Questo il clima che si andò affermando tra il ’20 ed il ’22. Facile intuire come si fece sempre più difficile la vita per tutti coloro pubblicamente identificati dai fascisti non necessariamente quali oppositori, ma anche solo come “altri” rispetto alla nuova comunità nazionale in via di definizione. Il fascismo si era dimostrato in grado di conquistare, a mano armata, buona parte delle piazze d’Italia: lo spazio pubblico venne ad essere precluso ad una consistente parte del Paese. Dove dominavano i fascisti, i nemici, quelli non disposti a piegarsi al nuovo ordine, venivano messi al bando, emarginati.73 Sin dai
primissimi mesi dopo l’ottobre del ‘22 si andò delineando il progetto di una patria nuova, una patria in camicia nera. Il dissenso non sarebbe stato più pubblicamente accettato; chi non si fosse dimostrato disposto a “convertirsi” alla nuova ideologia, ad assecondare, accettare, la costruzione del nuovo Stato, ne sarebbe inevitabilmente stato relegato al margine.74
La pressione era costante; «ogni volta che si verificava un conflitto tra datori di lavoro e lavoratori, ecco che comparivano squadre di camicie nere, che assalivano i dirigenti sindacali, li bastonavano, li uccidevano, saccheggiavano le loro abitazioni, li costringevano a fuggire o a nascondersi».75 Nel luglio del ‘21 un giovane Carlo Rosselli
72 Fiori, op. cit., p. 41.
73 Si veda: Emilio Gentile. Il culto del littorio, Laterza, Roma-Bari 2007, [ed. orig. 1993].
74 Riguardo il tema della repressione e del consenso si veda l’interessante recente saggio di Mauro Canali.
Repressione e consenso nell’esperimento fascista in: Emilio Gentile (a cura di). Modernità totalitaria. Il fascismo italiano, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 56-81. Ha inoltre scritto Emilio Gentile: «Il fascismo, come
movimento politico di massa, assunse fin dalle origini il carattere di partito milizia, organizzando i suoi aderenti nello squadrismo, con una gerarchia e una disciplina militare, trasferendo nella lotta politica l’antitesi “amico-nemico”, i metodi e gli atteggiamenti dello stato di guerra. Il Partito fascista introdusse la militarizzazione della politica nelle sue forme di organizzazione e di lotta e, successivamente, nelle forme di vita collettiva degli italiani, mentre nei riti e nei simboli assunse, fin dal principio, il carattere di “milizia civile” al servizio della “religione della nazione”, intollerante e integralista. Questo carattere originale derivò al Pnf dallo squadrismo e determinò in modo decisivo anche la modalità di organizzazione del futuro Stato fascista. La militarizzazione del partito, formalizzata stabilmente nel 1922, prima della conquista del potere, fu il primo passo verso la pratica totalitaria dell’organizzazione, che il fascismo avrebbe cercato di estendere e applicare a ogni aspetto della vita sociale». (Emilio Gentile. Fascismo – Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 152-153 [ed. orig. 2002]).
aveva scritto sconsolato alla madre: «Nuovi fatti sanguinosi sono avvenuti, il circolo vizioso continua a svolgersi, e noi continuiamo a girarlo inutilmente, con una fatalità esasperante», questo sentimento di spaesamento sarebbe stato condiviso, negli anni a seguire, da molti suoi coetanei.76 Una diffusa sensazione d’isolamento si diffuse allora trasversalmente, non solo tra le masse lavoratrici ma anche tra i leader più in vista: «Nei primi tempi del fascismo», avrebbe ricordato Vera Modigliani, «e prima che esso andasse al potere, avevamo potuto godere di una relativa protezione. Ma ormai l’atmosfera si era fatta irrespirabile intorno a noi».77 Nel gennaio del ’22, l’anarchico Ugo Fedeli ricevette
una lettera dalla redazione del periodico pisano L’Avvenire anarchico; l'autore della missiva si lamentava per le sempre maggiori difficoltà incontrate nel proseguire quel progetto editoriale: non solo una distribuzione s'era fatta sempre più complicata, ma ormai anche le sottoscrizioni cominciavano a latitare. «Qui le cose non tendono a cambiare», c'era scritto in chiusura della lettera, «e ancora dobbiamo stare lontani dall’ambiente ove si lavora per timore di rappresaglie, da parte di gruppetti di ex compagni e amici oggi passati armi e bagagli dall’altra sponda. È nostro convincimento però che così non duri a lungo. Tutto cambia e anche questo stato anormale di cose dovrà cambiare».78 Una speranza che sarebbe stata destinata a rimanere frustrata.
