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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1964, Anno 23, n.2, giugno

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GIUGNO 1964 Pubblicazione trimestrale Anno XXIII - N. 2 S ped izione in abbonamento poetate G ruppo I V

R IVISTA DI D IR IT TO F IN A N ZIA R IO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

(e

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO FINANZIARIO)

D I R E Z I O N E

A C H IL L E D. G IA N N IN I f L U I G I E I N A U D I

D E L L ’ U N I V E R S I T À D I T O R I N O

GIAN ANTONIO MICHELI

(2)

Pubblicazione sotto gli auspici della Camera di Commercio di Pavia e dell’Istituto di diritto pubblico della Facoltà di giurisprudenza

dell’Università di Roma

La Redazion e è a Pavia, Istituto di Finanza presso l’Università e la

Camera di Commercio, Strada Nuova 65. Ad essa debbono essere inviati

bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia. Redattore, pror. Franco Volpi, l.d. Università di Pavia.

Redattore Capo: prof. Francesco Forte - Università di Torino

Laboratorio di Economia, Facoltà di Giurisprudenza, via Carlo Alberto, 10.

Condizioni di abbonamento per il 1964

Abbonamento annuo L. 4.000

E s t e r o ... » 4.500 Fascicoli arretrati . » 1.500 E s t e r o ... » 1.800 Annate arretrate L. 4.000 (Estero L. 4.500)

n ,,m ^ ’a ab? i ameiìt0 decorre dal 10 gennaio di ogni anno e dà diritto a tutti i numeri dell annata, compresi quelli già pubblicati.

Il pagamento può effettuarsi direttamente all’editore, anche con versamento sul conto corrente postale 3/17986, indicando a tergo del modulo, in modo leggi­ bile, nome, cognome e indirizzo dell’abbonato; oppure presso i suoi agenti a ciò autorizzati. Il rinnovo dell’abbonamento deve essere effettuato entra il 15 marzo di ogm anno. Trascorso tale termine l’amministrazione provvede diret­ tamente all incasso nella maniera più conveniente, addebitando le spese relative. Le richieste di cambiamento di indirizzo devono essere accompagnate dal- 1 importo di L. 70 in francobolli.

I fascicoli non pervenuti all’abbonato devono essere reclamati entro 10 giorni dal ricevimento del fascicolo successivo. Decorso tale termine, non si spediscono che contro rimessa dell’importo.

Gli abbonamenti che non saranno disdetti entro il 10 dicembre di ciascun anno si intenderanno tacitamente rinnovati per l’anno successivo. L’abbonamento pero non può essere disdetto se l’abbonato non è al corrente con i pagamenti.

Per ogni effetto l’abbonato elegge domicilio presso l’amministrazione della rivista.

ABBONAMENTI CUMULATIVI: Gli abbonati alla Rivista di Diritto Finan- ziario e Scienza delle Finanze, in regola con il pagamento, hanno diritto ad una riduzione del 10 % sugli abbonamenti alla Rivista dei Dottori Commercia- listi ecl a II Diritto fallimentare e delle società commerciali, edite dalla Casa Dott. A. Giuffrè.

Ai collaboratori saranno inviati gratuitamente 50 estratti dei loro saggi Copie supplementari eventualmente richieste all’atto del licenziamento delle bozze verranno fornite a prezzo di costo. La maggiore spesa per le correzioni straordinarie è a carico dell’autore.

Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 5083 del 6-10-59 Direttore responsabile: Francesco Forte

(3)

INDICE-SOMMARIO

P A R T E P R I M A

Pasquale Saraceno - L'imposizione dei redditi di R.M. Cat. B nell’ attuale

situazione economica (con p o stilla di Sergio Steve) ... Alessandro Malinvebni - Il contenuto del diritto penale tributario .

Marco Vitale - Imposta sui dividendi: distribuzione del sopraprezzo azio­

nario ed altri trucchi (riflessioni su esperienze italiane e straniere)

Angelo Manganiselo - Le contravvenzioni doganali... 167 187 218 249

APPUNTI E RASSEGNE

Libero Blasi - Il reddito derivante dai contratti di appalto e l’art. 16 del

T.U. imposte d i r e t t e ...281

Renato Ricci - Rassegna legislativa in materia finanziaria . . . . 290

RECENSIONI

Carmelo Barillaro - L ’imposta sugli incrementi di valore delle aree edifi-

cabili. — Giovanni Masucci e Pietro Rocco di Torrepadula - Aree

fabbricabili. — Oliviero Bosisio - L’ imposta sulle aree fabbricabili.

— Tomaso Corrado - L’ imposta sugli incrementi di valori delle aree

fabbrcabili ed il contributo di miglioria specifica. — Francesco Ta m-

borrino - Come si applica l’imposta sulle aree fabbricabili. — Nicolò Gibiino e Giu se ppe Montalto - L’ imposta sugli incrementi di valore

delle aree edificabili - Il contributo di miglioria specifica (Andrea

F e d e l e ) ... ...

Banking and Monetary Studies, In Commemoration o f the Centennial of the National Banking System (Rolando V a l l a n i ) ...

314 318

ALTRE OPERE RICEVUTE ... RASSEGNA DI PUBBLICAZIONI RECENTI

322 325

P A R T E S E C O N D A

NOTE A SENTENZE

Giorgio Lombardi - Principio costituzionale dell’ indipendenza del giudice

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Benedetto Cocivera - Un interessante caso clinico in tema eli « disapplica­

zione » per incostituzionalità del T.U. concernente la disciplina fiscale degli oli di s e m i ... 129

G. A. Micheli - Osservazioni in tema di « manifesta infondatezza » della

Questione relativa alla retroattività della legge tributaria . . . . 157

Gaspare Falsitta - Realizzo di plusvalenze mediante « apporto » di azienda

individuale o s o c i a l e ...170 Francesco Serrano- L'assegno bancario nel passivo ereditario secondo la

legge tributaria sulle successioni ... / . 186

SENTENZE ANNOTATE

Commissioni speciali tributarie - Composizione - Funzionamento degli uffici tecnici erariali - Eccezione di illegittimità costituzionale - In­ fondatezza (Corte Cost., 13 luglio 1963, n. 132) (con nota di G. Lo m­ bardi) ... 107

Imposta di fabbricazione oli di semi - T.U. approvato con D.P.R. 22 di­ cembre 1954, n. 1217 - Incostituzionalità del T.U. - Effetto abroga­ tivo del D.L. 30 ottobre 1952, n. 1323 (conv. in L. 20 dicembre 1952, n. 2385) - Venir meno dell’abrogazione in seguito alla pronuncia di in­ costituzionalità (Cass. pen., 22 maggio 1963, n. 1963) (con nota di B. Cocivera) ... ' 129 Tributi locali - Imposizione sugli incrementi di valore delle aree fabbri­

cabili - Contestazione della potestà del Comune - Giurisdizione del Consiglio di Stato.

Imposta sull’incremento di valore delle aree fabbricabili - Legge 5 marzo 1963, n. 246, art. 25 - Questioni di legittimità costituzionale per con­ trasto con l’art.' 23 Cost. - Manifesta infondatezza.

Imposta sull’incremento di valore delle aree fabbricabili - Legge 5 marzo 1963, n. 246. art. 25 - Questione di legittimità costituzionale per con­ trasto con gli artt. 3 e 53 Cost. - Manifesta infondatezza (Cons. Stato, 14 dicembre 1963, n. 1058) (con nota di G.A. Mich eli) ... 157 Ricchezza mobile - Concentrazione di società di persone e di società di

capitali - Apporto di azienda in corrispettivo di azioni - Tassabilità dell’avviamento - Sussiste (Comm. Centr., Sez. I , 23 ottobre 1963, n. 60667) (con nota di G. Falsitta) . ...HO Imposta di successione - Debiti ammessi in detrazione - Assegni in conto

corrente - Non detraibili (Cass., Sez. I, 16 maggio 1963, n. 1234) (con nota di F. Serbano) ... 186

194

(5)

IN I T A L I A 190 F I L I A L I

A L L ’ E S T E R O R A P P R E S E N T A N Z E A F R A N G O F O R T E S / M

LONDRA PARIGI ZURIGO T U T T E LE O P E R A Z I O N I E D I S E R V I Z I D I B A N C A B O R S A C A M B I O C R E D I T O F O N D I A R I O C R E D I T O A G R A R I O

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CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO

FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA DELLA UNIVERSITÀ DI ROMA

I S T I T U T O DI E C O NOMI A E F I N A N Z A

S T U D I D I F I N A N Z A P U B B L I C A

2

S T A T O

D E I

L A V O R I

D E L L A

COMMISSIOiNE PER LO STUDIO

DELLA RIFORMA TRIRUTARIA

Si n t e s i d e i l a v o r i: Premessa - La determinazione dell’ obbligazione tributaria - L'imposta unica personale sul reddito globale - L'imposta ordinaria sul patrimo­ nio - L’ imposizione degli incrementi patrimoniali - La imposizione delle società - L ’ imposta sulle successioni - L'imposizione dei consumi - Il problema della finanza locale - Piano per una graduale applicazione della ri­ forma.

