PARTE II: La precarietà, il Welfare State e gli assistenti social
I. Il ruolo degli assistenti sociali nella “società dei rischi” »
In tutti i Paesi europei ci sono stati negli ultimi decenni profondi mutamenti nelle politiche sociali determinate in larga misura dalla globalizzazione e dalle ideologie neoliberiste. Da un lato, sono emersi nuovi bisogni sociali legati alle trasformazioni socio- demografiche: l’invecchiamento della popolazione, i flussi migratori, la precarizzazione lavorativa, i cambiamenti della rete familiare e della comunità. Dall’altro, il quadro normativo ed organizzativo dei servizi sociali vede un importante slittamento di compiti dal pubblico al privato, nella logica della governance (Facchini; 2010; p. 7). In Italia queste tendenze si sono sommate ai tratti specifici del Welfare italiano che hanno costituito le basi degli attuali indirizzi del sistema.
L’analisi di questi cambiamenti nel sistema dei servizi e rispetto all’utenza ha assunto in letteratura una certa rilevanza; meno presente, se non sconosciuta, è l’attenzione prestata agli operatori. Il funzionamento concreto dei servizi dipende dal contesto “macro” ma sono gli operatori a concretizzare le normative e ciò non avviene in modo neutrale, è cruciale il modello valoriale e l’interpretazione che il professionista dà alla norma. Inoltre, il professionista agisce secondo le disposizioni normative e secondo la propria discrezionalità poiché le prestazioni sociali di norma dipendono più che altro dalle risorse disponibili (ibidem; pp. 7-8).
Gli assistenti sociali sono lo snodo del Welfare, sono coloro i quali sono presenti (per legge) in tutti i servizi e svolgono azioni di primo contatto con l’utenza, nonché sono collocati sia in ambiti “generici” (come nel caso dei comuni di piccole dimensioni) che specialistici (come i servizi dell’ASL).
“Il risultato di tale pluralità di ambiti di intervento, di fasce di utenza, di problemi affrontati e di funzioni svolte individua gli assistenti sociali come uno «snodo» cruciale del sistema di welfare […] Questo ruolo è stato riconosciuto dalla l.q. 328/2000 che inserisce il servizio sociale professionale tra i livelli essenziali di assistenza” (ibidem; p. 12).
Lo sviluppo dell’identità professionale è stata fortemente condizionata dalla natura pubblica delle funzioni dell’assistente sociale (Neve; 2008). L’indebolimento dei pilastri del
Welfare state hanno messo in discussione buona parte dell’identità e dei valori professionali e
delle capacità del sistema di fronteggiare i nuovi rischi sociali (Saraceno; 2007). La l. 328/2000 ha rappresentato la massima espressione di un sistema sociale indirizzato ad una società egualitaria ed universalistica. In realtà però non ha mai trovato una completa attuazione sia per incongruenze applicative della norma, sia per la Riforma del Titolo V della Costituzione che ne ha ridotto drasticamente la portata. In un clima di esplicita riduzione delle risorse a disposizione del sociale, in particolare agli enti locali, ed un crescente indirizzo di queste risorse al privato sociale, prende forma un Welfare sempre più de-legittimato dove i valori di inclusione sociale e di uguaglianza vengono messi in crisi. Ciò viene manipolato dagli organi politici e dai mass media che instaurano nella popolazione diffidenza ed ostilità verso il Welfare ritenuto il responsabile dell’attuale deficit pubblico. Il significato non si esaurisce solo nelle mutate condizioni di lavoro alle quali il servizio sociale deve adeguarsi; si deve guardare soprattutto ai punti fondamentali che avevano costituito il Welfare e che sono resi sempre più incerti (Espanet Italia; 2011; p. 8).
Lo scenario descritto si ripercuote sul servizio sociale attraverso molteplici rischi. A fronte dei cambiamenti politici ed economici in atto, uno dei maggiori rischi è l’adattamento e la remissività nei confronti degli orientamenti politici anche quando sono contrari ai valori e ai principi professionali (ibidem). In un clima di crescente difficoltà e complessità, il rischio degli assistenti sociali è quello di difendere il proprio status quo professionale. Così, le conseguenze saranno quelle di considerare le domande sociali con la presunzione della neutralità e dell’astrattezza, venendo meno la riflessione e la critica. L’assistente sociale non può però adattarsi passivamente cercando di salvaguardare solo la
propria professione ma deve essere attore partecipe nella definizione e nella critica costruttiva delle politiche sociali. Lo studio delle attuali trasformazioni è essenziale per ri-orientare la pratica professionale e per dare un contributo alla politiche sociali nella logica della sussidiarietà (ibidem; p. 10).
Un altro rischio riguarda la ripartizione di ruoli, competenze e responsabilità tra gli operatori del pubblico e del privato sociale. Attualmente il pubblico rimane il perno del sistema del Welfare che controlla e finanzia il privato; in questo contesto gli assistenti sociali della pubblica amministrazione svolgono prevalentemente funzioni di programmazione e verifica, mentre il privato si ritrova a essere esclusivamente a contatto con l’utenza senza poter partecipare alla condivisione degli obiettivi.