Gli stessi fascisti non ebbero mai alcuna difficoltà nell’ammettere la volontà di estromettere definitivamente dallo spazio pubblico coloro che identificavano come nemici; tra le masse lavoratrici si diffuse sempre più un senso di profonda impotenza rispetto quanto stava avvenendo. Un sentire comune che rafforzò la tendenza a ritirarsi dalla lotta o, addirittura, a cambiare casacca. Il 14 agosto del ’22 Anna Kuliscioff avrebbe scritto a Filippo Turati: «Anche qui [a Milano, N.d.A.] pare ci sia un gran esodo degli operai della Camera del Lavoro con numerosi passaggi, con armi e bagagli, al fascismo».79 Sarebbe stato Giorgio Amendola, molti anni dopo, a ben sintetizzare quei momenti:
Tra il settembre ’20 e le elezioni politiche del maggio del ’21, in cui i fascisti entrarono nelle liste nazionali, si consuma la distruzione fisica di una gran parte del patrimonio creato dal movimento operaio nella Valle
[ed. orig. 1961].
76 Citato in: Tranfaglia, op. cit., p. 86. 77 Modigliani, op. cit., p. 19.
78 IISH, Ugo Fedeli Papers, folder 04. Lettera dalla redazione dell'Avvenire Anarchico, 05/01/1922. 79 Citato in: De Felice, op. cit., p. 223.
Padana e in Toscana. Lavagnini ucciso nel febbraio del ’21, Palazzo d’Accursio…: sono mesi di violenza scatenata. Incominciano i bandi, gli operai sono obbligati a partire per la Francia, oppure a dover andare a Milano, a Roma, nelle città dove è più facile mimetizzarsi. Quindi la sconfitta è già consumata.80
Nel gennaio del ’24, il deputato socialista Giacomo Matteotti pubblicò un articolo nel quale riferiva, ad un anno e mezzo dalla marcia su Roma, della difficile situazione cui erano sottoposti gli italiani:
La libertà personale, di domicilio, di riunione, non sono più regolate dallo Statuto, e neppure dai soli capricci della polizia, ma continuano ad essere alla mercé di qualsiasi capo fascista. Ottanta cittadini italiani sono stati in quest’anno uccisi impunemente dai cittadini che godono il privilegio fascista, e le stesse esecuzioni sommarie, pubblicamente organizzate e condotte, non hanno avuto alcuna sanzione, non che di condanne, neppure di procedimenti giudiziari. Migliaia di cittadini sono stati bastonati, percossi, feriti; centinaia di domicili invasi o devastati, senza che la polizia se ne sia mai accorta. La libertà di stampa dovrebbe essere garantita dallo Statuto, ma non passa settimana che un giornale non sia o soppresso illegalmente dai Prefetti o dai Questori, o assalito e devastato da fascisti, o per lo meno pubblicamente minacciato di violenza, non tanto per aver commesso reati, ma semplicemente per aver esercitato opera legittima di opposizione. Lo
Stato ha finito per perdere ogni autorità.81
Giusto un anno prima, nel gennaio ’23, era stata istituita la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), una vera e propria forza paramilitare affiancata ai tradizionali organi di polizia; vi erano confluite, vedendosi in questo modo conferita legittimità istituzionale, le varie anime dello squadrismo.82 Un’investitura dei principali promotori ed esecutori delle violenze degli anni precedenti che contribuì ad aumentare quel senso di impotenza di chi quelle violenze le aveva subite. Inoltre, proprio come ricordava Matteotti, la repressione violenta del dissenso cominciò ad essere accompagnata da un sempre più rigido controllo della stampa: «I prefetti ricevettero formale autorizzazione a procedere alla chiusura dei giornali, e a multarne i proprietari qualora le pubblicazioni danneggiassero “il credito nazionale all’interno o all’estero”».83