Volume in 8°, p. VII-335 ...L. 2500

DELLA STESSA COLLANA:

1. Pedone A ., Il sistema tributario e la concentrazione indu­

striale. 8°, p. 193, con numerose tabelle, L. 1400.

371

(7)

CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO M A TTE O V IZ Z IN I

F A B B R I C A T I

E T E R R E N I

NELL’ IM POSIZIONE D IR E T T A

E R A R I A L E

Aggiornamento al 31 agosto 1963

L ’im p o s t a s u l reddito dei f a b b r ic a t i: Oggetto dell’imposta - Sog­ getto dell’imposta - Redditi imponibili - Accertamento - Rendite catastali - Notificazioni - Oneri tributari - Ricorsi contro le ri­ sultanze dei ruoli - Esenzioni oggettive - Esenzioni soggettive.

Le im p o s t e s u i redditi d o m in ic a l e ed a g r a r io: Oggetto delle im­ poste - Accertamento - Soggetto passivo - Esenzioni permanenti - Esenzioni temporanee - Variazioni dei redditi catastali - Sgra­ vio per infortuni non contemplati nella formazione delle tariffe d’estimo, per eventi naturali di carattere eccezionale e per man­ cata coltivazione dei fondi - Aliquote, termini per l’accertamento notificazioni, ricorso, espropri.

Sa n z io n i - Co n te n zio so - Risc o ssio n e - Ap pe n d ic e.

(1964), voi. in 8% pag. X 1 I - 5 1 9 ... L. 3,500

343 _______________________

(8)

CASA EDITRICE DOTT. ANTONINO GIUFFRÈ - MILANO VINCENZO NAPOLETANO

D I Z I O N A R I O

BI BLI OGRAF I CO

DELLE

R I V I S T E

G I U R I D I C H E

I T A L I A N E

1 9 5 7 - 1 9 6 1

In appendice:

i volumi giuridici del quinquennio.

8°, p. LXVII-1564, rii. tela, L. 12.000.

DIZI ONARIO BIBLI OGRAFICO delle Riviste giuridiche italiane su leggi vigenti (1865 1954), 8°, p. XXIII-2028, rii.

t e l a ... L. 10.000 Volume unico con appendice agg. a tutto il 1956, 8°, p. XXIII-2028,

p. IX-456, rii. tela ... L. 12.000

* Dizionario bibliografico che si rinnova, si perfeziona, si completa ad ogni

edizione annuale, di ausilio prezioso al giurista, al professionista, al pubblicista

qualificato: di impostazione perfetta, di pari realizzazione tipografica » .

(Nu o v a Riv is t a t r ib u t a r ia. 7. 19Ó9)

l

(9)

C E N T R O I T A L I A NO

DI STUDI FINANZIARI

S O T T O L ' A L T O P A T R O N A T O

D E L P R E S I D E N T E D E L L A R E P U B B L I C A

COMITATO D ’ ONORE

Sen. Dr. C. Me r z a g o r a On. Dr. B. Bu c.c i a r e l l i-D ucei PKES. D E I SENATO DELLA REPUBBLICA PRESIDENTE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

® •

Il Centro Italiano di Studi Finanziari ha istituito un secondo Premio biennale «A n ton io De Viti De M arco» di L. 2.000.000 (duemilioni), da assegnare ad un lavoro che apporti un sostanziale contributo ai problemi della finanza pubblica.

Al Premio potranno partecipare tutti i Titolari di Materie F i­ nanziarie e Studiosi di chiara fama.

Il vincitore del Premio avrà l'altissimo onore di ricevere una Medaglia d Oro dal Presidente della Repubblica italiana, in occa­

sione di una apposita cerimonia per il conferimento del suindicato Premio.

I lavori da valutare, devono essere stati pubblicati dal 1° Gen­

naio 195’, - 30 Settembre 19GJ, (termine del bando), e dovranno per

(10)

B

A

N

C

A

COMMERCIALE

ITALIANA

BANCA DI INTERESSE NAZIONALE

Capitale sociale L. 20.G00.000.0C0 • Riserva L. 8.400.000.000

(11)

L ’IMPOSIZIONE DEI R E D D IT I D I R.M. OAT. B NELL’ ATTUALE SITUAZIONE ECONOMICA

]. Condizioni alle quali l’ autonomìa dei risultati di esercizio, non

ammissibile in linea astratta, può essere accettata ai fini pratici dell'imposizione dei redditi aziendali.

»Se di fronte alla straordinaria e crescente complessità dei bilanci aziendali del nostro tempo noi volessimo sinteticamente esprimere il carattere dei valori che compaiono in tali documenti, non si po­ trebbe far di meglio, ancor oggi, che richiamare le osservazioni fatte in materia dal Pantaleoni (1) circa mezzo secolo fa, quando l ’ odierna complessa problematica delle valutazioni di bilancio neppure si profilava.

Gli stessi concetti di quel saggio magistrale esprimono e svilup­ pano oggi, sostanzialmente, gli anziendalisti quando rilevano che un bilancio di esercizio, pur riferendosi a un periodo di tempo già tra­ scorso, è un documento che ha carattere preventivo, in quanto attività e passività che compaiono nel bilancio e la cui differenza esprime il capitale aziendale, derivano tutte, salvo l ’importo relativo al danaro in cassa, da. previsioni sull’esito di operazioni in corso alla data del bilancio; in particolare previsioni di ricavi conseguibili sulle prò duzioni in corso, sui prodotti in rimanenza, su titoli di proprietà, previsioni sul valore di realizzo dei crediti, previsioni sugli ammor­ tamenti che potranno ancora essere effettuati sugli impianti dispo­ nibili, previsioni per imposte da pagare, per personale da liquidare e via di seguito.

Ora il reddito d’esercizio non è che la differenza tra il capitale esistente all'inizio e il capitale esistente alla fine dell’esercizio : esso è quindi un valore inevitabilmente arbitrario in quanto è dato apppunto da una differenza tra i risultati di due serie di previsioni spesso molto opinabili.

(1) V. Pa.vtai.eoni, Alcune

senza di formazioni di prezzi di

conila).

osservazioni sulle attribuzioni di valori in as- mereato. (Scritti vari di economia - Serie

(12)

— 168

Però, se in linea astratta, il carattere di autonomia del reddito di bilancio, fecondo di tante gravi conseguenze nel campo fiscale, viene ad essere irrimediabilmente escluso dalla concezione ora ri- chiamata, sul terreno pratico detta autonomia può in un certo grado ammettersi :

1) se l’ ammontare delle operazioni in corso alla fine e al prin­ cipio dell’ esercizio è esiguo rispetto a quello delle operazioni iniziate e ultimate nell’esercizio;

2) se le stime relative alle operazioni in corso alla fine e all’inizio dell’esercizio si fondano su elementi non troppo opinabili, tali da limitare l’ arbitrarietà dei valori di bilance determinati at­ traverso le stime stesse.

