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SCREENING DELLE PARASSITOSI NEI PAZIENTI IN TERAPIA CON FARMACI BIOLOGICI

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione pag. 3

Capitolo 1 Le citochine proinfiammatorie pag. 5

1.1 Interleuchina 1 (IL-1) pag. 7

1.2 Fattore di necrosi tumorale (TNF) pag. 9

1.3 Interleuchina 6 (IL-6) pag.11

Capitolo 2 I farmaci biologici pag. 13

2.1 Anti-TNF-α pag. 16

2.2 Anti-IL-1 pag. 18

2.3 Anti-IL-6 pag. 18

2.4 Anticorpi anti-CD20 pag. 19

2.5 Inibitori delle BLyS pag. 19

2.6 Inibitori delle cellule T pag. 20

Capitolo 3 Sicurezza dei farmaci biologici pag. 21

3.1 Infezioni batteriche pag. 23

3.2 Infezioni virali pag. 26

3.3 Infezioni fungine pag. 29

3.4 Infezioni parassitarie pag. 33

Capitolo 4 Casi clinici pag. 36

4.1 Leishmaniosi pag. 36

4.1.1 Caso clinico 1 pag. 39

4.1.2 Caso clinico 2 pag. 40

4.1.3 Caso clinico 3 pag 41

4.1.4 Caso

clinico 4 pag.42

4.2 Strongiloidosi pag. 44

4.2.1 Caso clinico pag. 47

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4.3 Infezioni da Acanthomoeba spp pag. 49

4.3.1 Caso clinico pag. 50

4.4 Scabbia norvegese o crostosa pag. 53

4.4.1 Caso clinico pag. 54

Conclusioni pag 58

Bibliografia pag. 61

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Introduzione

La patogenesi dell’artrite reumatoide e di altre patologie infiammatorie croniche come psoriasi, artropatia psoriasica, spondilite anchilosante, artrite cronica giovanile, morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa è legata ad uno squilibrio tra citochine ad attività antinfiammatoria e citochine ad attività proinfiammatoria a favore di queste ultime. In queste patologie è stato dimostrato un aumento dell’espressione del TNF-α al quale corrisponde un incremento di altri mediatori della flogosi (IL-1, IL-6, GM-CSF, IL-8) nonché di molecole di adesione. Per questo motivo la citochina TNF-α è stata scelta come bersaglio nel trattamento di queste patologie.

Ad esempio gli anti-TNF-α (infliximab e adalimumab) sono in grado di determinare la lisi cellulare attraverso meccanismi Ab-mediati e/o complemento mediati. L’effetto positivo della lisi cellulare è quello di ridurre le cellule che producono TNF-α con conseguente regressione del processo infiammatorio sulle articolazioni. L’effetto negativo, invece, è legato alla contemporanea riduzione di cellule immunocompetenti, che comporta un maggior rischio di sviluppare infezioni o comunque un diminuito controllo dell’infezione con insorgenza di forme disseminate.

I farmaci di “fondo”, i cosiddetti disease-modyfing anti rheumatic drugs (DMARDs), utilizzati nel trattamento di queste patologie, sono stati affiancati

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dai “farmaci biologici” che agiscono andando a bloccare le citochine proinfiammatorie.

Questi ultimi sono utilizzati come terapie di seconda linea, in monoterapia o in associazione con i DMARDs, poiché non ci sono ancora dati certi sulla loro sicurezza.

I farmaci biologici, sebbene abbiano dimostrato una buona efficacia sulla progressione delle suddette patologie, non sono privi di effetti collaterali che si presentano più frequentemente come infezioni batteriche, virali, fungine e parassitarie.

Il presente lavoro si sofferma sulle infezioni parassitarie, analizza i casi clinici presenti in letteratura e valuta i rischi e i benefici associati alla terapia biologica.

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Capitolo 1

Le citochine proinfiammatorie

Per meglio comprendere i meccanismi d’azione dei farmaci biologici è doverosa una digressione sulle citochine proinfiammatorie, molecole che appartengono ad una famiglia di mediatori polipeptidici non antigene specifici che fungono da segnali di comunicazione tra cellule del sistema immunitario e fra queste e diversi organi e tessuti. Le citochine sono prodotte da una varietà di tipi cellulari, la loro produzione è transitoria e non si ritrovano in quantità importanti in circolo in condizioni normali. Possiamo distinguere, in base alla loro funzione, vari tipi di citochine:

 citochine emopoietiche

 citochine dell’immunità specifica

 citochine proinfiammatorie (o infiammatorie primarie)

 citochine antinfiammatorie

 chemochine (citochine infiammatorie secondarie)1

Citochine proinfiammatorie

Le citochine proinfiammatorie costituiscono un trio di mediatori fondamentali: IL-1, TNF e IL-6. Le prime due hanno la capacità di innescare l’intera cascata di mediatori caratteristici di una risposta infiammatoria, mentre IL-6 tende ad

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essere in una certa misura un mediatore secondario, nel senso che costituisce la molecola responsabile di risposte quali la produzione di proteine della fase acuta (Fig.1). IL-1 e TNF inducono, a livello locale, la produzione di molecole adesive, chemochine, fattori di crescita e mediatori lipidici quali prostaglandine e monossido d’azoto (NO). Questi mediatori amplificano il reclutamento leucocitario e la sopravvivenza dei leucociti reclutati nel tessuto. L’aumento di leucociti a livello locale amplifica i meccanismi dell’immunità innata, e questo attiva l’immunità specifica. L’amplificazione dell’immunità innata è inoltre fondamentale per orientare l’immunità specifica a polarizzarsi in risposte di tipo I, caratterizzate dalla produzione di IFN-γ, o in risposte di tipo II, caratterizzate dalla produzione di IL-4 e IL-13. A livello sistemico IL-1 e TNF agiscono attraverso l’IL-6 sul fegato, il quale risponde producendo proteine di fase acuta che amplificano a livello sistemico i meccanismi dell’ immunità innata e del rimodellamento tissutale.

La cascata delle citochine infiammatorie è soggetta a regolazione da parte di circuiti negativi che agiscono a livello locale o sistemico (Fig.1). Il primo feed-back negativo è costituito da citochine ad attività antinfiammatorie (IL-10 o TGF-β) prodotte principalmente dalle stesse cellule che producono IL-1 e TNF (monociti-macrofagi). Un secondo feed-back negativo che inibisce la produzione di IL-1 e TNF è costituito dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Infatti, queste due citochine agiscono sull’ipotalamo inducendo la produzione di fattori di rilascio (releasing factor) che promuovono la produzione di ACTH

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(ipofisi) che a sua volta induce la produzione di ormoni glucocorticoidi (surrene). Gli ormoni glucocorticoidi inibiscono la produzione di IL-1 e TNF. Esaminiamo ora in dettaglio le proprietà molecolari e biologiche dei singoli mediatori.

Fig.1 La cascata delle citochine infiammatorie

1.1 Interleuchina 1 (IL-1)

E’ il prototipo delle citochine infiammatorie, è costituita da due molecole distinte codificate da geni distinti (IL-α e IL-β) e viene prodotta principalmente dai monociti-macrofagi. Gli stimoli proinfiammatori che inducono la produzione di IL-1 sono molti e includono i prodotti microbici riconosciuti dai TLR e citochine primarie (IL-1 stessa e TNF) che innescano così un meccanismo di amplificazione. La famiglia di Il-1 comprende, oltre alle due molecole agoniste IL-1α e IL-1β, un antagonista recettoriale (IL-1 Receptor Antagonist, IL-1ra) che è prodotto dalle stesse cellule che producono l’IL-1 ed è indotto dagli stessi segnali. E’ un agonista nel senso che legandosi al recettore impedisce alle molecole agoniste di interagire con il recettore

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stesso (Fig.2). Il risultato finale dell’attivazione cellulare da parte dell’IL-1 è l’attivazione di fattori di trascrizione, quali NF-κB e AP-1.

