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Scegliamo noi il/la nostro/a partner? L’influenza del tipo d

Finora abbiamo visto come alcuni processi di tipo evoluzionistico influenzino la scelta del partner ed il contributo di certe caratteristiche fisiche nel determinare l’attrazione che si prova verso un’altra persona. Un altro aspetto che merita di essere preso in considerazione nella scelta di un partner, stavolta non di tipo fisico o visivo, è il tipo di attaccamento di un individuo. Padre della teoria sull’attaccamento è ritenuto essere John Bowlby, al quale rimandiamo per una lettura approfondita di tale teoria (Bowlby, 1972; Bowlby, 1975; Bowlby, 1983). In questa sede ci limitiamo a definire il sistema dell’attaccamento come un’organizzazione psicologica deputata «ad assicurare la protezione dai predatori e dai pericoli attraverso il mantenimento della vicinanza con la madre. Si tratta di un sistema a base innata, il quale può essere assimilato ad un sistema cibernetico basato su meccanismi di retroazione (feedback e forward). Attraverso la sua attivazione la tendenza a mantenere il contatto con chi deve proteggere e la tendenza ad esplorare l’ambiente, fisico e sociale, vengono tenute in un bilanciamento dinamico» (Attili, 2004).

A seconda delle modalità con le quali, fin da piccoli, ci relazioniamo con il proprio caregiver, in genere la madre, il tipo di attaccamento che ne deriverà sarà diverso ed influenzerà il modo di relazionarsi con gli altri non solo da bambini, ma anche in età adulta. Bowlby parla, infatti, di modelli operativi interni ossia «delle rappresentazioni mentali della relazione sviluppata con la figura di attaccamento e delle caratteristiche della figura stessa. Queste rappresentazioni si riferiscono sia ad aspetti cognitivi che emotivi e una volta costruite guidano l’attività relazionale del bambino ma non in maniera consapevole. Ogni bambino in fase di sviluppo costruisce dei modelli di se stesso e della figura di riferimento sulla base delle ripetute esperienze interattive che ha sperimentato con essa.

Queste rappresentazioni di interazioni vengono generalizzate e formano dei modelli rappresentazionali relativamente fissi che il bambino usa per predire il mondo e mettersi in relazione con esso. È importante ribadire che i modelli operativi interni sono rappresentazioni che non suscitano solo immagini ma anche sentimenti e stati d’animo vissuti nel corso delle interazioni» (Venuti, 2007).

Mediante l’ormai famosa procedura sperimentale della Strange situation di Mary D. Salter Ainsworth e collaboratori (Ainsworth et al., 1978; Ainsworth, 1985), sono stati individuati tre diversi tipi di attaccamento: l’attaccamento sicuro, l’attaccamento ansioso-resistente (o ambivalente) e l’attaccamento ansioso-evitante. In seguito, ai tipi di attaccamento precedentemente citati, Main e Solomon hanno aggiunto l’attaccamento disorganizzato-disorientato (Main & Solomon, 1986). Per una trattazione esaustiva si rimanda alle opere degli autori sopracitati e al manuale a cura di Furio Lambruschi (Lambruschi, 2004). Per dare, comunque, un’idea dei diversi tipi di attaccamento nel bambino, che poi concorreranno ad indirizzare anche l’adulto nella scelta “inconsapevole” del proprio partner, ne riportiamo brevemente le caratteristiche.

Nel caso di un attaccamento sicuro, «il bambino ricerca la vicinanza della madre, ma non in maniera “urgente”, e in sua presenza esplora l’ambiente attivamente. È visibilmente turbato alla separazione ma contento al ricongiungimento, e si lascia consolare dalla madre al suo ritorno. Mostra un certo interesse nei confronti dell’estraneo. I bambini classificati sicuri generalmente mostrano un equilibrio ottimale tra la capacità di risposta al genitore e le attività intraprese autonomamente. Mostrano piacere nel prestare attenzione ai commenti e alle dimostrazioni del genitore ma talvolta, se impegnati in esplorazioni autonome, possono non rispondere» (Venuti, 2007).

