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POSTILLA

L’articolo del prof. Saraceno è stato pubblicato originariamente in Economia e Commercio, Organo dell’ Associazione dei laureati in economia e commercio, Anno I, numero 1, 15 maggio 1945, p. 28-42. Abbiamo ritenuto opportuno riprodurlo nella, nostra rivista, poiché esso ha avuto una diffusione assai scarsa tra gli studiosi, a motivo dei momento nel quale comparve e della circolazione forzatamente ristretta del periodico che lo pubblicò. Il testo qui riprodotto è stato riveduto dall’autore, il quale vi ha apportato, a parte minori modi­ ficazioni di forma-, alcuni ritocchi, allo scopo di rendere più evidente il suo pensiero senza modificarlo nella sostanza.

Quando il Saraceno scriveva, l'idea dell’ imposizione delle im­ prese sulla base del valore aggiunto era già stata formulata a diverse riprese. In Germania il von Siemens (Veredelte Umsatzsteuer, 1921) la proponeva come opportuna trasformazione di un’ imposta sul valore

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pieno di tutti gli scambi. Anche T.S. Adams, negli Stati Uniti (« Fundamental Problema of Federai Income Taxation», nel Quar-

terly Journal of Economics, voi. XXXV, agosto 1921) ne affermava

la superiorità rispetto ad un’ imposta sugli scambi, per l ’assenza del «pyram idin g» e delle discriminazioni tra imprese, e tra indir strie, integrate e non integrate. Ma per l’Adams l’argomento fonda- mentale a favore dell’ imposta sai valore aggiunto derivava dall’ op­ portunità 1) di tassare le imprese in modo da recuperare, mediante il criterio del beneficio, il costo dei servizi pubblici necessari pei offrire ad esse un mercato organizzato, e 2) di assumere il valore ag giunto come la misura più corretta del beneficio.

A ll’impostazione di T.S. Adams si ricollega esplicitamente Paul Studenski il cui articolo « Tovvard a Theory of Business Taxation » (nel Journal of Politicai Economi/, ottobre 1940) costituisce il prece­ dente immediato del lavoro del Saraceno. Altre proposte americane per una imposizione del valore aggiunto sono ricordate dallo Stu­ denski (op. cit., p. 650-652).

Il Saraceno prende in esame, ed accetta, argomenti analoghi a quelli di Adams e Studenski, ma nella storia dell’idea dell’imposi­ zione del valore aggiunto il suo articolo si distingue, se non erro, per essere l ’ unico contributo che lega la scelta della base valore aggiunto alle difficoltà che, nelle condizioni dell’economia contempo­ ranea, si incontrano quando si adotti per l’imposizione delle imprese la base reddito netto, con la conseguente necessità di assumere l’ au­ tonomia dei risultati di esercizio. In questo il Saraceno ha una posi­ zione originale rispetto a quella degli autori che hanno proposto pri­ ma di lui l’imposta sul valore aggiunto.

Inoltre, rispetto a coloro che in questo dopoguerra hanno ripreso, nelle analisi teoriche e nelle discussioni politiche, l ’idea dell’imposi­ zione sul valore aggiunto (buone rassegne si trovano in John F. Due,

Pales Taxation, 1957, e in F. Forte, « I l problema della scelta del

tipo di imposizione sulle vendite», Parte III, nella Rivista inter­

nazionale di scienze economiche e commerciali, gennaio 1962), il Sa

raceno si differenzia perchè propone la base del valore aggiunto pieno, senza detrazioni nè degli ammortamenti (e questo discende imme­ diatamente dal punto di partenza, costituito dalla critica dell’auto nonna dei^ risultati di esercizio) nè delle spese di investimento effet­ tuate nell’anno. In sostanza la soluzione del Saraceno (come quelle di Adams e di Studenski) condurrebbe a tassare tutto il prodotto nazionale lordo, mentre con la detrazione degli ammortamenti si

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colpirebbe il prodotto nazionale netto, e con la detrazione degli in­ vestimenti il consumo nazionale (incluso il logorio dei beni durevoli di consumo).