Fig.2 IL-1 e i suoi recettori

L’IL-1 agisce soprattutto sulle cellule emopoietiche (precursori emopoietici, linfociti T e B). Gli effetti sono in genere di stimolazione della proliferazione e della differenzazione e sono mediati dalla produzione di fattori di crescita e da IL-6. Un secondo importante bersaglio è il sistema nervoso centrale dove induce (a livello dei centri ipotalamici) la produzione di prostaglandine, che costituiscono i mediatori ultimi dell’effetto pirogenico. Infine, Il-1 agisce sui centri ipotalamici inducendo la produzione di releasing factor che a loro volta inducono la produzione di ACTH, che stimola la produzione surrenalica di ormoni glucocorticoidi. Questi ormoni hanno la capacità di spegnere la risposta infiammatoria, inibendo la produzione di citochine proinfiammatorie come l’IL-1 e aumentando la produzione di molecole antinfiammatorie

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(recettore decoy di IL-1). L’attivazione dell’ asse ipotalamo-ipofisario costituisce un feedback negativo dell’attività proinfiammatoria delle citochine primarie dell’infiammazione. Un altro bersaglio dell’IL-1 è costituito dall’endotelio vascolare, a livello del quale induce la produzione di chemochine e di molecole di adesione, amplificando il reclutamento di cellule infiammatorie a livello locale. Inoltre, IL-1 induce l’espressione di enzimi che portano alla sintesi di prostaciclina (PGI2) e di NO, che hanno attività vasodilatatoria. Anche le cellule del tessuto osseo, cartilagineo, sinoviale, e dei tessuti connettivi in generale costituiscono un bersaglio importante dell’azione di IL-1. In queste cellule, induce la produzione di proteasi e di prostaglandine, che causano dissoluzione e danno del tessuto, e fenomeni quali il rimodellamento osseo osservato in molte condizioni patologiche. A livello epatico, IL-1 induce la produzione di proteine di fase acuta in modo indiretto, nel senso che il mediatore ultimo responsabile di tale effetto è l’IL-6.

1.2 Fattore di necrosi tumorale (TNF)

Il TNF deve il suo nome all’attività necrotizzante esplicata nei confronti di alcuni tumori sperimentali. Ne esistono due isoforme, il TNF-α e il TNF-β (o linfotossina), quest’ultima prodotta principalmente da cellule linfoidi. Il TNF-α è un mediatore centrale delle risposte infiammatorie che condivide buona parte dei suoi effetti biologici con IL-1. Il TNF-α è sintetizzato come un

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precursore di 26 kD, ed è una proteina trans membrana di tipo II, con l’N-terminale cioè all’interno della membrana plasmatica. La forma di membrana viene processata da una metallo proteasi detta TNFα-Converting Enzyme (TACE) che dà luogo alla forma matura presente nei liquidi biologici di 17 kD. Sia la forma di membrana che la forma solubile di TNF sono capaci di interagire con il recettore quindi di attivare risposte biologiche. Le cellule produttrici di TNF sono i fagociti mononucleati, anche se altri tipi cellulari sono in grado di produrre questa citochina. Il TNF-α interagisce con due tipi di recettori, detti recettori di tipo 1 (TNFRI o p55) e recettore di tipo II (TNFRII o p75) (Fig.3).

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TNF è un omotrimero e interagendo con il recettore causa la multimerizzazione delle catene recettoriali. La formazione di omotrimeri recettoriali attiva la via di trasduzione del segnale. Il TNFRI attiva un programma di morte apoptotica centrato sull’attivazione di una cascata di enzimi proteolitici detti caspasi. TNFRII invece attiva funzionalmente la cellula ed anzi, alcuni geni indotti da TNFRII hanno la funzione di inibire la morte cellulare attivata da TNFRI. La cascata di trasduzione del segnale attivata da TNFRII, e in qualche misura da TNFI, porta all’attivazione di NF-κB e quindi all’induzione di un programma proinfiammatorio.

I bersagli tissutali e cellulari e il programma proinfiammatorio attivato di TNF sono sovrapponibili a quelli di IL-1, ad eccezione dell’effetto inibitorio che TNF ha sui precursori emopoietici, che è responsabile degli effetti sulle cellule circolanti associati a patologie croniche con iperproduzione di TNF.

1.3 Interleuchina 6 (IL-6)

IL-6 è una citochina che ha la funzione di regolare l’attività di molti degli effetti di IL-1 e TNF ed è centrale nell’induzione della risposta di fase acuta a livello epatico (Fig.4). Anche l’IL-6 viene prodotta da un’ampia varietà di cellule ma soprattutto da monociti macrofagi. Il recettore per l’IL-6 è costituito da una catena gp130, comune ad altre citochine, e una catena specifica, importante per il riconoscimento di IL-6, detta IL-6Rα (Fig.4).

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Questa catena specifica interagisce con il ligando ed è capace di formare un complesso recettoriale IL-6Rα-ligando.gp130, sia che sia associata alla membrana sia informa solubile. Questo meccanismo (detto di trans-signaling) fa si che cellule come quelle endoteliali che non hanno IL-6Rα possano rispondere a IL-6. La formazione di tale complesso (IL-6Rα-gp130) causa l’attivazione di tirosin chinasi della famiglia JAK, le quali fosforilano il recettore che associa fattori trascrizionali della famiglia STAT presenti nel citoplasma. STAT legati al recettore vengono fosforilati dalle tirosin chinasi JAK e si associano formando dimeri che migrano al nucleo e attivano la trascrizione genica.

L’IL-6 è un fattore di crescita emopoietico che agisce in particolare sulla differenziazione megacarocitaria e stimola la proliferazione dei linfociti Be T. Si ritiene che IL-6 sia fondamentale nel passaggio dall’infiammazione acuta a quella cronica, favorendo la produzione di chemochine attive su monociti rispetto a quelle che agiscono sui neutrofili.

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Fig.4 Proteine della fase acuta

Citochine anti-infiammatorie

La cascata delle citochine infiammatorie è regolata da feedback negativi diversi, parte dei quali sono le citochine antinfiammatorie (IL-1ra, IL-10 e TGF-β), in particolare IL-10 che viene prodotta dalle stesse cellule e in risposta agli stessi stimoli di IL-1 e TNF, ma è prodotta più tardivamente e il suo ruolo è quello di spegnere la loro produzione. La produzione di IL-10 e di citochine antinfiammatorie in generale, è aumentata da segnali anti-infiammatori quali ormoni glucocorticoidi o citochine che deviano la risposta infiammatoria quali IL-4 e IL-13.

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Capitolo 2

I farmaci biologici

La comprensione dei meccanismi immunologici alla base delle malattie autoimmuni e reumatologiche ha permesso lo sviluppo di una nuova classe di farmaci, denominati “biologici”, che mimano l’azione di proteine umane, interagiscono con proteine circolanti o target cellulari/extracellulari, bloccandone l’attività.

L’utilizzo di terapie biologiche in aggiunta ai DMARDs è in rapida espansione grazie ai buoni profili di efficacia e sicurezza.

I bersagli principali dei farmaci biologici sono citochine, cellule B e cellule T. I farmaci anti-citochine includono:

 Anti-TNFα

 Anti-IL-1

 Anti-IL-6

I farmaci che hanno come bersaglio le cellule B includono invece:

 Anticorpi anti-CD20

 Inibitori delle BLyS (B-lymphocyte stimulator) I farmaci che hanno come bersaglio le cellule T includono:

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La maggior parte di questi farmaci si è rivelata efficace in molte malattie autoimmuni e reumatologiche mentre altri sono utilizzati per specifiche patologie2.

Tra i farmaci biologici, sulla base della strategia e del meccanismo d’azione, si distinguono due differenti classi di molecole: gli anticorpi monoclonali identificati dal suffisso –mab e le proteine recettoriali di fusione identificate dal suffisso –cept.

I primi sono costituiti dal frammento della regione costante (Fc) delle immunoglobuline umane IgG1 accoppiato a siti di legame derivati da anticorpi murini. Sulla base del numero di sequenze murine presenti nella molecola si distinguono anticorpi chimerici (-ximab), costituiti dalla fusione delle componenti umana e murina, anticorpi umanizzati (-zumab) in cui le sequenze amminoacidiche murine sono presenti in una frazione minima (in genere 3-5%) e anticorpi umani (-umab) privi di sequenze murine.

Le proteine recettoriali (-cept) derivano dalla fusione della porzione Fc di una IgG umana con il dominio extracellulare di un recettore di membrana specifico per un determinato ligando. La porzione Fc dell’IgG umana ha la funzione di stabilizzare la struttura del recettore aumentandone l’emivita e riducendo così la frequenza delle somministrazioni3.

