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Salute e disuguaglianze

Nel documento La salute nel mercato del lavoro di cura (pagine 98-105)

4. Le ricadute sulla salute delle assistenti familiari

4.1 Salute e disuguaglianze

Gli immigrati sono oggetto di una discriminazione razziale anche nell’ambito della salute e dell’accesso ai servizi sanitari. L’inserimento nei settori meno qualificati, più faticosi e più pericolosi del mercato del lavoro li espone a condizioni di alto rischio di infortunio o di malattia professionale e ad ambienti di lavoro insalubri e nocivi. Gli anni Duemila hanno fatto registrare un peggioramento delle condizioni lavorative e un conseguente aumento del numero degli infortuni, degli incidenti mortali e del divario tra il tasso infortunistico dei lavoratori italiani e quello dei lavoratori stranieri66. Alle condizioni occupazionali occorre poi naturalmente aggiungere quelle abitative: gli immigrati trovano alloggio perlopiù in quartieri degradati e carenti di servizi e in abitazioni insalubri, con parametri di sicurezza inferiori e a rischio di sovraffollamento.

Nonostante le condizioni esterne rappresentino una continua minaccia alla loro salute, la popolazione straniera risulta godere di migliori condizioni di salute rispetto alla popolazione italiana, sostanzialmente per via della loro giovane età67 e per il fatto che a emigrare è la componente più sana della popolazione, vale a dire quella con le maggiori possibilità di successo nel mercato del lavoro68. I principali ostacoli all’accesso dei servizi sono costituiti da barriere giuridico-legali ed economico-organizzative, da problemi di natura linguistica e burocratica o di informazione sui servizi presenti sul territorio. Le disuguaglianze nella salute sono pertanto il risultato

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Perocco, 2012, pp. 140-141.

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I cittadini stranieri residenti in Italia hanno una struttura per età tipica di una popolazione giovane: infatti, il 45,9% degli stranieri residenti ha tra i 25-44 anni (negli italiani questa classe di età pesa per il 26%). L’età media di tutto il contingente è di 31,1 anni. (Rapporto 2013 dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane)

68 Le migrazioni per ricongiungimento familiare modificano parzialmente questo quadro e

pongono nuove sfide in termini di servizi sanitari ed educativi. La sfida lanciata dalle donne migranti nell’approccio alla maternità è un esempio di come l’interculturalità farà sempre più parte dell’ambito sanitario e ostetrico-ginecologico.

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di un insieme di disuguaglianze vecchie e nuove che si sommano e si intrecciano. Innanzitutto l’accesso ai servizi è condizionato dalla situazione economica: le popolazioni immigrate tendono a sperimentare tassi di povertà più elevati dal momento che ricevono salari più bassi, sono più colpiti dalla disoccupazione e sono maggiormente dipendenti dall’aiuto pubblico. Il costo delle diverse prestazioni sanitarie e dei farmaci contribuisce a segmentare gli utenti in base alle loro disponibilità economiche: quanti hanno le risorse economiche adeguate possono accedere a servizi pubblici e privati ed essere visitati in tempi ristretti, nonché permettersi l’acquisto di medicinali dispendiosi; quanti invece non sono in possesso di tali mezzi ricorrono – se ricorrono – a servizi pubblici con tempi dilatati e le spese per i farmaci diventano alle volte troppo onerose. Un’ulteriore disuguaglianza è quella legata allo status giuridico dell’immigrato. Nonostante la legge preveda una copertura sanitaria minima a qualsiasi soggetto indipendentemente dalla regolarità del suo soggiorno, in realtà sono molti gli irregolari che temono di avvicinarsi alle strutture ospedaliere e sanitarie per il timore di essere identificati e segnalati. Le difficoltà linguistiche e comunicative possono trasformarsi in disuguaglianze nell’informazione, anche sanitaria69

, a maggior ragione se il personale dei servizi si pone in un atteggiamento di pregiudizio e ostilità nei confronti degli stranieri. Un altro elemento ancora riguarda le difficoltà di compatibilità e conciliazione tra i ritmi di vita e di lavoro e i tempi di apertura e di accesso dei servizi; la scarsa flessibilità degli orari finisce con l’escludere quegli immigrati che non possono assentarsi dal lavoro, come le assistenti familiari impegnate nell’accudimento di anziani non autosufficienti. Infine, la barriera che impedisce ad alcuni utenti di avvicinarsi ai servizi sanitari può essere di tipo psicologico-culturale, come ad esempio la paura del contatto e dell’esposizione del proprio corpo70

o la diversa concezione che si ha

69 È da sottolineare come la disuguaglianza nell’informazione si rifletta anche nella

popolazione italiana sulla base del livello di istruzione e del titolo di studi conseguito.