80 Amendola, op. cit., pp. 46-47.
81 Citato in: Albanese, La marcia su Roma… cit., p. 202.
82 Ha scritto Salvatore Lupo: «Nel complesso la creazione della Milizia fu un rimedio peggiorativo rispetto
all’illegalismo, se era davvero questi il male che esso pretendeva curare» (Lupo, op. cit., p. 129). Sulla tutt’altro che semplice nascita della Milizia si veda anche De Felice, op. cit., pp. 431-437.
Anche all'interno del movimento libertario, la realtà dalla quale sarebbe provenuta una buona parte dei componenti della Sezione Italiana, cominciò a diffondersi la consapevolezza della degenerazione della situazione italiana. Il 15 febbraio del ’25, su La
Rivista Internazionale Anarchica pubblicata a Parigi, apparve una denuncia molto forte: «Il
governo fascista», recitava l'articolo, «non ha ucciso di un colpo secco la libertà di stampa, ma la va assassinando lentamente e sistematicamente a puntate di coltello avvelenato. I giornali si stampano, le amministrazioni ne pagano la stampa, prefetti ne ordinano il sequestro, i lettori non li leggono, e gli editori subiscono interamente al passivo le spese di redazione, di stampa, etc.».84 Nel maggio dello stesso anno, il direttore del foglio anarchico
Fede!, Gigi Damiani, avrebbe scritto: «Non so neppure se il numero del 1° maggio riuscirà
a valicare la frontiera. Qui in Italia fuori che in Roma e in due o tre località minori, non circolò. Fin dal 26 mattina vi era il fermo preventivo in tutti gli uffici postali».85 E poi ancora: «Fede! va avanti, ma come puoi immaginartelo. Nelle grandi città Torino, Milano, Bologna Genova è ancora nelle edicole e siamo riusciti a rimetterla anche nell’edicola di Roma. Ma nelle piccole località è una disgrazia; i fascisti e i carabinieri fanno respingere i giornali dai destinatari e quando non ci riescono la devoluzione è fatta d’arbitrio dall’ufficio postale. In ogni modo teniamo duro. Qui i compagni dicono che la sospensione sarebbe peggio. Non ti nascondo però che io mi sento esausto e che volentieri me ne andrei in Congo o in Patagonia».86 Sul finire del 1925, Carlo Molaschi avrebbe così descritto la situazione italiana:
Qui tutto procede a colpi di fulmine, e quello che si pensa oggi come probabile per domani, viene sempre smentito dai fatti che sopraggiungono. La nostra situazione non è delle più liete, anzi non è punto lieta. Ogni giorno nuove difficoltà si presentano e nuovi pericoli si affacciano. Man mano che noi si trova un punto di resistenza, l’azione avversaria provvede a distruggerlo, in modo che la nostra battaglia è una continua ritirata. A tutto ciò aggiungi la mancanza assoluta di uomini coraggiosi e capaci che sappiano almeno difendere i principi, e tu comprenderai quale è la nostra condizione.87
84 La Rivista Internazionale Anarchica – Rivista mensile poliglotta, 15/02/1925, p. 8. 85 IISH, Ugo Fedeli Papers, folder 24. Lettera a Ugo Fedeli, 07/05/1925.
86 Ivi. Lettera a Ugo Fedeli, 21/03/1926. Alcuni mesi dopo, il 30 settembre dello stesso anno, avrebbe
aggiunto: «Per evitare rappresaglie e fastidi ai nostri compagni della provincia, abbiamo deciso di sospendere per qualche settimana la pubblicazione di Fede! Che del resto verrebbe sequestrata. Del numero 133 non si è salvata neanche una copia». (Ibidem).
