5. DISCUSSIONE DEI RISULTATI
5.3 Rituali legati al cranio
Nelle necropoli prese in esame, laddove è stato possibile effettuare il microscavo dei riempimenti delle urne, si è osservato che di norma le ossa del cranio venivano deposte per ultime all‟interno dei cinerari. Come questa operazione potesse essere condotta nel dettaglio dei “gesti” rituali specifici, è difficile stabilirlo con certezza: da cremazioni sperimentali effettuate su cadaveri animali sappiamo però che il collasso della pira funebre a seguito della combustione non provoca una dislocazione dei distretti scheletrici tale da impedire il riconoscimento delle singole ossa (MCKINLEY 1995, p. 24). Per questo motivo, è assai probabile che le figure preposte al rituale della raccolta e deposizione dei resti cremati riuscissero a distinguere le varie parti dello scheletro combusto ed in particolar modo quelle del cranio, sia per la sua collocazione anatomica periferica sia per l‟aspetto caratteristico dei frammenti. Non si può nemmeno escludere che ad officiare tale pratica fossero figure
specifiche,con attribuzioni di tipo religioso-cultuale, i quali potevano aver acquisito attraverso la reiterazione della cerimonia un bagaglio di “conoscenze antropologiche” che consentissero loro di discernere le varie parti dello scheletro. L‟assenza di terra di rogo, frustoli carboniosi e altro materiale residuale della pira fa ipotizzare che le ossa fossero raccolte con estrema cura durante l‟ossilegio, se non addirittura lavate prima della deposizione. In questo caso, però, sembra più plausibile immaginare che ossa craniali e post-craniali venissero raccolte e lavate distintamente, poiché risulterebbe assai più complicato separare i resti dopo averli accumulati in unico vaso contenente liquido per il lavaggio.
Come hanno suggerito Renato Peroni (1989, pp. 318-322) e più recentemente Andrea Cardarelli (et alii 2006, p. 624), l‟adozione del rito crematorio sarebbe da mettere in relazione ad una diversa concezione ideologica dell‟aldilà e ad un diverso rapporto tra umano e divino. Attraverso il rogo funebre “il defunto sarebbe equiparato a vittima sacrificale dedicata alla divinità e, grazie alla combustione, liberato da ogni reminescenza terrena per assurgere alla sfera immateriale dove si colloca il divino. Per tale motivo può non esserci alcuna relazione tra il rituale funerario e la complessità sociale” (CARDARELLI et alii 2006, p. 624).
Rispetto alla negazione dei connotati sociali operata nelle cremazioni del Bronzo Medio e del Bronzo Recente attraverso l‟esclusione dei corredi e alla trasfigurazione completa del corpo del defunto da una forma umana ad un ammasso apparentemente indistinto di ossa e denti per liberarne lo spirito dalla materialità, potrebbe sembrare in apparente controtendenza la volontà di
riassemblarne anche parzialmente la forma anatomica. In altre parole, perché tanta cura dedicata ad un complesso rituale di passaggio e mutamento di forma dall‟immanente (umano) al trascendente (divino) per poi restituire al defunto (già “assurto”) un aspetto nuovamente “umano”?
Il contributo dell‟etnografia alla tematica di trattamento secondario delle ossa può in questo caso risultare significativo. Nella cultura hindu, ad esempio, le ceneri del defunto vengono addirittura gettate nel Gange, come a sancire definitivamente il distacco con la sostanza e la forma terrena. Essendo il Gange una manifestazione di Vishnu, la maggiore divinità hindu, è molto evidente come il gesto di disperdere i resti nel grande fiume rappresenti il ritorno presso la sfera “divina”.
