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Visioni del paesaggio come Sacro Monte e veduta di città come Gerusalemme

L'ISOLA-SFONDO

Lo sfondo di alcuni dipinti attribuiti al Maestro di Ozieri si sviluppa in paesaggi che non ricordano le vedute possibili sul territorio sardo, né quelle visibili nei dipinti del Cinquecento in Sardegna. Derivano verosimilmente da collezioni di ricordi e viaggi intrapresi oltre i confini isolani. La Crocifissione che appartiene al Ciclo della Vera Croce dedicato a Sant'Elena e conservata nella chiesa parrocchiale di Benetutti ospita al di là del primo piano, ribalta per tre uniche figure, un paesaggio così profondo e aperto che si immagina ottenuto da un alto punto di vista, colto in una posizione da vedetta e raccordato – come giustapposizione ben congegnata di visuali sfalsate – a quello frontale e paratattico in cui viene rappresentata la Crocifissione.

Risultano paragoni incongruenti quelli che si possono intentare con gli scenari naturali di Pietro e Michele Cavaro, punteggiati di fronde ombrelliformi timide e di piccoli sassi descritti come tozzi di pane che sembrano l'unico elemento con caratteristiche fisiche di concretezza in una landa peraltro ordinata e ben composta. Nel Compianto sul Cristo Morto (Cagliari, Pinacoteca Nazionale, post 1520?) appartenente al Retablo dei Sette Dolori Pietro Cavaro riprende la xilografia di Dürer con il Compianto tratto dalla Grande Passione (1498-99, edita nel 1511), piuttosto che il Compianto della Passione incisa (1507, pubblicata nel 1513). Molto meglio è possibile seguire le rielaborazioni dal modello nelle pose delle figure coinvolte a sorreggere il corpo del Cristo disteso, nelle comparse dolenti e specialmente nella simile scansione degli spazi nello scenario naturale. La stampa viene tradotta in controparte, liberando la composizione dagli intricati e forse per Pietro inquietanti artigli dei rami e dei tronchi nodosi. Egli dispone pertanto a partire da sinistra una parete di terra smussata in luogo della roccia tagliente di Dürer, in lontananza dà più spazio ad una veduta rasserenata di torrette con adiacente corso d'acqua, per concludere con un appoggio collinare per le tre croci vuote. Luoghi ben delineati, per una natura che nulla sospetta della tragedia sacra che si sta svolgendo accanto al sepolcro.

La necessità di pensare ad itinerari, viaggi e percorsi extra-isolani per il Maestro di Ozieri è data dall'originalità marezzata del suo stile, in cui trovano un'equilibrata co-esistenza eredità autoctone e conoscenze d'oltremare, mentre i temi iconografici sono coniugati con una indole devozionale controriformata, espressa in modi accostanti e lirici. Egli si trova isolato in un micro-cosmo geografico e personale, in zone remote e interne come il Goceano e il Monteacuto. Benché alcune sue opere diventino presto note e copiate con un tenore dimesso a Tula e in una versione più che sincera a Bortigali – tanto da far pensare ad un retablo autografo – , la sua attività di cui poco sappiamo dovette svolgersi in maniera defilata senza il corredo di una bottega operosa come fu quella di Stampace a Cagliari. Ciò avveniva in un piccolo continente lambito e appena smosso da traffici e contatti peninsulari. Un contesto periferico quindi, dove, nonostante i movimenti commerciali e marittimi, le beghe politiche con la Corona, le discendenze familiari

di origine iberica e le colonie di mercanti catalani e genovesi, non si poteva effettivamente sentirsi coinvolti da protagonisti nel vitale crocevia di innovazioni e apporti su scala europea e mediterranea, ma si assisteva ad un susseguirsi di piccoli spiragli, ripetute resistenze, aggiornamenti all'orizzonte e puntuali ripiegamenti sul già noto.