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2.1 Anti-TNF-α

Infliximab: è un’immunoglobulina di tipo G1k (IgG1k) monoclonale,

ricombinante, chimerica, composta da regioni costanti umane (75%) e regioni variabili murine (25%), con alta specificità, affinità e avidità per il TNF-α. Infliximab lega sia la forma transmembrana sia quella solubile del TNF-α e determina la lisi delle cellule che lo producono. Il legame di infliximab al TNF-α impedisce il legame tra quest’ultimo e i suoi recettori naturali bloccando la fase iniziale della cascata che porta alla trascrizione del gene del TNF-α e alla conseguente attività biologica3. Per quanto riguarda le reazioni avverse, l’uso di infliximab, in monoterapia o con metotrexato, è associato ad infezioni del tratto respiratorio, nausea, eruzioni cutanee, cefalea4.

Etanercept: è una proteina di fusione completamente di origine umana e

corrisponde al recettore di tipo 2 del TNF-α; deriva dalla fusione del dominio di legame extracellulare di questo recettore al dominio Fc di una IgG1 umana. Il farmaco mima l’effetto inibitorio dei recettori solubili endogeni del TNF con un’affinità da 50 a 1000 volte maggiore per il TNF-α e per il TNF-β rispetto ai recettori solubili monomerici endogeni. Etanercept si lega al TNF-α sia solubile che di membrana impedendone il legame ai recettori di superficie della cellula e bloccandone gli effetti proinfiammatori5. Tra gli eventi avversi, ai già citati per l’infliximab, si aggiungono reazioni al sito d’iniezione: eritema, dolore, edema e prurito4.

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Adalimumab: è un anticorpo IgG1 monoclonale, interamente umano,

espresso in cellule ovariche di criceto (Chinese Hamster Ovary). Si lega selettivamente al TNF-α e, impedendone l’interazione con i recettori di membrana p55 e p75, ne neutralizza la funzione biologica. Questo farmaco modula, inoltre, le risposte biologiche indotte o regolate dal TNF-α, inclusi i cambiamenti dei livelli delle molecole di adesione responsabili della migrazione dei leucociti (ELAM-1, VCAM-1, e ICAM-1). Dal punto di vista della compliance, Adalimumab risulta molto più maneggevole degli altri TNF-α, per diverse ragioni: è auto-somministrabile, permette un lungo intervallo tra le somministrazioni e, essendo totalmente di origine umana, presenta scarsa immunogenicità così da minimizzare il problema della produzione di anticorpi neutralizzanti responsabili della perdita di attività di questi farmaci. Gli effetti collaterali sono i medesimi di quelli di infliximab: nausea, cefalea, infezioni delle vie aeree superiori, eruzioni cutanee3.

Per tutti gli anti-TNF-α l’utilizzo è controindicato in presenza di infezioni

attive o ricorrenti, malattie autoimmuni, malattie demielinizzanti, insufficienza cardiaca grave e neoplasie (eccetto i tumori cutanei non melanoma completamente escissi).

Particolare attenzione deve essere riferita alla possibilità di riattivazione di una tubercolosi latente durante la terapia con farmaci anti-TNF-α, pertanto, prima di prescrivere questi farmaci, è sempre necessario procedere ad un appropriato

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screening dei pazienti mediante test di Mantoux o test di Quantiferon-tb Gold e radiografia del torace3.

2.2 Anti-IL-1

Anakinra: è un antagonista della IL-1, ricombinante, che compete con la

citochina per il legame al recettore ed inibisce gli effetti proinfiammatori della IL-1α e IL-1β. Sembra essere meno efficace degli antagonisti del TNF-α e può essere somministrato in monoterapia o in associazione (meglio se non con gli anti-TNF-α, per evitare il rischio di infezioni gravi)4.

2.3 Anti-IL-6

Tolicizumab: è un anticorpo monoclonale umanizzato ricombinante, che

inibisce il recettore per IL-6. IL-6 si lega al recettore di membrana o al recettore solubile e questo complesso a sua volta si lega al trasduttore del segnale 130gp. Questo processo aumenta la cascata infiammatoria, amplifica l’attività delle molecole di adesione e l’attivazione degli osteoclasti. IL-6 è anche responsabile dell’attivazione delle cellule B e T, ed è coinvolta nella differenziazione delle cellule B; bloccando quindi IL-6, la risposta infiammatoria diminuisce. Gli effetti collaterali più comuni durante il trattamento con Tolicizumab sono le infezioni (polmoniti, gastroenteriti, e

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infezioni del tratto urinario), neutropenia, che solitamente si stabilizza dopo 2 settimane di trattamento, e un alterazione dei livelli di colesterolo, del rapporto LDL/HDL, e del colesterolo totale2.

2.4 Anticorpi anti-CD20

Rituximab: è un anticorpo monoclonale chimerico umano rivolto contro la

proteina CD20 presente sulle cellule B naive, mature e memoria. Questo farmaco esaurisce la popolazione di cellule B tramite apoptosi, citotossicità cellulare, e attivazione del complemento. Le reazioni avverse sono: febbre, brividi, rash, gonfiore (di mani, piedi, e viso), broncospasmo, e ipotensione conseguenti all’infusione. Il trattamento con Rituximab richiede il monitoraggio di effetti avversi come infezioni, tbc, e linfomi2.

2.5 Inibitori delle BLyS

Belimumab: è un’immunoglobulina monoclonale umana (IgG1γ) che lega e

inibisce la forma solubile delle BLyS (B-lymphocyte simulator), le quali sono membri di una superfamiglia di TNFs che inattivano l’apoptosi delle cellule B e stimolano la loro differenziazione. Gli effetti collaterali più comuni includono nausea, diarrea, e infezioni delle vie aeree superiori. Meno comuni

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sono invece, febbre, cistiti, leucopenia, reazione all’ infusione, e infezioni gravi2.

2.6 Inibitori delle cellule T ( selective costimulation modulator)

Abatacept: il CTLA4 è un recettore appartenente alla superfamiglia delle

immunoglobuline, espresso dai linfociti T CD4+ e CD8+. A seguito del suo legame con uno dei suoi ligandi, CD80 e CD86, espressi su APC, trasmette un segnale inibitorio al linfocita T, contribuendo alla regolazione omeostatica della risposta immunitaria. Dal punto di vista biochimico è analogo del CD28, che però, legandosi agli stessi ligandi di CTLA4 (CD80/CD86), trasmette un segnale attivatore ai linfociti T. Abatacept è una IgG1 CTLA4 prodotta con tecnologia del DNA ricombinante in cellule ovariche di criceto cinese (Chinese Hamster Ovary), il cui meccanismo d’azione è quello di legare il CD80/CD86, inibendo la stimolazione da parte del CD28 sulle cellule T. I più importanti effetti collaterali di Abatacept sono infezioni, nausea, reazioni all’infusione, febbre, ipertensione, e dolore ad arti e schiena, disturbi delle vie aeree superiori2.

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Capitolo 3

Sicurezza dei farmaci biologici

I reumatologi hanno da tempo riconosciuto il problema della sicurezza come aspetto critico nell’utilizzo dei farmaci biologici. Per valutare la sicurezza di un farmaco i clinici possono fare affidamento su differenti risorse inclusi studi clinici controllati, randomizzati, registri post-marketing e rapporti aneddotici degli effetti collaterali pubblicati in letteratura e riferiti alle Agenzie di regolamentazione6.

Un rischio legato alle terapie con farmaci biologici è rappresentato dall’insorgenza di neoplasie; il rischio di linfoma, già di per sé associato all’artrite reumatoide, e di neoplasia cutanea non melanoma, aumenta nei pazienti trattati con inibitori del TNF-α7. Si riscontriano un aumento di neoplasie ematologiche e linfomi anche nei trattamenti con rituximab6.

Gli inibitori del TNF-α (infliximab) sono controindicati in caso di insufficienza cardiaca congestizia (stadio III o IV)8 e nelle patologie demielinizzanti (sclerosi multipla e neurite ottica)9.

Come emerso da uno studio effettuato dall’American College of Rheumatology del 2009 il Tocilizumab è controindicato nei pazienti con storia di diverticolite in quanto 26 pazienti con questa patologia presentarono perforazione gastrointestinale6.

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Per molti DMARDs, soprattutto per quelli biologici e per il Metotrexato (MTX), la principale preoccupazione è il rischio di infezioni, anche se ogni farmaco ha i suoi effetti collaterali specifici che influenzano la selezione del paziente e lo screening a cui sottoporlo6.