Favole (2003) in un recente saggio di antropologia culturale sui rituali funebri argomenta così: “Se i significati della cremazione moderna oscillano tra una pratica meramente ecologica e un difficile tentativo di adattare un antico rito alle esigenze della società contemporanea, numerosi esempi etnografici pongono in primo piano ancora una volta la questione dei resti. In molte società i resti ossei della cremazione vengono accuratamente lavati, ripuliti, disposti secondo un preciso ordine prima di essere ritualmente deposti o dispersi”. Ad esempio : “A Bali, „in un delirio di urla, centinaia di mani frugano le ceneri, i più per recuperare le monetine, gli altri per raccogliere i piccoli frammenti di ossa che devono ricostituire l‟immagine del morto. Questi resti sono
accuratamente lavati in acqua sacra e portati su una piattaforma. Le donne officianti le collocano poi su una stoffa bianca (CHARRAS 1979)”. Oppure “I Quiché [del Guatemala] riunivano le ceneri e
impastandole con della gomma modellavano una statua a cui mettevano una maschera raffigurante i tratti del defunto, la statua veniva poi deposta nella tomba (HERTZ 1907)”. E ancora “Gli Khmer del
Thaï di cui parla Gauthier (2000) disegnavano le sembianze del defunto nelle sue ceneri ancora calde”. Ovviamente non possiamo immaginare nulla di simile per le necropoli in esame, data la difficoltà di ricostruire il rito in tutte le sue fasi; ricorre però in maniera trasversale a tante culture la volontà di ricomporre il simulacro del defunto, che non di rado viene conservato nelle abitazioni allo scopo di proteggere la casa e la famiglia da influssi negativi.
Altre pratiche di ricomposizione note archeologicamente ad esempio per la tarda età del bronzo danese, dove i resti cremati del defunto venivano distesi in un tessuto, mentre le armi e gli oggetti di corredo erano successivamente collocati nella posizione d‟uso (SØRENSEN -REBAY 2008).
E‟ possibile che certi aspetti della retrostruttura tradizionale inumatoria permangano come residue nel passaggio al rito crematorio, coincidente con la piena affermazione della civiltà terramaricola in Pianura Padana. In quest‟ottica la ricomposizione dei resti potrebbe non rappresentare una
contraddizione con la distruzione del corpo operata dalla cremazione, quanto piuttosto il risultato di una contaminazione tra nuove e vecchie concezioni o usanze.
La letteratura antropologica-archeologica è in generale abbastanza lacunosa per quanto concerne la posizione delle ossa all‟interno delle urne, poiché la metodologia del microscavo dei riempimenti viene raramente applicata. Non si può perciò escludere che la pratica di ricollocare i resti del cranio cremato in posizione anatomica fosse condotta endemicamente. Da contesti diversi da quelli
esaminati in questo studio, che non riportano dati a proposito della “ricomposizione” dei resti, sono state notate almeno chiare “rappresentazioni” anatomiche del defunto. Dagli scavi ottocenteschi della necropoli di Bovolone (COCCHI GENICK 2010, p. 152, tav. XII), proviene ad esempio un
cinerario decorato con un motivi a cuppelle e scanalature che insieme alle anse tubolari
rappresentano inequivocabilmente un volto umano, caratterizzato con occhi, naso e capelli67. Nelle necropoli ungheresi della media età del bronzo di Dunaújváros (KOVÁCS 1992) o Százhalombatta
(POROSZLAI 1992), riferibili alla cultura di Vatya, sono attestati alcuni cinerari la cui parete esterna
è decorata con tratti antropomorfi (braccia, petto) e persino le armi di pertinenza del defunto. In questo caso non viene sottolineata l‟identità fisica del defunto, ma l‟appartenenza ad una categoria di individui distinta per sesso e ruolo sociale.
Senza addentrarsi nella tematica dell‟iconografia del periodo, caratterizzata in generale da una stilizzazione delle forme, ben lontane da rappresentazioni naturalistiche, ci si limiterà a segnalare che questo tipo di attestazioni sono rarissime nell‟età del bronzo europea. Ad una quasi totale rigida aniconìa riscontrabile nei cinerari, nei corredi, nei segnacoli delle necropoli delle Terramare si contrappongono questi “unica” di non facile interpretazione.
