). Inutile specificare che tutti e tre si fossero dichiarati anarchici. La famiglia venne definita in un articolo apparso su Il Risveglio Anarchico, “la tribù anarchica dei Giglioli” (Caludio Silingardi. Rivoluzio Giglioli – Un anarchico nella lotta antifascista (1903-

1937), Istituto Storico della Resistenza, Novi di Modena 1984, p. 1).

201 Il caso limite fu sicuramente quello del triestino Antonio Mesghez, classe 1873, aveva cioè 63 anni al

momento del suo arruolamento. Entrato in Spagna nell’estate del ’36, avrebbe prima combattuto in alcune milizie basche, per poi arruolarsi nella Sezione Italiana il 28 ottobre.

202 Stéfanie Prezioso. Itinerario di un “Figlio del 1914” – Fernando Schiavetti dalla trincea

esclusivamente italiano; nel senso di profonda impotenza davanti all’aggressività internazionale fascista. In realtà, anche nel caso delle Brigate Internazionali, la storiografia più recente è riuscita a smontare quella che era un’immagine ormai classica e stereotipata: quella del volontariato spinto principalmente dall'ardore giovanile. Gli studi di Rémi Skoutelsky sui francesi hanno dimostrato come la maggioranza di loro avesse tra i 24 ed i 34 anni: sufficienti per aver conosciuto, ad esempio, i traumi della prima guerra mondiale.203

Figura 1.3 – Anno di nascita

 

Fasce di Età Sez. Italiana Britannici204

Under 21 1,30% 4,20%

                                                                                                               

203 Skoutelsky, Novedad en el frente… cit., p. 173. 204 Ivi, p. 16.

21-25 6,80% 32,2% 26-30 16,50% 23,6% 31-35 25,30% 20,4% 36-40 29,90% 12,3% Over 40 19,90% 7,3%  

Figura 1.4 – Età dei volontari divisi in fasce (Sezione Italiana e britannici)

 

La stretta relazione con i primi anni ’20 e con il fascismo delle origini ci viene suggerita da altri due dati interessanti. Il primo è la presenza nella Sezione Italiana di almeno 19 ex Arditi del Popolo; non sono pochi se si considera che da quella esperienza erano passati ben quindici anni. Tra di loro anche l’anarchico Antonio Cieri, promotore degli arditi di Ancona e tra i protagonisti degli eventi di Parma nell’agosto ’22;205 o il poeta-tipografo pistoiese Virgilio Gozzoli, che nel ’36 aveva ormai cinquant’anni. Il secondo dato è la provenienza regionale dei volontari; si scopre così che le regioni più rappresentate corrispondo alle zone dove lo squadrismo fascista si era manifestato con più violenza; se si sommano i volontari toscani, i romagnoli, gli emiliani, i liguri e gli umbri si ottiene il 45,5% del totale (193 sui 425 per i quali disponiamo di questa informazione).206 Dati che stridono fortemente con gli appena 5 volontari calabresi, gli 8 laziali, i 9 campani e i 2 pugliesi.

Se non si può dire che esista un nesso diretto tra violenze squadriste, scelta dell’esilio, e partenza per la Spagna nel ’36, ciò che comunque crediamo di poter definire sono delle tendenze generali per le quali l’emigrazione riguardò maggiormente quelle zone con delle tradizioni politico associative più forti e per questo maggiormente colpite dal primo fascismo; il che, come abbiamo visto, avrebbe avuto delle ripercussioni anche sul volontariato antifascista in Spagna. Ha scritto Marco Palla: «Il fascismo è essenzialmente un fenomeno dell’Italia settentrionale e centrale, delle aree di pianura, delle periferie e dei centri minori. Per scrutare da vicino la carta geografica dell’Italia alla ricerca dei fasci e dei fascisti, è sufficiente concentrarsi su una porzione determinata e delimitata di territorio. Si possono tranquillamente tralasciare vaste aree di montagna, pressoché tutte le Alpi e gli Appennini, e lunghi tratti di costa: da Ventimiglia a Reggio Calabria (con le sole eccezioni di Carrara, Pisa e Napoli), da Reggio Calabria a Santa Maria di Leuca, da Santa Maria di                                                                                                                

205 Si veda: Eros Francescangeli. Arditi del Popolo – Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista

(1917-1922), Odarek, Roma 2000, pp. 131-139.

