Casi clinici dalla Letteratura
4.4 SCABBIA NORVEGESE o CROSTOSA
Nei pazienti immunocompromessi l’acaro Sarcoptes scabiei var. hominis causa un tipo di scabbia generalizzata che viene detta scabbia Norvegese o crostosa, dovuta ad un abnorme moltiplicazione del parassita. In questi pazienti sono possibili superinfezioni secondarie, soprattutto streptococciche, talvolta letali.
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La scabbia norvegese è una dermatite generalizzata che si presenta con lesioni crostose (mani, piedi, cuoio capelluto, orecchie, unghie) ed eosinofilia. Può essere asintomatica e, occasionalmente, assomigliare ad eczema o psoriasi, creando difficoltà nella diagnosi differenziale. Errori diagnostici che portino al trattamento topico con corticosteroidi della normale scabbia possono far progredire l’infezione fino alla citata scabbia norvegese42.
Agente eziologico Sarcoptes scabiei
Distribuzione Cosmopolita
Sintomatologia Prurito di origine allergica agli antigeni fecali rilasciati dall’acaro con esacerbazioni notturne
Diagnosi Ricerca di uova e acari attorno alle aree lesionate
Terapia Permetrina, ivermectina (per la scabbia norvegese)
Lotta e prevenzione Evitare il contatto con individui portatori
Tab.4 Infezione da Sarcoptes scabiei
4.4.1 Caso clinico
Donna di 80 anni con una storia di 1 anno di artrite reumatoide severa, positiva al fattore reumatoide (FR) e agli anticorpi anti-citrullina (CCP) e con noduli polmonari. Inizialmente è stata trattata con MTX (15 mg/settimana) e corticosteroidi per via orale (15 mg/die). Dopo nove mesi il quadro clinico peggiorava mostrando un Disease Activity Score 28 (DAS 28) >6, perdita di peso di oltre sette chili e cachessia, definendo un’artrite reumatoide grave e attiva. E’ stato aggiunto al MTX il tocilizumab (TCZ) (8 mg/kg ogni 4 settimane), con un incremento della dose di prednisone a 20 mg/die. Un mese dopo la prima infusione di TCZ, durante la seconda, la paziente riportava un
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prurito diffuso che coinvolgeva il tronco, le braccia, gli avambracci, le mani, e le cosce. Al momento della prima visita dermatologica il prurito fu attribuito alla xerosi cutanea. Nei 3 mesi successivi la somministrazione di TCZ fu ripetuta ogni 4 settimane, ma a causa della sua inefficacia, furono somministrate 2 infusioni intravenose di metilprednisolone (150 mg). Il prurito diventava sempre più intenso e persistente, le lesioni cutanee sempre più estese, ipercheratosiche, eritrodermiche con scaglie e mostravano tendenza alla degenerazione. Fu posta diagnosi di eritrodermia secondaria a vasculite cutanea o a psoriasi o a sindrome paraneoplastica. Fu eseguita una biopsia cutanea sulle lesioni squamose, seguita dall’esame microscopico che evidenziò segni aspecifici di infiammazione e nessun segno di vasculite. Infine, fu sospeso il TCZ, dopo 4 infusioni, a causa della comparsa di polmonite infettiva. Data la persistenza dei sintomi dermatologici, a seguito di una seconda biopsia si rilevò la presenza di numerosi acari e delle loro uova; fu così posta la diagnosi di scabbia crostosa. Furono somministrati piperonil butossido ad uso topico (un’applicazione al giorno per 13 giorni) e ivermectina (9 mg in unica somministrazione), ma dopo 8 giorni di trattamento gli acari non erano stati ancora eliminati. La paziente assunse una seconda e terza dose di ivermectina dopo 15 e 21 giorni. I controlli clinici dopo 1 e 3 mesi dalla fine del trattamento mostrarono una regressione dei sintomi cutanei47.