È chiaro infatti che se le operazioni in corso non sono rilevanti oppure sono facili le previsioni sul risultato che se ne può atten­ dere, la gestione svolta in un singolo esercizio viene ad avere scarsi legami sia con la gestione precedente che con quella successiva : e se le varie ragionevoli ipotesi in base alle quali si valutano tali tenui legami danno luogo a risultati d’ esercizio che, pur differenti tra loro, non presentano divergenze degne di rilievo, si può legittima- mente affermare, senza voler con ciò infirmare il principio astratto e generale sopra esposto, che in quelle particolari situazioni vi è, sostanzialmente, un’ autonomia nei risultati dei singoli esercizi. Ora ci chiediamo, nelle aziende del nostro tempo e in particolare nelle aziende industriali che vanno riprendendo il loro cammino dopo la tragica bufera della guerra, è legittima la presunzione della autonomia del bilancio? E se ciò non fosse, come conciliare le esi­ genze del Fisco, più che mai degne di considerazione oggi, con la vera natura della materia oggetto dell’ imposizione?

Per chiarire come possa variare il grado di accettabilità della finzione dell’autonomia del bilancio e come questa autonomia possa divenire ad un certo punto una assurdità, può servire la seguente semplice schematizzazione nella quale si raffrontano i conti eco­ nomici di tre gestioni aziendali che si suppongono durate un ven­ tennio, dalla fondazione dell'azienda alla chiusura della sua li­ quidazione.

I tre casi si riferiscono il primo — caso A — a un’ azienda che abbia cicli produttivi molto brevi, nou disponga di impianti e non richieda per il suo esercizio ingenti stocks — si pensi ad un artigiano che produca per commissione - - il secondo — caso B — ad una azienda che abbia un nucleo non rilevante di immobilizzi

(13)

— 169 —

ad esempio un’azienda tessile — e il terzo a un’ altra industria nella quale il contributo degli impianti all'ottenimento del pro­ dotto sia invece prevalente su tutti gli altri fattori — ci si può riferire in questo caso a. una azienda idroelettrica.

l ’er rendere piò agevoli i confronti, i conti economici sono esposti in percentuali dei ricavi totali, supponendosi ancora che le aziende abbiano conseguito nel ventennio la stessa percentuale d’utile, precisamente in ragione del 7 % annuo in media.

Totale r i c a v i... costi di esercizio variabili con i ricavi . costi di esercizio non variabili con i ricavi costi di i m p i a n t o ... Totale c o s t i... Reddito netto ... Totale ricavi 100 100 100 75 50 15 5 15 35 — 15 30 80 80 80 20 20 20 100 100 100

Nel caso A dunque i costi sostenuti in relazione a specifici ricavi rappresentano il 75 % dei ricavi stessi e il 95 % dei costi complessivi, e se poi si tiene conto del fatto che le rimanenze di merci esistenti a fine esercizio corrispondono a una piccola quota soltanto dei ricavi conseguiti nel corso di tutto l ’ esercizio e sono realizzate entro brevissimo tempo dalla data del bilancio, pos siamo ben dire che i legami fra il singolo esercizio di cui si vuol conoscere il reddito e la restante gestione precedente e seguente all’esercizio sono irrilevanti, in quanto ai ricavi di un determi­ nato periodo si possono attribuire senza gravi incertezze i costi del periodo stesso: in questo caso i risultati d ’ esercizio si pos­ sono ritenere sostanzialmente autonomi rispetto a quelli di altri periodi precedenti o successivi.

Se osserviamo invece all’altro estremo il caso C si rileva che i costi riferibili ai ricavi corrispondono a un 15 % soltanto dei ricavi stessi: per il restante 8 5 % , non si può dire, nell’ im­ possibilità di prevedere i futuri sviluppi della gestione, quanta parte costituisca reddito e quanta invece debba riserbarsi all’ammor

amento degli impianti e alla copertura dei costi non direttamente riferibili ai singoli ricavi dell’ esercizio.

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—' 170 —

dotti ottenuti congiuntamente con un solo processo stanno rispetto a uno solo di tali prodotti : non v'è per essi una possibilità logica di ripartizione. E se noi conoscessimo, come conosceremo solo alla chiusura della liquidazione dell'azienda., che questa ha reso nel com­ plesso il 7 % annuo, tale è il vero risultato di bilancio del singolo esercizio, quali ne siano stati i ricavi e i costi diretti.

In altre parole il fatto che i costi direttamente occasionati dai ricavi dell’esercizio corrispondono solo a una piccola quota dei ricavi stessi e che la maggior parte dei costi sia invece attribuibile congiun­ tamente a gruppi di ricavi realizzati in più esercizi, non permette piu di considerare l’ azienda come una serie di affari valutabili iso­ latamente o a gruppi, ma ci pone di fronte a un unico affare che nel nostro caso lia durata ventennale e sul quale intendiamo alla fine d’ogni anno prelevare un acconto d ’utile.

Lo sfruttamento dell’ impianto e della connessa organizzazione potrà essere anche molto fluttuante da un esercizio all’altro, vi sarà certamente un alternarsi di condizioni di esercizio favorevoli e sfavorevoli a seconda della intensità di sfruttamento e dei rapporti tra prezzi di vendita e prezzi dei fattori di produzione; ma non sarà lecito qualificare economicamente favorevoli o sfavorevoli singole operazioni e singoli, esercizi, quando si ricordi che impianto e orga­ nizzazione possono essere utilizzati nelle fasi propizie solo se sono tenuti in un certo grado di efficienza anche nei periodi in cui tali con­ dizioni propizie non sussistono.

Di questo si è reso conto da gran tempo la pratica amministra- liva, la quale non esita, negli esercizi sfavorevoli, a rinunciare ad ammortamenti, ad annullare persino gli ammortamenti precedenti caricando al conto impianti delle vere e proprie spese di personale, di mano d’opera, di consumi, ecc. che si sostengono per tenere in efficienza una organizzazione che, in dati tempi, è utilizzata a « pieno carico » e in altri tempi non può esserlo.

Dalla stabilizzazione dei redditi, che non è dunque una opi­ nabile pratica prudenziale, ma è il solo modo corretto di intendere il reddito (li esercizio, nasce, in presenza di una data prassi fiscale, gran parte del grosso e tanto discusso fenomeno dell’autofinanzia- mento.

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— 171 —

fatalmente però tali accantonamenti, comunque siano definiti, ven­ gono assorbiti in tutto o in partei (e talvolta possono anzi rivelarsi insufficienti) nelle fasi sfavorevoli (1) : non è lontano nella nostra memoria il ricordo delle vicende dei bilanci industriali nel corso della grande crisi 1930-33 ; è già ora un nuovo ciclo di utilizzo dei precedenti accantonamenti è in corso per molte delle nostre aziende.

Poche considerazioni sono ora sufficienti per il caso B schema­ tizzato più sopra in una posizione intermedia tra le due posizioni estreme considerate.

I costi correlativi con i ricavi ammontano in questo caso al •>0 % dei ricavi, il che consente di dare senza incertezze una prima impostazione al bilancio: ed il fatto clic i costi non direttamente attribuibili a ricavi ammontino solo al 30 % dei ricavi stessi, legittima, entro certi limiti, la finzione (cbè sempre di finzione si tratta) del­ l’autonomia del bilancio.

(1) Il fenomeno dell’autofinanziamento pertanto non apparirebbe che In apparirebbe1 limUfl'tÌlanCÌ ^ esercizi ^ - n n a l i : p ? " e n t e esso

apparirebbe limitato a quelle sole aziende che hanno effettuato accantonamenti

S 1 , ° n en Che restano s a p e r t i n elle fa s i sfa v orev oli e lim itatam ente alla sola quota in eccesso. La pretesa autonom ia del b ila n cio dà quindi lu ogo ad un apparente fenom eno di autofinanziam ento ch e è tanto più vistoso ou-into