Non è questa la sede per una valutazione critica, dei diversi tipi di imposte sul valore aggiunto. Sarà sufficiente osservare die il tipo proposto dal Saraceno è lo strumento della distribuzione del carico tributario secondo la logica del reddito lordo da ammortamenti. Lo si può pertanto criticare solo in quanto si discuta, come si può discu tere, tale logica.

L ’imposta sul valore aggiunto con detrazione degli ammorta menti rientra invece, ovviamente, nella logica della distribuzione tributaria secondo il reddito netto, e, se si accetta questa logica, non sembrano affatto chiari i vantaggi dell’imposta sul valore aggiunto rispetto alle vecchie imposte sul reddito netto, come la nostra im­ posta di ricchezza mobile.

Infine, l’ imposta sul valore aggiunto con detrazione degli inve­ stimenti (quale esiste in Francia-, e quale è stata proposta per tutti i paesi della Comunità economica europea dal Rapporto del Gomitato

fiscale e finanziario presieduto dal prof. Neumark — rapporto pre­

sentato alla Commissione della CEE nel 1962) rientra nella logica della distribuzione secondo il reddito consumato e in questa logica non sono, di nuovo, chiari i vantaggi di tale tipo di imposta sul valore aggiunto rispetto a un’ imposta sugli scambi a un solo stadio, o anche a due stadi quanto più vicini possibili all’immissione dei beni al consumo finale. In effetti anche il rapporto Neumark (op. cit., p. 43-41) ritiene preferibile l’imposta sul valore aggiunto all’imposta sulla cifra d’affari nella fase del commercio al dettaglio, soltanto in base a considerazioni, sommarie e discutibili, relative alle difficol­ tà di amministrazione che sarebbero maggiori per l ’imposta sul com­ mercio al dettaglio. Per l’ inesistenza di ragioni a favore dell’imposta sul valore aggiunto (netto dagli investimenti) rispetto all’imposta sopra un solo stadio (nel caso, la purchase taso britannica applicata sulle vendite dei grossisti), ha concluso, dopo un accurato esame, anche il recente rapporto del comitato Kiehardson presentato al Cancelliere dello Scacchiere nel febbraio 1964 (Report of thè Gom-

mittee on Turnover Taxation, Cmnd. 2300).

IL CONTENUTO DEL D IRITTO PENALE TRIBU TARIO (*)

Som m ario: 1. Pene criminali e pene fiscali. — 2. Il differenziamento fra diritto criminale e diritto penale tributario. — 3. Le esigenze della amministra­ zione finanziaria e il diritto punitivo tributario. — 4. L’unità del diritto penale tributarlo. — 5. L ’integrazione analogica del diritto penale tribu­ tario. — 6. La somiglianza tra le pene fiscali e le pene criminali. — 7. I limiti della analogia in materia penale tributaria. — 8. Principi regolari e principi eccezionali nel diritto penale tributaro.

1. La legge 7 gennaio 1929 n. 4 che prevede « norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie » all’art. 2 stabilisce : « Costituisce delitto o contravvenzione la violazione di una norma, contenuta nelle leggi finanziarie, per la quale è stabilita una delle pene prevedute dal codice penale per i delitti o, rispettivamente, per le contravvenzioni ». Questa disposizione si richiama al noto arti­ colo 39 c.p., che differenzia i delitti dalle contravvenzioni in base alla natura delle pene minacciate. I « reati » tributari, dunque, sono ca ­ ratterizzati dal fatto di essere colpiti dalle stesse pene previste dal codice penale per i reati comuni, e in base alla natura di esse pene, i reati tributari si distinguono in delitti tributari ed in contravven­ zioni tributarie.

A sua volta il criterio formale adottato dall’ art. 39 c.p. ha co ­ stituito il punto di arrivo di un lungo dibattito, che si era acceso in seguito all’abolizione del contenzioso amministrativo e delle speciali giurisdizioni penali, operata dalla legge 20 marzo 1865, ed al conse­ guente passaggio dei giudizi sulle contravvenzioni amministrative dalla competenza del potere esecutivo a quella del potere giudiziario. Nessuna disposizione di legge stabiliva allora che il differenziamento fra delitti e contravvenzioni avvenisse in base alla natura deile pene minacciate (1). Nè la dottrina poteva procedere al differenziamento

(*) il

Francesco Antolisei.presente articolo è destinato alla raccolta di studi in onore del prof. i s s o / 1! 1 delle disposizioni di attuazione del codice Zanardelli (del issa) stabiliva che «per determinare se un reato... sia un delitto ovvero una h! ? ! ! ? 611” 6’/ ? si deve aver riguardo alla pena, ma soltanto al carattere d 1 reato, secondo la distinzione fatta nel codice penale ».