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Discussione
L’uso crescente di differenti terapie immunosoppressive, ha fatto si che la diagnosi di scabbia crostosa o Norvegese non sia un evento così raro come lo era in passato. Il primo caso associato a terapia immunosoppressiva è stato riportato nel 1973 in un paziente sottoposto a terapia sistemica con corticosteroidi59. Il caso clinico appena descritto rappresenta il primo caso sviluppato durante la somministrazione di tocilizumab. Casi simili si sono verificati con l’uso di infliximab60. Dobbiamo tenere in considerazione che
altri fattori di rischio, come alte dosi di corticosteroidi e l’età, comportano una depressione del sistema immunitario, partecipando così allo sviluppo della scabbia Norvegese. D’altra parte, il fatto che questo quadro clinico sia comparso subito dopo la somministrazione del tocilizumab (un mese dopo l’inizio della terapia), suggerisce che questo farmaco sia il principale fattore associato alla comparsa della scabbia e al suo passaggio alla forma crostosa. La risposta immunitaria coinvolta durante un infezione da Sarcoptes scabiei è sia di tipo cellulare che umorale. Il TCZ è un anticorpo monoclonale umanizzato rivolto contro l’IL-6 e riconosce il suo recettore sia in forma solubile che legata alla membrana; in questo modo blocca l’azione pro- infiammatoria dell’IL-661. E’ stato constatato che estratti di Sarcoptes scabiei
inducono, nei cheratinociti epidermici umani, una marcata secrezione di IL-6, allo scopo di indurre una reazione infiammatoria, in risposta all’infezione, per limitare l’estensione della patologia62. Nell’infezione di Sarcoptes scabiei
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l’IL-6 sembra avere altre importanti funzioni nella risposta immunitaria: aumentare la permeabilità vascolare e attivare i linfociti Th1 e Th2 CD4+, che rappresentano le principali cellule dell’infiltrato infiammatorio nelle lesioni cutanee. Per queste ragioni bloccando IL-6 con il TCZ potrebbe venire meno il controllo su un’infezione locale di scabbia, favorendo così, lo sviluppo della forma generalizzata. Concludendo, la comparsa di prurito persistente ed eritrodermia, in un paziente in terapia con TCZ, ci deve subito far pensare a questa forma di scabbia, soprattutto nel caso in cui siano presenti altri fattori di rischio 47.
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Conclusioni
Il trattamento di prima linea delle patologie reumatologiche e autoimmuni, come suggerito dalle linee guida, prevede l’utilizzo dei DMARDs. Una parte dei pazienti, tuttavia, non ottiene un livello accettabile di benefici terapeutici e la persistenza dei sintomi impone un diverso approccio farmacologico: il ricorso ai farmaci biologici o, nelle forme più gravi, l’associazione dei due tipi di farmaci. Questa seconda linea d’intervento, se da un lato determina un miglior controllo della sintomatologia, dall’altro può causare una serie di eventi avversi (tra cui quelli infettivi) che pone l’interrogativo sulla necessità di uno screening pre-trattamento. Come emerge dalla letteratura, per infezioni quali tubercolosi, istoplasmosi, coccidiomicosi e listeriosi è attualmente indicata un’indagine preliminare volta ad escludere dal protocollo terapeutico i pazienti positivi ai test specifici, mentre, nel caso delle infezioni parassitarie, non è al momento previsto uno screening pre-terapia biologica. Il razionale di un simile atteggiamento risiede sia nell’esiguità dei casi presenti in letteratura, sia nella possibilità di una diagnosi tempestiva e di un adeguato approccio medico delle parassitosi, in particolar modo nelle aree endemiche. Nonostante la bassa incidenza, le infezioni parassitarie post-trattamento biologico, rappresentano un rischio da non sottovalutare, in quanto comportano un deterioramento delle condizioni cliniche e un pericolo per la vita del paziente. Una cropocoltura per la ricerca delle larve di Strongiloides (metodo di
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Baermann), una sierodiagnosi per la ricerca di anticorpi anti- Leishmania (IFAT, ELISA, DAT, WESTERN BLOT), e la dimostrazione diretta nei tessuti (microscopia, colture, PCR) per Leishmania e Sarcoptes scabiei, dovrebbero essere inseriti nell’algoritmo di screening attualmente in uso.
Proposte
60 Esame sierologico e identificazi one delle larve nelle feci (copro- parassitolo gia)
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