• Non ci sono risultati.

Retablo di N. S. di Loreto, Ozieri cm. 230 x 190

Traslazione della Santa Casa, tavola centrale; Crocifissione, cimasa; Annunciazione e Visitazione, pannelli laterali;

S. Gregorio e S. Agostino, Ecce Homo, S. Girolamo e S. Ambrogio, predella. Ozieri, Museo di Arte Sacra

Provenienza: Ozieri, Chiesa S. Maria di Loreto; Ozieri, Cattedrale.

Esposizioni: Il Maestro di Ozieri, 17-25.04.1982, Ozieri, Salone dei Combattenti;

Sardinia: Sacred Art of the Fifteenth and Sixteenth Centuries, 12.1993-01.1994, New York, The Gallery of Science and Art. Il Retablo di Nostra Signora di Loreto è l’unica opera completa del «Maestro di Ozieri», intesa da Enrico Brunelli come il prodotto degli influssi raffaelleschi giunti nell’Isola attraverso la mediazione spagnola. Il retaule era una forma pittorica tipica dell’area aragonese-catalana, in Sardegna era particolarmente diffuso251, poiché l’Isola fu governata dal 1323 al 1479 dagli aragonesi, e in seguito fino al 1708 dagli spagnoli. La sua denominazione deriva dalla formula latina retrotabula altaris, infatti queste strutture, che

architettonicamente armonizzavano zone dipinte, simulacri scultorei e cornici lignee, venivano disposte dietro la mensa dell’altare252.

Il Retablo di Nostra Signora di Loreto è costituito da una parte inferiore, con andamento orizzontale, chiamata bancal o predella, costituita da tre tavole. Il compartiment o tavola centrale è qui dipinta con la Traslazione della Santa Casa. Il pannello soprastante il compartiment, chiamato cimal, raffigura quasi sempre la Crocifissione. Nel Retablo di Ozieri vengono illustrate nelle cases, o departiments due episodi dei misteri gaudiosi: nella tavola laterale sinistra è raffigurata l’ Annunciazione, mentre in quella destra la Visitazione. Le tavole formanti il polittico dovevano essere incorniciate da una carpenteria di gusto italiano e classicheggiante. È stata avanzata l’ipotesi (Maltese e Serra 1969; d’Aniello 1982) che l’ancona non sia interamente autografa. La predella potrebbe essere stata eseguita da un collaboratore. La stesura del colore pare mancare delle lumeggiature che danno per esempio volume alla veste della Madonna di Loreto o della 251 Nell’Isola non si ebbe una omogenea diffusione del retaule, infatti già dal XV nell’arcidiocesi di Càller e in quella di Alguer

erano più frequenti le commissioni, mentre nell’archidiocesi di Oristany, che comprendeva l’antico Giudicato d’Arborea, erano scarsissime. La diversa penetrazione della forma pittorica importata dagli spagnoli poté essere la conseguenza della resistenza e delle ostilità intercorse tra i giudici d’Arborea – che dal 1365 al 1409 governavano su tutta l’Isola, fatta eccezione per le roccaforti di Cagliari e Alghero – e i catalano-aragonesi, che con Martino il Giovane, sconfissero i sardi a Sanluri,

conquistando definitivamente la Sardegna. Serreli, M., La diffusione dei retabli, in Retabli: Sardinia: Sacred art …, pp. 142- 167.

252 Possiamo dire con André Chastel che «le retable est un objet privilégié dans l’église mis en évidence par sa position sur l’autel – lieu du sacrifice de la messe – au centre de la perspective du vaisseau. Il constitue par son volume, son articulation, son style, l’un des facteurs essentiels de l’espace intérieur… Il constitue la grande illustration liturgique de l’église, dont il déclare le culte principal». La pala d’altare compendia l’espressione artistica di pittori, intagliatori e architetti, ci informa sul gusto dei committenti, e sulle indicazioni dei teologi. Chastel ne mette in evidenza anche la sua funzione liturgica,

Castelnuovo, E., Prefazione, in Chastel, A., La pala ou le retable italien des origines à 1500, a cura di C. Lorgues-Lapouge, Paris: Levi 1993 (ed. it. Milano: Garzanti 1993); Segni Pulvirenti, F., L’inserimento architettonico dei retabli, in Sardinia: Sacred Art, pp. 138-141. Limentani Virdis, C., Polittici …, pp. 9-38.

