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Scena undicesima

Si apre la porta sull’appartamento vuoto di Esfir’ L’vovna. Entrano Sonečka ed Esfir’ L’vovna con il gesso. Il braccio è fissato col gomito in

su, il palmo della mano all’altezza del viso. A seguire: Elizaveta Jakovlevna.

ESFIR’: Ah, grazie a Dio sono a casa. Sonečka come hai riordiato e pulito tutto bene, bravissima! E i fiori…

92 ELIZAVETA: E la tua Sonečka ha preparato pure il pranzo.

ESFIR’: Allora lavate le mani e mettiamoci a tavola. (Prova a spogliarsi,

Sonečka la aiuta) Pfu! Che disastro, com’è scomodo…e come farò a

cucire…ah, questa si chiama felicità ebraica. Pensa Sonja, sono caduta così bene dalla finestra, che non avevo nemmeno un graffio. E possibile che sia stato necessario ascoltarli e fare quella maledetta radiografia! Sebbene io subito abbia detto: «portatemi dritta a casa e basta!» No! Ed ecco il risultato!

Sonečka tira fuori dal frigo il cibo e lo mette in tavola.

Esco da quella stupida cabina, dalla gabbia della radiografia, e là c’è uno scalino; perchè là c’è uno scalino?! Ecco che cado e mi rompo il gomito! Anche questa è felicità ebraica: per avere subito due fratture e una contusione all’articolazione! Come sono stata fortunata!

SONEČKA: Ah! Non c’è pane! ELIZAVETA: Beh mangiamo senza.

ESFIR’: Come senza pane, che cibo è senza pane?

SONEČKA: Faccio una corsa… Sono giusto cinque minuti! ESFIR’: Corri, figlia mia, corri!

Sonečka se ne va.

ESFIR’: Liza, non le hai detto nulla? Giusto?

ELIZAVETA: Di cosa, di come sei saltata dalla finestra?

ESFIR’: Di questo assolutamente non ne voglio sentire parlare. Della lettera, non le hai detto niente?

ELIZAVETA: No.

ESFIR’: E non osare. E ancora, Liza, giurami che Sonečka non verrà a saperne nulla.

93 ESFIR’: Della finestra. Può succedere a chiunque. Giura che Sonečka non ne verrà a sapere niente.

ELIZAVETA: Hey, ohi, ohi!

ESFIR’: Allora. Lei non ha ricevuto nulla da lui? ELIZAVETA: non ne so niente.

ESFIR’: Guarda, come si è impegnata. La casa luccica tutta e ha preparato il pranzo. È oro, oro, non una ragazza! La defunta Sima sarebbe felice per lei.

ELIZAVETA: Non so di cosa potrebbe essere così felice Sima.

ESFIR’: E per quale motivo non dovrebbe? Le hanno preso la figlia in una tale famiglia, come la nostra, con tutto già pronto, grazie a Dio…

ELIZAVETA: (la afferra da dietro la testa). No, adesso sono io che ti lancio dalla finestra! Non ce la faccio più! Possibile che tu non capisca niente? Possibile che tu possa ancora pensare che Lëva le farà da marito? ESFIR’: (in modo mite). No. Non lo penso. Sono diventata più intelligente. Quando ero tra cielo e terra, Liza, ho capito una cosa. Dio mi ama, Liza. Un altro al posto mio si sarebbe spaccato la testa o almeno le gambe. Io invece! E non parlarmi di pioppi o cassette. Sono sciocchezze. Quando Abramo per poco non ebbe già ucciso Isacco, Dio mandò un angelo, e l’angelo portò un capro! A me invece l’angelo ha messo gli scatoloni di cartone! Chiedersi perchè? Affinchè io divenissi più intelligente! Affinchè io sapessi per quale motivo vivo. E non parlarmi di Lëva. Io non ho più un figlio. Basta! Non voglio più sentire il suo nome. Io ho una figlia. Si, adotto Sonečka. Prenderò degli insegnanti ed entrerà all’istituto. Certamente, non al pedagogico, che specializzazione è quella! Occuparsi dei figli degli altri. Che diventi ingegnere. Le trovo un marito. Un bravo ragazzo ebreo, affinchè abbiano una bella famiglia. Ho già adocchiato una famiglia. Molto, molto buona…E che abbia dei figli. Sì, e il mio nipotino lo chiameremo Veniamin, in onore del mio defunto marito.

ELIZAVETA: Non si può adottare una persona adulta. Sonečka ha diciotto anni.

ESFIR’: Cos’è, a diciotto anni la mamma già non serve più? Perchè non posso adottare Sonečka? È figlia di Sima Vinaver. E i Vinaver sono una buona famiglia ebrea e Dio solo sa quanti anni abbiamo vissuto con loro in un’unica via. Il sangue è lo stesso.

94 ELIZAVETA: Basta Fira, basta! Non è lo stesso sangue. Sappilo: Sonečka non è la figlia naturale di Sima. È adottiva. Sima l’ha presa dall’orfanotrofio, quando Sonečka non aveva nemmeno cinque anni.

ESFIR: Cosa? Come?

ELIZAVETA: Ho lavorato per cinquant’anni come levatrice, Fira. Capita. Prima più raramente, ora più di frequente. Sonečka è stata abbandonata da sua madre. Non l’ha riconosciuta.

ESFIR’: Ohi, ohi ohi! Che disgrazia! Che cagna! Che strega! La ucciderei con le mie mani! La strangolerei! È peggio dei fascisti! Lasciare, abbandonare proprio figlio! Ah cosa mi hai detto! Il mio cuore si è semplicemente spezzato! (Pausa) Ma e tu come lo sai?

ELIZAVETA: Me l’ha detto Sonečka. ESFIR’: E perchè a me non ha detto niente? ELIZAVETA: Non è uscito il discorso.

ESFIR’: Figlia mia! Figliola mia! Perdere due volte la madre! Orfana, senza papà, senza mamma! Signore, come puoi ammettere una bruttezza simile? Ah piccola mia! (Pausa) Se l’ha adottata Sima, perchè io non posso?

ELIZAVETA: Sì, Sonia non ha nemmeno una goccia di sangue ebreo. La zia Klava ha salvato e cresciuto Sima, e per Sima non faceva differenza se la bambina fosse o meno di sangue ebreo…Per te invece?

ESFIR’: Liza, sei una stupida! La madre ha abbandonato la figlia. È una cosa così infelice! È amaro, infelice sangue di orfana! E tu dici che non è sangue ebreo! È il sangue più ebreo che possa esistere!

Entra Sonečka con il pane.

ESFIR’: Figlia mia! Vieni quì! SONEČKA: Ho portato il pane.

ESFIR’: Perché mai non mi hai detto niente? SONEČKA: Cosa non ho detto?

95 SONEČKA: Ho il pan… Che Le prende Esfir’ L’vovna?