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4. Dopo l'accoglienza

4.1 I sans-papiers

Vivere senza permesso di soggiorno sul territorio italiano comporta conseguenze di tipo legale, sociale, economico, psicologico e talvolta anche fisico sulla persona.

La presenza irregolare sul territorio è considerata dalla legge italiana un reato, così come citato dall'articolo 10-bis del Testo Unico sull'Immigrazione:

“salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene 1 Ministero dell'Interno, Rapporto sull'accoglienza di migranti e di rifugiati in Italia, in

http://www.libertaciviliimmigrazione.interno.it/dipim/export/sites/default/it/assets/pubblicazioni/Rap porto_accoglienza_ps.pdf ,consultato il 29 ottobre 2015.

2 Trebeschi M., Profughi, no al 56% delle domande. Commissione in allarme: solo 4 dipendenti per esaminare le richieste, http://brescia.corriere.it/notizie/cronaca/15_agosto_14/profughi-domande- accolte-respinte-migranti-brescia-bergamo-commissione-4e138cf6-4292-11e5-ab47-

nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente Testo Unico […] è punito con l'ammenda da 5000 a 10000 euro.”

Questo tipo di norma, oltre a criminalizzare il semplice status in cui si trova l'immigrato, implica il pagamento di un'ammenda estremamente simbolica poiché questo, nel pratico, ha limitate possibilità di realizzarsi a causa dell'esigua quantità di risorse economiche a disposizione della persona in buona parte dei casi. In ogni caso la conseguenza reale prevista per legge sarebbe l'espulsione amministrativa dell'incriminato3.

La condizione legale dell'immigrato non in possesso di documenti validi per la permanenza in Italia lo porta dunque a doversi nascondere, senza alcuna possibilità di pianificare un'esistenza stabile sul territorio. Instaurare un rapporto di lavoro con uno straniero irregolare o siglare un contratto che implichi la locazione di un immobile nei suoi confronti costituisce un reato di favoreggiamento alla permanenza dello straniero in Italia, per questo motivo il “clandestino” non ha alcuna possibilità di firmare contratti di alcun tipo. Ciò implica l'emersione di un problema abitativo che impedisce di alloggiare in una abitazione autonoma e porta a implicazioni legali anche per chi fosse disposto a dare ospitalità4. Lo straniero irregolare si trova di conseguenza a dover trovare soluzioni

alternative al limite della legalità che lo costringono a vivere costantemente “da ospite” o ad accettare condizioni abitative spesso insalubri in stabili fatiscenti, in molti casi a prezzi molto più alti del valore reale dell'alloggio. Ciò comporta, tra il resto, conseguenze di tipo sanitario sul corpo stesso della persona.

Lo straniero irregolare non ha alcun tipo di accesso a contributi statali, né ad altri tipi di servizi, al contrario i dipendenti statali, con l'eccezione dei medici (dopo le proteste da loro messe in atto), in seguito al “pacchetto sicurezza” hanno la libertà di denunciare la presenza dell'immigrato irregolarmente soggiornante in Italia alle autorità competenti. Dal punto di vista sanitario egli può essere soccorso e curato dal sistema sanitario nazionale solo se si trova in gravi condizioni, inoltre la paura di entrare in contatto con qualunque tipo di istituzione statale porta lo straniero stesso a temere la richiesta di assistenza. Ciò può causare il protrarsi di malattie e condizioni sanitarie problematiche ripercuotendosi fortemente sulla sua vita e sul suo fisico.

Vi è un ulteriore effetto, già accennato nel capitolo precedente, provocato dal diniego del

3 Lanza E., “Il diritto penale dell'immigrazione” in Morozzo Della Rocca P., Manuale breve di diritto dell'immigrazione, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2013.

permesso di soggiorno per il richiedente asilo e di conseguenza della sua caduta in una condizione di irregolarità. Ciò riguarda il risvolto psicologico dirompente che questo comporta nella vita della persona che, dopo aver vissuto un lungo periodo in attesa di scoprire di essere incluso o escluso dalla possibilità di risedere legalmente sul territorio italiano, viene tagliato fuori da qualsiasi tipo di supporto reale da parte dello Stato.

La percezione di non essere accettati, al contrario di venire rifiutati dallo stato di immigrazione causa un sentimento di esclusione, di ingiustizia e talvolta di rifiuto nei confronti della società d'arrivo a causa di una improvvisa perdita di ogni aspettativa5.