Sant'Elena nel Retablo di Benetutti. La teatrale gestualità dei dottori e la compressione compositiva dell' Ecce Homo farebbero pensare ad un intervento ideativo da parte del Maestro e forse a dei ritocchi finali.

Nella chiesetta campestre dedicata a Nostra Signora di Loreto il bibliotecario francese Antoine Valery vide il retablo nel 1837, dandone notizia nel suo diario di viaggio. Nel 1870 per evitare ulteriori danni arrecati dall’umidità, venne collocata al posto dell'originale una copia del pittore ozierese Salvatore Ghisaura, che eseguì anche i restauri253 più urgenti, il tutto per 800 lire. Il retablo venne dunque trasferito nella Cattedrale di Ozieri. Dal maggio 2012 è esposto presso il Museo di Arte Sacra di Ozieri.

Coloro che si sono pronunciati sulla possibile datazione dell’opera o hanno voluto indicarne i committenti hanno fatto riferimento alle informazioni disponibili riguardanti la chiesa di Nostra Signora di Loreto nella quale anticamente si trovava il retablo: dal 1470 nell'annesso e piccolo convento si erano insediati i Frati Minori Osservanti; nel 1528 questi lasciarono il luogo a causa della sua insalubrità, spostandosi nel convento di San Francesco, più vicino all'abitato. Nell’Editto della Fondazione dei Divini Uffici del 1592 nella chiesa di Santa Maria di Ozieri il Vescovo di Alghero Andrea Bacallar così si esprime: “ Nostru Segnore est istadu servitu giuntamente cun custu benefitiu fagherende atteru unu a icustu populu de mandereli sos Reverendos padres Capuccinos”. Nel 1591 arrivano dunque nella chiesetta della Madonna di Loreto i Cappuccini, che già nel 1593, sempre per la medesima ragione, si spostano nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano, come ricorda un’iscrizione nel loro convento. Le opinioni degli storici dell’arte a questo punto si separano: alcuni assumono come termine ante quem per l’esecuzione del retablo di Ozieri il 1528, altri ripiegano sul breve arco cronologico (1591-93) che corrisponde al periodo di permanenza dei cappuccini.

Vi è una terza via percorsa da coloro che non si sono rassegnati a dover fare i conti esclusivamente con gli arrivi e i traslochi dei Frati Minori Conventuali prima e dei Cappuccini poi. Come potevano questi ultimi pensare di commissionare il nostro retablo, se forse già da subito, si accorsero che la campagna non era di loro gradimento, e nel giro di pochissimo tempo si diedero da fare per lasciare quel luogo e trovare più comoda sistemazione? Lo slittamento agli anni Novanta risulta poi davvero preoccupante, sarebbe sintomo di un clamoroso ritardo, uno scarto amplissimo rispetto ai fatti della maniera moderna. Anche se la

persistenza di arcaismi, la «dimensione cromatico-planare» ricorrente e avversa alle convenzioni

prospettiche, i retaggi tardo-gotici e flandro-iberici sono fenomeni artistici sempre attuali nella produzione figurativa isolana, tanto che si può parlare di una «civiltà anticlassica», come l'ha definita saggiamente Corrado Maltese. Il Maestro di Ozieri andrebbe però sottratto a queste “sabbie mobili”, in quanto probabilmente fu un artista forestiero, forse ramingo o “girovago”254, che si rifugiò tra Goceano e Monteacuto, trovandovi un ambiente congeniale. In quella abissale periferia si era al riparo dalle ondate 253 L’intervento a tutela dell’opera fu possibile grazie alla lettera del 1866 al Municipio di Ozieri, nella quale il Capitolo della

Cattedrale proponeva che il Retablo venisse collocato in più degna sede, e inviato a Firenze per il restauro. Vedi Amadu, F., Mastru Andria Sanna de Othieri, pintore: in un documento del 1591-92 il nome del Maestro di Ozieri?, in Il Maestro di Ozieri …, pp. 19-20.