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stesso mediante tale criterio, dal momento che le leggi tributarie avevano di volta' in volta indicato le pene delle singole infrazioni adottando indifferenziatamente i termini « multa », « ammenda », « pena pecuniaria », « sopratassa » o consimili (2). La dottrina era dunque stata costretta a ricercare presunti caratteri ontologici, che contrassegnassero i delitti, e le contravvenzioni. I criteri sostanziali del differenziamento vennero poi ulteriormente elaborati, e, da un gruppo di giuristi, sono ritenuti tuttora rilevanti (3). Detti criteri co me è noto, si aggirano attorno all’idea che i delitti offendono la si­ curezza del privato o della società, e quindi costituiscano fatti moral­ mente riprovevoli (mala in se), mentre le contravvenzioni v io lii" soltanto leggi destinate a promuovere il pubblico bene (mala quia

prohibita) (4); che i delitti producano una lesione giuridica mentre

le contravvenzioni pur di per sè innocue, presentino un pericolo per la pubblica utilità o per l'altrui diritto (5) ; che i delitti offendano le condizioni primarie, essenziali, e, quindi, permanenti della vita sociale, mentre le contravvenzioni offendano le condizioni seconda­ rie, accessorie, e, perciò, contingenti (6), ovvero le condizioni di am­ biente della convivenza stessa (7) : che le contravvenzioni contrastino all’interesse amministrativo dello Stato (8) oppure rappresentino le 2 3 4 * 6 7 8

(2) Cit. in Malinverni, Principi di diritto penale tributario, 1962 n lo

nota 5.

(3) Quadro delle varie con cezion i in Antolisei, Manuale di dir. pen.,

parte generale, 5‘ ed., 1963, p. 135 e in Ma n zin i, Trattato di dir. pen. it voi I

4‘ ed., 1961, p. 619.

(4) Beccarla, Dei delitti e delle pene, in Opere, 1821-22, voi. I, p. 8 s. ; Carmignani, Teoria delle leggi, della sicurezza sociale, 1845, voi. I l i , p. 49

147 s. ; Carrara, Programma del corso di dir. pen., parte generale, voi. I, 1877, par. 150; Brusa, Saggio di una teoria generale del reato, 1884, par. 30 's.

_ (5) Relazione Ministeriale sul progetto di codice penale del 1887, 1887, I, n. XIV, p. 57 s. Il Feuerbach, Lehrbuch des gemeinen in Deutschland gültigen

peinlichen Rechts, 1847, par. 22, aveva sostenuto che le contravvenzioni ledono

solo il diritto oggettivo, mentre i delitti ledono immediatamente un diritto soggettivo. Il Bixding, Die Normen und ihre Übertretung, 1822, voi. I, par. 54, n. 4, ha sostenuto che le contravvenzioni costituiscono una mera disobbedienza alla norma giuridica, che può creare un pericolo ma non un pregiudizio per il bene giuridico.

(6) 1 m pallom en i, Contributo alla nozione delle contravvenzioni, in Cass.

unica, 1905, p. 737 ; Vannini, La contravvenzione dal punto di vista del suo

elemento soggettivo, in Raccolta di alcuni scritti minori, 1952, p. 579.

(7) Carnevale, La lesione dei beni giuridici nelle contravvenzioni, in

Giust. pen., 1906, c. 1385, ed in Dir. criminale, 1932, III, p. 167; Id., Concetto e

analisi della contravvenzione, in Studi Senesi, 1905, p. 284; 1907, p. 36, ed in

Dir. criminale, cit., p. 167. L ’Angeloni, La contravvenzione, 1953. p. 12.' rileva

che le contravvenzioni si presentano in funzione del progresso sociale, di nuovi bisogni, del perfezionamento dei pubblici ordinamenti.

