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Santi e impostori: Dostoevskij nel «Corto viaggio sentimentale»

II. Violenza, malafede, ipocrisia: verità e menzogne del riso in Svevo

3. Santi e impostori: Dostoevskij nel «Corto viaggio sentimentale»

In Corto viaggio sentimentale (1925-1928), il protagonista Aghios possiede senza dubbio alcuni tratti tipici del personaggio irregolare. Lo sottolinea l’esplicita contrapposizione all’«uomo normale», il compagno di viaggio Borlini:

«Ma perché ci sono, gli affari? Non forse per la famiglia? Quando penso agli affari, penso alla famiglia». L’Aghios rimase ammirato. Quest’era la presentazione del vero uomo normale! Non gli era simpatico. L’uomo normale voleva che tutti pensassero a lui […]. Come era migliore lui, che non domandava niente. [Corto viaggio sentimentale, RSA, 549]

Di nuovo, la rivendicazione dell’anomalia coincide con uno smaccato atteggiamento hybristico: «come era migliore lui, che non domandava niente». Certo l’indole di Aghios è ben diversa da quella del sentimental traveller sterniano, ingenuo e bendisposto nei confronti del mondo: pur sforzandosi a più riprese di

risultare generoso e benevolo, il personaggio sveviano indulge volentieri alle istanze più meschine della propria natura, e in generale della natura umana.24 Il mito dell’amiable original, insomma, è oggetto di un’evidente parodia: l’ipotesi suggerita dal parallelo con Sterne potrebbe comunque essere ulteriormente precisata, a partire dai debiti – più nascosti, ma non meno significativi – con un ipotesto ottocentesco.

Il senso di superiorità e di estraneità provato da Aghios sembra trovare un’ideale manifestazione simbolica in un episodio cruciale della novella, nel quale il personaggio sogna di viaggiare nel cosmo:

Insomma il signor Aghios era avviato verso il pianeta Marte, sdraiato su un carrello che si moveva traverso lo spazio come sulle rotaie. Egli vi era sdraiato bocconi e invece di pavimento il carrello aveva delle assi su cui, dolorante, poggiava il suo corpo. Una delle assi passava sul suo petto e rendeva più pesante la tasca che vi era. Sotto a lui c’era lo spazio infinito e al di sopra anche. La terra non si vedeva più e Marte non ancora. […]

Previde quel pianeta. Ebbene, egli lo avrebbe popolato di gente che avrebbe intesa la sua lingua, mentre egli non avrebbe intesa la loro. Così egli avrebbe comunicata loro la propria libertà e indipendenza, mentre loro non avrebbero potuto incatenarlo con le loro storie, che certo non mancavano loro. [Corto viaggio sentimentale, RSA, 597]

«Sdraiato su un carrello», Aghios si dirige verso Marte; durante il tragitto cerca di prefigurarsi l’incontro con gli alieni, fino al dettaglio dell’incomprensione linguistica. La sequenza presenta numerose analogie, a mio avviso, con una novella di Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo (1877); il protagonista è una vittima del dileggio comunitario, moralmente superiore – come Myskin – alla società che lo deride. Il personaggio tradisce il proprio desiderio di fuga in un episodio onirico, durante il quale immagina di vagare nello spazio e di cercare rifugio su un altro pianeta:

Mi addormentai senza accorgermene e continuai a meditare sugli stessi pensieri. […] Era come se fossi diventato cieco e muto, giacevo disteso e supino su qualcosa di duro, senza

24 «La smania di benevolenza che caratterizza tutto il viaggio di Aghios ricorda un altro passo del

romanzo di Sterne […]. Ma gli auspici di Yorick trovano concretizzazioni autentiche, per quanto eccentriche o deviate da sentimenti meno edificanti; mentre i propositi di generosità e concordia di Aghios rimangono virtuali, inceppati dalle circostanze (nell’incontro con i contadini), da idiosincrasie caratteriali (nella conversazione con Borlini), dal richiamo prioritario dell’interesse (nella sollecitudine verso Bacis)» [C. Bertoni 2004: 1270-71]. Un confronto con il Sentimental

riuscire a vedere nulla […]. Ero chiuso in una bara e mi stavano portando via. [Il sogno di un

uomo ridicolo, RA, 815-16; c.m.]

Un essere scuro e sconosciuto mi prese trascinandomi con sé nello spazio. […] Volavamo

nell’immensità dello spazio ormai lontani dalla Terra. [817, c.m.]

La posizione del viaggiatore, e la descrizione del panorama, sono senz’altro vicine al testo sveviano; la somiglianza è ribadita da ulteriori dettagli, ad esempio gli accenni al pianeta Marte e i problemi di comunicazione con il popolo alieno.25 Altrettanto evidenti, però, sono le differenze. Come anticipato, l’«uomo ridicolo» di Dostoevskij si distingue per il suo candore evangelico: lo dimostra, fra l’altro, il suo profondo sconvolgimento per il caso lacrimevole di una povera bambina, incontrata all’inizio del racconto.26 Rispetto al modello, le fantasie erotiche ispirate ad Aghios dalla fanciulla Anna appaiono come una degradazione parodica:

E l’Aghios si domandò: «Ma perché la mia figliuola ha da giacere così sotto a me? È il sesso? Io non la voglio». E urlò: «Io sono il padre, il buon padre virtuoso». Subito Anna fu seduta lontano da lui, ad un angolo del carrello, in grande pericolo di scivolarne nell’orrendo spazio e l’Aghios gridò: «Ritorna, ritorna, si vede che su quest’ordigno non si può stare altrimenti». E Anna obbediente ritornò a lui come prima, meglio di prima. [RSA, 599]