Il «ritardo culturale», a lungo leitmotiv automatico nelle deduzioni di alcuni studiosi, ha costituito un'ottica passepartout da cui guardare la storia dell'arte in Sardegna. Esso si manifesta nei momenti in cui istanze nuove vengono accolte come un'eco o tralasciate. Omesse e mal digerite per un tempo incredibilmente lungo, esse trovano solo in casi sporadici un mordente capace di farle attecchire in un territorio dove la «dimensione cromatico-planare», pare vincere, come ha sottolineato Corrado Maltese, sulla forma simbolica della prospettiva rinascimentale. Nel caso del Maestro di Ozieri il «ritardo culturale» isolano ha significato la possibilità di inserirsi in un contesto privo di dogmatici concorrenti, abituato ad ospitare artisti catalani e valenzani, che giunti nell'Isola, prendevano presto confidenza con l'ambiente sociale, decidendo presto di avviare una propria bottega, come fece con floridi esiti Joan Barceló. Il delay (che sarebbe più corretto chiamare diversità geografico-culturale) corrisponde ad una decantazione di lunga durata per le novità stilistiche che non si affacciano mai in maniera prorompente sul panorama sardo. Bisogna registrare anche la mancanza di quegli eventi deflagranti come in altri contesti sono stati l'invio o la comparsa di paradigmatiche e innovative opere come per esempio la Santa Cecilia di Raffaello a Bologna (San Giovanni in Monte, ora Pinacoteca), il Polittico Averoldi di Tiziano a Brescia (Santi Nazaro e Celso), o ancora la Madonna del Pesce di Raffaello nella chiesa napoletana di San Domenico Maggiore e adesso conservata al Prado. Un ruolo probabilmente analogo deve aver avuto in tono minore la redazione del Polittico dei Beneficiati per il Duomo di Cagliari, una sorta di unicum per l'apporto di stilemi eterogenei rispetto al tessuto figurativo sardo, visibilmente prodotto estraneo alle botteghe stampacine. Sappiamo che nel corso del Cinquecento luoghi appartati, al riparo da pressioni normative e univoche emanate dal centro, hanno registrato la creazione di linguaggi alternativi, inaspettati ed efficaci. Frutto di un'incubazione di stilemi a volte eterodossi che aderiscono al sentire dei luoghi. Quando periferico vuol dire eccentrico si incontrano forme dissonanti e partecipative rispetto a ciò che si verifica nel centro da cui si prendono le distanze. Il micro-paradosso di geografia artistica nasce quindi dall'isolamento permeabile che dimostrano figure come quella del Maestro di Ozieri. Egli trova approdo e vive in un'Isola che ha costituito un tassello marginale per quanto rilevante nelle rotte mediterranee tra le reggenze di Carlo V e Filippo II, tra momenti di crisi e “dimenticanze” da parte del potere centrale. La Sardegna è certamente compresa nel «Mediterraneo allargato» perché nella sua storia dell'arte compaiono quelle analogie stilistiche che permettono proiezioni e agganci di respiro europeo. Affinità elettive che parlano di intese comuni e traguardi paralleli, che collegano, a volte con qualche scarto temporale, luoghi assai distanti al di là delle solite coste, facendo pensare a contatti e infiltrazioni ancora più capillari e intense di quanto sia stato possibile documentare finora, un passarsi quindi il testimone di modi e idee che accomuna poli e circuiti-satelliti lontani solo geograficamente. Nei casi più enigmatici si potrà forse concludere che si tratti di somiglianze nate da raggiungimenti o invenzioni in parallelo, dove per esempio non è sufficiente il ricorso alle stampe per spiegare similitudini

riscontrabili anche nei valori pittorici e nelle scelte cromatiche. Non tutto si dimostrerà spiegabile tramite la diffusione e la circolazione delle linee compositive incise, veicolo sicuro spesso per ancorare similitudini e parentele, così come i paesaggi del Maestro di Ozieri non si riescono a risolvere esclusivamente attraverso prove e citazioni grafiche da Albrecht Dürer e Marcantonio Raimondi.

GUARDARE OLTRE / GUARDARE VERSO:

ipotesi sull'affacciarsi dei primi due compagni maggiori e congiunture romane

Il guadare del Maestro di Ozieri oltre i confini isolani si può seguire come una fuga in avanti rispetto a quanto accadeva nel territorio isolano. I suoi spostamenti inoltre avranno costituito esperienze assai simili e in consonanza con alcuni percorsi artistici di poco precedenti: i viaggi noti e documentati di Jan van Scorel e Polidoro da Caravaggio, autori che il Maestro di Ozieri ricorda per taluni aspetti in maniera non accidentale. Per restare nell'orbita di dominante spagnola il suo percorso di formazione potrà aver avuto il carattere rapsodico e concentrato degli spostamenti «girovaghi, eccentrici, ponentini» dell'ex Pseudo-Bramantino e di Pedro Machuca, che non di rado compaiono nella bibliografia sul nostro pittore.