La vita era diventata effettivamente complicata. L’essere considerato sovversivo dalla pubblica autorità era spesso sufficiente a giustificare l’inizio di un vero e proprio processo persecutorio; il prefetto di Livorno nel '25 ammise come fosse una pratica diffusa quella di vigilare e perquisire frequentemente coloro che erano considerati tali.88 Randolfo Vella, siciliano di Agrigento e futuro volontario, venne definito, in una nota del novembre ’23, come: «un anarchico pericoloso, un convinto antistatalista ed anche uno squilibrato di mente capace di qualunque violenza e di attentati terroristici».89 Nel ’27 ritroveremo il
Vella a Bellinzona, in Svizzera, con un permesso di residenza rilasciato dall’Autorità Federale in qualità di profugo politico.90 Difficile credere che le autorità elvetiche avessero concesso uno status del genere ad un folle terrorista o ad uno squilibrato; più verosimile pensare che solo per essere considerato un sovversivo, il Vella, si fosse meritato un ritratto del genere. Il nome di un altro volontario, Antonio Chierici, apparve invece in un elenco di «sovversivi pericolosi» da arrestarsi preventivamente «in caso di tumulto» redatto dal Questore di Firenze nel novembre del ’23.91 Elenchi del genere furono tutt’altro che rari e certo concorsero a suscitare quel senso di isolamento di cui stiamo parlando. Amerigo Colchiatti, giovane comunista della provincia di Udine che si sarebbe arruolato nel
Battaglione Garibaldi, avrebbe ricordato come, «ad ogni avvenimento nazionale, o
all’arrivo in città di un pezzo grosso» i carabinieri non mancassero di fargli «una perquisizione e di rovistare dappertutto».92 A Mantova nel '26, il Prefetto, Giuseppe Sallicano, onde scongiurare dei festeggiamenti in occasione del primo maggio, procedette a veri e propri “arresti preventivi”.93 Molti dei futuri esuli cominciarono quindi, proprio
negli anni a cavallo dell’avvento al potere del fascismo, ad intraprendere quel personale percorso che li avrebbe portati ad abbandonare il Paese. In una lettera ad un compagno di fede, l’anarchico Lorenzo Gamba, già arrestato in occasione di una manifestazione a Savona nell’agosto del ’20, scrisse: «Si vive da cane bastonato. Frammezzo ad un vigliaccheria spaventosa. […] Pel momento ho rimandato il mio viaggio. Preferisco fare la fame nella Grande Italia. Ho però sempre nel sangue la smania di andare vagabondo pel
88 ACS, Direzione Generale Pubblica Sicurezza (Dir Gen PS), Divisione Affari Generali e Riervati
(DAGR), b. 220. Relazione Prefetto di Livorno, 01/09/1925.
89 ACS, CPC b. 5344, f. 17912 Vella Randolfo.Appunto Affari Generali e Riservati, 12/11/1923. 90 Ibidem.
91 ASF, QF, Gabinetto, cat. A/8, Chierici Antonio.Appunto Legione Territoriale dei Carabinieri,
15/11/1923.
