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Rudolf Arnheim e la logica dell’immagine *

Nel documento Psicologia delle Arti (pagine 185-200)

La psicologia della Gestalt nei primi decenni del Novecento ha profondamente innovato il paradigma tradizionale che ha accompa-gnato la nascita della psicologia scientifica nella seconda metà dell’Ot-tocento. Svolgendo la propria attività in un ambito in cui la ricerca su problemi ritenuti centrali per lo studio sperimentale della mente si integrava proficuamente con questioni di teoria della conoscenza, gli psicologi della cosiddetta scuola di Berlino – Köhler, Wertheimer e Koffka – non solo hanno modificato radicalmente l’epistemologia della “nuova scienza” ma hanno anche delineato significativamente una rigorosa impostazione generale di questioni attinenti a diverse disci-pline, guidati sempre dalla stella polare dell’unità di scienza e sapere filosofico. Tanto con i contributi sperimentali quanto con le riflessioni teoriche, hanno portato avanti una profonda revisione dei dualismi – psicologia e fisiologia, mente e corpo, sensazione e percezione, per-cezione e pensiero, sentimento e ragione, fatti e valore, esperienza e significato – che caratterizzavano la ricerca psicologica e, più in gene-rale, la riflessione sull’uomo. I dualismi, in linea con il meccanicismo e l’elementismo dell’ethos scientifico, ai loro occhi minavano alla base il progetto di costruire la psicologia come scienza.

I fondatori della psicologia della Gestalt perciò, da un lato, si impe-gnarono nella ricerca di evidenze sperimentali che rendessero adegua-tamente conto del funzionamento della mente (percepire, memorizzare, apprendere, parlare, pensare, ecc.); dall’altro, affrontarono fenomeni trascurati dalla ricerca psicologica, vuoi wundtiana che comportamen-tistica, come lo studio dell’azione o quello della comprensione intersog-gettiva. Consapevoli, poi, che “una cosa può essere vera se considerata in una realtà atomizzata e falsa se vista come parte di un tutto”, sono sempre stati attenti a non assolutizzare i diversi fenomeni della psico-logia e a considerare questioni dibattute in altri campi di ricerca, non solo per l’esigenza di confronto con altri settori, o per il gusto dell’in-terdisciplinarietà, ma anche per la convinzione profonda dell’unità della natura, di cui l’uomo è parte e non tutto.

* Pubblicato come Introduzione al volume di Rudolf Arnheim, L’immagine e le

Il loro impegno ha sempre mirato a incrementare l’efficacia descrit-tiva ed esplicadescrit-tiva della teoria proposta mettendo a punto un metodo di ricerca che, pur qualificato dalle imprescindibili esigenze di eco-nomia e di rigore comuni alle scienze, rispettasse, altresì, la struttura dei fenomeni studiati. Per questo atteggiamento generale, che con le parole di Wertheimer consiste nel «rendere giustizia alla situazione, nel mettere a fuoco l’oggetto in accordo con la sua natura e con le esigenze oggettive della sua struttura», la psicologia della Gestalt è stata definita “scuola del rispetto”. Il che ben riassume la tensione all’oggettività in cui si fondono epistemologia, etica ed estetica. Non sorprende allora che la psicologia della Gestalt sia considerato un caso unico nella storia della scienza in cui teoria, agenda di ricerca e prassi sperimentale si potenziano reciprocamente.

La figura di Rudolf Arnheim è un esempio di tutte le caratteristiche della scuola gestaltista. Studioso in grado di padroneggiare campi di-versi del sapere, attento alle frontiere della ricerca scientifica e artistica, ha manifestato in più occasioni la convinzione nell’unità dei principî che spiegano sia i processi cognitivi, sia la capacità di rendere percepi-bili concetti e significati, come pure la formazione degli organismi o il comportamento di certi fenomeni della materia fisica. Lo studio delle arti si caratterizza, da un lato, per la costante attenzione alle qualità fenomeniche che la loro fattura deve comportare affinché si facciano veicolo di significati; dall’altro, alle proprietà che la mente deve pos-sedere per fare e fruire arte. Così la sua psicologia delle arti – più propriamente “psicologia generale” – è una disciplina in cui intreccia in maniera feconda la teoria della percezione e del pensiero, lo studio particolareggiato e attento dei diversi tipi di immagini, la conoscenza della storia delle arti, la pratica personale di alcune di esse e il gusto per il contatto diretto con le grandi opere del presente e del passato.