Quando l’attaccamento è evitante «il bambino ricerca poco la vicinanza della madre, mostra indifferenza alla separazione ed evita il contatto al ricongiungimento. I bambini evitanti mostrano un’indifferenza verso il genitore inadeguata rispetto all’età. Sono fisicamente scostanti e

non rispondono ai tentativi di coinvolgimento, mostrando un tono dell’umore piatto. Non ricercano aiuto o stimolazione dai genitori e non condividono spontaneamente le attività di loro interesse» (Venuti, 2007).

In caso di attaccamento ambivalente «il bambino è molto turbato alla separazione e difficilmente consolabile al ricongiungimento, mostrando al tempo stesso comportamenti di ricerca e rifiuto del contatto. I bambini ambivalenti mostrano un’eccessiva dipendenza dal genitore e appaiono inibiti per quanto riguarda l’esplorazione autonoma. Mostrano un tono dell’umore neutro ma possono apparire molto turbati se il genitore frustra una loro richiesta. Le richieste di coinvolgimento possono essere scandite da ansia, lamento ed altre espressioni emotive negative» (Venuti, 2007).

Infine, se l’attaccamento è disorganizzato «il bambino mostra una grave disorganizzazione del comportamento poiché non possiede un sistema coerente che gli permetta di far fronte allo stress. Mostra comportamenti contraddittori nei confronti della madre, come ricerca della vicinanza seguita subito dopo dall’evitamento. Lo stato che manifesta è quello di confusione e paura della relazione» (Venuti, 2007).

A seconda del tipo di attaccamento che si è formato nel bambino, si ritroveranno, pertanto, dei corrispettivi modelli di attaccamento nell’adulto, stavolta individuati per mezzo dell’Adult Attachment Interview (George et al., 1985). Avremo: soggetti autonomi-sicuri, soggetti distanzianti, soggetti preoccupati-coinvolti e soggetti con attaccamento irrisolto.

Nel suo libro, Attili (2004) suggerisce l’esistenza di quattro tappe nel processo di formazione di un legame di coppia: la fase dell’attrazione, del corteggiamento e del flirt, la fase dell’innamoramento, la fase dell’amore e la fase della vita quotidiana e dell’attaccamento. «Nelle prime fasi, i comportamenti e le emozioni che vengono provati assolvono allo scopo di scegliere la persona giusta e instaurare con quella una relazione intima. Nelle fasi successive, a quello di mantenere il legame con la persona scelta come partner, perché attraverso questa è assicurata la sopravvivenza e il successo riproduttivo» (Attili, 2004).

Nonostante questa classificazione, ognuno ama a modo suo, e vi sono molte modalità nelle quali l’amore viene espresso e reso manifesto, alcune delle quali, fra l’altro, sembrano condurre maggiormente ad un amore infelice, piuttosto che felice. Prendendo spunto da alcuni ipotetici scenari d’amore che Attili (2004) rappresenta nel proprio libro, cerchiamo di rendere l’idea del contributo ontogenetico nella scelta del partner, così da integrarlo con i fattori filogenetici già esposti in precedenza.