Anche se il preciso meccanismo alla base dell’aumentato rischio d’infezioni associato all’uso di terapie biologiche rimane poco chiaro, il fatto che questi farmaci abbiano come bersaglio componenti chiave del sistema immunitario, potrebbe spiegare l’aumentata suscettibilità a certi tipi di infezioni nei pazienti che ricevono questa terapia. Ad esempio gli anti-TNF-α, hanno come bersaglio il TNF che è prodotto dai macrofagi in risposta a stimoli proinfiammatori e agisce come mediatore centrale nell’infiammazione e nella regolazione immunitaria. Il TNF-α è anche un importante mediatore coinvolto nella sepsi10. Studi ex vivo hanno dimostrato che durante la terapia con anti-TNF-α, la produzione di INF-γ, in risposta alla stimolazione da parte di microrganismi, è significativamente ridotta, così come l’espressione di recettori tipo Toll (recettori che riconoscono molecole espresse dai patogeni e non dalle cellule dell’organismo, che scatenano la risposta infiammatoria) sulle cellule dendritiche11. Sebbene i vari farmaci appartenenti alla famiglia degli anti-TNF-α hanno target molecolari comuni, i loro meccanismi d’azione sono differenti e proprio queste differenze possono determinare effetti diversi sul sistema immunitario e quindi suscettibilità ad infezioni diverse.

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Per quanto riguarda invece i farmaci che hanno come bersaglio l’IL-1, Adalimumab e Rilonacept, sono gli unici attualmente disponibili; come il TNF-α, l’IL-1 è una citochina proinfiammatoria secreta dai macrofagi che funge da mediatore nella risposta infiammatoria.

Dato il ruolo chiave che le cellule B e T hanno nella risposta immune all’ infezione è chiaro come Abatacept e Rituximab abbiano un’influenza sulla capacità di controllare le infezioni dei pazienti che assumono questa terapia10. Le varie infezioni che possiamo riscontrare durante il trattamento con farmaci biologici possono essere determinate da batteri, virus, funghi e parassiti e possono essere sia infezioni ex novo (opportunistiche) che riattivazioni (come nel caso della tubercolosi, per esempio).

3.1 Infezioni batteriche

Tubercolosi (TBC): la TBC colpisce circa 1/3 della popolazione mondiale12 e il rischio di riattivazione di un’infezione latente è approssimativamente del 10% nel corso della vita e probabilmente maggiore in individui immunocompromessi13.

Consultando l’Adverse Event Reporting Sistem (AERS) della Food and Drug Administration (FDA), Kean e collaboratori hanno esaminato tutte le

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segnalazioni di TBC associate all’infliximab dal 1998 al 2001, trovando 70 casi di TBC, di cui 64 in paesi a bassa incidenza14.

Mohan et all. hanno esaminato, sempre dall’ AERS, i casi di TBC associati ad etanercept, dal novembre del 1998 al marzo del 2002, riportando 25 casi15. Molti altri studi dimostrarono una minore incidenza di TBC e di altre infezioni granulomatose nei pazienti trattati con etanercept rispetto a quelli trattati con infliximab o adalimumab; l’aumentato rischio di sviluppare un’infezione latente di TBC con infliximab e adalimumab rispetto a etanercept sembra essere dovuto alla capacità degli anticorpi monoclonali anti-TNF-α di effettuare un cross-link con TNF-α di membrana e di indurre apoptosi nelle cellule T16. Inoltre gli anticorpi anti TNF-α (infliximab e adalimumab) inibiscono l’induzione da parte dell’antigene della produzione dell’IFN-γ del 65-70%17. L’inibizione dell’IFN-γ svolge un ruolo cruciale nella riattivazione della TBC nei pazienti sottoposti a questa terapia18. Dato il rischio di riattivazione di infezioni latenti di TBC, il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC), raccomanda un pre-screening in tutti i pazienti che devono iniziare la terapia con anti TNF-α18. Lo screening prevede anamnesi, esame obbiettivo, test tubercolinico (TST: Tuberculin Skin Test) o un saggio del rilascio di IFN-γ (IGRA: IFN-γ Release Assay), e una radiografia del torace nei pazienti positivi al TST o all’IGRA o con un’anamnesi o esame obbiettivo suggestivo di TBC

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Micobatteri non-tubercolari (NTM): L’AREAS ha riportato che le infezioni

da micobatteri non-tubercolari sono 5-10 volte meno frequenti di quelle da Mycobacterium tubercolosis, ma un sondaggio del 2007 effettuato dall’ Infectious Diseases Society of America indica che le infezioni da micobatteri non-tubercolari, inclusi M. avium complex, M. chelonae, M. abscessus, e M. marinum, potrebbero avere maggiore incidenza rispetto alla TBC, nei pazienti che ricevono la terapia con anti-TNF-α19. Questa discrepanza tra i due risultati è giustificata dal fatto che esistono dei protocolli di screening e di trattamento per le infezioni latenti da TBC; è tuttora in fase di studio la relazione tra NTM e inibitori del TNF-α.

Listeriosi: è un’ infezione acquisita tramite l’ingestione di cibi (latticini

derivati da latte non pastorizzato e carne precotta) contaminati con Lysteria monocytogenes. L’infezione può portare a meningoencefalite e/o sepsi, con un tasso di mortalità del 20%. Donne in gravidanza, neonati, anziani, e immunocompromessi sono i soggetti più a rischio. Dixon et al. Riportano 3 casi di listeriosi su 7664 pazienti trattati con inibitori del TNF-α, con un incidenza approssimativamente di 3 casi su 10000 pazienti/anno, e quindi un’incidenza molto più alta rispetto alla popolazione generale che è di 3 casi su 100.00020. Dal 1998 al 2002, 38 casi di listeriosi sono stati riportati dall’AREAS, la maggior parte dei quali associati ad infliximab, solo 2 casi ad

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etanercept, con un IR (incidence ratio) rispettivamente di 15.5 e 1.8 su 100.000 pazienti. Questi risultati sottolineano una forte relazione tra TNF-α e l’aumentato rischio di listeriosi ma anche l’età e l’uso concomitante di altri immunosoppressori possono incidere21.

3.2 Infezioni virali

HBV : è un’infezione virale con un’alta percentuale di cronicizzazione, che

colpisce 350 milioni di persone al mondo. Studi effettuati su animali di laboratorio hanno dimostrato che durante il trattamento con anticorpi anti-TNF-α, viene meno la capacità dell’ospite di innescare una risposta immune e eliminare il virus. In letteratura sono state descritte riattivazioni d’infezioni stabili di HBV che possono essere dovute direttamente alla mancanza di TNF-α o indirettamente agli effetti sull’attivazione delle cellule T e alla produzione di IFN-γ. Ci sono pochi dati relativi all’impatto che l’uso degli inibitori del TNF-α ha sui pazienti con infezione virale, ma esiste la possibilità che questo possa portare alla riattivazione di un’infezione di un’epatite cronica e a un peggioramento della malattia18. Uno studio condotto da Carroll et al. descrive 13 casi clinici di pazienti con epatite B cronica in terapia con inibitori del TNF-α, di cui 11 con infliximab e 2 con etanercept. Tre di questi pazienti assumevano contemporaneamente metotrexato (MTX), e avevano test

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sierologici normali o stabili prima dell’inizio della terapia con anti-TNF-α. La riattivazione di HBV si verificava da 30 a 60 giorni dopo la terza dose di infliximab; nessun caso fu rilevato nei pazienti trattati con etanercept. Alcuni pazienti furono trattati prima, dopo, e durante la terapia con anti-TNF-α, con farmaci antivirali (Lamivudina) e questo riportò alla normalità i test di funzionalità epatica e la viremia. Nonostante questo un paziente in attesa di trapianto, morì per insufficienza epatica fulminante22. Sono necessari molti altri studi per capire il ruolo degli inibitori del TNF-α nell’infezione da HBV e determinare la sicurezza e gli effetti collaterali di questo trattamento. I pazienti che iniziano una terapia con questi farmaci dovrebbero quindi essere sottoposti a screening, mediante la ricerca di HbsAg, Ac anti-HbsAg, Ac anti-HbcAg. Per i pazienti positivi a questi test si consiglia l’associazione degli anti-TNF-α con la Lamivudina e il monitoraggio periodico delle transaminasi e della carica virale18.

HCV: Anche se i casi di infezioni acute da HCV stanno diminuendo, l’HCV è

ancora responsabile di 8.000-13.000 morti l’anno23. Come per HBV, livelli elevati di TNF-α, probabilmente correlati al rialzo delle ALT, si riscontrano in pazienti con HCV; rimane però ancora da chiarire quale sia il ruolo di questa citochina nella progressione della malattia24, 25. E’ interessante, a questo proposito, uno studio randomizzato su etanercept come terapia aggiuntiva

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all’IFN-α e ribavirina, in cui risultò che il farmaco aveva la capacità di ridurre la carica virale e il danno epatico26. Probabilmente ciò è dovuto al potenziale ruolo del TNF-α nell’apoptosi e nella fibrosi epatica27. Comunque i pazienti con HCV che iniziano un trattamento con questi farmaci dovrebbero essere monitorati controllando le transaminasi e la carica virale18.