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È il caso ad esempio di quelle donne che richiedono di essere visitate da medici donne nell’ambito ostetrico e ginecologico.

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del corpo, della malattia, della maternità, della cura. Altre volte sono gli atti di razzismo più o meno espliciti ad allontanare gli utenti stranieri71.

Gli immigrati si rivolgono al pronto soccorso in quantità maggiore rispetto agli italiani e frequentemente in modo inappropriato, a dimostrazione della loro maggiore difficoltà ad orientarsi tra i vari servizi messi a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale – tanto in termini di sovra-utilizzo che di sotto-utilizzo – nonché la riluttanza a rivolgersi a personale sanitario se non in caso di acuzie. Trattandosi di popolazione giovane e ampiamente inserita nel mercato del lavoro, gli immigrati si configurano come dei forti finanziatori delle spese sanitarie in Italia. Nonostante l’opinione pubblica li rappresenti sovente come dei parassiti dello stato sociale, essi contribuiscono in maniera importante ai fondi per la sanità attraverso la tassazione sul lavoro, ma allo stesso tempo fruiscono dei servizi sanitari in misura molto minore in ragione della loro giovane età72. Tuttavia, con il ricongiungimento dei nuclei familiari e la progressiva stabilizzazione in Italia, è probabile che gli immigrati saranno via via sempre più presenti tra le corsie degli ospedali o in coda presso i consultori; un approccio transculturale e interculturale si fa dunque sempre più necessario non solo per garantire loro un servizio efficace ed efficiente, ma anche come opportunità di confronto e di auto- riflessività su noi stessi, sul nostro rapporto con la malattia, il dolore e la morte, nonché sul funzionamento e le criticità del nostro sistema di servizi.

71 “Denunciano casi di cure inadeguate, parlano di medici che si dimenticano di loro e che

compiono veri e propri atti di razzismo. Si sentono discriminate perché non sono ascoltate: i medici non credono nella loro capacità di autodiagnosi, vanificando così il principio che il paziente è fonte indispensabile di conoscenze per chiarire il proprio stato di salute e di malattia”. (Tognetti Bordogna in Catanzaro, Colombo, 2009, pp. 290-291)

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Per un approfondimento sui costi e sui benefici dell’assistenza sanitaria agli immigrati si veda Carletti, De Giacomi, Barbini, Cosa sappiamo sui costi dell’assistenza sanitaria agli immigrati? disponibile su www.quotidianosanita.it e Geraci, De Gaetano, Costi e benefici dell’assistenza sanitaria agli immigrati: prime ipotesi e considerazioni, disponibile su www.simmweb.it.

100 Il paziente eteroculturale rappresenta forse una formidabile occasione per recuperare una capacità di ascolto e una sensibilità nell’approccio olistico che la nostra medicina tecnologica e iperspecialistica ha dimenticato e che potrebbe rivelarsi particolarmente utile anche nei riguardi dei pazienti “nostrani”. (Geraci, El Hamad, 2011)

Ed è proprio per questa analogia di situazione, per essere come loro dei migranti tra un’epoca e l’altra, che possiamo fare delle loro tragedie, delle loro sofferenze e dei loro bisogni occasione per evolvere, per scrollarci di dosso routine, confort, miopie. (Coppo, 2013)