Leuca all’Istria (con le sole eccezioni di Bari e Trieste). Il fascismo è un fenomeno delle pianure e delle basse colline interne, dei centri provinciali piuttosto che delle grandi città (con l’eccezione di Milano, Bologna e Firenze), dei piccoli capoluoghi di provincia piuttosto che di quelli con reali prospettive o potenzialità di aree urbane».207 Un quadro che sostanzialmente coincide con quanto emerge dai dati sui primi volontari italiani. Secondo Pierre Milza, l’emigrazione dei primi anni venti, non ancora definibile “antifascista” in senso stretto, era sostanzialmente formata dai militanti e dai dirigenti del movimento operaio più colpiti dallo squadrismo.208 Come ha recentemente ribadito Leonardo Rapone: i flussi in uscita in quegli anni erano «caratterizzati dalla nutrita presenza di lavoratori la cui decisione di spostarsi all’estero nasceva non solo da ristrettezze economiche patite in Italia, ma anche, e in molti casi soprattutto, dal bisogno di “cambiare aria”, di abbandonare luoghi di residenza nei quali la vita si era fatta rischiosa ed insostenibile a causa degli attacchi dello squadrismo fascista e la possibilità stessa di conservare o trovare un’occupazione era compromessa dalle intimidazioni, dall’emarginazione sociale e dai veri e propri “bandi” con cui i fascisti, divenuti padroni del territorio, colpivano i militanti più in vista, sul piano locale, della sinistra politica e sindacale».209 Avremo modo di tornare diffusamente su questi temi, quello che ci premeva sottolineare adesso era come questo nucleo di prima emigrazione fosse quello maggiormente rappresentato in seno alla Sezione

Italiana. Per chiudere questo quadro generale è importante considerare un ultimo dato:

l’occupazione dichiarata all’arruolamento.

Muratore 75 Meccanico 73 Pittore/Imbianchino 61 Camionista/Autista 22 Manovale 21 Operaio 21 Falegname 18 Minatore 17 Marinaio 13 Calzolaio 12 Commerciante 12 Impiegato 12                                                                                                                

207 Marco Palla. Il fascismo in: AA. VV. Storia d’Italia – Le Regioni dall’Unità ad oggi, L’Emilia

Romagna, Einaudi, Torino1997, p. 581.

208 Pierre Milza. Voyage en Ritalie, Payot&Rivages, Parigi 1995, p. 261.

209 Leonardo Rapone. Emigrazione italiana e antifascismo in esilio in: “Archivio storico dell’emigrazione

Contadino 11

Tipografo 11

 

Figura 1.5 – Occupazioni più ricorrenti

 

Come si vede dalla griglia riportata sopra, dove sono stati trascritti i 15 mestieri più ricorrenti, quella che non manca è sicuramente una certa varietà; eterogeneità che però rimane in parte limitata all’interno della classe operaia. Purtroppo non è possibile stabilire la percentuale di disoccupati; ci dovevano sicuramente essere (la difficile congiuntura economica di quegli anni unita alla condizione di esule, non erano sicuramente presupposti ottimali per una buona condizione lavorativa), ma nessuno si dichiarò tale. Potrebbe inoltre sorprendere la bassa presenza di contadini; si deve però tener conto ancora una volta del fatto che, come la stragrande maggioranza dei volontari proveniva dall’esilio, un’esperienza legata all’ambito urbano. Si poteva essere cioè contadini in Italia prima di partire, ma difficilmente lo si era nel paese di adozione, dove generalmente si tendeva a stabilirsi in città. Dei 452 volontari che avevano vissuto gli anni dell’esilio in Francia, ben 165, il 36,%%, proveniva da Parigi: «Les exilés du fascisme avaient rêvé de Paris et il était devenu leur refuge. Dans ce pôle majeur du combat mené de l’extérieur contre le fascisme, il est donc naturel de repérer des lieux de rencontre et de sociabilité».210 Da sottolineare la pressoché totale assenza di elementi appartenenti alle classi medio-alte: solo in 18 (il 3%) dichiarano occupazioni che necessitavano di un titolo di laurea (tra di loro due architetti, quattro avvocati e due medici). Mentre sono ancora meno, solo 10 (1,7%) coloro che dichiarano un mestiere ascrivibile all’universo “intellettuale”: due scrittori, un musicista, cinque studenti universitari e due che si definirono semplicemente “intellettuali”. Vale anche in questo caso quello che Rémi Skoutelsky ha affermato riguardo alle Brigate Internazionali: «Existe cierta representación mitológica de las Brigadas Internacionales que ve en ellas un ejército “intelectual”. En efecto, el compromiso físico de escritores prestigiosos al lado de los republicanos españoles, como el caso del inglés George Orwell o del francés André Malraux, así como el peso de los intelectuales en el trabajo de solidaridad con España y en términos más generales en la lucha antifascista de los años treinta, llevaron a creer en un enrolamiento masivo de este sector en las unidades internacionales. […] Esta imagen tiene poco que ver con la realidad, ya que le                                                                                                                

preeminencia de la clase obrera en las Brigadas Internacionales era aplastante».211

Questo breve ritratto di gruppo ci consegna un’immagine, forse inconsueta, del primo volontariato, un’immagine inaspettata ma sicuramente interessante. Uomini, e a volte donne, di mezza età, spesso con qualche capello bianco in più di quanto potessimo