HIV:.è un’infezione molto spesso associata a patologie reumatologiche come

artrite reumatoide, psoriasi, miositi, e vasculiti, per questo si è discusso a lungo sulla possibilità di utilizzare farmaci come gli inibitori del TNF-α in questi pazienti, già immunocompromessi. Ci sono però molti casi clinici riportati in letteratura, in cui si dimostra che pazienti con HIV e artrite reumatoide, trattati con questi farmaci, hanno tollerato bene la terapia18.

Walker et al. hanno testato la sicurezza degli inibitori del TNF-α in questo tipo di pazienti, seguendo 6 soggetti con HIV e con conta dei CD4+ sotto i 200/mm3, trattati con infliximab. Nelle 42 settimane in cui i pazienti furono osservati la conta dei CD4+ e la carica virale rimanevano invariate e non si rilevarono reazioni avverse 28. In un altro studio, una singola dose di etanercept fu somministrata in pazienti con HIV in terapia con HAART e con una viremia minore di 5.000 copie/ml: nessun cambiamento nella carica virale fu notata nelle 60 settimane di trattamento29. Comunque, altri studi sono necessari per chiarire il ruolo degli inibitori del TNF-α in pazienti con HIV.

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3.3 Infezioni fungine

Istoplasmosi: Histoplasma capsulatum è un fungo dimorfico che causa una

delle micosi più endemiche in USA, colpisce circa 250.000 individui ogni anno30. L’infezione avviene per inalazione di frammenti miceliali dal terreno contaminato da escrementi di uccelli o pipistrelli. In più del 90% dei soggetti immunocompetenti, l’infezione è subclinica e porta ad una malattia latente e asintomatica. Nel settembre del 2008 l’AERS ha registrato 240 casi di istoplasmosi associati alla terapia con inibitori di TNF-α18. Analizzando i primi 10 casi, Lee et al. hanno trovato che 9 casi erano insorti in pazienti trattati con infliximab e 1 con etanercept, ma gli autori non sono stati in grado di differenziare le infezioni acute dalle riattivazioni di infezioni latenti e dalle reinfezioni31. Wallis et al. hanno riscontrato un’incidenza annuale di 16,7/100000 nei pazienti trattati con infliximab e di 3/100000 in quelli trattati con etanercept32. Questi risultati dimostrarono che l’istoplasmosi può condurre ad una patologia grave nei pazienti sottoposti a terapia con inibitori del TNF-α e che il rischio dipende specificatamente dal tipo di farmaco utilizzato18. Alcuni autori raccomandano quindi una radiografia del torace, ricerca degli antigeni di Histoplasma prima dell’inizio della terapia, e nel follow-up, ricerca dell’antigene nelle urine ogni 3-4 mesi, nei pazienti che vivono o hanno vissuto in aree endemiche33.

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Coccidiomicosi : Coccidioides immitis è un fungo dimorfico endemico nel

Sud-Ovest dell’America e in alcune zone del Centro e del Sud America. Il contagio avviene per inalazione di un singolo artroconide e l’incubazione è di un mese, ma le riattivazioni di infezioni latenti possono verificarsi anche dopo anni. L’infezione può causare manifestazioni pseudo influenzali, pneumopatie acute autolimitanti, fino alla malattia disseminata nei soggetti immunodepressi. I dati sulla presenza, profilassi, e managment di infezione da C. immitis nei pazienti trattati con inibitori del TNF-α sono limitati34. Bergstrom et al. hanno descritto 13 casi di coccidiomicosi, 12 dei quali associati ad infliximab e 1 ad etanercept. I 13 pazienti si presentavano con segni e sintomi di polmonite, ma di questi solo 11 risultarono positivi alle IgM e/o alle IgG anti C. immitis. Quattro pazienti presentarono malattia disseminata e due sono deceduti. E’ importante sottolineare che 11 dei 12 pazienti trattati con infliximab, assumevano anche MTX, e 2 altri farmaci immunosoppressivi, questo suggerisce che l’azione di blocco del TNF non può essere la sola responsabile dell’aumentata incidenza delle infezioni35

.

Criptococcosi: Criptococcus neoformans è un fungo capsulato che si ritrova

in terreni contaminati da escrementi di uccelli. In USA, la criptococcosi, è più frequente nei pazienti HIV positivi, negli anziani e negli immunodepressi in generale. 36 In studi su animali con criptococcosi si è rilevata un’associazione

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tra l’inibizione del TNF-α e l’alterato reclutamento delle cellule infiammatorie nell’area d’infezione, e l’aumentato rischio di malattia disseminata37, 38

. Dal 1998 al 2002, l’AERS ha segnalato 19 casi d’infezione da C. neoformans in pazienti trattati con infliximab e etanercept (rispettivamente 4,7 e 7,1 su 100.000), con un’incidenza leggermente più alta per etanercept; bisogna comunque considerare che molti dei soggetti erano sottoposti a terapia concomitante con MTX, anche esso implicato nell’insorgenza di criptococcosi39. Nonostante tutto non esistono ancora linee guida per lo screening e la profilassi del critococco nei soggetti sottoposti ad anti-TNF-α, se non nei pazienti con HIV e un’anamnesi positiva per C. neoformans, per i quali è raccomandata una profilassi secondaria18.

Aspergillosi: è una micosi dovuta a Aspergillus fumigatus e A. flavus, funghi

ubiquitari che si possono trovare nel terreno, piante, polvere domestica e in prodotti alimentari come le spezie. L’Aspergillus può causare una vasta gamma di patologie ma nei pazienti immunodepressi causa più frequentemente l’aspergillosi invasiva. L’AERS segnala 39 casi, di cui 29 con infliximab e 10 con etanercept, che corrispondono a un’incidenza rispettivamente di 12,4 e 8,8 su 100.000 pazienti32. I risultati delle analisi dei casi clinici sono di difficile interpretazione, perché mancano dati clinici

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importanti come ad empio l’uso concomitante di altri farmaci immunosoppressivi18.

Pneumocistis carinii (jirovecii): La polmonite da Pneumocistis è una

patologia grave se si verifica nei pazienti immunodepressi. P. carinii era considerato un protozoo a causa della sua suscettibilità al trimethoprim-sulfametossazolo e alla pentamidina, ma tramite indagini genetiche si è dimostrata la sua appartenenza al regno dei funghi.

Kaur et al., usando i dati forniti dall’AERS dal 1998 al 2003, hanno riportato 84 casi di polmonite da P. carinii associati alla terapia con infliximab40, in cui il tempo medio tra la prima infusione e la comparsa dei primi sintomi di polmonite era di 21 giorni e che la morte si verificava nel 27% dei casi (anche in questo caso, molti pazienti erano trattati contemporaneamente con MTX e prednisone).

Altri studi, hanno dimostrato che età, malattie polmonari coesistenti, e alti dosaggi di glucocorticoidi, sono fattori di rischio per la polmonite da Pneumocistis in pazienti in terapia con infliximab; la profilassi per P. carinii, è quindi consigliata nei pazienti trattati con inibitori del TNF-α soprattutto se ricevono alte dosi di glucocorticoidi o di qualsiasi altro immunosoppressore41.

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3.4 Infezioni parassitarie

Acanthamoeba spp. : è un ameba anfizoica (insieme a Balamuthia

mandrillaris e Naegleria fowleri), uno dei microrganismi più diffusi in natura; è stata isolata in svariate “nicchie” tra cui acque potabili e minerali, feci animali, sistemi di condizionamento dell’aria. Causa infezioni cerebrali e oculari (cheratiti legate all’uso di lenti a contatto conseguenti alla mancata igiene nella conservazione e nell’applicazione)42. Sono rari i casi d’infezione durante terapia con farmaci biologici, uno dei pochi riportato in letteratura è legato all’uso del Rituximab43

.

In Fig.5 è illustrata la dimostrazione istologica, immunoistochimica e molecolare della diagnosi di localizzazione cerebrale del protozoo.

Fig.5: A) Cisti in una parete vasale (frecce) (ematossilina e eosina, ingrandimento x250). L’inserto mostra una cisti a alto ingrandimento (ematossilina e eosina, ingrandimento x800). B) Esame immunoistochimico con anticorpi. C) PCR per la

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rivelazione di Achantamoebaspp., Balamuthia mandrillaris, e Naegleria fowleri nel tessuto cerebrale e nel CSF (liquido cefalo-rachidiano) effettuato utilizzando come primer JPD per la ricerca di piccole subunità di rDNA. Da Meersseman et al., 200743.