Dopo aver iniziato la sua ricerca lavorando sull’espressione, Arn-heim, già collaboratore del settimanale Die Weltbühne, nel 1928 ne diviene responsabile delle rubriche culturali. Seppur nelle vesti di cri-tico engagé, i suoi interventi ereditano i principî di rigore e rispetto dei fenomeni che caratterizza il lavoro dei suoi maestri. E nel suo primo libro, Film als Kunst, mette a frutto gli esperimenti di Wertheimer e Köhler. Gestalt and Art, un piccolo ma fondamentale articolo rimasto solitamente ignorato, segna il punto in cui inizia ad approfondire i problemi legati all’espressività, ai media, alle immagini e alle arti più dall’interno della teoria psicologica. Con Arte e percezione visiva il pas-saggio dalla figura del critico militante, attento agli insegnamenti della psicologia gestaltista, a quella dello psicologo impegnato con problemi che nascono dal mondo stesso delle arti, dalla produzione e fruizione delle sue immagini, è ormai compiutamente consumato.

In Arte e percezione visiva e ne Il Potere del centro – da lui stesso considerate rispettivamente la “grammatica” e la “sintassi” del visivo

– come negli innumerevoli saggi e articoli che li accompagnano, non-ché ne Il pensiero visivo – una vera e propria summa della teoria di Arnheim e del suo interesse per lo studio dell’arte, della scienza e dei vari mezzi, dalle immagini al linguaggio, con cui è possibile esprimere significati – il comune denominatore è la convinzione che la psicolo-gia delle arti deve sempre partire dalle esigenze che la comprensione dell’opera impone. Secondo Arnheim l’opera d’arte, il produrla e il fruirla, impegna tutti gli aspetti della mente umana. Di conseguenza, è compito della psicologia individuare quei principî generali di funzio-namento, che possono poi essere specificati per rispondere al meglio alle esigenze esplicative poste dalla comprensione delle forme che si incontrano in pittura, poesia, cinema, danza, fotografia, architettura, scultura, musica, design. L’attenzione ai principi generali si affianca, dunque, all’esigenza di poter sempre discendere quanto più è possi-bile alle caratteristiche tipiche del particolare fenomeno studiato. Le configurazioni e i colori, gli eventi sonori, le masse plastiche o i volumi presentano caratteristiche specifiche che permettono a chi li impiega di trasmettere un particolare significato in un modo che ne contrad-distingue la maniera artistica.

A dispetto della teoria tradizionale, secondo la quale la percezione si limiterebbe a ricevere ciò che della stimolazione proveniente dal mondo esterno impatta sulla retina, tanto da poter essere limitata alla registrazione passiva di quanto sarebbe già dato nel mondo fisico, la percezione mostra di possedere nelle circostanze della vita ordinaria notevoli capacità che vanno oltre la mera registrazione e che spesso sono state attribuite a operazioni intellettive o del pensiero che dovreb-bero correggerla o arricchirla. Innanzitutto la percezione non va con-siderata in prima istanza come uno strumento di rilevazione di qualità fisiche del mondo materiale, bensì come la capacità che ci permette di vederci circondati, all’apertura dei nostri occhi, da un mondo fatto di nuvole nel cielo, acqua del mare, barche nel porticciolo, una finestra, un tavolo, il proprio corpo. Non solo tutti questi oggetti si presentano immediatamente alla vista, ma essi – come indicato anche dall’ordine in cui sono descritti – mostrano di essere in una determinata relazione. Inoltre, non solo gli oggetti si mostrano nella percezione ordinati a diverse distanze reciproche e rispetto all’osservatore, ma ciascuno o ciascun gruppo di essi può diventare parte della porzione di campo visivo su cui si focalizza l’attenzione. Andando nel dettaglio, allargando l’estensione del campo visivo, spostando lo sguardo su oggetti prece-dentemente non considerati o su parti degli stessi nascoste, riposizio-nandone alcuni già visti rispetto a un nuovo centro del campo visivo, ecc., si scoprono nuovi rapporti tra le qualità visive e si perviene a una più approfondita comprensione.