Le osservazioni condotte sulla necropoli villanoviana di Borgo Panigale testimoniano invece un accentuarsi delle pratiche di “riumanizzazione” del defunto sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: l‟atto di ricollocare le ossa del cranio in posizione anatomica, che sotto questo aspetto documenta la continuità rituale con l‟età del bronzo, è applicato a quasi tutti gli individui, a prescindere anche in questo caso dal sesso e dall‟età. Parallelamente ai resti umani il processo ricostitutivo investe anche gli ossuari biconici, già di per sé stessi in una certa misura
rappresentativi della forma umana; il rinvenimento di fibule all‟esterno dei cinerari sono infatti la prova del rituale di vestizione dell‟urna che probabilmente veniva cinta da stoffa fissata attraverso delle fibule esattamente al di sotto dell‟orlo, come un mantello. La pratica di vestizione dell‟urna è d‟altro canto ben documentata a partire dal BF avanzato (Gazzo Ponte Nuovo; SALZANI 2007, p. 7- 112) e nelle necropoli emiliano-romagnole dell‟età del ferro di Bologna-via Belle Arti,
Casteldebole, Verucchio (PACCIARELLI -VON ELES c.d.s. come contributo generale; nello specifico dei singoli contesti GHINI et alii c.d.s., NEGRINI et alii c.d.s.).
Analogamente dall‟Etruria merdionale provengono numerosi esempi di tombe maschili databili al BF e al primo ferro che presentano un elmo fittile come copertura del cinerario (PACCIARELLI
2000). Anche in questo caso viene attribuito all‟ossuario la figura stilizzata del defunto, almeno nei suoi connotati guerrieri Va comunque sottolineato che la collocazione anatomica del cranio
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Allo stesso modo anche la tomba 182 di Casinalbo pertinente a femmina adulta potrebbe raffigurare un volto umano (Casinalbo c.d.s).
nell‟urna non era prerogativa di tutti gli individui. Per alcuni soggetti, a prescindere dal sesso o dall‟età, sia a Casinalbo sia a Borgo Panigale, non era seguito questo tipo di rituale: si tratta di una minoranza di tombe al cui interno i resti sono disposti senza alcuna logica individuabile, fatto salvo che l‟eventuale trasporto, manipolazione o sconvolgimento accidentale successivo alla deposizione non abbia cambiato la posizione originaria delle ossa. A Casinalbo il rituale della ricomposizione non veniva seguito per il 29,5% degli individui, in prevalenza femmine adulte, ma anche maschi adulti e subadulti; a Borgo Panigale, la percentuale è sensibilmente maggiore (44,4%): anche in questo caso si tratta in prevalenza di femmine adulte, ma anche di maschi adulti e subadulti (Figura 175).
Necropoli Tombe microscavate in più livelli deposizionali
Tombe con cranio in posizione anatomica
Tombe con resti non ricomposti Casinalbo N=138 70,5% (M Ad=33; F Ad=35; Ind Ad=6; Sub=22) 29,5% (M Ad=9; F Ad=14; Ind Ad=1; Sub=8) Borgo Panigale N=52 55,6% (M Ad=12; F Ad=16; Ind Ad=1; Sub=7) 44,4% (M Ad=5; F Ad=8; Ind Ad=1; Sub=2)
Figura 175. Frequenza delle tombe con resti ossei "ricomposti" nelle necropoli analizzate.
Il criterio secondo il quale una parte dei defunti non è interessata dalla ricomposizione dei frammenti potrebbe essere di carattere sociale (per individui meno importanti non si dedicava altrettanta cura?) o di carattere cronologico. In attesa di combinare i dati antropologici con quelli archeologici ci si limita qui a segnalare il fenomeno e a sottolinearne il valore.