Leishmaniosi: è un’infezione causata da Leishmania spp., un protozoo

intracellulare obbligato, che può causare patologie cutanee, mucocutanee o viscerali, ma anche infezioni latenti e riattivazioni, soprattutto in condizioni di malnutrizione e immunosoppressione. Diciotto sono i casi di riattivazione di leishmaniosi riportati dopo terapia con farmaci biologici44.

Strongiloidosi: è un’infezione causata da Strongiloides stercoralis, un

nematode intestinale che infetta almeno 100 milioni di persone nel mondo. In ospiti immunocompromessi causa una sindrome da iperinfezione con alto tasso di mortalità (sono descritti 240 casi di strongiloidosi disseminata41). Pertanto bisogna considerare lo screening nei pazienti a rischio come quelli provenienti da aree endemiche; alcuni autori, dato l’elevato costo e la bassa sensibilità del test, propongono un trattamento empirico con Ivermectina per i pazienti ad alto rischio45, 46.

Scabbia: è un’infezione il cui agente eziologico è il parassita Sarcoptes

scabiei. La femmina gravida scava delle gallerie nello strato corneo dell’epidermide (cunicoli), soprattutto tra le dita dei piedi e tra le pieghe della

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pelle dei polsi e dei gomiti. La patologia che ne consegue è caratterizzata da una sintomatologia che compare dopo 2-3 settimane dall’infestazione ed è di origine allergica (dovuta ad una reazione da ipersensibilità ritardata). La lesione cutanea si presenta con papule follicolari edematose, localizzate prevalentemente all’addome e alle gambe42. Una dermatite crostosa

generalizzata, detta scabbia Norvegese, è comparsa in pazienti trattati con tocilizumab per l’artrite reumatoide da cui erano affetti47.

Trypanosomosi Americana (Malattia di Chagas): è una patologia molto

importante in centro e Sud America per morbosità e mortalità, causata dal protozoo Trypanosoma cruzi. E’ stato dimostrato che in pazienti immunodepressi, trapiantati d’organo, affetti da HIV, e afetti da malattie autoimmuni, T. cruzi potrebbe riattivarsi, con conseguente incremento della parassitemia, miocarditi, lesioni cutanee, meningoencefaliti, e ascessi cerebrali48, 49. Gli effetti degli anti-TNF-α e di altri farmaci biologici sull’evoluzione della malattia di Chagas è ancora materia di discussione.

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Capitolo 4

Casi clinici dalla Letteratura

4.1 LEISHMANIOSI

L’agente eziologico della leishmaniosi è la Leishmania spp. a cui appartengono numerose specie. Questo parassita è endemico in aree tropicali, sub-tropicali, e temperate di 101 paesi. L’incidenza annuale di forme cutanee è di 1,5-2 milioni di casi e quella delle forme viscerali si attesta sul mezzo milione di casi.

Il vettore di questa parassitosi è rappresentato da un flebotomo, che veicola il protozoo da un mammifero all’altro durante l’assunzione di sangue, rigurgitando i promastigoti infettanti nel derma. Il ciclo vitale prosegue nell’ospite quando i promastigoti depositati vengono a contatto con le cellule macrofagiche.

L’infezione si propaga quando i macrofagi massivamente parassitati si rompono liberando amastigoti che vengono cosi fagocitati da altri macrofagi. L’evoluzione dell’infezione dipende dalla specie di Leishmania in causa e dal suo tropismo, cioè dalla tendenza del parassita a rimanere localizzato nel derma, o a disseminarsi nei tessuti ricchi di macrofagi (linfonodi, milza, fegato, e midollo osseo) o a propagarsi dalla cute alle mucose e cartilagini facciali.

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Il meccanismi di sopravvivenza di Leishmania all’interno del macrofago, comprendono:

 l’inibizione dell’ enzima nitrossido NO-sintetasi;

 modulazione dell’apoptosi;

 modulazione della produzione di mediatori immunologici, attraverso l’induzione da parte di Leishmania di citochine (IL-10 e TGF-β) che deprimono la risposta cellulo-mediata, e la soppressione di citochine (IL-12) attivanti tale risposta;

 inibizione della presentazione antigenica da parte dei macrofagi.

Gli aspetti patologici che caratterizzano le diverse forme cliniche di leishmaniosi riflettono il diverso rapporto tra la patogenicità e la capacità replicativa del parassita, la risposta immunitaria del paziente ed il danno tissutale che ne consegue.

Clinica

Leishmaniosi viscerale: è causata da L. donovani e L. infantum ed è caratterizzata da disseminazione generalizzata e incontrollata dei parassiti a livello di milza, fegato e midollo osseo, linfonodi e mucosa intestinale. A causa dell’iperplasia del sistema reticolo-endoteliale nel midollo osseo l’emopoiesi si riduce causando granulocitopenia e anemia. Inoltre durante la fase acuta della malattia si assiste a un’elevata produzione di immunoglobuline sieriche policlonali (specifiche e non).

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Tutto ciò si riflette sul quadro clinico-laboratoristico che sarà caratterizzato da: febbre, pallore, splenoepatomegalia, pancitopenia, VES elevata e ipergammaglobulinemia.

Leishmaniosi cutanea del Vecchio Mondo (Bottone d’oriente): è data da L. major, L. tropica, e da ceppi dermotropi di L. infantum. Si presenta con una papula eritematosa nel sito d’infezione che si ingrandisce ed evolve a nodulo non dolente dalla superficie crostosa. In molti casi la crosta cade lasciando esposta un’ulcera dai bordi ispessiti e con piccole papule satelliti che la circondano.

Leishmaniosi cutanea del Nuovo Mondo e muco-cutanea: è data da ceppi appartenenti a L. guyanensis e L. braziliensis, appartenenti al sottogenere e la forma più comune è quella localizzata di tipo ulcerativo. Sono molto frequenti lesioni multiple, in tutte le parti del corpo scoperte, a causa delle numerose punture infettanti. E’ frequente la disseminazione linfatica nell’area circostante con cordone linfangitico caratterizzato da formazioni nodulari ricche di parassiti che talvolta si aprono all’esterno dando origine a lesioni secondarie42.

Agente eziologico Numerose specie appartenenti al genere Leishmania

Distribuzione Aree tropicali, subtropicali e temperate di 88 paesi del

Nuovo e Vecchio Mondo, dei quali 16 economicamente sviluppati, Italia compresa

Incidenza di forme cliniche in Italia

Circa 1 per 100000 abitanti

Sintomatologia

Leishmaniosi viscerale Leishmaniosi cutanea

Febbre, pallore, epatosplenomegalia, pancitopenia e ipergammaglobulinemia

Lesioni cutanee papulari, nodulari o ulcerative, singole o multiple, in parti esposte

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Leishmaniosi muco-cutanea Lesioni cutanee ulcerative seguite da distruzione delle

cartilagini oronasali con interessamento della mucosa faringolaringea

Diagnosi clinica Non possibile nelle forme viscerali

Diagnosi di laboratorio Dimostrazione dei parassiti su tessuti (microscopia, coltura e PCR); sierodiagnosi nelle forme sistemiche (IFAT, ELISA, DAT, Western blot)

Terapia Sali dell’antimonio pentavalente (meglumina antimoniato

e stibogluconato sodico) per tutte le forme cliniche; amfotericina B liposomiale e miltefosina per le forme viscerali

Lotta e prevenzione Controllo del serbatoio e prevenzione delle punture del

vettore per le entità zoonotiche; trattamento

farmacologico radicale del paziente e controllo dei vettori endofili per le entità antroponotiche

Tab.1 Leishmaniosi

Segue la presentazione di 4 casi clinici, tratti dalla letteratura, identificati tra il 2007 e il 2012 in Brasile.

4.1.1 Caso clinico 1

Uomo di 62 anni con diagnosi di artrite reumatoide dal Maggio del 2006 in terapia con prednisone (7,5 mg/die), MTX (15 mg/settimana), e idroclorochina (400 mg/die).

Dal Maggio del 2007, a causa di un’insoddisfacente risposta clinica, viene aggiunto al regime terapeutico l’infliximab con un dosaggio di 3 mg/kg in infusione ogni 2 mesi, al quale segue un buon controllo del processo infiammatorio articolare.