(8) Rocco Art., L’oggetto del reato e della tutela giuridica penale, 1913. nn. 107-115 ed in Opere giuridiche, 1932, p. 347 s .; Santi Romano, Diritto

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offese meno gravi degli interessi amministrativi (9) ; che i delitti siano colposi o dolosi, mentre le contravvenzioni richiedano solo la volontarietà dell’ azione o della omissione (10). Infine, sono stati esco­ gitati criteri complessi, che risultano essenzialmente dalla combina­ zione fra alcuni di quelli ora ricordati (11). Ognuno dei criteri ri chiamati, peraltro, ha prestato facilmente il fianco alla critica. Inoltre, si è rilevato che, di fronte alla sicura indicazione formale dell’arti­ colo 39 c.p., le discussioni circa diversità sostanziali tra- delitti e con­ travvenzioni non presentavano interesse pratico (12).

L ’art. 2 della ricordata legge n. 4 del 1929, col riferirsi anch’ esso all’elemento formale della natura della pena, sembrava precludere ogni ulteriore possibilità di dibattito anche nel settore del diritto pe­ nale tributario. E ciò sia nei riguardi del differenziamento fra de litti e contravvenzioni, sia relativamente al differenziamento fra reati tributari, appunto caratterizzati dalle sanzioni criminali, proprie dei reati e delle contravvenzioni, e gli altri illeciti tributari, caratteriz­ zati da sanzioni non criminali, dette amministrative o civili. A sua volta, la specie, criminale od amministrativa o civile delle sanzioni, 9 10 11 12

amministrativo, 1932, p. 12; Ranieri, Manuale di dir. pen., parte generale,

3S ed., 1956, p. 103. Per il netto differenziamento fra i delitti elle ledono diritti oggettivi od altri beni giuridicamente protetti, e le contravvenzioni, che offen­ dono semplici interessi amministrativi, si era pronunciato il Goldschmidt J.,

Verwaltungstrafrecht im Verhältnis zur modernen Staats und Rechtslehre. 1902

p. 553.

(9) Gr is p ig n i, Dir. pen. it., voi. I, 2a ed., 1947, n. 24.

(10) Panxain, Della buona fede e dell'elemento soggettivo nelle contrav­

venzioni, in Annali di dir. e proc. pen., 1935, p. 202; Id.. Manuale di dir. pen ,

parte generale, .3* ed., 1962, p. 403; Saltelli-Romano di Falco, Commento teo­

rico-pratico del nuovo codice penale, voi. I, 3* ed., Ì956, p. 237; Maggiore,

Dir. pen., parte generale, voi. I, 5a ed., 1955, p. 257 ; BattaglisiE., Osservazioni

sull’elemento psicologico delle contravvenzioni, in Giust. pen., 1938, II, c. 1028. (11) Petrocelli, Principi di dir. pen., 1955, p. 193; Manzini, op. cit.,

voi. I, p. 626.

(12) I criteri escogitati sfociano nella constatazione che, in linea generale, le contravvenzioni costituiscono illeciti meno gravi dei delitti (Ferri, La co-

indetta volontarietà delie contravvenzioni, in Scuola pos., 1891, voi. I, p. 1 s. ;

Bettiol, Dir. pen., parte generale, 5a ed., 1902, p. 151; Antolisei, op. cit., p. 134).

Il Frosali, Sistema pen. it., voi. I, 1958, n. 164, conclude rilevando che il pieteso carattere sostanziale dei delitti e delle contravvenzioni (come in genere quello del reato nei confronti con gli altri illeciti) può essere scorto solo dopo cne e stato già apprezzato dagli organi statali, ¿'unico differenziamento sicu­ ro rimane dunque quello fondato su di un carattere formale, attinente alla natura della pena. Cfr. anche Maggiore, Dir. pen., parte generale, cit., p. 220;

Massari, Le dottrine generali del diritto penale, 1930. p. 245; Antolisei, op. cit.,

p. 135; Frosali, op. cit., n. 165 (con osservazioni circa i rapporti fra il criterio

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sembrava consentire un chiaro differenziamento anche fra il diritto penale criminale, il diritto amministrativo, e il diritto civile (13).

La determinazione del contenuto del diritto penale tributario, pe­ raltro, presenta difficoltà che il criterio formale attinente alla natura delle pene non può risolvere.