Nel caso di un attaccamento sicuro, da adulti saremo presumibilmente capaci di instaurare e vivere rapporti positivi, che ci renderanno felici, come nel caso ipotetico di Rodolfo. «Rodolfo mostra continuamente di essere in grado di riconoscere con accuratezza, negli altri, espressioni e comportamenti che segnalino attrazione nei suoi riguardi, o rifiuto per la sua persona, ed emette, a sua volta, segnali chiari. Sceglie, così, come partner Lucia, quella ragazza che gli ha dimostrato senza equivoci di trovarlo simpatico e scarta Valeria, quella il cui gioco di seduzione, di darsi e negarsi andava ben al di là di quanto previsto nelle prime fasi di un normale copione di corteggiamento, né si sente attratto da Erika, così tanto riservata, da lasciar trapelare una mancanza di coinvolgimento, per lui inaccettabile. Rodolfo sa che, se sta male, può esprimere quello che prova. Lucia ha avuto un percorso affettivo simile al suo. È anch’essa sicura, sa confortare Rodolfo ed è in grado di dividere con lui i suoi successi e la sua felicità. Rodolfo è consapevole, peraltro, che il loro rapporto potrà avere degli alti e dei bassi, ma questo non esclude che il loro amore possa raggiungere di nuovo l’intensità provata all’inizio della relazione. Rodolfo e Lucia instaurano così una relazione stabile, duratura […]. Rodolfo sa che la sua possibilità di esplorare il mondo è funzione del suo dipendere da Lucia, ma la fiducia che ha in lei rendono questa sua dipendenza la base della sua autonomia. Le abitudini scandiscono la loro vita e la rendono felice, piena di attenzioni l’uno per l’altra, per i loro amici, per i loro figli. Certo può anche accadere che Rodolfo sia talvolta attratto da un’altra donna. Forse può accadere che sia infedele […]. Lucia fa lo stesso. Ma sia per l’uno che per l’altra è raro che

gli altri o le altre possano sembrare partner interessanti […] La sicurezza affettiva spinge piuttosto ad indirizzare il bisogno di esplorazione verso lo stesso partner. Col tempo, Lucia è cambiata, Rodolfo anche. Ed è proprio l’attaccamento profondo che è alla base della loro vita insieme, giorno dopo giorno, che spinge entrambi a cercare e a scoprire di continuo, l’uno nell’altro, gli aspetti che rendono ciascuno diverso eppure noto. Così che l’attaccamento reciproco è la base del loro desiderio!» (Attili, 2004).

Qualora, invece, l’attaccamento sia di tipo ambivalente, da adulti avremo difficoltà a discernere fra i vari segnali dell’altro e tenderemo a vivere un amore combattuto, che vedrà alternarsi amore ed odio, un amore caratterizzato da forti passioni e da possessività, senza mai sentirsi effettivamente felici, assecondando la propria idea di essere meritevoli d’amore soltanto in modo “intermittente”, come nel caso di Otello. «Quando a prevalere è la sua immagine di sé di uomo amabile, Otello pensa di essere amato. Ma è una sensazione che dura poco. Immediatamente prevale l’altro sé, quello che non si sente amabile, e… lui non si sente amato a sufficienza. D’altro canto, sa di essere un emotivo e un esagerato, e quando i segnali dell’altra di turno gli rivelano che non lo ama, lui pensa che è lui che si sta sbagliando; si sente confuso. Ed è proprio questa confusione – che gli impedisce di comprendere i rapporti di causa ed effetto tra gli avvenimenti, e il ruolo che lui stesso gioca nelle sue relazioni affettive – a far sì che, immediatamente, si focalizzi proprio su quei segnali di disamore […], non accorgendosi che forse lei, proprio in quel momento, si stava orientando verso di lui, per costruire una relazione d’amore. Otello è geloso, possessivo, controllante, autoritario. Fa scenate di gelosia, sempre più terribili. Continua a scegliere donne inaffidabili, non disposte ad impegnarsi; se non lo sono all’inizio, quando si rendono conto che i suoi comportamenti sono erratici e non dipendono dalla loro attendibilità o trascuratezza, finiscono con il divenire realmente inaffidabili […]. Le profezie di Otello si avverano tutte! Otello rimane sempre nella fase dell’innamoramento. La sua ansia da separazione è sempre all’estremo.

Il suo amore è sempre ossessivo. Il suo odio è sempre travolgente. La possibilità di esplorare il mondo, di essere contenuto e di amare sulla base della sicurezza che può offrire una relazione consolidata sono per lui dimensioni sconosciute. Per lui quello non è amore! Alla fine, Otello sceglie come partner di lunga durata Desdemona, una ragazza innamorata di lui e devota che viene da un percorso simile a quello che abbiamo tratteggiato per Rodolfo e Lucia. Ma Otello non si fida lo stesso. Pensa sempre di poter essere ingannato. […] Invano Desdemona cerca di rassicurarlo. Otello odia Desdemona perché dipende da lei. […] E alcuni come in Otello possono uccidere la fonte della loro vita […]. Eliminano per sempre proprio la persona che più vorrebbero vicina» (Attili, 2004).