Se da un lato non è stato possibile effettuare analisi sulla posizione delle ossa per Montata, Scalvinetto e Narde a causa del metodo di campionamento non stratigrafico, dall‟altro si dispone comunque del dato relativo alla quantità dei distretti scheletrici nei riempimenti. Ancora in rapporto alle ossa del cranio, per altro facilmente riconoscibili per forma fra tutte le altre ossa, è stata rilevata la presenza di tombe che ne contengono un quantitativo pressoché nullo ed altre che invece
contengono quasi esclusivamente ossa craniche, o comunque una quantità percentualmente molto più rilevante rispetto alla media che si attesta intorno al 15% del peso totale (cfr. § 4.1 – 4.5). Anche in questo caso si tratta di eccezioni, di deviazioni dalla norma che prevedeva la raccolta e deposizione di tutti i distretti scheletrici che “sopravvivevano” alla distruzione operata dal fuoco.
L‟evidenza di tombe a cremazione “acefale”, cioè prive di resti combusti relativi al cranio, potrebbe in qualche modo rimandare alle inumazioni prive del solo calvario o del cranio intero note già dal Neolitico68, ancor più frequenti nell‟età del Rame69 e per tutta l‟età del bronzo nella penisola e nell‟arco alpino, ma non assenti anche in tutto il resto d‟Europa (DE MARINIS 2003). Dalla necropoli di Bovolone, ad esempio, la tomba 1/1956 è priva del cranio, sostituito (o asportato?) dalla deposizione di una tomba a cremazione. Per questa tomba Raffele De Marinis suggeriva addirittura l‟ipotesi che, in mancanza di analisi antropologiche, potesse trattarsi di unico individuo il cui il cranio fosse stato cremato e il resto del corpo inumato (DE MARINIS 2003 p.28-29).
Il caso delle tombe di Bovolone è analizzato da Raffaele De Marinis in una trattazione più ampia delle attestazioni databili tra il Bronzo Antico e la prima età del ferro provenienti dall‟Italia settentrionale riferite ad una variegata gamma di rituali di asportazione o deposizione selettiva di crani sia in ambito funerario che abitativo (DE MARINIS 2003 p.28 e bibliografia annessa) .
Vengono citati dall‟autore numerosi casi di disarticolazione e dislocazione dei crani dalle sepolture originarie (tombe acefale e deposizioni selettive del cranio): Romagnano Loc, Mezzocorona Borgonovo, La Vela Valbusa, Riparo del Santuario di Lasino, Grotta del Maiale di Valbrona- Mandello, Alba per il BA; Stenico, Bovolone per il BM. L‟evidenza delle “tombe acefale” e delle “rondelle craniche”, cioè di elementi d‟ornamento prodotti da ossa di cranio umano, vengono messi in relazione con il ritrovamento di crani e altri resti umani in contesti abitativi palafitticoli e non palafitticoli, quando non privi di datazione, attribuibili al BA (Fimon, Lavagnone, Bande di Cavriana, Barche di Solferino, Cattaragna, Fiavè, Ledro, Lucone, Canàr, Dossetto di Nogara, Montorfano, Comarcia, Oiletta di Aselogna, Demorta e/o Bellanda), al BM e BR dalle terramare e altri abitati (Castione dei Marchesi, Montata, Montecchio, Marendole, Poviglio), e al BF-primo ferro (Lozzo Atestino, Este Morlungo, Este Canevedo). Se si comprendo dieci casi di elementi cranici rinvenuti nelle torbiere difficilmente databili ma probabilmente attribuibili al BA, le attestazioni di dislocazione del cranio sono trentasei. Ad esse si devono aggiungere i recenti ritrovamenti di sepolture prive del cranio provenienti dal tumulo di Sant'Eurosia (PR) databile al Bronzo Antico (BRONZONI et alii c.d.s.). Anche dall‟area della necropoli di Casinalbo proviene un cranio di inumato che fu rinvenuto durante gli scavi di Fernando Malavolti nel 1949-50. Tuttavia,
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Dai contesti neolitici in grotta compaiono talvolta strutture particolari come i “circoli di pietre” all‟interno dei quali potevano essere collocati crani, come alla Grotta delle Settecannelle, GNESUTTA UCELLI -
MALLEGNI 1988) o alla Grotta Continenza da dove provengono oltre alle inumazioni anche tre cremazioni (GRIFONI CREMONESI –MALLEGNI 1978; BARRA et alii 1989-90).