a L ldfir Z n°ilg nr1omm0blllf i 6 1 flssi e più "e fluttuazioni „„j™ ,! .; ^ .A Progresso tecnico che aumenta le immobilizzazioni delle stinTte nuh h ’ 16 manifestazionl formali di autofinanziamento sono de- ate quindi ad assumere importanza sempre più rilevante, salvo che il pros­ simo avvenire non ci riservi l’avvento di una economia ad d ica - naturalmente se ipotesi piu modesta, l’amministrazione fiscale rinunciasse all’idea di stabilire oggettivamente risultati autonomi d’esercizio e non qualificasse con il titolo di bu?r7a u i r d f u m hC S; ? ebb\ de" ttUr ° da Piirte deg11 aa>minTstratori0attri mire portata piraitr* m J ' lri, t0’ l’autofinanziamento assumerebbe mi-nore portata. Peraltro 1 impossibilita di prevedere i futuri sviluppi della situa-nomf eC,',in° r ' ; a generale non Permetterà mai, perdurando la ciclicità dell’eeo- dhdtto dii distin.gue,re nettamente le quote d’utili non distribuite agli aventi sfavorevoli Ì T Ì “ accantonati per pareggiare i bilanci degli esercizi non h l i . In Ogni caso, quindi, i confini tra autofinanziamento e fondi di sta­ ta n e 5eddltl avrebbero una certa indeterminatezza, il clic darebbe luogo a manifestazioni fittizie di autofinanziamento quando i margini ,fi sta sapevoirTuandTi r ° 1!lsu®?le+nt?i.nPPnre ad autofinanziamenti occulti e incon- alie necèssUà dei , / ‘r r * r stablllzzazI°ne dei redditi si rivelano esuberanti

tpZn Z f T tà ■ perlodl sfavorevoli. Gioverà rilevare, in rapporto all’incer-

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2. Il progresso tecnologico e lo sviluppo delle concezioni organiz­

zative, aumentando i legami tra operazioni svolte in esercizi di­ versi, rendono sempre meno ammissibile, ai fini pratici della imposizione, la finzione dell’ autonomìa dei risultati di bilancio.

I tre casi tolti ad esempio più sopra possono rappresentare oltre che tre distinte situazioni industriali contemplate in uno stesso mo­ mento, anche tre successivi momenti dello sviluppo industriale : il momento artigianale (caso A), nel quale il costo del prodotto è dato essenzialmente da un costo di materia prima e da un costo di mani­ fattura l’uno e l ’altro correlati con le quantità prodotte e sostenuti di mano in mano che la produzione procede ; il momento della prima industrializzazione (caso B) nel quale, pur formandosi nell’ azienda importanti nuclei di costi non specificatamente riferibili alla produ­ zione dell’esercizio, vi è sempre una prevalenza di costi correlati con ricavi e, infine, il momento della alta industrializzazione (caso C) nel quale la quota più rilevante di costi è riferibile indistintamente a complessi di produzione ottenuti lungo periodi molto estesi.

II progresso tecnologico, risolvendosi in un continuo aumento del grado di meccanizzazione dei più antichi settori industriali (e precisamente di quelli del ciclo minerario-metallurgico-meccanico e del gruppo tessile), dando grandi sviluppi a nuovi settori — e in par­ ticolare al settore chimico e a quello elettrico — nei quali il con­ tributo della macchina è rilevantissimo e rendendo convenienti unità tecniche di dimensioni maggiori e di esercizio meno elastico, limita sempre più le possibilità, nella gestione industriale, di cambiare la organizzazione produttiva e di adeguarla continuamente alla situa­ zione di mercato: ora, è proprio questa possibilità che, mentre legit­ tima la finzione della autonomia dei risultati di esercizio, ne rende tecnicamente possibile la determinazione contabile.

(17)

— 173 —

sione impone la ricerca di sbocchi pili lontani e quindi lino sviluppo delle organizzazioni di vendita : altrettanti fattori, questi, di au­ mento nella quota di costi non riferibili ai ricavi conseguiti in questo o in quel periodo.

È poi da tener presente che tutte le tendenze ora ricordate non potranno che ricevere nuovo slancio con la fine del conflitto : nel clima di nazionalismi economici nel quale l ’industria si è ultima­ mente sviluppata, le risorse della tecnica che consentono, con un piu alto grado di meccanizzazione, volumi più ampi di produzione non sono che parzialmente utilizzate. Nuove strutture produttive ancor più altamente meccanizzate saranno quindi realizzate quando, al termine del conflitto, le attuali economie nazionali si dilateranno — come è indubbio — in spazi più ampi.

Le aziende industriali ci appariranno quindi sempre più come combinazioni di fattori produttivi di carattere stabile, durevole e non come realizzatrici di sempre nuove combinazioni produttive alcune delle quali possono risultare favorevoli, altre sfavorevoli e rispetto alle quali si possono quindi legittimare risultati economici d’ esercizio autonomi: in sostanza l’industriale, seguendo nella co ­ struzione dell’ impianto una particolare concezione tecnica, compro­ mette la possibilità di adottare altre combinazioni produttive diverse da quella iniziale e meglio rispondenti alle contingenti situazioni di mercato : e l’azienda, da una serie di affari successivi, tende a tra sformarsi in unico affare avente la durata dell’ impianto.

Orbene è in tale situazione che le aziende industriali sono tut­ tora richieste dalla legge d’ imposta di LI. M. di indicare per ogni esercizio, in base all’incrollabile presupposto dell’ autonomia del bilancio, l ’ammontare delle spese di produzione « inerenti al pro­ dotto lordo » di competenza del periodo cui il bilancio si riferisce. Non è quindi difficile rendersi conto della incongruità delle disposi­ zioni che si traggono e si trarranno quando si debba applicare un principio assurdo per settori industriali sempre più vasti e del gro­ viglio di insincerità, di ingiustizie, di irrazionalità che domina nel campo di questa imposta e che ripugna ormai al senso morale, prima e più ancora che al senso logico.

(18)

— m —

economica che per contro, nell’interesse degli azionisti e dei credi­ tori, vuoi avere preoccupazioni contrarie e minaccia persino la pri­ gione a chi non tiene conto dei rischi disconosciuti in sede fiscale

D ’altra parte un rimedio alla discordanza tra bilancio fiscale e bilancio proprio dell’azienda non può ottenersi richiedendo alle aziende di compilare i bilanci secondo tassativi criteri di carattere generale stabiliti dallo Stato per legge.

Dovrebbe esere pacifico che tutta la casistica del bilancio non può venire risolta a priori mediante l’ emanazione di norme generali di vaia tu zio ne valide per tutti e per ogni tem po: l ’infelice esperi- mento tentato nel Libro del Lavoro del Codice Civile è una delle tante prove di questa impossibilità, nè la leggerezza con la quale ci si è per- inessi i lattare in quella sede la delicata materia delle valutazioni di bilancio e motivo sufficiente per tentare di ripetere in modo più seno un simile esperimento. Ma anche se si ammettesse in sede pratica questa possibilità tecnica, vi è da chiedersi se è opportuno che o Stato, per tener dietro a un irrazionale schema come è quello del-o u r : 0r ^ bllr 10’ aSSUma la « rave resP<>nsabilità di stabilire

, ° Che ,ma azienda Può legittimamente distribuire. E P ailChe questa obbiezione è infine da tener presente che il fi­ sco non potrebbe ugualmente rinunciare alla facoltà di verificare m e n t e T T t' TOlutaZÌ° lle fis8ate dall° «ta to sono state corretta-

ente applicate e se nel conto profitti e perdite non sono stati addi-tura maliziosamente inseriti dei componenti fittizi di costo. fi a 6 S! paÒ pensa]'e’ nelle società per azioni, di sostituire le veri­ fica fiscale della regolarità di applicazione di eventuali norme obbli-dafsinfi ^ ltaZ1° lle ™n UDa Certifi" e di p a r i t à effettuata dai sindaci: troppo ormai è il discredito che circonda in Italia l’isti­ nto sindacale perchè lo Stato possa affidare ad esso la tutela del Pr0f ™ “ * ■ " » * Ver l i „ift n o» .1 é (orlnore in j J , “ . i » parte per 1 opposizione di quegli stessi elementi che svolgono la fun­ zione sindacale nel modo che tutti sanno, quella categoria di revi­ sori di bilancio e di istituti fiduciari che si sono rigogliosamente tenutPP 1 T tUt? 1 PaeSÌ ÌndUStrialÌ : aII° stat0 att«ale il Fisco, uto conto anche della coscienza tributaria dominante, non può attuali def F “ ^ qUÌMÌ P a t t a r s i il permanere delle fiscale e h i g l Che 6 la conse8'uente discordanza tra bilancio fiscale e bilancio proprio del contribuente, anche nel caso in cui

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Ha qualunque parte si esamini il problema, sempre si è portati a concludere che le condizioni oggi prevalenti nell’ apparato produt­

tivo non permettono più dì assumere il reddito di esercizio come categoria imponibile. L ’accettazione di questa conclusione non do­

vrebbe del resto costare grande sforzo: Lo rigidità delle moderne strutture produttive, determinata dalla evoluzione «Iella tecnica, sta alla base di ben più gravi rivolgimenti economici e sociali del nostro tempo. E dovremo forse allarmarci, se nel quadro delle riforme degli istituti esistenti, si profila- anche la revisione di un istrumento fiscale impiegato oggi in prevalenza nel campo industriale e concepito nel lontano 1864?