Perciò la percezione non può non essere dotata di tutta una se-rie di capacità che tradizionalmente sono state attribuite – e lo sono

spesso tuttora – a facoltà mentali erroneamente ritenute superiori. In primo luogo deve essere finalizzata, vale a dire deve essere diretta a cogliere le qualità degli oggetti che li rendono salienti per determinati scopi in determinate circostanze; e selettiva, vale a dire deve essere in grado di individuare i tratti essenziali degli oggetti rispetto al contesto in cui essi si trovano. D’altro canto, sono capacità queste che devono essere garantite, a tutte le creature – dal paramecio all’uomo, sebbene in gradi diversi – per ragioni di sopravvivenza e adattabilità evolutiva. Di conseguenza bisogna riconoscere alla percezione la capacità prin-cipale che la rende utile biologicamente, ossia la capacità di afferrare l’essenziale, di cogliere i tratti strutturali di qualcosa.

Arnheim non ha mai smesso di ricordarci che la percezione è for-mazione di “concetti percettivi”, di categorie tramite cui un percetto non si riferisce solo a un singolo individuo, o a sue singole qualità, bensì al tipo generale cui l’individuo appartiene tramite la struttura del pattern di cui il percetto stesso consiste. La rotondità è un concetto percettivo proprio per la sua funzione di cogliere una qualità generale condivisa da oggetti di uno stesso genere o di genere diverso, come per esempio, una testa o una palla. Il concetto percettivo non è il con-cetto classicamente inteso, cioè la serie di attributi selezionati nel corso dell’esperienza come comuni a più oggetti, la cui presenza o assenza permetterebbe di identificare un oggetto come qualcosa che ricada o no nella sua estensione; la rotondità, come tutti i concetti percettivi, è una proprietà strutturale colta immediatamente nella percezione come pattern del singolo oggetto, e rintracciata in tutti gli oggetti che pos-seggono la proprietà di essere circolari o tondi in maniera più o meno pura, secondo la serie di gradienti che conducono da incorporazioni relativamente ottimali a manifestazioni sempre pià deboli, fino ad av-vicinarsi a casi limite in cui è difficile tracciare una linea di confine netta rispetto ad altri concetti percettivi.

Alla percezione, dunque, è necessario riconoscere una vera e pro-pria capacità di astrazione che le consente di individuare le proprietà strutturali generali che caratterizzano un oggetto. In questo modo si determinano quelle proprietà invarianti rispetto alle quali l’osserva-tore è percettivamente in grado di compensare sia le deformazioni degli oggetti non rigidi, che si piegano, si torcono, si contraggono; sia le distorsioni che gli aspetti di tutti gli oggetti subiscono per il pro-prio moto o la locomozione dell’osservatore; sia i mutamenti dovuti a fattori ambientali, come per esempio la variazione di chiarezza o di colore, o i possibili stati dell’oggetto, come per esempio l’accensione o lo spegnimento. L’astrazione di qualità generali fa sì che il sistema percettivo sia estremamente sensibile alle variazioni ma, al contempo, sempre in grado di individuare una qualità generale che assume il valore di punto di riferimento rispetto alle deformazioni, distorsioni o mutamenti da compensare.

Non sorprende allora che Arnheim sostenga che proprio dal punto di vista delle operazioni che permettono alla percezione di assolvere la propria funzione biologica non vi sia differenza alcuna tra percetto e concetto, tanto da invalidare la distinzione classica tra percezione e pensiero. Poiché non è possibile rintracciare alcun processo di pen-siero che almeno in linea di principio non operi nella percezione, la percezione è intelligente, nel senso che in essa il pensiero opera e si esercita a contatto con le proprietà degli oggetti, secondo le relazio-ni che mostrano di possedere nelle varie modalità sensoriali. Ogrelazio-ni senso infatti organizza in un sistema di ordine peculiare e articola in maniera specifica le qualità sensibili. Dal modo, dai gradi di libertà e dalle possibilità di combinazione di questa articolazione dipende l’in-telligenza dei vari sensi e la capacità di pensare tramite essi. Proprio l’articolazione delle qualità sensibili permessa dalla percezione visiva e sonora, a differenza di quanto accade con tatto, olfatto e gusto che posseggono un sistema d’ordine in confronto molto elementare, fa sí che la grande varietà di proprietà percettive possa essere organizzata in modi molto complessi nello spazio e nel tempo – come nelle arti e nelle scienze – tanto che queste modalità percettive sono considerate da Arnheim strumenti d’eccellenza per l’esercizio del pensiero.