Un ulteriore rischio è la responsabilizzazione dell’utenza nell’accesso a servizi e prestazioni secondo logiche di “diritti condizionati che devono cioè essere meritati” (ibidem; p. 11). Questo cambio di prospettiva si deve all’aumento degli obblighi e controlli a cui gli operatori devono confrontarsi. Tuttavia, il servizio sociale non può ridursi a braccio operativo di impostazioni economiche ma deve chiedersi quali siano le reali finalità di queste misure. Nel suo risvolto negativo, l’attivazione e la responsabilizzazione perdono significato per le persone in gravi situazioni di disagio che sono ulteriormente aggravate da questo peso, poiché non sono capaci, da sole, di fronteggiare queste scelte.
È importante per l’operatore esplicitare le difficoltà ed avere consapevolezza dei propri limiti. Usare la propria discrezionalità per dare una diversa impostazione all’organizzazione è essenziale per essere realmente lo «snodo» del sistema di protezione sociale.
Carla Facchini (2010) rileva come l’immagine professionale sembra rispecchiare solo in modo marginale i trend sociali: è ancora forte un’impostazione legata ai vecchi strumenti operativi, agli originari valori ma a stento si riesce a comprendere e a problematizzare le attuali incertezze; manca perciò una reale consapevolezza di ciò che succede; gli assistenti sociali sembrano ancora legati ad orientamenti non più attuali e manca la capacità di interpretare il contesto macro come diretto artefice dell’attuale situazione. L’omogeneità dei valori, la centralità dell’utenza e della relazione per un verso, costituiscono un punto di forza per la professione per l’altro, il rischio è di lasciare nell’ombra il sistema di organizzazione dei servizi, la rete, la ricerca, ossia il contenitore istituzionale e formativo che dovrebbe fungere da cornice per la professione (ibidem).
I cambiamenti in atto hanno ripercussioni a livello organizzativo e si possono riscontrare dal confronto tra le generazioni più giovani e quelle meno giovani rispetto alla qualità del lavoro e alle condizioni lavorative le quali inevitabilmente si ripercuoto sul servizio stesso. Carla Facchini (2010) rileva le seguenti conseguenze.
- La crescente precarietà lavorativa ed il turnover nei servizi tendono a ridimensionare l’investimento formativo sia da parte degli assistenti sociali che dagli enti di appartenenza. In mancanza di una specifica formazione, ciò inevitabilmente può portare a delle conseguenze nella gestione della complessità del lavoro sociale e della qualità dei servizi e sulla loro capacità di rispondere ai bisogni.
- L’attuale modello identitario, congruente con la precedente impostazione dei servizi e che prevedeva come obiettivo fondamentale la relazione di aiuto, sembra difficile da attuare senza considerare i cambiamenti in atto. In questo momento di profonda transizione vengono richieste ulteriori abilità come la programmazione e la gestione di servizi. Si rendono necessarie competenze che sappiano leggere le trasformazioni ed abbiano una visione non esclusivamente orientata al processo di aiuto ma anche all’organizzazione dei servizi.
- Fino ad ora gli assistenti sociali hanno formato un gruppo omogeneo sia per valori che per competenze e ruoli. Con l’aumento della formazione universitaria sarà presumibile l’accesso a ruoli dirigenziali attraverso il percorso formativo e non all’anzianità lavorativa che fino ad oggi ha costituito la variabile maggiore per la dirigenza sociale. Non solo, le ripercussioni potranno senza dubbio sfociare in maggiori competenze programmatorie ma verrà meno l’aspetto relazionale poiché questi assistenti sociali probabilmente saranno meno preparati per il front office che l’esperienza darebbe. La seconda caratteristica riguarda il divario tra dipendenti pubblici e privati che vede dilatarsi una forbice tra competenze e ruoli di controllo e programmazione da un lato, gestione della casistica dall’altro.
Gli assistenti sociali nella definizione di sé devono tenere conto anche di altre trasformazioni attinenti ai servizi.
Innanzitutto si riscontra un’importante contrazione dei finanziamenti per i servizi, in particolare per gli enti locali. Questi sono i primi interlocutori con l’utenza portatrice di bisogni sempre maggiori, ma allo stesso tempo anche gli enti locali sono sempre più scarsi di mezzi e risorse.
In un clima di privazione economica, si fanno strada proposte di redefinizione del
comporta una forte pressione al contenimento della spesa verso particolari categorie (ossia verso gli immigrati).
Ancora, è rinvenibile un taglio drastico alla progettualità e all’innovazione sempre a causa dei tagli alla spesa pubblica: questo ha importanti ripercussioni perché afferma nuovamente un tipo di Welfare assistenzialistico più che promozionale, precludendo i reali intenti di autonomia e responsabilità realizzabili solo attraverso la progettualità innovativa.
La burocratizzazione e l’eccessivo tecnicismo – nel senso weberiano dei termini – comportano un ridimensionamento del lavoro sociale per aumentare il controllo e l’adozione di sistemi rigidi e neutrali. Questo porta allo svuotamento della relazione professionale e della sua reale portata sociale.
Infine, l’ascesa dell’aziendalizzazione e dei manager nel sociale hanno portato ad una nuova classe dirigente più orientata al contenimento delle spese che non al benessere (Fazzi; 2010).
L’assistente sociale deve quindi guardare alla complessità sociale e ai mutamenti in atto per dare un reale valore al proprio operato, usando la propria formazione ed esperienza per essere promotore di politiche sociali realmente rappresentative dei bisogni della popolazione e veramente propositive per il miglioramento del benessere sociale.