Nel momento attuale, poi, un importantissimo elemento di carat tere contingente — il fattore monetario — viene, per le nuove insu­ perabili difficoltà di valutazione che esso determina, a suffragare ulteriormente la nostra conclusione. Si è detto prima che la gestione industriale, più che una successione di affari suscettibili di dare di­ versi risultati economici, è un unico affare nel quale tutti i costì e tutti i ricavi confluiscono a formare un solo risultato finale. Ora, se il valore della moneta ha segnato solo lente fluttuazioni nel corso della gestione, è lecito trascurare il fatto che i componenti di tale risultato sono formati in tempi diversi.

Ma se appena si pone niente alle variazioni monetarie interve­ nute negli ultimi trenta anni si comprende come i bilanci delle aziende con lunghi immobilizzi si siano ormai ridotti, malgrado gli adeguamenti di valore qualche volta tentati, a centoni di cifre eco­ nomicamente eterogenee.

Ormai non è più possibile rendersi conto del significato dei valori di bilancio relativi agli impianti, ai fondi di ammortamento, alle ìiseive, agli accantonamenti e persino, oggi, se i cicli non sono brevis simi, dei valori relativi agli stessi lavori in corso e alle rimanenze di prodotti : macchine dello stesso tipo, acquistate in tempi diversi, pre­ sentano valori di « carico » disparatissimi ; confronti tra costi di produzione e tra redditi dì diversi esercizi divengono praticamente impossibili.

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In conclusione, Stato e aziende, in sede di concordato per l’im posta di R.M. Cat. B, non si contestano vicendevolmente fatti pas­ sati suscettibili di misurazione oggettiva o anche di stima, come avviene per la generalità delle altre imposte; in sostanza essi fanno gli indovini, 1 uno naturalmente ottimista, l'altro pessimista. Ora, che il contribuente, in base a congetture su un proprio affare in corso, si pi elevi degli acconti sull’ utile è cosa perfettamente comprensibile: ma che il iisco, pur mancando di ogni elemento obbiettivo di giudi­ zio, ritenga di dedicarsi a formulare presagi per accertare dei tributi e presuma di essere equo in tale sua attività divinatoria è cosa che non può non dare ai rapporti tra fìsco e contribuente svi- luppi inammissibili in un ordinato sistema fiscale.

Non si dovrebbe, quindi, tardare oltre a riconoscere che il red­ dito di esercizio è, se non altro nelle aziende industriali, una entità non solo logicamente inesistente, ma neppure configurabile, per via di espedienti, con approssimazione sufficiente ai fini pratici della im ­ posizione. Una. imposta destinata a colpire il reddito aziendale do­ vrebbe quindi respingere il reddito di esercizio come categoria impo­ nibile e dovrebbe invece riferirsi direttamente al reddito globale, determinabile alla chiusura della liquidazione. Si dovrebbe in altri termini spingere alle estreme conseguenze il principio astratto, da cui l ’attuale legge di R.M. prescinde, della non autonomia del bilancio, della indivisibilità e della non prevedibilità del reddito complessivo finale.

Ma, ovviamente, lo stato non può attendere la chiusura della liquidazione aziendale per prelevare il tributo : ciò non soltanto per esigenze della propria finanza, ma anche perchè così facendo esso in molti casi correrebbe il rischio di veder il tributo divenire inesi- g ib d e . accettato il principio della non autonomia sopra enunciato, occorre subito ricercare, nei dati di gestione, un indice atto a misu­ rare il maturarsi del reddito finale, indice che consenta di accertare periodicamente, mentre la gestione si svolge, l ’ imposta dovuta. Tale indice deve essere oggettivamente determinabile; più precisamente deve essere suscettibile di una definizione che trovi riferimento in dati certi, rilevabili presso tutte le aziende cosicché le divergenze tra fisco e contribuente possano aver per oggetto, non, come avviene per la valutazione del reddito di esercizio, avvenimenti futuri non prevedibili, ma il modo di rilevazione dì fatti già avvenuti e misu­ rabili. Solo così l'uniformità di trattamento nei confronti di diversi contribuenti non apparirà piu, come è oggi, un mito.

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3. Basi di imposizione che possono essere assunte come indici del

maturarsi del reddito finale : a) il reddito distribuito.

Tra le basi di imposizione che potrebbero sostituire il reddito effettivo per l’ imposizione dei redditi di R.M ., quella rappresentata, dal reddito distribuito si presenta, a prima vista, come la più sem­ plice e la più conveniente.

Ad essa si può muovere, però, anzitutto l ’obbiezione che i fre­ quenti accantonamenti di margini in eccesso a quelli occorrenti per stabilizzare i redditi distribuiti, determinerebbero un infinito rinvio del prelievo dell’ imposta relativa.

In secondo luogo la tassazione dei redditi distribuiti costitui­ rebbe un ulteriore incentivo a concentrare in un solo ente affari di­ versi, allo scopo di compensarne utili e perdite: nel sistema attuale, in cui la tassazione ha per oggetto i redditi conseguiti, tale compen­ sazione non può farsi che nell’ambito di un solo esercizio; colpendo invece i rèdditi distribuiti essa può estendersi indefinitamente nei tempo. Dato poi lo sviluppo che oggi assumono le situazioni monopo­ listiche, vi è da temere che i fortunati detentori dei monopoli impie gliino gli utili che non possono o non osano distribuire per coprire le perdite di spensierate incursioni in altri settori produttivi ancor dominati dalla concorrenza, ma die ai gruppi monopolistici può in­ teressare di acquisire per estendere la propria base economica e po­ litica.

È da ricordare poi che vigono disposizioni limitative della di­ stribuzione degli ucili e che nell‘atinaie situazione non è ragionevole prospettarsi una prossima abrogazione di tali limitazioni. Sarebbe giusto in tal caso colpire gli utili distribuibili ma accantonati, il che porterebbe di nuovo all’ esame del bilancio e al giudizio sui criteri di valutazione.

È infine da tenere presente il rischio dell’ evasione effettuata at­ traverso prelievi di utili da parte degli aventi diritto nelle forme più varie : interessi, compensi per brevetti e licenze, gratifiche ecc. ; ed è questo un rischio grave per un’imposta che dovrebbe colpire un gran numero di titolari di piccole e medie aziende provviste di una scarsa documentazione.

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4. (segue) Basi di imposizione eco. : b) il capitale aziendale.

Molte delle considerazioni fatte a suo tempo a proposito dei ca­ tasti, sui vantaggi conseguibili, sia dall’ economia generale sia dal fisco, da una tassazione dei redditi dei terreni in base al reddito or­ dinario e non al reddito effettivo, si possono estendere ad una tassa­ zione dei redditi dei capitali mobiliari fatta con analoghi criteri. E poiché il reddito ordinario si concepisce sotto forma di una determi­ nata aliquota del capitale investito, una tassazione dei redditi or­ dinari potrebbe assumere la forma di una imposta sul capitale.

Cosi, supposto che il reddito ordinario sia il 6 % e che l ’imposta debba essere pari al 20 % di tale reddito, una imposta dell’ l 20 y sul capitale risponderebbe allo scopo. L ’aliquota dovrebbe essere uguale per tutti ì capitali, qualunque sia il tipo di attività svolta o ì rischi assunti: in conseguenza i maggiori redditi conseguiti dalie imprese più efficienti sarebbero esenti dall’imposta.