Per i richiedenti asilo in particolare, l'attesa e tutti gli sforzi messi in atto per inserirsi nel tessuto sociale e di adattamento al nuovo contesto appaiono come vani e non rappresentano un elemento discriminante per la decisione finale della concessione della protezione internazionale. Inoltre, il passaggio brusco da un sistema di accoglienza spesso assistenziale e totalizzante ad un'uscita dalla struttura con la perdita di ogni diritto, risulta ancora più schiacciante ed escludente di un ingresso clandestino senza alcuna accoglienza.

Da una fase in cui l'ente governativo ha deciso la localizzazione della persona senza considerare in alcun modo la presenza di famigliari o conoscenti, dove l'ente di accoglienza ne ha scandito le attività giornaliere, l'alimentazione, l'utilizzo del tempo a disposizione e la nuova identità della persona si è costruita su nuovi rapporti, nuovi comportamenti, nuovi schemi normativi e addirittura l'aspetto fisico ha subito dei cambiamenti in conseguenza all'adattamento al nuovo contesto, il richiedente asilo denegato viene “messo alla porta”, senza nessun ulteriore punto di riferimento o rete reale di sostegno.

L'accoglienza quindi, specialmente nei casi in cui questa risulti particolarmente assistenzialistica nei confronti dei beneficiari, può finire per essere deleteria per la continuazione dell'esistenza della persona successivamente all'uscita dalla struttura. La risposta immediata ad ogni tipo di esigenza di vita quotidiana, talvolta non dando nemmeno la possibilità di organizzarsi in maniera autonoma, ma fornendo un pacchetto di risorse pronte all'uso senza richiedere alcuno sforzo all'ospite, porta la persona ad uno stato di impotenza e inattività che non la stimola a preparare il terreno per un futuro di cui le sorti sono sconosciute.

5 Radice L., “Il cammino dell'integrazione” in Ambrosini M. e Marchetti C. (a cura di) Cittadini possibili, un nuovo approccio all'accoglienza e all'integrazione dei rifugiati, Franco Angeli, Milano, 2008.

All'uscita dalla struttura i legami sociali che si sono venuti a costituire durante il periodo di accoglienza spesso non sono abbastanza forti per poter garantire alla persona un sostegno reale, abitativo, economico e sociale successivamente alla dimissione dall'accoglienza.

I rapporti più solidali e significativi rimangono solitamente quelli con le persone con cui si è effettuato il percorso per la richiesta d'asilo, che si trovano nelle stesse condizioni del denegato o sono ancora in attesa, non possono costituire, in ogni caso, un supporto reale. Per questa ragione chi gestisce le strutture di accoglienza ha una grande responsabilità nei confronti degli ospiti poiché obiettivo principale di questo periodo di attesa dovrebbe essere proprio quello di limitare al massimo le conseguenze di emarginazione e di esclusione sociale insite nell'uscita delle strutture, in particolare nel caso di un rigetto.

Il primo obiettivo di un ente di accoglienza, come si legge nelle guida all'accoglienza dello SPRAR, è quello della riconquista dell'autonomia del richiedente asilo. Nei requisiti dettati dalla Convenzione con la Prefettura per i centri di accoglienza temporanei non pare però essere un prerogativa, poiché il beneficiario del servizio non può accedere ad alcun tipo di decisione riguardante l'amministrazione delle risorse a disposizione del centro di accoglienza. Non esiste autonomia nell'organizzazione della propria vita e “l'integrazione” della persona è guidata da una serie di progetti messi in campo dalle strutture ai quali il richiedente si trova obbligato a partecipare, che non sempre hanno un effetto realmente positivo.

Trovo utile ricordare nuovamente che i richiedenti asilo accolti nelle strutture sono solitamente persone nel pieno delle proprie capacità intellettive e fisiche e portano delle risorse significative che andrebbero piuttosto stimolate e potenziate con piena libertà di scelta della persona. Troppo spesso il trattamento riservatogli nelle strutture si avvicina di più ad un'assistenza e ad una riabilitazione adatta per altri tipi di problematiche, dedicando più tempo alla soddisfazione di bisogni primari, che potrebbe essere svolta direttamente dagli ospiti in seguito ad un'adeguata distribuzione delle risorse, piuttosto che ad un reale orientamento sul territorio o percorsi di aiuto per la ricerca autonoma di una risposta a lungo termine alle proprie necessità.