Prima di passare all’analisi dei disagi psico-fisici che interessano nello specifico il lavoro di cura, è opportuno spendere qualche parola riguardo l’approccio di cui intendo avvalermi nelle riflessioni che interesseranno queste pagine. Sovente infatti si tende a considerare la malattia come il semplice risultato di meccanismi chimici e biologici e ad attribuirne la responsabilità a condizioni genetiche o individuali (stili di vita, alimentazione, percorsi biografici). È invece opportuno andare a sondare quali siano le particolari condizioni ambientali – dove per ambientali si intende l’insieme delle condizioni lavorative, abitative, climatiche, sociali, giuridiche, economiche, culturali, politiche – che possono essere all’origine o aggravare lo stato di malattia. Si tratta cioè di oltrepassare l’approccio medico- biologizzante e di riflettere sulle opportunità aperte dal metodo olistico nella comprensione del fenomeno. Lo studio delle determinanti sociali e distali prende in esame le disuguaglianze socio-economiche che interessano il malato e l’influenza che il contesto ha sullo stato di salute delle persone.

La supremazia del paradigma genetista-comportamentista ha affermato l’idea che la malattia dipenda dalla suscettibilità personale, ovvero da una predisposizione e non da una esposizione. […] Riconducendo le cause all’individuo – alla sua famiglia, ai suoi geni, al suo stile di vita – le società del benessere si autoassolvono, le multinazionali inquinatrici non sono più

101 da considerarsi colpevoli di produrre agenti che causano malattia e morte: il torto è solo di chi ne fa uso o di chi è “predisposto”. (Corradi, 2008, p. 22)

Proprio in virtù della dimensione dinamica e relazionale messa in rilievo da questo approccio, il paziente non viene trattato come un soggetto passivo ma partecipa e viene coinvolto attivamente nel percorso di diagnosi e guarigione.

Questa valutazione di health impact assessment evidenzia, da una parte, l’importanza del contesto sociale nel condizionare le dinamiche di salute delle persone, soprattutto in condizioni di particolare fragilità; e dall’altra indica come un percorso incentrato sull’integrazione e sull’accessibilità dei servizi sanitari sia potenzialmente in grado di ridurre i differenziali di salute esistenti all’interno delle popolazioni, e di contrastare le disuguaglianze che ancora oggi persistono in molti Paesi europei. (Severino, Bonati, 2010)

La tendenza di una parte della medicina ad attribuire all’individuo l’origine della patologia si mescola spesso a forme di pregiudizio più o meno gravi nel caso degli stranieri, laddove alcuni atteggiamenti, alcune abitudini, persino alcune malattie vengono associate, motivate ed essenzializzate in termini culturali.

Non dimentichiamo, infatti, che il malato istituzionalizzato rischia continuamente di essere ricollocato in un mondo a-storico, puramente biologico, e che anche il riferimento alla cultura di appartenenza può imprigionare il suo disturbo entro una lettura che rinviando a un “altrove” decontestualizza e implicitamente “naturalizza” lo stesso fattore culturale. Questo rischio tocca in modo particolare sia le donne che i migranti. Le prime per l’ambiguo intreccio tra natura e cultura che da sempre le circuisce, i secondi per l’ambiguo significato attribuito all’appartenenza etnica. (Chiaretti, 2005, p. 181)

Il legame che unisce malattia e contesto sociale riguarda anche le diverse forme di disagio psicologico e psichiatrico. Le condizioni lavorative e le continue discriminazioni che subiscono gli immigrati in

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ogni ambito della loro esistenza costituiscono un importante fattore di destabilizzazione del loro equilibrio mentale.

Questo vuol dire uscire, in salute mentale, dal modello sanitario e medico e dai suoi santuari. C’è tutto un lavoro da fare di informazione e di educazione per la salute che sta diventando improrogabile. […] Si tratta di fare cultura: e buona cultura. (Coppo, 2013)

Il significato e l’evoluzione dei disturbi mentali nel corso dell’esperienza migratoria hanno visto mutare gli approcci che nei decenni precedenti si erano concentrati prevalentemente sulla figura dell’immigrato come “individuo a rischio”. Il suo equilibrio psicologico era considerato infatti fragile, in qualche caso francamente pre-psicopatologico, e la personalità predisposta a sviluppare sintomi di diversa natura e gravità: ciò induceva a lasciare per lo più in ombra il ruolo del concreto contesto in cui prendevano corpo i motivi e l’esperienza dell’emigrazione, così come il rapporto spesso problematico fra immigrati, popolazione ospite e servizi psichiatrici. (Beneduce, 2004, p. 128)

