II. La bellezza e la scienza (Il Regno di Prometeo)
II.1 Quel che la scienza non dice.
II.1.1 Una scienza antiestetica
Conoscere la natura tramite scienza significa occuparsi di spazio quantificabile e misurabile: essa è conosciuta concettualmente e se ne indagano le forze, mettendo in luce il perfetto determinismo causalistico.
L'istanza ultima di una visione oggettiva della natura è di conoscerla attraverso strutture mentali astratte, distanzianti l'uomo dalla natura e rinneganti qualunque contatto diretto, immediato entro cui sarebbe invece possibile coglierne un valore che esuli da considerazioni di stampo speculativo o utilitaristico. La freddezza del comportamento nei confronti della natura ha dato enormi vantaggi alla ricerca scientifica, ma di contro ha ridotto la sensibilità e allontanato da un'esperienza ricca e spontanea di essa79.
79 A. Naess, Dall'ecologia all'ecosofia, dalla scienza alla saggezza, in M. Ceruti, E. Lazlo (a cura di), Physis: abitare la terra, Feltrinelli, Milano 1988 p.455 <<L'allontanamento da un'esperienza ricca e spontanea della natura ha fatto sì che talune strutture astratte, o anche i
La natura non è studiata perché è bella ma in quanto, se dominata, cioè se ridotta ai nostri fini e scopi, ci è utile. La scienza occidentale, così come chiarisce Bateson, si basa su un assunto antiestetico: <<qualità e bellezza non hanno dignità scientifica, all'interno di una rigida concezione meccanicistica in cui contano solo qualità, misure e numeri>>80. Questo processo, se da un lato permette un avanzamento
gnoseologico rivelante, di contro impoverisce e disincanta il mondo, rendendolo una fredda macchina in cui tutto -o quasi- è computabile e prevedibile ed è visto in ragione del raggiungimento di un certo fine. Non si riconosce alcun valore che non sia legato alla sfera del pratico, dell'utile, delle capacità manipolative dell'uomo sulla Terra e sul mondo.
La scienza insomma, occupandosi esclusivamente di manipolare, sfruttare la natura, elimina la bellezza che della natura è qualità: essa presenterà un mondo identico a se stesso, standardizzato, reso forse meno pauroso, perché più controllabile81. L'uomo sarà forse
meno sperduto in immensi spazi che non riesce a decifrare e che ora comprende attraverso numeri e formule, ma si troverà certamente in
modelli scientifici di tali strutture, siano state prese arbitrariamente per il contenuto stesso della realtà>>.
80 E. Tiezzi, La bellezza e la scienza, Cortina, Milano 1998 cit., p. 30.
81 P. Rossi, Atteggiamenti dell'uomo verso la natura, in M. Ceruti, E. Lazlo (a cura di), Physis:
abitare la terra, cit., p.198, cit. E. Zolla 1966, 306,312 <<La scienza spegne la bellezza. Odia
un mondo progressivamente meno bello, meno misterioso, più disincantato:
<<Oggi, [..] a causa della prevalenza della ragione strumentale unicamente preoccupata di selezionare, classificare, controllare, dominare i propri oggetti, il
senso, che un tempo pervadeva ogni aspetto dell'esperienza umana, “ si ritira”
producendo quell'atmosfera di disincanto (eclisse degli dei) >>82.
L'esito delle scelte dettate da logiche utilitaristiche nei confronti della natura sarà la perdita di ogni valore che non sia l'utile, la scomparsa della bellezza e ripercussioni gravissime su noi stessi e l'ambiente di cui facciamo parte. Scienza insomma come violazione dell'ordine armonioso che lega uomo e natura, cognizione di cose morte, sottratte al flusso della vita, in cui le teorie e le astrazioni vanno interpretate come forme di nascondimento al flusso della vita83.
Concludiamo con le illuminanti parole di Iperione dell'omonimo romanzo di Hölderlin, di cui rileviamo una interessante consonanza con l'argomento trattato: egli spiega che si allontana dalla natura, entro cui è immerso in una forma di estasi panteistica, nel momento in cui comincia a riflettere secondo scienza: << Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto più alto del pensiero e della gioia, è la sacra cima del
82 E. Tiezzi, La bellezza e la scienza, cit., p.147; I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza.
Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino 1999, p. 30.
83 P. Rossi, Atteggiamenti dell'uomo verso la natura, in M. Ceruti, E. Lazlo (a cura di), Physis:
monte, è il luogo dell'eterna calma, dove il meriggio perde la sua afa, il tuono la sua voce e il mare che freme e spumeggia assomiglia all'onde di un campo di grano. […] Sovente mi innalzo a questa altezza, ma un momento di riflessione mi butta giù. Rifletto e […] la natura mi chiude le sue braccia e io sto come un estraneo e non la comprendo. Oh! Non avessi mai frequentato le vostre scuole! La scienza che ho seguito sino al fondo del suo pozzo e dalla quale io folle, attendevo la conferma della mia pure gioia, mi ha sciupato ogni cosa. Sono diventato presso di voi, un individuo così ragionevole, ho imparato a distinguermi perfettamente da ciò che mi circonda e sono ormai isolato in questo mondo bello, sono stato scacciato dal giardino della natura, dove ho vissuto e sono fiorito, e mi inaridisco nel sole del meriggio. Oh, un dio è l'uomo quando sogna, un mendicante quando riflette e, quando l'estasi si è dileguata, si ritrova come un figlio fuorviato che il padre cacciò via di casa e contempla i miseri centesimi che la pietà gli ha dato per il suo cammino>>84.
II.1.2 La concezione riduzionistica dello spazio e del tempo
Perché occuparci di un approccio scientista dello spazio se stiamo trattando di paesaggio?
E' chiaro che se lo spazio è solo spazio e nient'altro che spazio, il paesaggio di cui godiamo esteticamente, senza considerazioni di sorta di stampo manipolativo e utilitaristico, scompare. Così come lo spazio è stato ridotto a semplice superficie da sfruttare, di cui non è colto nessun valore che non sia l'utile, anche il tempo ha subito la stessa sorte, per cui lo si è considerato semplice parametro, disgiunto dall'esperienza umana. La natura si pensa come avente una temporalità metastorica: in questo modo è più congeniale poterla fare oggetto di dominio prima conoscitivo e successivamente anche nella pratica.
<<La scienza -si dice- ha dato troppo spazio allo spazio, ignorando il tempo>>85: essa ha così oscurato il legame più importante
che lega l'uomo alla natura. Lo spazio è infatti sempre spazio vissuto nel tempo, quindi connesso alle vicende individuali e insieme storiche dell'uomo e invece, esso è stato brutalmente spazializzato dalla scienza occidentale. Non rimane così nessuna traccia della temporalità che esperiamo sensibilmente86. Il tempo-parametro
elimina la storia, la memoria, non si cala nemmeno nella natura, entro cui invece esistono ritmi ciclici, biologici, naturali87. La natura
85 E. Tiezzi, La bellezza e la scienza, cit., p. 28.
86 Questo tipo di temporalità è stata rivalutata nel Novecento anche dagli scienziati, vedi scoperta secondo principio termodinamica, cfr. I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza.
Metamorfosi della scienza, cit.
87 Cfr. E. Tiezzi, Tempi storici, tempi biologici, in M. Ceruti, E. Lazlo (a cura di), Physis: abitare
insomma, vista con gli occhi della scienza, è astratta e incompatibile con la storia e l'esistenza.