La comprensione di queste difficoltà rimane agevolata conside­ rando che la materia delle infrazioni finanziarie non solamente è stata per lungo tempo, ed è tuttora, contesa fra differenti branche del diritto, ma ha subito, in seguito a precise disposizioni di legge, effettivi spostamenti dall’una all’ altra delle branche stesse; ed, inol­ tre, tenendo presente che le leggi hanno anche creato, e vanno via via costruendo, nuove figure di infrazioni, la cui sistemazione in que­ sta o in quella branca giuridica presenta sempre nuovi problemi. La storia delle contravvenzioni, invero, si inizia con gli statuti dell’epoca intermedia, i quali andarono fissando una grande quan­ tità di precetti penali concernenti gli interessi delle corporazioni, l ’an­ nona, l’ edilizia, le comunicazioni e i trasporti, la polizia di sicurezza e così via; interessi che erano sorti con l ’evoluzione dei tempi, e non trovavano protezione nel diritto comune. Si era così formato un nuo­ vo corpo di norme statutarie penali distinte dalle vecchie ed ancora valide leggi penali, e quindi, si era delineato un differenziamento fra le rispettive categorie di infrazioni, sfociato poi nella distinzione tra contravvenzioni e delitti (14). Le contravvenzioni costituivano al­ lora materia di polizia o di finanza, erano irrogate da organi ammi­ nistrativi e perciò si ritenevano caratterizzate da una natura ammi­ nistrativa (15). Ma appunto l ’abolizione del contenzioso amministra­ tivo e delle giurisdizioni penali speciali, ed il conseguente passaggio 13 14 15

(13) Antolisei, op. cit., p. 123-124; P.ettiol, op. cit., p. 189-190.

(14) Ma n zin i, op. cit., voi. I, p. 621. Il diritto comune regolava mate­

ria che si diceva attinente al diritto naturale, ed era anche perciò differenziato dal diritto municipale, Sabatini Gi u s., Le contravvenzioni nel diritto penale

vigente, 1961, p. 6, con cit.

(15) Goldschmidt J., op. cit., p. 153; Id., Le contravvenzioni e la teoria del diritto penale amministrativo, in Riv. pen., 1925, p. 413. L ’orientamento

del Goldschmidt influì sul pensiero del Rocco Art., Sul cosidetto diritto pena­ le amministrativo, in Riv. dir. pub., 1909, I, p. 385 s. Questo giurista rico­

nobbe infatti che le contravvenzioni minacciavano un interesse amministrativo dello Stato e che, sotto tale profilo, potevano essere denominate «reati ammi­ nistrativi », e dare corpo ad un « diritto penale amministrativo », anche se con­ cluse riaffermandone la natura sostanziale di reati e l ’appartenenza al vero e proprio diritto penale. Il Longhi, Sul cosidetto diritto penale amministrativo,

in Riv. dir. pub., 1911, I, p. 354, invece, esclude dal diritto penale le con­ travvenzioni per le quali non avesse origine un’azione penale in quanto fossero represse con sanzioni penali sottoposte a condizione .(mancata oblazione, com­ ponimento amministrativo, ingiunzione, etc.).

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-dei giudizi sulle contravvenzioni delia competenza, del potere ese­ cutivo a quella del potere giudiziario, tolsero gran parte di fonda mento all’ idea che le contravvenzioni avessero natura amministra­ tiva e non penale (10). Una larga parte delle infrazioni contravven­ zionali, assoggettate a pene criminali irroga te dall’autorità giudiziaria mediante processo, entrarono dunque a far parte dei veri e propri reati.

La pubblica amministrazione, peraltro, a malincuore si è vista privare del potere di irrogare sanzioni, e quindi ha sempre premuto affinchè, a fianco delle infrazioni passate nella sfera del diritto cri­ minale, venissero configurati nuovi tipi di infrazioni, assoggettati a sanzioni non criminali, la cui irrogazione fosse demandata alla pub­ blica amministrazione stessa. E ciò è stato realizzato appunto nel set­ tore delle infrazioni tributarie.