Troviamo poi un ulteriore problema portato dalla caduta dello straniero in condizioni di clandestinità successive al diniego: quello economico. L'impossibilità di avere un

rapporto di lavoro regolare siglato da un contratto e vincolato dalle tutele statali pone l'immigrato in una posizione di estrema subalternità.

Obbligato ad accettare qualsiasi condizione lavorativa che gli viene proposta lo straniero non ha possibilità di contrattazione e può essere sfruttato liberamente dal datore di lavoro che può mantenerlo in uno stato di costante ricattabilità senza che questo possa rivendicare alcun diritto.

Tale condizione è esattamente quanto richiesto dal sistema economico e produttivo attuale, una risorsa costante di manodopera a basso costo6 che permetta di risparmiare

sul lavoro dei dipendenti e di soddisfare la continua richiesta di produzione.

Il “clandestino” appartiene quindi ad una nuova fascia di popolazione occupando il gradino più basso in assoluto della scala sociale. Questa figura è richiesta e appositamente prodotta per rispondere alle esigenze pressanti dell'economia attuale. Non può essere messa in atto dunque una soluzione di “Immigrazione zero” come viene proposto da alcune parti politiche poiché la reale esigenza è quella di un' “immigrazione zero diritti”7.

La privazione di qualsiasi diritto nei suoi confronti costituisce un punto di partenza, un banco di prova nel quale lo straniero gioca il ruolo della “cavia da laboratorio”8 per

mettere in atto esperimenti di rapporti lavorativi che potranno essere poi realizzati anche nei confronti dei cittadini italiani. L'estrema precarietà, la perdita di diritti sul luogo di lavoro e gli effetti della globalizzazione attuale non restano esclusive riservate agli immigrati o ai sans-papiers, coinvolgono, al contrario, una fascia sempre più ampia di popolazione, un nuovo proletariato creatosi in seguito ad una progressiva limitazione della mobilità sociale accentuando così le disuguaglianze nella nostra società9.

L'esperienza attuale di precarietà e sfruttamento è dunque comune a una fetta di popolazione che non si limita solamente agli immigrati, al contrario va ampliandosi anche verso i lavoratori autoctoni più qualificati eliminando qualunque tipo di garanzia e sicurezza nel mondo del lavoro. Una risposta disgiunta da parte dei lavoratori immigrati è quindi limitativa rispetto al processo di smantellamento generale del diritto del lavoro e del welfare state in atto in questo periodo storico.

La clandestinità porta a conseguenze sicuramente più drammatiche e schiaccianti, la

6 Basso P. (a cura di), Razzismo di stato. Stati Uniti, Europa, Italia, Franco Angeli, Milano, 2010. 7 Ibidem

8 Basso P. e Perocco F., “Gli immigrati in Europa” in Basso P. e Perocco F. (a cura di), Gli Immigrati in Europa. Diseguaglianze, razzismo, lotte. Franco Angeli, Milano,2003

mancanza di un lavoro regolare e di un'abitazione adeguata facilitano l'avvicinamento dello straniero alle organizzazioni criminali e a una serie di problematiche che hanno delle ripercussioni reali sulla società. Le leggi attualmente vigenti non sono dunque atte ad agire in favore della sicurezza10, al contrario contribuiscono a fomentare quel clima di

insicurezza che giustifica un'azione repressiva e penale da parte dello Stato. La problematica coinvolge l'intero tessuto sociale in tutti i suoi aspetti.

L'altissima percentuale di rigetti delle richieste di protezione internazionale messa in atto dalle Commissioni Territoriali a livello italiano, ma anche europeo, sta avendo come conseguenza una clandestinizzazione che è totalmente in linea con i comportamenti tenuti finora dalle istituzioni statali in materia di immigrazione.

Continua a esserci quindi una reale richiesta di lavoratori stranieri, questa implica però un rapporto lavorativo senza contratto, parte di un'economia sommersa la quale non contempla il pagamento di contributi statali né delle tutele nei confronti del lavoratore che spesso si trova a svolgere mansioni pericolose o dannose per la sua salute senza le adeguate protezioni.

I lavoratori non rimangono però sempre in silenzio di fronte a queste condizioni, vedremo ora, come in molte situazioni gli immigrati siano i primi a reagire di fronte a questo stato di subalternità.