AH imposta dovrebbero essere assoggettati solo il capitale pro­ prio dell’azienda e non anche il capitale di finanziamento : se il con­ tribuente fa figurare il capitale aziendale sotto forma di finanzia­ mento, gli interessi relativi vengono infatti già colpiti dalla imposta ci K.M. di cat. A. Quanto alla convenienza di apportare capitali m una forma piuttosto che in un’altra, si fa osservare che se l ’ali­ quota di cat. A è uguale, all’ aliquota di cat. B con cui si colpisce il reddito ordinario, una conversione del capitale in finanziamenti dà un vantaggio al fisco quando il saggio di interesse conteggiato sui finanziamenti è superiore al saggio del reddito ordinario, mentre av­ vantaggia il contribuente nel caso contrario. Se poi l ’aliquota della imposta di B.M . Cat. A è più elevata, cade ovviamente la convenienza fiscale della forma del finanziamento rispetto a quella del conferì mento di capitale.

Come valutare il capitale imponibile in una imposta configu­ rata nel modo ora detto? La mente corre in questo campo ai metodi accolti dall’ imposta di negoziazione; a un primo esame questi me­ todi presentano però inconvenienti che, se sono tollerabili nel ri­ stretto campo dell’imposta di negoziazione, divengono molto gravi nel caso di una imposta di vasta portata come è quella sui redditi.

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sistemi di valutazione si presta a critiche rilevanti. È notoria l ’osservazione che il modo con cui si formano i prezzi nel ristretto mercato valori italiano non permette di accettare le sue quotazioni come indice del valore di un capitale aziendale e riversa sulla so­ cietà le conseguenze fiscali delle pivi stravaganti variazioni dei prezzi di borsa. L ’altro criterio di valutazione seguito per i titoli non quotati e costituito dall’ammontare del capitale e delle riserve palesi e occulte, ci riporta, a ll’insolubile problema già discusso dianzi, della distinzione in sede di bilancio tra utili non distribuiti incrementativi del capitale e margini accantonati a fronte di oneri futuri, che invece sono assimilabili alle passività.

5. (segue) Basi di imposizione ecc. : c) il fatturato.

Relativamente alle imposte sul « fatturato » vi è da osservare che la crescente complessità della moderna struttura produttiva, se, da un lato, rende sempre meno accettabile la nozione di reddito di esercizio come base di imposizione, dall’altro toglie ogni fonda­ mento alla presunzione che il rapporto tra fatturato e reddito non presenti forti divergenze da una situazione aziendale all’altra. Ciò vale non solo, come è evidente, per aziende di rami diversi, ma an­ che per aziende dello stesso ramo e dotate, in ipotesi, della stessa redditibilità. ideile aziende industriali infatti il reddito tende, a parità di efficienza, a porsi in relazione con il capitale investito e questo a sua volta è correlato specialmente con l ’entità dei processi e non con il fatturato. Due fabbriche di orologi che svolgono le stesse lavorazioni tenderanno a guadagnare, a parità di efficienza, in rapporto al numero dei pezzi fabbricati, anche se i due fatturati divergono notevolmente in relazione al fatto che l’ una produca prevalentemente orologi d’oro e l ’ altra orologi di acciaio.

^ i è poi la nota obbiezione generale che imposte sugli scambi applicate con aliquota unica favoriscono le concentrazioni verticali.

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Queste sommarie considerazioni fanno ritenere che anche se Io s ato non vorrà, come sarebbe pur comprensibile, aiutare in sedo hscale le aziende non integrale nell’impari lotta che sostengono con­ tro i grandi gruppi e riterrà invece di mantenersi almeno neutrale un sostanziale affinamento dovrà essere introdotto nelle imposte’ sugli scambi attuate con carattere di generalità e con aliquota unica ■ fintantoché tale riforma non sia intervenuta in base a una consape-

. ® dl P°lltK'a economica e a una diligente rappresenta­ zione della struttura produttiva italiana, non è certo il caso di ac­ centuare le attuali sperequazioni ponendo, accanto all’ imposta sulla entrata, una imposta sul fatturato surrogatrice dell’attuale imposta

sui redditi. F

6. (segue) Basi di imposizione eco. : d) il costo di lavorazione

e il valore aggiunto.

Xel breve cenno fatto sui rapporti intercorrenti tra fatturato e reddito si è avuto occasione di rilevare come l ’entità del reddito Ivolu. a COri'elarSÌ DOn C° n 11 fattllrat0 ma E n tità dei processi nrP A m a er q" ? Sta relazi0ne’ se I10i disponessimo di una nozione precisa della entità dei processi svolti, essa costituirebbe una con­ veniente base di imposizione. Ora l ’entità dei processi svolti si può m sostanza, far corrispondere al maggior valore creato dai processi s essi e ha come punto di partenza una distinzione tra processi pro­ n i tivi che si applicano a risorse naturali e processi che si appli­ cano invece a materie prime, a cose che l’azienda ha acquistato da terzi. I osta questa distinzione, si fa corrispondere l’ entità dei processi all’intero valore del prodotto nel primo caso, all’ aumento di valoie subito dalle cose acquistate nel secondo caso

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ini-— 181 ini-—

piegato, mentre in una industria mineraria o nell’ industria elet­ trica non si può ragionevolmente dire qualcosa di simile rispetto a uno qualsiasi dei numerosi materiali e materie prime che sono impiegati. Esiste senza dubbio qualche rara zona grigia nelle quali possono esservi incertezze nel qualificare un fattore impiegato come materia prima di partenza oppure come elemento del processo di trasformazione, ma non v’è dubbio che fondamentalmente la di­ stinzione è giustificata.

Ciò premesso, l’ entità dei processi o, come anche si dice, il valore aggiunto può determinarsi secondo due criteri ; o si fa pari al costo complessivo di produzione, dedotto eventualmente il costo della materia prima, oppure si fa corrispondere al ricavo, dedotto sempre il costo di eventuali materie prime. Conviene subito osser­ vare che la determinazione del costo complessivo di produzione offre le stesse difficoltà non superabili già rilevate per la determi­ nazione del reddito di esercizio e derivanti dalla necessità di ri­ partire costi comuni a più prodotti e a più esercizi ; d’altra parte un dato fondato sul ricavo esprime più propriamente l ’ entità dei processi economicamente attuati in quanto il valore aggiunto trova un limite nel prezzo conseguito nella vendita dei prodotti ottenuti e non può essere determinato in relazione a quel qualsiasi costo che può singolarmente avere sostenuto un produttore non efficiente. Sotto ogni riguardo, quindi, sembra più conveniente basare la no zione di valore aggiunto sui ricavi conseguiti dall’azienda durante il periodo nel quale si sono svolti i processi oggetto della rileva­ zione.

Trascurando per ora i vari problemi relativi alla valutazione degli stocks esistenti all’inizio o alla fine del processo e quelli atti­ nenti alla scelta dei criteri con cui determinare le materie il cui costo deve dedursi dal ricavo e le materie che invece si considerano come componenti del costo di trasformazione, conviene esaminare in via preliminare il significato del valore aggiunto rispetto al pro­ blema di imposizione dei redditi di R.M. che ci occupa

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tri-— 182 tri-—

biliario (1). Si è già osservato in precedenza che questo carattere dovrebbe essere considerato un pregio del sistema.

D ’altra parte, poiché fluttuazioni nel volume delle vendite e nei prezzi determinano correlative fluttuazioni nel valore aggiunto, onere dell’imposta è più grave quando il volume delle vendite e i prezzi sono elevati e quindi le condizioni di esercizio sono favore V0li 6 pm lieve llella situazione opposta quando le condizioni di esercizio sono sfavorevoli. Questa proprietà, che una imposta com­ misurata al capitale evidentemente non può avere, rappresenta un altro pregio del sistema, poiché risponde non solo a ovvie esigenze finanziarie delle aziende ma anche a uno dei fini della politica eco- nomica dello stato moderno: la stabilizzazione della vita econo mica. E, d ’altra parte, sempre suirandamento del tributo, flut­ tuante ma non mai suscettibile di annullarsi finché l ’azienda fun­ zioni, si può osservare che l ’onere dell’imposta, diminuendo nelle fasi sfavorevoli e aumentando nelle fasi favorevoli, si sviluppa con andamento analogo a un’imposta che voglia direttamente ri­ ferirsi al maturarsi del reddito; per di più, in quanto chiede al- 1 azienda un tributo sia pure tenne anche nelle fasi sfavorevoli, c o g ie bene anche quell aspetto della capacità contributiva che at­ iene al potenziamento che l ’azienda ritrae in ogni momento dal- 1 azione pubblica, indipendentemente dalle condizioni favorevoli o sfavorevoli in cui si è svolto il singolo esercizio (2).