254 Si parafrasa qui l'affascinante titolo di Tanzi, M., Girovaghi, eccentrici, ponentini: Francesco Casella, Cremona 1517, a cura V. Maderna, C. Quattrini, catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera, 10.2004-1.2005), Milano: Electa 2004.

inquisitoriali, dalle briglie controriformate, dal trambusto mercantile algherese, smarcati inoltre dalle consuetudini gremiali255 dalla città regia logudorese.

Il fatto che i francescani abbiano lasciato il convento annesso alla chiesa di Santa Maria di Loreto non significa automaticamente la chiusura della chiesa stessa, alla quale venivano concesse indulgenze l’11 febbraio del 1588. Per di più a Tula è conservato il Retablo di Nostra Signora di Coros, sicuramente un’opera dallo stile vernacolare e naïf, ma per il nostro studio essenziale, poiché il suo autore ha cercato di riproporre degli schemi compositivi del tutto simili a quelli che ha potuto studiare nel Retablo di Ozieri. Nell’ancona di Tula è riportata un'iscrizione che ricorda la data di esecuzione, il « 1577». Il piccolo polittico che appare quasi come un pastiche è infatti costituito da tavole che mimano ingenuamente le scene con l'Annunciazione e la Visitazione del Retablo di N. S. di Loreto. L'Annunciazione di Ozieri è inoltre ripresa con grande fedeltà nella medesima tavola del Retablo di Bortigali, ora smembrato. La somiglianza è talmente tanto forte da far pensare ad una ispirazione giunta immediatamente dopo il montaggio e lo scoprimento del Retablo di N. S. di Loreto. Il Retablo di Bortigali risulta dagli inventari delle visite pastorali (1543; 1550)256 già in fase di lavorazione, definito “nuovo, ancora da dipingere”, nella seconda metà degli anni Quaranta. Considerata la ripresa puntuale e le similitudini stilistiche si può ragionevolmente supporre che i due retabli siano stati addirittura avviati uno subito dopo l'altro. Proprio le forti analogie spingono a ritenere l'autore di Bortigali un collaboratore molto prossimo al Maestro di Ozieri. Nella tavola con la Natività di Bortigali si scorge inoltre la riproposizione del fondale già apparso nella Sacra Famiglia di Ploaghe, con la

semplificazione formale del rudere architettonico e della scala lapidea in secondo piano. Mentre le tonalità elettriche del cielo e i modi compendiari nella resa dello sfondo paesaggistico richiamano l' Andata al Calvario (esposta per la prima volta in occasione di Arte in disparte nel 2002), in deposito presso il Museo Sanna di Sassari, che si suppone facesse parte dello smembrato Retablo di Santa Croce.

Nell'Archivio pittorico della città di Sassari257 composto da Enrico Costa si trova descritto e riprodotto uno stendardo processionale dedicato alla Madonna di Loreto. Il gonfalone era custodito presso la cappella 255 Serra, A., Appunti sulle confraternite devozionali ad Alghero nei secoli XVI-XVII; Conde, R., de Molina, D., Los artesanos en

el repoblamiento catalan de las ciudades sarda: el caso de Cagliari, Sassari y de Alghero; Usai, G., L'associazionismo religioso in Sardegna nei secoli XV e XVI; Mattone, A., Corporazioni, gremi e artigianato nella Sardegna medievale e moderna: temi e interpretazioni storiografiche, in Corporazioni, gremi e artigianato tra Sardegna, Spagna e Italia nel Medioevo e nell'Età moderna, XIV-XIX sec., a cura di A. Mattone, Cagliari: AM&D 2000, p. 204-217; 110-117; 191-203; p. 19-51.