Un attaccamento evitante, infine, fa sì che da adulti tenderemo a ritenerci non degni di essere amati, cosicché non instaureremo relazioni basate sulla condivisione, bensì saremo portati a fare tutto da soli, non conosceremo negoziazione, ci sentiremo inadeguati nel far presenti i propri bisogni e pertanto non lo faremo, appariremo molto razionali, distaccati, al prossimo non chiederemo nulla aspettandoci che nulla ci sarà dato, come nel caso di Giovanni. «Da adolescente Giovanni ha molti amici, nessuno però è l’amico del cuore. Ha molto successo con le ragazze. Sa fare la corte, è spiritoso, ma non si lega mai. Il corteggiamento è il suo mestiere. Gli piace anche un qualche innamoramento. Ma scappa subito appena i suoi flirt si tramutano in qualcosa di più. Il suo modello mentale dell’attaccamento viene detto ora distaccato/distanziante. Per lui l’amore non è importante, anzi non esiste. Ha elaborato un falso sé, un sé grandioso che lo fa sentire un uomo di successo e inattaccabile dalle emozioni. È sottilmente geloso, ma non lo lascia trapelare. Le sue relazioni sono intensamente sessuali, ma non affettive, e comunque ha bisogno di cambiare spesso. […] Giovanni scegli come partner – secondo una tendenza comune alla maggior parte degli individui – persone con modelli simili al proprio: ragazze evitanti/distanzianti come lui, le quali, quindi, non pongono richieste affettive che non è in grado di soddisfare, e che non richiedono un’intimità che lo porrebbe a disagio. Alcune volte,

tuttavia, sceglie partner ambivalenti/invischiate, perché sono queste che sanno farsi carico del mantenimento della relazione; lo inseguono quando fugge, anche se sono pronte a trattarlo male quando torna; spesso è con queste donne che le sue relazioni affettive durano. Giovanni, in pratica, si ritrova con ragazze che gli ripropongono lo stesso trattamento avuto dalla madre. Le ragazze evitanti/distanzianti come lui gli riservano la stessa freddezza di cui ha fatto esperienza da piccolo; quelle ambivalenti/invischiate, quando scaricano su di lui la loro rabbia, per essere state tenute in sospeso, gli ripropongono quel modello di figura affettiva, cui è stato “improntato”, che lo svaluta, lo ridicolizza, lo disprezza, lo fa sentire in colpa. Senza contare che l’incapacità delle sue partner ambivalenti/invischiate di cogliere i suoi segnali minimi di richiesta di conforto lo fanno sentire non amato e solo, esattamente come gli accadeva con la madre. Giovanni finisce per scegliere Elvira, una donna che viene da un percorso affettivo molto simile a quello che abbiamo tratteggiato per Otello, e che tende a manifestare in maniera vistosa il suo amore per lui, così come la sua sofferenza, quando lui a più riprese la tradisce. Elvira, allo stesso tempo, è pronta ad aggredirlo e ad insultarlo nel vederlo eternamente sospeso. Giovanni mette bene in chiaro che lui non se la sente di impegnarsi, che vuole sentirsi libero. È fondamentalmente passivo. Mostra di non sentirsi responsabile dell’andamento della relazione, che si rompe e si ricompone più volte. Giovanni, però, cerca Elvira non appena è lei ad allontanarsi per un periodo lungo, o accetta le sue richieste di “riprovarci”. Mantiene quella che viene detta “una distanza ottimale”: né troppo vicino, né troppo lontano. E la relazione tra di loro si mantiene per tempi abbastanza lunghi. Si sposano perfino, ma il loro non è un matrimonio felice» (Attili, 2004).

5. Volti, aspetto fisico e attrazione: che cosa ci dice

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