È possibile cogliere una chiave di lettura per entrare nei paesaggi del Maestro di Ozieri nell'illuminante saggio dedicato da Meijer190 nel '74 a Scorel e Polidoro, entrambi ugualmente attivi a Roma. Essi dimostrano anche nelle opere eseguite negli anni successivi, il primo ad Haarlem, il secondo a Napoli, similitudini che investono l'organizzazione degli spazi e contigue intuizioni paesaggistiche, che si riversano con grande evidenza anche nel loro corpus grafico. Sottolineata da Meijer, tale percettibile osmosi è la stessa che pare riemergere spontanea nei paesaggi del Maestro di Ozieri dipinti negli anni Quaranta e Cinquanta come rimembranza in un clima però da “arte senza tempo”. Senza quindi più il baluginio dispersivo e spesso sulfureo di certe visioni paesaggistiche dei due, Scorel e Polidoro, ma con un saldo mettere insieme i volumi naturali e con un avanzare dei piani sicuro e calpestabile.

Sulla scia dei rimandi e delle somiglianze tra Scorel e Polidoro si innesta la costruzione spaziale della Crocifissione (fig. 1) del Goceano. La tavola ospita sul fondale una panoramica delle mura cittadine di un agglomerato urbano dipinto con un grigio lattescente e immerso nella foschia notturna. Si direbbe subito una Gerusalemme. Per quanto essa appaia con le tonalità scelte una visione fantasmatica agli occhi dei due viandanti in cammino alle porte della città, viene di fatto scandita in torrioni e muraglie, secondo una versatilità delineante a metà tra volontà topografica e modalità di intendere il paesaggio in chiave “pre- romantica”, benché non vi compaia nessuna concessione all'accumulo di monumenti o al crucciarsi sulle rovine antiche, topici atteggiamenti di alcuni fiamminghi di cui si dirà, non proprio fuori luogo nell'elaborazione del paesaggio goceanese.

Dalla conca dove si distende la vallata con la città di bastioni e palazzi fino alle quinte sulla destra con anfratti boschivi, contraltare della via lungo la quale verso sinistra procede il corteo in prossimità del fiume valicabile grazie ad un ponticello ad ampie arcate, si misura il respiro di una dimensione paesaggistic a 190 Meijer, B.W., An unknown Landscape Drawing by Polidoro da Caravaggio and a note on Jan van Scorel's in Italy,

prossima a quella maniera di intendere «i paesi e macchie d'alberi e sassi» espressa da Polidoro da Caravaggio negli anni Venti. Il ponte tra le due esperienze artistiche si concretizza guardando nello specifico due disegni polidoreschi: il primo alla Kunsthalle di Amburgo, il Paesaggio con la Resurrezione di Lazzaro (inv. 21446), di cui si segnala la quinta silvestre a destra e il secondo al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, il Paesaggio con edifici, rovine e uomo addormentato (inv. 498 P), in cui compare la medesima città sullo sfondo, rialzata da sfrangiate lumeggiature a biacca verso la quale ci si può inoltrare lungo vie e percorsi ugualmente ansati. Affiancando i due disegni si giunge a ricostruire in sostanza l'impianto spaziale della vallata dipinta dal Maestro di Ozieri caratterizzata dalla conca mediana che si apre a sinistra e da una parete boschiva sulla destra.

Dal disegno di Amburgo pare discendere l'idea di defilare l'episodio sacro ambientandolo su una altana naturale al di qua delle pareti scoscese della collina, mentre lo sguardo può calarsi a strapiombo nella vallata abitata da un paesaggio edificato. Nel disegno di Firenze la zona di appoggio per la figura umana è ugualmente decentrata mentre l'occhio raggiunge lo sfondo naturalistico grazie ad una apertura grandangolare. Non si tratta mai di paesaggi affollati, come per esempio nella Crocifissione di Jan Provost al Groeninge Museum di Bruges, contenente una lucida ricostruzione urbanistica sullo sfondo o con incalzanti stuoli di personaggi chiassosi come quelli affrescati da Pordenone nel Duomo di Cremona, che si agitano occupando per intero i primissimi piani. I riferimenti del Maestro di Ozieri vanno invece a composizioni di vedute sgombre, in cui la messa a fuoco pare selettiva, con aree, specialmente quelle naturalistiche, dalla resa sintetica, quasi sommaria e evocativa, mai analitica né lenticolare, con punti di interesse in zone animate da piccoli episodi che si svolgono in «luoghi deputati» . L'occhio pertanto coglie le tappe del racconto individuando il procedere dell'azione nei piccoli assembramenti di figure ben isolati nel paesaggio.