Nel Maggio del 2011 il paziente presentava ostruzione nasale con secrezione purulenta ed emorragica, dolore alla deglutizione, febbricola, anoressia e perdita di peso.

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Viene sospeso l’infliximab e mediante nasofaringoscopia si rileva una mucosa congesta e iperemica con secrezione purulenta e perforazione del setto nasale. Gli esami di laboratorio mostravano: risultati negativi degli strisci di secrezioni nasali e delle colture per batteri, funghi e micobatteri; infiltrato linfoplasmocitario in assenza di parassiti all’ esame istopatologico su biopsia del setto nasale; positività del test di Montenegro (test intradermico specifico per la leishmaniosi); polymerase chain reaction (PCR) su frammenti bioptici del setto nasale positiva per il genoma di Leishmania.

Nel Maggio del 2011, dopo aver definito la diagnosi di leishmaniosi muco-cutanea vengono sospesi tutti farmaci e viene introdotto il glucantim (N-metilglucamina antimoniato) alle dosi di 20 mg/kg/giorno per 4 settimane. Lo stato clinico del paziente è migliorato rapidamente, arrivando alla guarigione completa in 6 settimane50.

4.1.2 Caso clinico 2

Uomo di 29 anni con spondilite anchilosante dal 1997, trattato con Indometacina (50 mg/die), prednisone (10 mg/die), sulfasalazina (1,5 g/die), e MTX (17,5 mg/settimana). Nel Giugno del 2009, a seguito del peggioramento del suo stato clinico, viene aggiunto al regime terapeutico l’infliximab 5 mg/kg in infusione ogni 2 mesi, ottenendo un miglioramento duraturo.

Nel Maggio del 2011 il paziente presentava febbre, mialgie, cefalea e perdita di peso. Gli esami di laboratorio mostravano: pancitopenia (Hb 9.3 g/dl, Hct

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28%, leucociti 2450/mm3 con linfopenia 808/mm3 e trombocitopenia 61000/mm3), urea (40mg/ml), creatinina (1,4 mg/dl), ALT (44 U/L), AST (63 U/L), γ-GT (32 U/L), bilirubina totale normale, proteine totali (8,8 g/dl), albumina (3,3, g/dl) e globuline (5,5 g/dl), PCR 165,53 mg/L e VES 78mm/ora. L’eco addome rilevava una splenomegalia (vol. 1467 cm3) e il test rapido immunocromatografico per la ricerca di anticorpi anti-leishmania era positivo. Nel Giugno del 2011, dopo la diagnosi di leishmaniosi viscerale, vengono interrotti tutti i farmaci antireumatici e il paziente inizia il trattamento con amfotericina B liposomiale alle dosi di 4 mg/kg per 5 giorni, seguita da infusioni mensili di 4 mg/kg per 3 mesi. Tale trattamento portò a remissione completa in 6 settimane. Nel Settembre 2011, viene reintrodotta la terapia per la spondilite con prednisone (5 mg/die) e adalimumab (40 mg ogni 2 settimane). Sei mesi dopo il paziente mostrava condizioni cliniche generali buone ed era asintomatico50.

4.1.3 Caso clinico 3

Uomo di 39 anni con artrite psoriasica dal Febbraio del 2002, sotto trattamento con prednisone ( 10 mg/die) e MTX (25 mg/settimana). Nel Luglio del 2010 viene aggiunto al regime terapeutico l’adalimumab 40 mg sc ogni 2 settimane. Nel Febbraio del 2011, dopo 7 mesi dall’inizio della terapia, il paziente sviluppava disfagia, astenia, secrezioni e ulcere nasali. La biopsia portò alla

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diagnosi di leishmaniosi muco-cutanea, a cui fece seguito la terapia con glucantim a dosi di 20 mg/kg/die per 4 settimane. Il paziente mostrò un rapido miglioramento e poco dopo remissione clinica completa; si decise infine di non interrompere il trattamento con anti-TNF-α e dopo 1 anno il paziente non manifestava nessuno degli effetti collaterali comparsi precedentemente50.

4.1.4 Caso clinico 4

Un uomo di 50 anni affetto da artrite psoriasica dal 2002, vista la scarsa efficacia dei trattamenti precedenti, nel Dicembre del 2010 inizia la terapia con infliximab che produce un esito positivo per i primi 6 mesi . Nel Giugno del 2011, la diminuita risposta clinica all’infliximab, impone l’introduzione dell’adalimumab. Nel Febbraio del 2012 compaiono lesioni cutanee sul braccio sinistro e l’iter diagnostico (biopsia cutanea, test di Montenegro, colture positive per Leishmania spp.) conduce alla diagnosi di leishmaniosi cutanea. Vengono interrotti gli anti-TNF-α e introdotta una terapia con glutantim alle dosi di 20 mg/kg/die per 4 settimane, con rapida remissione clinica. La reintroduzione dell’adalimumab non ha determinato alcun effetto avverso nei successivi 12 mesi di osservazione50.

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Discussione

Dal primo caso riportato da Romani-Costa et al. nel 200451 ad oggi, ci sono stati 32 casi, compresi quelli appena descritti, di leishmaniosi insorta in pazienti con patologie reumatologiche in terapia con anti-TNF-α50.

Dall’analisi di questi casi possiamo desumere le seguenti osservazioni: 1) tutti i pazienti provenivano da aree endemiche;

2) l’infliximab è l’anti-TNF-α più usato (13x), seguito dall’adalimumab (12x) e etanercept (2x);

3) il tempo medio per la comparsa dell’infezione è di circa 23,5 mesi di uso continuato di anti-TNF;

4) la forma viscerale è molto comune (15x), seguita dalla forma cutanea (10x) e dalla forma muco-cutanea (4x);

5) in soli 5 casi l’infezione ha dato una presentazione clinica atipica; 6) in 21 casi la terapia con anti-TNF-α è stata sospesa alla diagnosi

dell’infezione;

7) solo in 4 casi la terapia con anti- TNF-α è stata mantenuta; 8) con appropriati trattamenti l’infezione si è risolta in 4 settimane;

9) in 10 casi la terapia con anti-TNF-α è stata reintrodotta dopo la risoluzione dell’infezione;

10) solo in 3 casi l’infezione si è ripresentata.

Nella leishmaniosi viscerale prodotta sperimentalmente il TNF-α svolge un ruolo importante sia nell’attivazione dei macrofagi, indotta dalle citochine, sia

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nella formazione del granuloma, fasi che controllano l’infezione causata dai ceppi viscerotropi di Leishmania spp. La formazione e il mantenimento del granuloma sono componenti chiave della risposta immunitaria dell’ospite nei confronti del parassita e in entrambe queste fasi è essenziale il TNF-α, ma non è ancora chiaro il modo in cui regolerebbe tali processi. Durante l’infezione, foci di macrofagi e linfociti attivati circoscrivono l’infezione stessa. I linfociti T CD4+ producono due citochine, la linfotossina α e il TNF-α, le quali regolano la migrazione dei leucociti a livello epatico e “l’assemblaggio” del granuloma. L’IFN-α e il TNF-α sono coinvolti sia nel controllo della replicazione dei parassiti nelle fasi iniziali dell’ infezione, sia nella patogenesi del danno tissutale.

Sarebbe quindi opportuno proporre un programma di screening per la leishmaniosi nei pazienti sottoposti alla terapia con inibitori del TNF-α, ma data la sua bassa incidenza questo si potrebbe limitare agli individui che vivono o dovranno soggiornare in aree endemiche, come ad esempio in Liguria dove si registrano 6,5 nuovi casi ogni anno, 5 dei quali in soggetti adulti in condizioni di immunodepressione52.

4.2 STRONGILOIDOSI

La strongiloidosi è una parassitosi causata da un nematode, lo Stroingiloides stercoralis, del quale non abbiamo dati epidemiologici certi, a causa delle

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difficoltà legate alla diagnosi poiché l’infezione ricorre spesso in modo asintomatico. E’endemica nei tropici e nelle aree subtropicali comprese le aree rurali del sud degli USA. In Italia è il nematode autoctono più diffuso anche a causa dell’automantenimento dell’infezione.

La trasmissione avviene da uomo a uomo, anche se in alcune zone esiste un reservoir animale (cani e gatti), tramite penetrazione dalla cute che può causare una dermatite pruriginosa con esantema. Manifestazioni allergiche e sintomi respiratori si possono evidenziare durante la migrazione delle larve attraverso il sistema cuore-polmone.