Si tratta di un condizionamento che si inserisce nell’asimmetria di potere e nelle disuguaglianze globali e che è stato magistralmente messo in luce da Frantz Fanon durante il suo periodo di soggiorno e di lotta in Algeria. Se Fanon denunciava la stretta connessione tra disturbo psichico e violenza dell’ambiente in un contesto coloniale73

, non bisogna commettere l’errore di ritenere che queste implicazioni siano oggi scomparse. In un quadro geopolitico mondiale sempre più incerto, connotato dall’aumento dei conflitti civili e del divario tra ricchezza e povertà, unito alla stratificazione sociale e giuridica che gli immigrati subiscono in Italia e negli altri contesti di arrivo, è

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“Prima di aprire il processo riteniamo giusto fare qualche premessa. L’analisi che intraprendiamo è psicologica. Rimane evidente tuttavia che per noi la vera disalienazione del Nero implica una brusca presa di coscienza delle realtà economiche e sociali. Se vi è un complesso di inferiorità, questo è conseguenza di un duplice processo: in un primo tempo economico; d’interiorizzazione o, meglio, di epidermizzazione di quest’inferiorità, in un secondo. *…+ Si vedrà che l’alienazione del Nero non è una questione individuale. A lato della filogenesi e dell’ontogenesi c’è la sociogenesi. *…+ Diciamo che qui si tratta di sociodiagnosi”. (Fanon, 1996, pp.10-11)

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possibile affermare che politiche e misure neocolonialiste siano oggi diffuse tanto a livello globale che locale.

Ciò che sembra evidente comunque è che essere di razza non bianca, di etnia differente, o non appartenere alla cultura dominante sia di per sé stesso un fattore di rischio. […] Ma il fatto che razza/etnia e cultura non delimitano categorie consolidate non mette affatto in dubbio la presenza delle disuguaglianze, sottolinea invece la presenza di processi sociali che discriminano direttamente alcune classi di persone ed in queste classi, più frequentemente, ritroviamo individui che hanno sperimentato una storia di migrazione. Sono questi processi, più che caratteristiche etnico/razziali o culturali tipiche degli immigrati, quei fattori che influenzano la differente incidenza e gravità delle malattie e l’accessibilità ai servizi sanitari di questi gruppi rispetto alla media della popolazione generale. (Marceca, Geraci, Martino, 2006, p. 298)

Ed è per questo motivo che il diritto alla salute si inserisce con prepotenza all’interno del dibattito sulla cittadinanza: un accesso differenziale ai servizi sanitari e al diritto alla salute – che, ricordiamo, è parte integrante del diritto alla vita – si inserisce in quel processo generale di inclusione differenziale descritto da Mezzadra74 che rende la cittadinanza non solo un elemento politico di esclusione75 ma anche un elemento sociale e giuridico di stratificazione, segmentazione, divisione.

Tutte queste considerazioni ci suggeriscono in modo chiaro l’importanza di continuare lungo la strada intrapresa di certezza del diritto alla salute e di progettualità per garantire a tutti l’accesso alle strutture sanitarie e la fruibilità delle prestazioni. […] Tutto ciò sarà comunque efficace se inserito in un percorso di politiche di integrazione che facciano dello straniero

74 “Più in generale, il confine prolunga la sua azione all’interno della città anche da un altro

punto di vista: assecondando la tendenza alla produzione di una pluralità di posizioni giuridiche differenziate all’interno della cittadinanza”. (Mezzadra, 2007, p. 40)

75 “La cittadinanza non rappresenta più, come all’origine dello Stato moderno, un fattore

di inclusione e di uguaglianza. Oggi, al contrario, dobbiamo ammettere che la cittadinanza dei paesi occidentali rappresenta l’ultimo privilegio di status, l’ultimo fattore di esclusione e discriminazione”. (Ferrero, Perocco, 2011, p. 45)

104 immigrato nel nostro Paese un cosciente e partecipe “nuovo cittadino”. (Geraci, El Hamad, 2011)

Nel documento La salute nel mercato del lavoro di cura (pagine 98-105)

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