Se la percezione è un’attività di esplorazione intelligente in cui si esercita il pensiero nella comprensione dell’ordine e delle relazioni in cui ci appare il mondo, rappresentare in immagini non significa pro-durre delle repliche che si distinguerebbero dagli oggetti rappresentati solo per imperfezioni o miglioramenti. Rappresentare non equivale a copiare la realtà né a riprodurre il percetto, se mai fosse possibile copiare il modo in cui le cose ci appaiono. Rappresentare è anch’essa un’attività cui contribuiscono le capacità esibite dalla percezione in-telligente. Innanzi tutto, interviene la medesima capacità di astrazione. I concetti percettivi non hanno forma. Le forme, che una qualità ge-nerale come la rotondità può assumere nella rappresentazione, sono legate al sistema rappresentativo e ai vincoli imposti dalle proprietà stesse del medium scelto. Un oggetto circolare è colto grazie al concet-to percettivo della roconcet-tondità; la stessa proprietà può essere selezionata per la rappresentazione. Tuttavia, da un lato, lo stesso oggetto avrà forma diversa in funzione della particolare rappresentazione: sul piano frontale, di scorcio, inclinato o solidamente inserito nello spazio trimensionale; dall’altro, la stessa proprietà potrà essere rappresentata di-versamente nel caso in cui si ricorra a carta e matita, a tela e pennello, a materiale plastico. Di conseguenza, rappresentare un oggetto signi-ficherà elaborare un equivalente che mantenga invariante la proprietà strutturale selezionata. La rappresentazione consiste nella creazione di “concetti rappresentativi”, vale a dire forme, rese tramite le proprietà di un determinato medium, altrettanto generali dei concetti percettivi con i quali mantengono una corrispondenza strutturale.

Ma vi è un’altra ragione, altrettanto fondamentale, per la quale pro-durre una rappresentazione non potrebbe mai consistere nella mera riproduzione di un modello. Nella percezione le qualità strutturali che vengono colte come concetti percettivi sono caratterizzate da quelle che i gestaltisti definiscono qualità dinamiche. Le relazioni che inter-corrono fra le qualità degli oggetti nel campo visivo infatti non sono solo relazioni geometrico-spaziali ma anche e soprattutto sono relazio-ni dinamiche. Poiché viviamo in uno spazio arelazio-nisotropico, caratteriz-zato dal peso e dall’attrazione al suolo, le dimensioni spaziali non si equivalgono. Ciò comporta che la posizione occupata da un oggetto nel campo visivo, nonché la relazione di occlusione tra oggetti, le di-storsioni, i mutamenti, le deformazioni che gli aspetti di un oggetto subiscono a causa del contesto, sono cariche di significato. Una scena percettiva quindi non è solamente composta da un insieme di oggetti o di suoni che manifestano delle qualità sensibili; ma soprattutto da un reticolo di relazioni reciproche lungo le quali le distorsioni riman-dano alla forma canonica dell’oggetto e denunciano le interferenze del contesto. I suoni si integrano interagendo nel campo sonoro come se si comprimessero, espandessero, spingessero a vicenda; le qualità generali di configurazione e colore si richiedono, si respingono, modellano la forma dell’oggetto che ne è il portatore: la rotondità dell’imboccatura di un recipiente può essere diversamente combinata con la concavità del collo dell’oggetto e mostrare all’osservatore un potenziale uso sug-gerito dal particolare modo di incorporare il significato funzionale del versare e del contenere.