Nei soggetti immunocompetenti la malattia regredisce spontaneamente, mentre in soggetti in cui l’immunità cellulo-mediata è soppressa (linfomi, leucemie, terapie con cortisonici o altri immunosoppressori, carcinomi, LES, alcolismo cronico e cirrosi, malnutrizione, lebbra lepromatosa, HTLV-1), la conta parassitaria cresce enormemente fino a raggiungere un gran numero di tessuti (sindrome da iperinfezione).

Clinica

La strongiloidosi si può presentare con due quadri clinici differenti, uno con interessamento cutaneo e uno intestinale.

Sintomi cutanei:

 larva currens: eruzione serpiginosa localizzata inizialmente nella zona perineale che si può estendere al cavo ascellare e all’inguine.

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 Rush orticarioide aspecifico: caratterizzata dalla comparsa di poussez di pomfi intorno alla vita e sui glutei.

Sintomi intestinali: scariche diarroiche con muco e sangue che possono evolvere in colite ulcerativa, causando anemia e sindrome da protido-dispersione42.

Nell'iperinfezione, i vermi adulti femmina si accumulano nel piccolo intestino superiore mentre le larve filariformi invadono il restante tratto intestinale. I sintomi gastrointestinali precoci includono nausea, vomito, diarrea e dolore addominale. L'infestazione non trattata può causare ileo, ostruzione, sanguinamento gastrointestinale massivo, malassorbimento grave e peritonite. I sintomi polmonari includono tosse, espettorazione, dispnea, emottisi, broncospasmo e insufficienza respiratoria. La radiografia del torace può mostrare infiltrati interstiziali diffusi, consolidamento o ascesso. Il tasso di mortalità della sindrome da iperinfezione può raggiungere il 60-86%53.

Agente eziologico Strongiloides stercoralis

Distribuzione Cosmopolita

Trasmissione Penetrazione della cute da parte di larve stongiloidi o auto

infezione

Incidenza in Italia >1 per 100 abitanti

Sintomatologia durante la penetrazione della cute Sistemica (buona risposta immunitaria)

Sistemica (scarsa risposta immunitaria)

Dermatite (larva currens) associata a eosinofilia Infezione asintomatica

Infiammazione intestinale cronica associata a diarrea e dolore epigastrici. Le larve possono raggiungere altri organi

provocando setticemia e ascessi: questa forma dell’infezione può essere letale

Diagnosi clinica Diarrea, dolore addominale e orticaria

Diagnosi di laboratorio Leucocitosi con eosinofilia, identificazione delle larve nelle feci (metodo di Baermann o di coltura in Agar)

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Terapia Ivermectina

Lotta e prevenzione Miglioramento delle condizioni igenico-sanitarie che evitino la contaminazione del terreno con feci umane

Tab.2 Strongiloidosi

4.2.1 Caso clinico

Donna di 59 anni, venezuelana, con storia di 3 anni di linfoma mantellare trattato con Rituximab-iper-CVAD (chemioterapia intensiva contenente ciclofosfamide, vincristina, doxorubicina, desametasone), alte dosi di MTX e ARA-C (citarabina) per 5 cicli (dall’ottobre del 2005 all’aprile del 2006) e mantenimento con solo rituximab per 1 anno e 10 mesi, prima del ricovero. Ricoverata il 6 Febbraio del 2008 con diagnosi di meningite da stafilococco coagulasi negativo (apparentemente S. warneri) è stata trattata con vancomicina per via endovenosa, terapia che ha portato alla risoluzione del quadro clinico. Tre settimane dopo è stata nuovamente ricoverata a causa di dolori addominali, diarrea, persistente tosse produttiva, febbre e sintomi periodici di pseudo-occlusione intestinale. L’esame coproparassitologico e l’analisi dell’espettorato rivelavano abbondanti larve filariformi di S. stercoralis (circa 40 larve/50µl). Dall’ espettorato furono isolati Klebsiella pneumoniae e Candida albicans.

Il deterioramento delle condizioni cliniche portarono al ricovero in unità di terapia intensiva dove è stata trattata con fluconazolo per 7 giorni e ivermectina (200 µl /kg//die per due giorni) con miglioramento della sintomatologia. Dopo 7 giorni di trattamento, si osservò la comparsa di dolore

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addominale diffuso, edema degli arti inferiori, cute secca e desquamata, prurito, febbre, tosse persistente con espettorato bianco. Un nuovo ciclo di ivermectina ha portato un miglioramento dei sintomi respiratori. La coltura diretta su agar dell’espettorato e la ricerca nei campioni fecali con il metodo di Baermann (al 30° e 52° giorno dal trattamento con ivermectina), risultarono negativi per S. stercoralis.

Quattro mesi dopo il primo ricovero (25 Giugno 2008), la paziente accusò un nuovo episodio di polmonite da K. pneumoniae, trattata con ceftazidima e conseguente miglioramento del quadro clinico. Durante gli esami di laboratorio fu rilevato un aumento delle cellule del sangue (32500/mm3) e eosinofilia (22425/mm3), determinando la necessità di un nuovo esame delle feci e dell’espettorato che risultò positivo per S. stercoralis. La paziente fu trattata senza successo con albendazolo (400mg/die per 5 giorni) e solo successivamente con ivermectina (200µl/kg/die per 5 giorni) con conseguente negativizzazione degli esami delle feci e dell’espettorato53

.

Discussione

L’associazione tra la sindrome da iperinfezione da Strongyloides stercoralis e linfoma è conosciuta da lungo tempo e sembra essere legata più alla terapia con i farmaci immunosoppressori che alla malignità della patologia in sé. Nel caso appena descritto, la prima diagnosi di strongiloidosi avveniva dopo il trattamento con il ciclo di chemioterapia che includeva il desametasone,

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quindi in questo caso poteva non essere chiaro il ruolo del rituximab; ma successivamente l’iperinfezione insorgeva quando la paziente assumeva solo il rituximab e aveva smesso la chemioterapia ormai da 1 anno e 10 mesi, fu così sospettata la relazione tra questo farmaco e l’infezione53.

Il rituximab induce lisi delle cellule B tramite una citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente, citotossicità complemento-dipendente e stimolazione dell’apoptosi54 e comporta una riduzione dei livelli di immunoglobuline,

soprattutto di IgG55 e IgM. Quest’ultime sono molto importanti nella risposta immune nei confronti di S. stercoralis e probabilmente prevengono la disseminazione del parassita56, 57.

4.3 INFEZIONI DA ACANTHAMOEBA spp

L’infezione da Acanthamoeba spp. causa in pazienti immunodepressi un’encefalite granulomatosa progressiva, fatale entro 2 mesi dall’inizio della sintomatologia 58. L’ameba viene veicolata al SNC per via ematica partendo da foci primari cutanei o polmonari. L’azione patogena a danno dell’encefalo avviene tramite attivazione del patrimonio enzimatico dei trofozoiti con conseguente secrezione di serino- e cisteino-proteasi, metalloproteasi e fosfolipasi, che insieme a fenomeni indotti di apoptosi sulle cellule bersaglio e ad una vorace attività di fagocitosi, contribuiscono a provocare danno e lisi tissutale nei confronti del SNC42.

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Clinica

Encefalite granulomatosa amebica: ha andamento subacuto e si presenta, dopo settimane o mesi d’incubazione, con: cefalea, nausea, convulsioni, alterazioni comportamentali, coma terminale.

Agente eziologico Acanthamoeba spp.

Distribuzione Cosmopolita

Trasmissione Acque infette per via nasale: direttamente via epitelio

neuro-olfattorio e superando la lamina cribrosa etmoidale, i trofozoiti infettano l’encefalo

Acque o pulviscolo o soluzioni di lavaggio inquinate: tramite lenti a contatto cisti o trofozoiti veicolati all’occhio infettano la cornea

Incidenzia in Italia (autoctona)

Aneddotica per le forme encefaliche Emergente per le cheratiti

Sintomatologia Encefalite subacuta

Cheratiti mono/bilaterali acute

Diagnosi clinica Segni e sintomi non patognomonici né per le infezioni del SNC né per le cheratiti

Diagnosi di laboratorio Ricerca diretta nel liquor o in biopsia cerebrale nelle forme encefaliche; su scraping o biopsia corneale nelle cheratiti; isolamento in vitro; tecniche di PCR e immunologiche per speciazione

Terapia Non disponibili farmaci eziologici per le forme cerebrali;

biguanidi associati a diamidine per uso topico nelle cheratiti

Lotta e prevenzione Adeguata disinfezione delle piscine; stretta igene nella conservazione e applicazione delle lenti a contatto

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