Un piccolo prelievo linguistico dei valori aggettivali (nei gruppi nominali) utilizzati da Bert Meijer per l'analisi della tecnica e dello stile di Polidoro risulta utile in quanto tali termini calzano con la descrizione delle qualità che caratterizzano il dipinto goceanese del Maestro di Ozieri. Il tema delle emergenze architettoniche poste in una ambientazione naturalistica è trattato da Polidoro con «a realism which is strikingly unclassical in its absence of Raphaelesque harmony», a cui si aggiunge una temperatura emotiva generata dalla fascinazione per i ritrovamenti archeologici e dalla riconoscibilità penetrante e nostalgica delle vestigia romane; allontanandosi qui Polidoro da inverosimili modelli quali la Visione di San Bernardo dipinta da Peruzzi nel giardino adiacente San Silvestro in Quirinale dove era un paesaggio in cui si distinguevano «prominent large figures and simply closedoff foreground». Il Maestro di Ozieri, come Polidoro, orchestra le figure come comparse dalle proporzioni minimali, che agiscono e si muovono in una narratio continua. Anche Turner (1961, pp. 275-287) notava la sproporzione di scala considerevole tra il respiro monumentale del paesaggio in San Silvestro al Quirinale e i piccoli raggruppamenti di figure, così intinti nell'ambientazione da parere secondari o accessori rispetto all'afflato lirico, al mood della natura, per cui i piccoli episodi della vita di Santa Caterina da Siena e di Santa Maria Maddalena paiono fornire solo l'occasione attesa per dare vita ad un paesaggio pure.

L'unica anomalia che in verità allontana il Maestro di Ozieri da Polidoro è il trattamento delle superfici, che nel secondo ispira un'atmosfera quasi caliginosa, in cui paiono galleggiare gli elementi: dal cielo, alle acque, alle colline, tutto pare colto in un omogeneo e rarefatto confondersi, attenuarsi, tanto che il passaggio dei piani si impregna e risente della suadente screziatura tonale espressa nelle nuances di grigio-verde. Da una parte una similitudine quindi, la maniera di intendere e costruire il paesaggio dilatato, dall'altra uno scoglio in cui ci si incaglia presto: Polidoro predilige una cromia svaporante e calda. L'effetto di levità si coglie non solo nell'affresco ma anche nella produzione grafica filamentosa, come pure, considerando un ulteriore supporto, nelle sue pale d'altare. Si prenda per esempio il dibattuto paesaggio dell' Andata al Calvario, con la sua tenuta luminosa, le terre di cui è cosparsa tutta la costruzione dei piani di appoggio per i personaggi un po' sguaiati e accorati. Una modalità di trattamento pittorico del paesaggio che non si ritrova nel Maestro di Ozieri, che applica un freddo e vivido sintetismo per comporre i campi. Ne consegue che la natura non si riveli come lussureggiante – per cui Turner parla di sensuosness in Polidoro – e frondosa,191 ma sia d'altra parte rappresentata da tronchi isolati, spezzati, lontani dalle ombre in cui poter trovare refrigerio e riparo, così come possiamo vederle per esempio nel piccolo episodio con il Matrimonio Mistico di Santa Caterina nella chiesa romana di San Silvestro; quelli del Maestro di Ozieri al contrario paiono alberi di poco conforto, alti e riottosi, a cui certo non ci si può aggrappare con slancio come fanno gli astanti sui rami protesi e ospitali dell'Andata al Calvario di Polidoro.

Nel costruire la profondità del paesaggio Polidoro utilizza un digradare scaglionato in senso spesso parallelo al piano del dipinto, con appoggi invisibili e rischiarati di grigio, mentre il Maestro di Ozieri contorna la scena principale di quinte che si chiudono obliquamente verso una conca nella media distanza per riaprirsi nel più profondo lontano. In Polidoro il procedimento è mitigato e un po' dissimulato dai valori tonali. Per giungere ad una certa naturalezza egli stempera la distanza dilatandola infinitamente tanto che alcune masse paiono mancare di solidità, come ingoiate ed erose. Sono suggerite in forma di vapore o di liquido luminoso, un effetto che nell'affresco ricorda le qualità evanescenti delle sue grisailles. Il Maestro di Ozieri non riprende mai tali valori cromatici, ma sembra al corrente del modo di comporre le masse dell'ambientazione naturale. Seminando piccoli episodi dislocati su alture o snodi di passaggio si ottengono dei capisaldi di attraversamento o di sosta indispensabili perché il paesaggio possa essere percepito come insieme di luoghi deputati alla meditazione. La narrazione del percorso sacro, quello inerente le Storie della Passione, avviene nei piccoli episodi posizionati però come i grani di un rosario. (forse immagini dei particolari con le scene minori della Crocifissione)