Nella rappresentazione il processo di astrazione deve mirare a rende-re le qualità dinamiche dei concetti percettivi. Ogni immagine, ciascuna nei modi consentiti dalle caratteristiche del medium in cui è realizzata, è un concetto rappresentativo, che equivale a determinate proprietà strutturali comuni a certi oggetti e veicola un significato grazie alle sue qualità dinamiche. Nelle immagini, poi, la forza delle qualità dinamiche e la significatività dei valori espressivi di cui esse si fanno portatrici è ulteriormente aumentata dal fatto che sono vissute come artefatti. Le immagini infatti sono oggetti prodotti appositamente per sollecitare solo la percezione visiva e solo una forma specializzata di percezione visiva. L’osservatore ne è in qualche modo consapevole. Ciò fa sì che le qualità dinamiche si impongano come il vero e proprio contenuto delle forme rappresentate in un gioco di interazioni, di forze, di vettori che si fan-no portatori di un significato, di un valore espressivo. Un’immagine è, come spesso afferma Arnheim, una dichiarazione visiva – un modo per trasmettere un significato attraverso le qualità visive rappresentate – ed è suscettibile di essere valutata come corretta o meno rispetto al proprio obiettivo raffigurativo. Più che riprodurre un modello, allora, realizzare un’immagine consiste nel far ricorso alla ricchezza dell’esperienza delle qualità generali condivise dagli osservatori nella percezione del mondo,

al patrimonio di concetti percettivi, per produrre tesi sulla natura, sulle relazioni che la rendono significativa, sull’esistenza umana, sulle relazioni che gli uomini intrattengono con gli oggetti e sul valore generale che esse rivestono per la vita e il pensiero.

Percezione e rappresentazione sono dunque accomunate dall’astra-zione e dall’intelligenza dei sensi. Ciò esclude tutte quelle teorie che considerano l’immagine una riproduzione necessariamente imperfetta e che, quindi, richiedono l’intervento dell’immaginazione o dell’e-sperienza passata dell’osservatore per colmare le lacune da cui essa sarebbe affetta. L’astrattezza – ci avverte Arnheim – non è incomple-tezza. L’immagine, qualunque sia la sua funzione, sia essa informativa o artistica, è completa al livello di astrattezza scelto, a meno che non sia – contrariamente alle proprie finalità – imprecisa o ambigua.

Le stesse capacità mentali che fanno della percezione un’attività in-telligente strettamente intrecciata con il pensiero sono responsabili della possibilità di fare e fruire arte. Ancora una volta, Arnheim sottolinea la continuità esistente tra percepire, rappresentare e fare arte pur non rinunciando a segnalarne le specificità che ne fanno attività distinte. La dinamica espressiva è infatti diffusa nel mondo quotidiano degli oggetti, degli eventi con cui interagiamo percettivamente e, allo stesso tempo, è il contenuto di ogni immagine. Proprio dall’incontro quotidiano con la dinamica espressiva nasce, secondo Arnheim, il desiderio di creare qual-cosa che contenga queste proprietà e le esibisca in modo concentrato e assolutamente unico. L’attività umana di produrre arte deriva allora dal fatto che la percezione coglie qualità espressive che hanno un valore per l’osservatore perché gli permettono di comprendere l’ambiente in cui vive. Questa continuità ha delle conseguenze importanti per la definizione di arte. L’arte non è un criterio che distingua una classe di oggetti da altri, bensì è una qualità presente in qualunque oggetto naturale o artificiale. Le caratteristiche che rendono qualcosa artistica-mente valido hanno, infatti, valore avverbiale. Esse non designano né una proprietà né una sostanza, ma un modo di essere fatti, un modo di interagire con l’osservatore. La qualità artistica è poi distinta da altre qualità pratiche che gli oggetti, naturali o realizzati dall’uomo, manife-stano dal fatto che è correlata esclusivamente alla dinamica espressiva. La qualità artistica può dunque essere concentrata e ravvisata in un bicchiere, una cascata, una bottiglia le cui forme esprimono in modi differenti i significati del chiudere, del versare, del ricevere e ne mostrano il diverso valore che questi significati hanno per l’uomo. La dinamica espressiva comporta essenzialmente che essa “risuoni” in qualche modo nell’osservatore, che venga sentita in maniera che questi possa riconoscere uno stesso pattern strutturale di forze, di tensioni, di rapporti, sia nel proprio comportamento, sia nell’oggetto osservato. Le qualità espressive sono qualità generali presenti nel comportamento di oggetti appartenenti al mondo organico o inorganico, e possono,

quindi, essere riconosciute in oggetti, eventi, sequenze di azioni diver-se a condizione che questi manifestino lo stesso pattern strutturale, la medesima dinamica di qualità sensibili. La tensione verso il basso, che

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