Dispetto a un’imposta riferita al capitale, che a parità di ca­ pitale avrebbe invece andamento uniforme pur nel variare delle condizioni di esercizio, l ’imposta riferita al valore aggiunto pre­ senta l ’inconveniente di una maggiore, ma non eccessiva, laborio­ sità d applicazione. Essa risolve invece in maniera come meglio non si potrebbe desiderare il grosso problema di non favorire "ul­ teriormente le concentrazioni verticali.

Inoltre è da rilevare che il valore aggiunto è indice del red dito di tutto il capitale investito, sia di quello proprio che di quello

(1 ) Invero il valore aggiunto e, quindi, l’intensità del tributo v a r ie re h h e v?f-n°nl0 ln. funzione dei prezzi di vendita ma anche della diversa efficienza del ser- .10 acquisti ; questo elemento, che richiederebbe un approfondimento ruò nero essere trascurato ai fini delle conclusioni della presente trattazione

(-) naturalmente l’obbiezione che si verrebbe a chiedere un tributo sul r ed ulto anche nelle fasi sfavorevoli in cui l ’azienda perde “ S S í assunzione di una base di imposizione diversa dal reddito di esercizo narte dal presupposto che il reddito d’esercizio non esiste e che quindiTon possa conce FA1®} che 1 hienda guadagni oggi e perda domani se, sia oggi che domani uti-

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di finanziamento. In relazione al fatto che si vogliono colpire i redditi del solo capitale proprio è quindi da vedere con quale cri­ terio debbano concedersi delle detrazioni alle imprese che pagano tributi sul capitale di credito.

La determinazione delle aliquote, infine, dovrebbe fondarsi sul rapporto intercorrente tra il valore aggiunto e il capitale inve­ stito nei vari settori economici.

Solo se tale rapporto fosse relativamente uniforme sarebbe cor­ retto applicare una sola aliquota : poiché questa uniformità non sussiste nè può sussistere, le aliquote dovrebbero essere differenziate e, più precisamente, dovrebbero essere tanto più rilevanti quanto più grande è il valore del suddetto rapporto.

È poi da osservare che le considerazioni di ordine monetario suggerite dalle attuali contingenze, mentre portano, come si è visto, nuovi seppure superflui elementi contro il mantenimento del red­ dito di esercizio come base d’ imposizione, ne portano altri impor­ tantissimi a favore della base valoì’e aggiunto.

In tempi di rilevanti alterazioni di prezzi è importante, sia dal punto di vista monetario sia da quello fiscale, che lo Stato incassi con non troppo ritardo quanto gli è dovuto : ora i conguagli sull’im­ posta di R.M. cat. B, molto rilevanti in tempi di prezzi crescenti, sono normalmente incassati nel secondo anno successivo a quello di competenza ; nell’ attuale periodo il ritardo sarà in casi frequenti ancora maggiore come effetto della probabile maggior litigiosità com­ portata dalle accresciute incertezze e arbitrarietà delle valutazioni di bilancio nei periodi di disordine monetario. È poi da tener pre­ sente, nella situazione attuale, il rischio di inesigibilità di conguagli d imposta pagabili con due o più anni di ritardo. Gli inconvenienti di un eccessivo sfasamento tra l ’ epoca di maturazione e l’ epoca di pagamento di un tributo sono state del resto chiaramente mostrate, in situazione molto più facile, dal risultato della disgraziata impo­ sta sugli utili di congiuntura.

L n’imposta commisurata al valore aggiunto, quando sia tecni­ camente ben congegnata, potrebbe invece essere agevolmente liqui­ data nel primo mese successivo alla data di chiusura del bilancio : e, ove la situazione monetaria lo chiedesse, potrebbe essere liquidata per acconti di mese in mese, salvo un conguaglio finale effettuabile a breve scadenza dalla chiusura dell’esercizio.

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Il valore aggiunto esprime sinteticamente, come si è visto, l’ entità dei processi svolti dall’azienda: ora poiché l ’ ingerenza dello stato nell’economia quanto meno non è destinata- ad attenuarsi ma solo ad assumere forme diverse, più razionali e conciliabili con il man­ tenimento del senso di responsabilità, personale dei capi d’azienda, la rilevazione sistematica e controllata di un dato del tipo ora illu­ strato offrirebbe possibilità vastissime all’azione pubblica, in quanto permette di confrontare su basi omogenee gestioni diverse. Per di più l ’imposta di R.M ., commisurata con aliquote differenziate al valore aggiunto, potrebbe divenire un istrumento integrativo della politica dei prezzi, in quanto suscettibile di correggere a breve scadenza ine­ vitabili errori commessi dalla Autorità nella loro fissazione.

Infine questo tipo di imposta permetterebbe di assoggettare azien­ de private e aziende pubbliche allo stesso trattamento fiscale, cosa oggi non sempre possibile dato che le aziende pubbliche, dotate di forme speciali di capitale e non perseguenti un reddito, vengono spesso a fruire di privilegi fiscali inammissibili in una economia mi­ sta, dove ambedue gli ordini di aziende si vuole operino sullo stesso piano.

Pa s q u a l e Sa r a c en o

Roma, novembre 10J/J/

POSTILLA

L’articolo del prof. Saraceno è stato pubblicato originariamente in Economia e Commercio, Organo dell’ Associazione dei laureati in economia e commercio, Anno I, numero 1, 15 maggio 1945, p. 28-42. Abbiamo ritenuto opportuno riprodurlo nella, nostra rivista, poiché esso ha avuto una diffusione assai scarsa tra gli studiosi, a motivo dei momento nel quale comparve e della circolazione forzatamente ristretta del periodico che lo pubblicò. Il testo qui riprodotto è stato riveduto dall’autore, il quale vi ha apportato, a parte minori modi­ ficazioni di forma-, alcuni ritocchi, allo scopo di rendere più evidente il suo pensiero senza modificarlo nella sostanza.

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pieno di tutti gli scambi. Anche T.S. Adams, negli Stati Uniti (« Fundamental Problema of Federai Income Taxation», nel Quar-

terly Journal of Economics, voi. XXXV, agosto 1921) ne affermava

la superiorità rispetto ad un’ imposta sugli scambi, per l ’assenza del «pyram idin g» e delle discriminazioni tra imprese, e tra indir strie, integrate e non integrate. Ma per l’Adams l’argomento fonda- mentale a favore dell’ imposta sai valore aggiunto derivava dall’ op­ portunità 1) di tassare le imprese in modo da recuperare, mediante il criterio del beneficio, il costo dei servizi pubblici necessari pei offrire ad esse un mercato organizzato, e 2) di assumere il valore ag giunto come la misura più corretta del beneficio.

A ll’impostazione di T.S. Adams si ricollega esplicitamente Paul Studenski il cui articolo « Tovvard a Theory of Business Taxation » (nel Journal of Politicai Economi/, ottobre 1940) costituisce il prece­ dente immediato del lavoro del Saraceno. Altre proposte americane per una imposizione del valore aggiunto sono ricordate dallo Stu­ denski (op. cit., p. 650-652).

Il Saraceno prende in esame, ed accetta, argomenti analoghi a quelli di Adams e Studenski, ma nella storia dell’idea dell’imposi­ zione del valore aggiunto il suo articolo si distingue, se non erro, per essere l ’ unico contributo che lega la scelta della base valore aggiunto alle difficoltà che, nelle condizioni dell’economia contempo­ ranea, si incontrano quando si adotti per l’imposizione delle imprese la base reddito netto, con la conseguente necessità di assumere l’ au­ tonomia dei risultati di esercizio. In questo il Saraceno ha una posi­ zione originale rispetto a quella degli autori che hanno proposto pri­ ma di lui l’imposta sul valore aggiunto.

Inoltre, rispetto a coloro che in questo dopoguerra hanno ripreso, nelle analisi teoriche e nelle discussioni politiche, l ’idea dell’imposi­ zione sul valore aggiunto (buone rassegne si trovano in John F. Due,

Pales Taxation, 1957, e in F. Forte, « I l problema della scelta del

tipo di imposizione sulle vendite», Parte III, nella Rivista inter­

nazionale di scienze economiche e commerciali, gennaio 1962), il Sa

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— ISfì —

colpirebbe il prodotto nazionale netto, e con la detrazione degli in­ vestimenti il consumo nazionale (incluso il logorio dei beni durevoli di consumo).