92 Amerigo Colchiatti. Cammina frut, Vangelista Editore, Milano 1972, p. 23.
mondo, e se trovassi una combriccola di amici d’accordo non mi tratterrei nel paese del Santo Manganello un’ora di più».94
Naturalmente, l'accanimento era maggiore contro i militanti più in vista. Il Prefetto di Belluno, nell’agosto del 25, avrebbe chiaramente esplicitato il concetto, parlando di un «continua e rigorosa vigilanza» e di un «completo isolamento dei capi» esercitato da parte delle Autorità di Pubblica Sicurezza.95 Emblematico il caso del sindacalista livornese, nonché futuro volontario, Enzo Fantozzi, figura molto conosciuta a livello locale. Secondo una nota del Questore di Pisa venne fermato una prima volta il 16 gennaio 1922 «ed accompagnato alla Caserma dei CC. RR. per sottrarlo alle minacce di un gruppo di fascisti che lo avevano riconosciuto fra diversi anarchici tra cui era il noto Broghi Armando».96 Questa non fu che la prima delle disavventure vissute dal sindacalista labronico: le minacce verso la sua persona e verso la sua famiglia culminarono l’anno successivo con il licenziamento in tronco dalle Ferrovie dello Stato. Ecco la nota trasmessa dal Prefetto di Massa Carrara al Ministero dell’Interno nel luglio del ‘23:
Massa, addì 7 luglio 1923. Facendo richiamo alla mia nota n°1340 Gab PS del 10 maggio u.s., pregomi comunicare a codesto On/le Ministero che il noto anarchico Fantozzi Enzo è stato testé licenziato dall’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato. Poiché il medesimo è elemento pericoloso ed ha tra il personale ferroviario del deposito di Pontremoli molte aderenze, quel sottoprefetto, sentito anche il parere dell’Arma, lo ha rimpatriato, con foglio di via, a Livorno, suo paese d’origine, ove risiede pure la sua famiglia legittima.
Il Prefetto (Roberto Berti)97
Non si trattò di un caso isolato. Nel settembre del ’23, un altro lavoratore delle ferrovie professante idee libertarie e anche lui futuro volontario in Spagna e personaggio di primo piano dell'universo sovversivo, l’architetto abruzzese Antonio Cieri, venne licenziato in tronco.98
94 IISH, Ugo Fedeli Papers, folder 41. Lettera di Lorenzo Gamba, 21/09/1922. Per le notizie biografiche sul
Gamba si veda: AA. VV. Dizionario biografico degli anarchici italiani (Volume primo A-G), Biblioteca Franco Serantini, Pisa 2003, pp. 662-663.
95 ACS, Dir Gen PS, DAGR, Cat. GI b. 220. Nota prefetto di Belluno, 21/08/1925. 96 ACS, CPC b. 1954, f. 19862 Fantozzi Enzo. Nota del Questore di Pisa, 17/01/1922. 97 Ibidem.
98 Dizionario biografico (Volume primo)… cit., p. 402. Secondo una nota di qualche anno dopo del Prefetto
Questa visibilità, questo facile riconoscimento dei sovversivi da parte delle autorità, la rapida identificazione dei più “pericolosi”, traeva le sue origini dagli anni precedenti la marcia su Roma; durante quel periodo si erano infatti registrati, e vi parteciparono molti di coloro che sarebbero poi finiti nella Sezione Italiana, dei tentativi di opporsi concretamente alle violenze squadriste. In ragione di quest'attivismo, molti erano stati pubblicamente inseriti nella categoria dei sovversivi; erano cioè passati, in un momento delicato per la storia del Paese, dall'anonimato all'essere conosciuti dagli organi di sorveglianza. Aver direttamente partecipato a queste mobilitazioni avrebbe avuto delle ripercussioni negative sul periodo successivo alla marcia su Roma ed alla presa del potere del fascismo; chi arrivò alla scelta estrema dell'esilio lo fece dopo un percorso personale generalmente travagliato. Non crediamo possa essere considerata semplicemente casuale la partecipazione di molti futuri volontari ad esperienze del genere; concentreremo ora la nostra attenzione su due esempi che ci sembrano particolarmente emblematici: quello degli Arditi del Popolo e quanto emerso dallo spoglio dei processi d’assise istituiti nei primi anni ’20 dal tribunale di Firenze.