256 ASDAlghero, Visita pastorale del vescovo Pietro Vaguer del 1550, f. 174v; Visita pastorale del vescovo Pietro Vaguer del 1543, f. 87v: Visita pastorale del vescovo Durante dei Duranti del 1539, f. 79v; Visita pastorale del vescovo Nicola Canavera del 1608, f. 100v e 101v; APBortigali, Libro di contabilità (1661-1725), f. 26r; Libro nel quale sono notati i censi, legati pii, e communi di questa Parrocchia e Cappella di Bortigali formato l'anno 1806. Arredi e possidenze della parrocchia (1806-1957), senza numerazione.

257 Questo è il titolo che leggiamo sul cofanetto ligneo, confezionato posteriormente, nel quale sono conservati i tre album legati in tela composti da Enrico Costa, che in origine li aveva segnati come Archivio Comunale di Sassari. Facsimili di firme, signum notarili, bolli, disegni ed altri, ricavati dalle carte antiche del Comune di Sassari per cura dell’archivista Enrico Costa 1898; La città di Sassari. Schizzi, iscrizioni, memorie e note illustrative di Enrico Costa. Appunti per la storia civile ed ecclesiastica; Note su Sassari. Dall’Ottobre 1903 al Marzo 1904. Enzo Espa nell’introduzione all’edizione dell'Archivio pittorico da lui curata nel 1976 descrive la poliedrica figura di Enrico Costa, storico sassarese, romanziere (scrive La bella di Cabras e Il muto di Gallura), critico d’arte (Esposizione artistica Sarda in Sassari, 1896; Arte Nuova. Scherzo liberty senza fili, 1905; pubblicati con lo pseudonimo di «Actos»), poeta, drammaturgo e artista.

della Madonna «della rosa», appartenente al gremio dei calzolai, nella chiesa sassarese di Santa Maria di Betlem, la quale ospita i Frati Cappuccini. La Madonna nel disegno del Costa è seduta su un modellino architettonico, che parrebbe rappresentare la Santa Casa di Loreto. Sembra che il modesto autore dello stendardo abbia voluto rendere, giocando con le calligrafiche onde del panneggio della Vergine, la posa della Madonna Lauretana dipinta nel Retablo di Ozieri. L’ultima menzione della cappella della Madonna «della rosa», di proprietà di Donna Violante Rajanello, – secondo quanto riferito dal Costa – è in un testamento del 1567. Mancano in ambito sardo altre testimonianze pittoriche che possano documentare la devozione alla Vergine di Loreto. Mentre, specialmente in provincia di Cagliari, già dal XV sec. era veneratissima la Madonna di Bonaria. Durante il XVI secolo in Sardegna si diffuse inoltre la devozione importata dagli spagnoli per la Madonna di Montserrat, per la Madonna del Pilar, e per la Madonna di Valverde258. Proviene sempre da un ambito culturale iberico la Croce della guardia, nella quale è scolpita in marmo bianco la Virgen de la Defensa.

La committenza dell'opera dovrebbe essere maturata in seno all'ordine dei minori conventuali, i quali benché abbandonassero il convento, non dovettero smettere di celebrare la messa e raccogliere indulgenze, lasciti o censi per la Vergine Lauretana. A proposito della committenza Antonia d’Aniello ( Il Maestro di Ozieri: cultura locale e maniera italiana in un pittore sardo del ‘500 , in Il Maestro di Ozieri …, p. 8) ritiene che fosse costituita solo dal “clero di campagna”, e solo in alcuni casi dalle corporazioni e dalle

confraternite, mentre Francesco Manconi (Un mondo piccolo di un grande impero, in La Società sarda in età spagnola …, pp. 10-17), nel descrivere la società sarda del XVI secolo, indica – ma senza riportare casi specifici – come possibili committenti delle opere d’arte anche componenti della nobiltà catalana e valenciana, dell’establishment mercantile genovese, delle consorterie aristocratiche locali e colti

ecclesiastici. Nello stesso momento storico anche a Napoli la committenza era costituita in prevalenza dalle confraternite laicali, in un clima febbrile di devozione popolare generato dalle propensioni riformatrici di Carlo V, dalla peste e dalle insidie dell’esercito francese belligerante di stanza nel Regno (Giusti, P., Leone de Castris, P., L’ambiente, il mercato artistico e la committenza a Napoli nel primo Cinquecento , pp. 101- 112).