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La asportazione/deposizione selettiva dei crani è attestata alla Buca delle Fate Nord di Massarosa, alla Grotta del Tanaccio di Camaiore, alla Grotta della Penna Buia di Camaiore, (COCCHI –GRIFONI CREMONESI
non essendo nota la collocazione stratigrafica del ritrovamento, non si può attribuirlo con certezza alla necropoli del Bronzo Medio – Bronzo Recente.
Il medesimo approccio alla tematica dei crani è stato condotto anche su contesti funerari dell‟Italia centrale fra il Bronzo Antico e il Bronzo Medio da Daniela Cocchi (COCCHI GENICK 1996 p. 361- 373 con bibliografia annessa). Da contesti funerari in grotta sono noti vari casi di dislocazione selettiva del cranio: esempi di tale pratica provengono dalla Tanaccia di Brisighella (due crani), e dal complesso di Belverde di Cetona (in totale più di sei crani). Sebbene per quest‟ultimo
complesso tuttavia ogni singola cavità è difficilmente databile con precisione, le raccolte effettuate da Calzoni tra il 1927 e il 1941 sembrano essere state effettuate accuratamente, data la presenza di piccole ossa postcraniali nella collezione: dalla Grotta della Carbonaia proviene un cranio capovolto pieno di cenere, dalla Tombetta della Strada i frammenti di un cranio, dall‟Antro della Noce cinque crani capovolti, dall‟Antro del Poggetto alcuni crani capovolti di cui non viene specificato il
numero esatto e due mandibole di bambino.
Raffaele De Marinis e Daniela Cocchi sottolineano la valenza simbolica del cranio a scopo religioso, magico e cultuale (culto degli antenati), senza escludere l‟uso del cranio come trofeo o come materiale per la costruzione di amuleti (ad es. dischi e rotelle in osso). Tale interpretazione si innesta, oltre che sul confronto con la tradizione delle fonti classiche (Livio, Diodoro, Strabone citati da De Marinis), su alcune principali considerazioni di carattere archeologico: in primo luogo, almeno per l‟Italia centrale, l‟ambiente ipogeo naturale rappresenta già naturalmente un luogo di sepoltura particolare al cui interno, parallelamente all‟uso funerario, potevano essere condotti riti legati al culto degli antenati o ad altri culti legati alla sfera ctonia; il Monte Cetona per la sua
importanza a livello orografico e geografico nell‟area medio-tirrenica poteva rappresentare un luogo di culto per le comunità insediate in una vasta zona; per quanto concerne l‟Italia settentrionale la presenza non rara di crani in contesti d‟abitato fa pensare che essi fossero conservati come reliquie nelle abitazioni per il culto degli antenati o fuori da quelle per altre forme di religiosità.
Data la scarsità di analisi antropologiche sulle cremazioni, le ampie casistiche raccolte dai due autori comprendono quasi esclusivamente inumazioni70. Dal presente studio emerge con chiarezza che anche fra le cremazioni cronologicamente comprese tra il Bronzo Medio (non iniziale) e la prima età del ferro, alcuni individui erano soggetti a forme di ritualità specificatamente dedicate al cranio che prevedevano la selezione o l‟esclusione delle ossa craniche. Ciò potrebbe testimoniare che azioni rituali complesse di tradizione più antica sopravvivano alla “svolta” incineratoria che interessa la ritualità funeraria delle popolazioni dell‟Italia settentrionale durante la media e tarda età
del bronzo, forse proprio perché, come suggerivano Renato Peroni e Andrea Cardarelli, diverse espressioni locali del costume funerario possono non sottendere strutture economico-sociali differenti.