Non è questa la sede per una valutazione critica, dei diversi tipi di imposte sul valore aggiunto. Sarà sufficiente osservare die il tipo proposto dal Saraceno è lo strumento della distribuzione del carico tributario secondo la logica del reddito lordo da ammortamenti. Lo si può pertanto criticare solo in quanto si discuta, come si può discu tere, tale logica.

L ’imposta sul valore aggiunto con detrazione degli ammorta menti rientra invece, ovviamente, nella logica della distribuzione tributaria secondo il reddito netto, e, se si accetta questa logica, non sembrano affatto chiari i vantaggi dell’imposta sul valore aggiunto rispetto alle vecchie imposte sul reddito netto, come la nostra im­ posta di ricchezza mobile.

Infine, l’ imposta sul valore aggiunto con detrazione degli inve­ stimenti (quale esiste in Francia-, e quale è stata proposta per tutti i paesi della Comunità economica europea dal Rapporto del Gomitato

fiscale e finanziario presieduto dal prof. Neumark — rapporto pre­

sentato alla Commissione della CEE nel 1962) rientra nella logica della distribuzione secondo il reddito consumato e in questa logica non sono, di nuovo, chiari i vantaggi di tale tipo di imposta sul valore aggiunto rispetto a un’ imposta sugli scambi a un solo stadio, o anche a due stadi quanto più vicini possibili all’immissione dei beni al consumo finale. In effetti anche il rapporto Neumark (op. cit., p. 43-41) ritiene preferibile l’imposta sul valore aggiunto all’imposta sulla cifra d’affari nella fase del commercio al dettaglio, soltanto in base a considerazioni, sommarie e discutibili, relative alle difficol­ tà di amministrazione che sarebbero maggiori per l ’imposta sul com­ mercio al dettaglio. Per l’ inesistenza di ragioni a favore dell’imposta sul valore aggiunto (netto dagli investimenti) rispetto all’imposta sopra un solo stadio (nel caso, la purchase taso britannica applicata sulle vendite dei grossisti), ha concluso, dopo un accurato esame, anche il recente rapporto del comitato Kiehardson presentato al Cancelliere dello Scacchiere nel febbraio 1964 (Report of thè Gom-

mittee on Turnover Taxation, Cmnd. 2300).

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IL CONTENUTO DEL D IRITTO PENALE TRIBU TARIO (*)

Som m ario: 1. Pene criminali e pene fiscali. — 2. Il differenziamento fra diritto criminale e diritto penale tributario. — 3. Le esigenze della amministra­ zione finanziaria e il diritto punitivo tributario. — 4. L’unità del diritto penale tributarlo. — 5. L ’integrazione analogica del diritto penale tribu­ tario. — 6. La somiglianza tra le pene fiscali e le pene criminali. — 7. I limiti della analogia in materia penale tributaria. — 8. Principi regolari e principi eccezionali nel diritto penale tributaro.

1. La legge 7 gennaio 1929 n. 4 che prevede « norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie » all’art. 2 stabilisce : « Costituisce delitto o contravvenzione la violazione di una norma, contenuta nelle leggi finanziarie, per la quale è stabilita una delle pene prevedute dal codice penale per i delitti o, rispettivamente, per le contravvenzioni ». Questa disposizione si richiama al noto arti­ colo 39 c.p., che differenzia i delitti dalle contravvenzioni in base alla natura delle pene minacciate. I « reati » tributari, dunque, sono ca ­ ratterizzati dal fatto di essere colpiti dalle stesse pene previste dal codice penale per i reati comuni, e in base alla natura di esse pene, i reati tributari si distinguono in delitti tributari ed in contravven­ zioni tributarie.

A sua volta il criterio formale adottato dall’ art. 39 c.p. ha co ­ stituito il punto di arrivo di un lungo dibattito, che si era acceso in seguito all’abolizione del contenzioso amministrativo e delle speciali giurisdizioni penali, operata dalla legge 20 marzo 1865, ed al conse­ guente passaggio dei giudizi sulle contravvenzioni amministrative dalla competenza del potere esecutivo a quella del potere giudiziario. Nessuna disposizione di legge stabiliva allora che il differenziamento fra delitti e contravvenzioni avvenisse in base alla natura deile pene minacciate (1). Nè la dottrina poteva procedere al differenziamento

(*) il

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stesso mediante tale criterio, dal momento che le leggi tributarie avevano di volta' in volta indicato le pene delle singole infrazioni adottando indifferenziatamente i termini « multa », « ammenda », « pena pecuniaria », « sopratassa » o consimili (2). La dottrina era dunque stata costretta a ricercare presunti caratteri ontologici, che contrassegnassero i delitti, e le contravvenzioni. I criteri sostanziali del differenziamento vennero poi ulteriormente elaborati, e, da un gruppo di giuristi, sono ritenuti tuttora rilevanti (3). Detti criteri co me è noto, si aggirano attorno all’idea che i delitti offendono la si­ curezza del privato o della società, e quindi costituiscano fatti moral­ mente riprovevoli (mala in se), mentre le contravvenzioni v io lii" soltanto leggi destinate a promuovere il pubblico bene (mala quia

prohibita) (4); che i delitti producano una lesione giuridica mentre

le contravvenzioni pur di per sè innocue, presentino un pericolo per la pubblica utilità o per l'altrui diritto (5) ; che i delitti offendano le condizioni primarie, essenziali, e, quindi, permanenti della vita sociale, mentre le contravvenzioni offendano le condizioni seconda­ rie, accessorie, e, perciò, contingenti (6), ovvero le condizioni di am­ biente della convivenza stessa (7) : che le contravvenzioni contrastino all’interesse amministrativo dello Stato (8) oppure rappresentino le 2 3 4 * 6 7 8

(2) Cit. in Malinverni, Principi di diritto penale tributario, 1962 n lo

nota 5. ’

(3) Quadro delle varie con cezion i in Antolisei, Manuale di dir. pen.,

parte generale, 5‘ ed., 1963, p. 135 e in Ma n zin i, Trattato di dir. pen. it voi I

4‘ ed., 1961, p. 619.

(4) Beccarla, Dei delitti e delle pene, in Opere, 1821-22, voi. I, p. 8 s. ; Carmignani, Teoria delle leggi, della sicurezza sociale, 1845, voi. I l i , p. 49

147 s. ; Carrara, Programma del corso di dir. pen., parte generale, voi. I, 1877, par. 150; Brusa, Saggio di una teoria generale del reato, 1884, par. 30 's.

_ (5) Relazione Ministeriale sul progetto di codice penale del 1887, 1887, I, n. XIV, p. 57 s. Il Feuerbach, Lehrbuch des gemeinen in Deutschland gültigen

peinlichen Rechts, 1847, par. 22, aveva sostenuto che le contravvenzioni ledono

solo il diritto oggettivo, mentre i delitti ledono immediatamente un diritto soggettivo. Il Bixding, Die Normen und ihre Übertretung, 1822, voi. I, par. 54, n. 4, ha sostenuto che le contravvenzioni costituiscono una mera disobbedienza alla norma giuridica, che può creare un pericolo ma non un pregiudizio per il bene giuridico.

(6) 1 m pallom en i, Contributo alla nozione delle contravvenzioni, in Cass.

unica, 1905, p. 737 ; Vannini, La contravvenzione dal punto di vista del suo

elemento soggettivo, in Raccolta di alcuni scritti minori, 1952, p. 579.

(7) Carnevale, La lesione dei beni giuridici nelle contravvenzioni, in

Giust. pen., 1906, c. 1385, ed in Dir. criminale, 1932, III, p. 167; Id., Concetto e

analisi della contravvenzione, in Studi Senesi, 1905, p. 284; 1907, p. 36, ed in

Dir. criminale, cit., p. 167. L ’Angeloni, La contravvenzione, 1953. p. 12.' rileva

che le contravvenzioni si presentano in funzione del progresso sociale, di nuovi bisogni, del perfezionamento dei pubblici ordinamenti.

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