Considerato che le uniche raffigurazioni cinquecentesche della Madonna di Loreto in Sardegna – quella nel Retablo del Maestro di Ozieri e quella dello stendardo processionale di Sassari – provengono da luoghi legati ai frati minori conventuali, si può supporre l'esistenza di qualche contatto tra la chiesa di Santa Maria di Betlem di Sassari, la chiesetta di Loreto a Ozieri, il pertinente convento di San Francesco a Ozieri, e la

258 Dopo il fallimento nel 1541 della spedizione armata di Carlo V la Sardegna versava in uno stato di incertezza e paura a causa della guerra corsa e dei frequentissimi attacchi barbareschi, si dedicavano quindi i retabli a determinati santi poiché in base alle notizie agiografiche si riteneva potessero proteggere la popolazione da questo tipo di pericoli: si spiegherebbe così la scelta della Sant'Elena per il Retablo di Benetutti del Maestro di Ozieri; di San Sebastiano per il Retablo di Santa Croce, considerate le carestie e le pestilenze che si diffusero a più riprese nel Capo di Sopra. L’Isola per tutta la prima metà del Cinquecento fu sprovvista di torri e fortezze adeguate alla difesa delle coste. Così anche a Napoli si dedicavano più frequentemente le opere alla Madonna delle Grazie, a San Rocco, San Sebastiano e San Michele.

Santa Casa marchigiana, oltre a quelli facilmente ipotizzabili legati ai pellegrinaggi259.

Traslazione della Santa Casa, scomparto mediano

La Traslazione della Santa Casa compare nel rivestimento marmoreo della Santa Casa di Nazareth, custodita all’interno della Basilica di Loreto. Niccolò Tribolo e Francesco di Vincenzo da Sangallo

realizzano il rilievo scultoreo tra il 1531 e il 1533, illustrando, grazie all’iterazione figurativa del gruppo con la Madonna e il Bambino, sistemati sulla sommità della Santa Casa, le tappe e gli episodi della leggenda lauretana. Il Maestro di Ozieri nella tavola con la Traslazione non sembra invero aver conosciuto questo modello, benché forzatamente possa essere rintracciata qualche analogia, seppure poco convincente: la posizione delle gambe del Bambino, la destra piegata all’indietro, la sinistra distesa; lo stesso braccio destro che si allunga ad afferrare il manto della madre sulla spalla sinistra di lei, mentre il capo si inclina nella direzione opposta, nel caso di Loreto verso gli astanti che sopraggiungono sul luogo del prodigio. Anche la posa della Madonna somiglia, ma incidentalmente, a quella scolpita a Loreto. Ma si tratta di trascurabili coincidenze dovute alla gestione di un identico soggetto iconografico.

Vi sono tutta una serie di possibili rimandi e parziali analogie rintracciabili tra la Traslazione della Santa Casa dipinta dal Maestro di Ozieri e alcune pale dall'altare meridionali. Tali parallelismi risultano simili a quanto sarà indicato per altre due opere del Maestro di Ozieri: la Sacra Famiglia di Ploaghe e la Sant'Elena di Benetutti. Le analogie compositive depongono però più per una comune assonanza raffaellesca – mediata nel caso delle tavole sarde dalle stampe raimondiane – che per una effettiva derivazione di idee e modi da probabili e paralleli modelli napoletani. Come si è visto, nel capitolo dedicato alle fonti e ai temi privilegiati nei retabli sardi (1511-1569), il materiale grafico si rivela il mezzo prediletto per l'ideazione compositiva delle tavole, più di quanto non lo sia l'effettiva influenza delle opere di Cesare da Sesto, Andrea Sabatini o altri artisti compresi nella «congiuntura iberico-lombarda».