La legge n. 4 del 1929, dopo aver definito, con l ’ articolo 2, i delitti e le contravvenzioni, ed avere così delineato l ’ ambito del diritto tributario di indubbia natura criminale, con gli artt. 3 e 5 ha risuscitato pene di natura non criminale, e ne ha demandata la applicazione ad organi della amministrazione finanziaria. Con l ’art. 3 la legge in esame ha disposto : « Le leggi finanziarie stabili­ scono quando dalla violazione delle norme in essa contenute e che non costituisca reato, sorga, per il trasgressore, l’obbligazione al pagamento di una somma a titolo di pena pecuniaria a favore dello Stato. L ’obbligazione ha carattere civile ». E con l’art. 5 la predetta legge ha aggiunto : « Per le violazioni prevedute negli artt. 2 e 3 le leggi finanziarie possono stabilire, in aggiunta alle sanzioni ivi indi­ cate, che il trasgressore sia obbligato al pagamento di una sopratassa a favore dello Stato... L ’obbligazione al pagamento della sopratassa, ha carattere civile ». La competenza per la violazione delle leggi finan­ ziarie per le quali sia stabilita la « pena, pecuniaria » è attribuita al- 1 intendente di finanza (art. 55) (17) ; l’irrogazione della sopratassa * •

(16) Il fatto si è recentemente ripetuto relativamente alle principali mi- sure di polizia (sorveglianza speciale, divieto di soggiorno, e confino). Sino a

e esse venivano deliberate daH’Amministrazione mediante organi propri, la aottrma aveva modo di sostenere che esse si differenziavano dalle pene

crimi-• l:aratterizzate dall’essere applicate dall’autorità giudiziaria con le garan- “ Procedimento penale. Con la L. 27 dicembre 1906, n. 1423, emanata per

r ... ,re norme del T.U. di pubblica sicurezza con l’art. 13 della

cosmuzione, 1 applicazione delle predette sanzioni è stata demandata all’auto- giudiziaria che vi provvede mediante processo, ed è svanito il criterio fforenziale escogitato dalla dottrina. In arg. v. Antoi.ise i, op. cit., p. 8.

. . l’ , intendente di finanza, ha altresi competenza per le

con-— 192 con-—

spetta agli stessi organi amministrativi che applicano il tributo e può essere flnanco rimessa all’esattore (18). La « pena pecuniaria » e la « sopratassa », si presentano dunque quali pene « fiscali » che sem­ brano contrapporsi alle « pene criminali » della « multa » e della « ammenda ».

2. Sulla base del differenziamento fra le « pene criminali », pre­ viste dal codice penale o dalle leggi complementari (fra le quali sono da includere le leggi finanziarie), da un lato e le « pene fiscali » pre­ viste da alcune disposizioni di leggi finanziarie dall’ altro, si sviluppa l ’ idea che, di fronte ai « delitti » ed alle « contravvenzioni » caratte­ rizzate dalle « pene criminali » della multa e dell’ammenda, si pon­ ga una distinta categoria di « trasgressioni » tributarie, caratterizzate dalle « pene fiscali » della « pena pecuniaria » e della « sopratassa ». A ll’illecito « criminale », viene così contrapposto un « illecito ammi­ nistrativo », o, addirittura, sulla traccia della lettera degli artt. 3 e 5 della legge n. 4, un illecito « civile ». A loro volta le sanzioni civili del risarcimento del danno (art. 2043 c.c.) e, in particolare, della clausola penale (art. 1382 c.c.) vedono porre al loro fianco l ’il­ lecito fiscale punito con sopratassa, ed anche con pena pecuniaria ; oppure, la classe degli illeciti fiscali, per chi ritenga trattarsi di il­ leciti amministrativi, si trova spinta verso il settore delle infrazioni processuali, professionali o disciplinari appunto qualificate come « am­ ministrative », e confusa con esso (19).

La netta divisione fra veri e propri reati tributari, e trasgres­ sioni

fiscal

i-amministrative, porta, quale necessaria conseguenza, che il contenuto del diritto penale-criminale tributario si dovrebbe limi- * 18 19

travventore sta obbligato al pagamento di una sopratassa (art. 21 n. 1 Legge n. 4 del 1929). Inoltre l ’intendente ha competenza per le violazioni alle leggi finanziarie per le quali è fissata la multa non superiore nel massimo a lire 100

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