Tale costruzione del paesaggio segna un'innovazione rispetto al cantiere delle Logge Vaticane, da cui discende una parte delle fonti compositive del Maestro di Ozieri. In quel caso l'orizzonte risultava sempre visibile e individuabile, delineato con ragionevole certezza, benché i profili azzurrini volessero mantenere l'illusività amalgamante della distanza. Nei riquadri è affrescata quasi unicamente una natura rigogliosa, le ambientazioni sono lacustri e placide, richiamano una campagna georgica, con inserti di vegetazione 191 P. «has succeeded in creating that mixture of sun-drenched foliage and deep shadow found only in the roof of the forest

spontanea, come si distingue nella Costruzione dell'Arca, attribuito a Giulio Romano e Giovanfrancesco Penni, o nell'Incontro di Giacobbe e Rachele al pozzo di Tommaso Vincidor.

Assunta la similitudine strutturale ciò che non compare nel Maestro di Ozieri è l'intonazione nostalgica delle rovine rinvenibili nel paesaggio con riferimenti eruditi alla grandiosità lontana dell'antico. Egli non si immette nella corrente dell'impegno cronachistico di Heemskerck, né nell'inclinazione alla vedute «rovinose» di Polidoro. Sembra infatti più interessato agli aspetti naturalistici del paesaggio e non al dispiegamento della curiosità archeologica, così come è evidente nei römischen Skizzenbücher192 di Heemskerck, e in Herman Posthumus. Il primo a Roma dal 1532 riempie album di sculture in specie quelle di Andrea della Valle e di scorci con una Roma antica, come quelli in particolare del Palatino. Quando le vedute sono riprese dall'alto del Campidoglio o del Laterano, o si tratta di vedute della città 'da lontano', colta da Villa Madama o dall'Aventino, il disegno si espande su due fogli affiancati. Quella che nella Crocifissione di Ozieri è una visione univoca della Città, allusiva ma semplificata, in Heemskerck, per esempio nel Ratto di Elena di Baltimora, diventa un'ouverture moltiplicatrice di monumenti, riadattamenti fantasiosi di pezzi architettonici, la veduta è tempestata di ogni souvenir dall'antico trovando sollievo solo nella marina a destra e nelle quinte montuose spumeggianti più che in Scorel. Nel Maestro di Ozieri la relazione tra paesaggio e figure pare essere più bilanciata, simile a quella illustrata nella Bibbia delle Logge, ma con una visione nordica ripresa dall'alto, non però combaciante con l'approccio di Heemskerck, dove compaiono dei forti salti di scala, quando si passa dalle proporzioni miniaturistiche a quella incombente di un capitello rinvenuto nei pressi del Colosseo o a quella di un piede colossale.

Come per l'autore dell'Andata al Calvario (1533), destinata alla chiesa dei Catalani a Messina, la frequentazione delle stampe tedesche e i possibili raffronti con i dipinti di Patinir non bastano a spiegarne la concezione del paesaggio, così nel caso del Maestro di Ozieri bisogna guardare altrove per capire le fonti da cui discende il suo modo di rendere il paesaggio, con una natura selvatica, condensata spesso in relitti boschivi rinsecchiti ma robusti, fatta di concrezioni rocciose che si sfaldano, dalla forma geologicamente imprevedibile, ricca di cavità, archi naturali e agglomerati friabili che paiono fatti di ghiaccio e calce, per la loro parvenza azzurrina e grigio chiaro. Altra particolarità rara che vedremo riconduce la riflessione agli sfondi di Scorel.193

RAFFRONTI PIÙ RAVVICINATI attraverso i fori sulle rocce

L'anticipazione di alcune conclusioni non deve esimere dal dare conto ora dei raffronti necessari. Nella tavola con il Rinvenimento della Santa Croce emerge una morfologia di rocce particolare: stalattiti dalla conformazione germogliante che si sviluppano in cucuzzoli e in vere e proprie cavità presentandosi

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