Uno dei parallelismi appena annunciati è quello dato dal motivo della testa, – fin troppo snodata – rivolta di tre quarti fuori dal quadro, che caratterizza il Bambino nel Retablo di Ozieri. Si ritrova simile nella Madonna delle grazie e i SS. Andrea e Lucia del Vescovado di Cava dei Tirreni, dipinta da Agostino Tesauro260. Assomigliano i lineamenti e l’espressione del volto del Bambino, le ciocche dei capelli mosse, e 259 Vedi a proposito Regni, P. V., Loreto e i cappuccini. Storia, devozione e servizio della Santa Casa, Loreto: Congregazione

universale della Santa Casa 1995. Casu, A., I Frati Minori in Sardegna, Cagliari: Tip. San Giuseppe 1927; Devilla, C., I Frati Minori Claustrali o Conventuali in Sardegna: compendiose memorie, Sassari: Gallizzi 1942. Culti, santuari, pellegrinaggi in Sardegna e nella penisola iberica tra Medioevo ed età contemporanea, a cura di M. G. Meloni e O. Schena, Genova: Brigati 2006.

260 La tavola di Agostino Tesauro è stata messa in relazione con la Madonna delle grazie di Pedro Machuca al Prado che abbiamo visto per le sue analogie con la Madonna di Loreto del Maestro di Ozieri. L’opera di Cava dei Tirreni “brucia con un po’ di sufficienza persino le «tenerezze» moderne di Cesare da Sesto ed Andrea Sabatini al fuoco delle argutezze espressive del toledano Machuca e serbando appena qualche accenno di decorativismo umbro”; Giusti – Leone de Castris 1985, pp. 201-242, in particolare p. 203.

il gesto del braccio destro quasi declamatorio, che nel primo caso afferra il velo, nel secondo un seno della Madonna. Il parallelismo è però individuabile in quanto alla base di entrambe le Madonne, quella di Ozieri e quella di Cava dei Tirreni, vi è una forte idea raffaellesca, e l'eco suscitata nel Meridione dalla sferzante versione della Madonna delle Grazie di Machuca, che miete simpatizzanti anche in un insospettabile e pacato Sabatini.

Si può confrontare dunque la declinazione ozierese con la Madonna delle Grazie di Pedro Machuca261 (1517, Madrid, Prado, inv. P02579). La somiglianza è però ugualmente dovuta ad una comune aria di

famiglia, che risente del “raffaellismo di fronda”. N ell’opera di Machuca si avverte un ritmo infervorato dato dall’ammassarsi capriccioso degli angioletti, che si arrampicano tra le nuvole gonfie. Si voltano, senza nessuna ordinata allitterazione nella disposizione dei volti, ma con un’espressione ricca di verve. Se osserviamo la parte inferiore della tavola, notiamo come le anime del Purgatorio siano frutto dello studio effettuato sulla Sistina di Michelangelo. La Madonna ozierese e quella di Machuca si distinguono per la posa quasi accovacciata, per il motivo del drappo atleticamente steso dagli angeli dietro il gruppo sacro. La “fulminante invenzione dello spagnolo che, con vera «sprezzatura» immagina l’apparizione di una Vergine a volo radente, passante sopra una schiera infinita di tormentati che sfuggono velocemente all’indietro” non doveva essere del tutto sconosciuta al Maestro di Ozieri, che può averla tenuta presente nell'impianto compositivo della scena con la Traslazione. Unica differenza: in luogo delle anime del Purgatorio della Madonna delle Grazie, nella Traslazione scorrono alcune comparse miniaturizzate, angeli e volenterosi figuri, che sfoggiano nerborute braccia, intenti a trasportare la Casa di Nazareth, a suonare le trombe e reggere il drappo. A ben guardare la disposizione della Madonna e lo scenario convulso sottostante

Documenti correlati