Nati da una costola di sinistra del arditismo che voleva opporsi allo squadrismo, gli
Arditi del Popolo si costituirono nel luglio del ’21 a Roma.99 La nuova formazione, con il suo comandante Argo Secondari, lanciò da subito un appello ad usare le medesime tecniche di lotta dello squadrismo per difendersi dalle violenze.100 Dopo la prima apparizione in pubblico, il 9 luglio in occasione di una manifestazione romana contro i
la marcia su Roma ed il 30 aprile del ’24 ci furono, nel quadro di una riforma dell’amministrazione dello Stato, ben 65.274 licenziamenti tra gli statali, di questi quasi 50.000 erano ferrovieri. (De Felice, op. cit., p. 397). Non è sicuramente azzardato, ricordando la forte sindacalizzazione del personale ferroviario, pensare che buona parte dei licenziamenti celasse delle motivazioni politiche. Del resto, il comunista livornese Ilio Barontini avrebbe ricordato essere stato licenziato dalle Ferrovie dello Stato proprio nel ’24 per il proprio credo politico, mentre in una relazione del 1928 il Prefetto di Pistoia avrebbe candidamente ammesso che l'ex capostazione Emilio Nanni era stato «licenziato per le sue idee sovversive». ( Il primo citato in Enzo Collotti.
L’antifascismo in Italia e in Europa (1922-1939), Loescher, Torino 1975, p. 115, mentre il secondo: ACS,
Dir Gen PS, DAGR, Cat. GI b. 225. Relazione trimestrale del Prefetto di Pistoia, 27/09/1928).
99 «Essendo gli intervenuti troppo numerosi, i tavoli vengono portati fuori dalla sede, sulla piazza dei Quiriti
e, a lume di candela, vennero compilati i ruolini delle compagnie: numerosi operai di ogni categoria vi entrarono a far parte, insieme a ex combattenti, arditi, legionari fiumani. Alla fine, dopo che il primo battaglione ebbe sfilato in ordine militare, Secondari parlò alla folla e chiese gli arditi di giurare». (Francescangeli, op. cit., p. 55). Per la vicenda degli Arditi del Popolo oltre al testo appena citato di Francescangeli si veda anche: Ivan Fruschini. Gli Arditi del Popolo, Longo Editore, Ravenna 1994, Ferdinando Cordova. Arditi e Legionari Dannunziani, Marsilio, Padova 1969 e Marco Rossi. Arditi, non
gendarmi! Dall’arditismo di guerra agli Arditi del popolo (1917-1922), BFS, Pisa 1997.
100 «Il fatto di rispondere alla violenza organizzata e scientifica delle squadre fasciste, scendendo sullo
stesso terreno, viene letto dalle classi lavoratrici più come una necessità che come una teorizzazione di principio. Le masse proletarie, stanche dei crimini fascisti, vedono concretizzarsi nella nuova organizzazione che dichiara di opporsi militarmente alle formazioni agrario-padronali, quella volontà di riscossa che trae origine dal semplice istinto di sopravvivenza». (Francescangeli, op. cit., p. 59).
soprusi fascisti, cominciarono a sorgere rapidamente ovunque dei Comitati di Difesa
Proletaria al cui interno si andarono organizzando nuove squadre di Arditi.101 La straordinaria rapidità con cui quell’esperienza si diffuse non può che indurre a riflettere su quanto fosse sentita necessaria una qualsiasi manifestazione di opposizione organizzata allo squadrismo: nel giro di pochissime settimane l’organizzazione raggiunse capillarmente buona parte del Paese, in particolare le zone maggiormente colpite dalle violenze fasciste. L’anconetano Arsitodemo Maniera avrebbe ricordato come tra i giovani si sentisse la necessità di «non rimanere inoperosi prendendo delle iniziative contro i fascisti locali» e quanto si adoperassero, «nei limiti delle loro forze, per realizzare un largo schieramento politico nella lotta».102 Negli Arditi del Popolo confluirono militanti o simpatizzanti di buona parte delle forze attaccate dal fascismo: dai comunisti ai repubblicani, dai socialisti ai popolari, e molti, moltissimi, anarchici.103 Ha sottolineato anche Francescangeli come sia solo possibile ipotizzare la forza numerica complessiva del fenomeno: si parla, per l’estate del ’21, di circa 20.000 membri.104