Date le premesse, non stupisce che i due personaggi intrattengano un rapporto radicalmente diverso con il riso: al contrario del personaggio dostoevskiano, quello di Svevo sa bene come guardarsi dallo scherno, che del resto lo ossessiona fin dalle prime righe della novella.27 Inoltre, a differenza del suo antenato, Aghios è in grado di trarre vantaggio dal potere mistificante del riso: proprio in questo modo può salvarsi dal castigo sociale, e adeguarsi a una norma che pure disdegna in segreto. Hanno valore sintomatico, dunque, i frequenti sorrisi con cui il

25 «A un tratto, per esempio, mi era nata una strana idea: se fossi vissuto prima sulla Luna o su

Marte, e là avessi commesso l’atto più vergognoso e più disonesto che si possa immaginare, […] e

se poi, capitando sulla Terra, avessi continuato a mantenere la coscienza di ciò che avevo fatto su quell’altro pianeta, […] avrei avuto vergogna di ciò che avevo fatto, oppure no?» [Il sogno di un

uomo ridicolo, RA, 814; c.m.]. «Quella gente non insisteva nel farsi capire da me, essi mi amavano

comunque, sapevo però che anche loro non avrebbero mai compreso me, e per questo non ho quasi mai parlato della nostra Terra» [822].

26 «Ma perché non ho aiutato quella bambina? […] Sentivo per lei una grande compassione,

ricordo, tanto da provarne uno strano dolore, che era perfino incredibile nella mia situazione» [Il

sogno di un uomo ridicolo, RA, 812-13].

27 «Bisognava abbreviare quegli addii ridicoli se prolungati fra due vecchi coniugi. Ci si trovava

bensì in uno di quei posti ove tutti hanno fretta e non hanno il tempo di guardare il vicino neppure per riderne, ma il signor Aghios sentiva costituirsi nell’animo proprio il vicino che ride. Anzi lui stesso diveniva quel vicino» [RSA, 501].

protagonista nasconde – come imposto dalla Kultur – le pulsioni ostili o erotiche: «Era meglio sorriderle ancora una volta e andare via in pace. Ma il rancore c’era nell’animo suo ed era male» [RSA, 514]; «Una graziosa giovanetta si fece in disparte, fin dove Aghios la guardò con un sorriso che volle paterno, pensando però che non sarebbe stato male se lo scompiglio in quel breve spazio l’avesse gettato su lei» [RSA, 516]. Se la maschera ipocrita garantisce una sorta di assoluzione pubblica, in privato una funzione analoga è svolta dall’indulgenza umoristica verso se stessi. Dall’ipocrisia si passa quindi alla malafede, intesa come rifiuto di assumere la responsabilità per ciò che si è:

Ridestandosi il signor Aghios giunse al suo mondo con un giudizio sintetico: «Io sono un vecchio che non amerebbe nessuno e da nessuno sarebbe amato se non ci fossi io stesso che amo e da cui sono amato». Bisognava rischiarare il mondo a cui egli ritornava. Sorrise,

perché non ci fu amarezza. Le cose erano così e ne risultava una situazione comoda come la

sua età esigeva. Poi la sua asserzione andava attenuata: non si poteva dire ch’egli amasse qualcuno, ma egli amava intensamente tutta la vita, gli uomini, le bestie e le piante, tutta roba anonima e perciò tanto amabile. [RSA, 529; c.m.]

L’uso disinvolto del riso, d’altronde, rimanda più in generale a un atteggiamento opportunistico nei confronti della menzogna: attribuendo le proprie bugie a un’inclinazione immodificabile della specie umana, il viaggiatore sveviano si dispensa dal pentirsene;28 accadeva l’opposto nel Sogno di un uomo ridicolo, dove l’assillo dominante del protagonista risiede appunto nella tendenza umana a mentire.29 Insomma, se il personaggio di Dostoevskij è un martire dell’estraneità alla legge comunitaria, in Svevo il nome Aghios ha valenza puramente antifrastica: nel corso del racconto, lo scarto dalla norma si rivela sempre più illusorio. Come in

Una burla riuscita, l’ironia sveviana mira anzitutto a smontare il manicheismo

28 Aghios riflette più volte sulla propria facilità alla menzogna, considerandola sempre con

curiosità più che con rimorso: «Mentiva. Bastava indirizzarsi fra uomini una sola parola per correre il rischio di dover dire una menzogna. Si era nella verità fra sconosciuti soltanto» [RSA, 526]; «Ora invece si sentiva sollevato dalla gentilezza che riceveva. Rientrava con un sospiro di sollievo nel consorzio umano, non accorgendosi che anche quel puntello poggiava su una menzogna» [RSA, 526]; «La menzogna con coloro che ci conoscono s’adattava a tutte le circostanze per essere più credibile. Nel treno che correva era suggerita dal capriccio» [RSA, 532].

29 L’eroe dostoevskiano arriva addirittura ad accusarsi di aver trasmesso la piaga della menzogna,

senza volerlo, alla popolazione aliena: «Il fatto è che io… Finii per corromperli tutti! […] Io contagiai quella Terra felice e innocente. Essi impararono a mentire, incominciarono ad amare la menzogna, e a conoscerne la bellezza. […] Dopo di che nacque la sensualità, la sensualità diede origine alla gelosia, e la gelosia alla crudeltà…» [Il sogno di un uomo ridicolo, RA, 827].

tipico dell’immaginario romantico; il bersaglio principale, in questo caso, è proprio l’umorismo ambiguo e disonesto del personaggio stesso.