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SCIENZA E STORIA 37

SCIENZA E STORIA, O DELLO STACCO DELLO STUDIOSO DALLA COSA STUDIATA

SCIENZA E STORIA 37

è la roccia salda alla quale importa rimanere attaccati, se non si vuole che l’inse­ gnamento della materia finanziaria divenga preda di giuristi in attesa di passare ad una cattedra di diritto amministrativo, ovvero di politici ansiosi di salire, predi­ cando quella giustizia tributaria la quale meglio soddisfaccia alle correnti del giorno. Ho paura che nemmeno la « tipologia » inaugurata dal F. basterà a salvarci dall’es­ sere sommersi. Anche 11, quel che c’è di rigoroso (discussioni sui limiti alle illusioni e sui doppi di tassazione, sui tipi di diversificazione quantitativa e qualitativa, sui metodi di accertamento dei redditi), è premessa arbitraria di ragionamento od illa­ zione dalla premessa medesima e potrebbe essere agevolmente collocato nel trattato degli « effetti delle imposte ». Chissà quanti « tipi » comodi a questo o a quel momento storico inventeranno i cacciatori di cattedre! Perciò molta lode va data al Fasiani per aver dedicato più di metà delle sue lezioni allo studio degli effetti e della traslazione delle imposte, arduo studio e atto a tener lontani gli avventurieri che tentano l’assalto alle aule accademiche. Digrignando i denti, ed esigendo diffi­ cili manipolazioni di qualche decina di migliaia di dati primi, gli statistici sono riusciti a tener lontano il nemico dal loro sacro recinto. Perché non dovrebbero gli economisti potere elevare attorno a sé barriere altrettanto insormontabili? Solo cosi gli studiosi seri possono farsi perdonare il loro stacco disumano dal vivo oggetto studiato.

Lu ig i Ein a u d i

APPUNTI

Co s s a E Ca n t il l o n. — Un documento caratteristico e vorrei quasi dire un simbolo dell’oblio che prima della riscoperta di Jevons era venuto addensandosi nell’ottocento intorno all’ Essai sur la nature du com m erce en général, è fornito dal silenzio a suo riguardo di quell'informatissimo registratore e aggettivatole di opere d'ogni tempo e paese che fu Luigi Cossa. 11 quale, se nei cenni dell’Introduzione allo studio d ell’econom ia politica (Milano 1892, 276-7 e anche 278, 280, 302,

310) e quindi a riscoperta avvenuta e fruttificata, mostrò di tenere in gran conto il libro di Cantillon, non ne aveva fatto invece menzione alcuna nella precedente edizione del suo utile repertorio, apparsa, ancora sotto il titolo di Guida, tre anni innanzi la riscoperta medesima (Milano 18782). Cosi, almeno, risulta dall'« accu­ rato » indice alfabetico dei nomi degli autori citati della cui compilazione egli ringrazia nella prefazione (ix ) il suo « distinto scolaro ed amico » Ferruccio N i­ colini.

Pe n s ie r i d i Sism o n d i s u eco n o m ica e m a t e m a t ic a. — Che Sismondi — il Sismondi trentenne della Richesse com m erciale — vada annoverato fra i più antichi studiosi che fecero uso di simboli algebrici nella trattazione di questioni economiche, è notizia che non si può certo dire divulgata, ma che sarebbe del pari erroneo dichiarare inedita o anche soltanto difficilmente reperibile: basti 'os­ servare che in occasione della tèrza edizione di T he theory o f politicai economy

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(London 1888, 278) essa, venne, dietro probabile suggerimento altrui, inserita dalla vedova di Jevons nella List o f m athem atica-econom ie books, m em oirs, and other published writings fornita da questo in appendice alla seconda (London 1879); e

che di 11 passò sia alla quarta e ultima poi curata dal figlio (London 1911 e ri­ stampe, 324) sia alla Bibliography o f mathematica! économ ies aggiunta dal Fisher alla traduzione delle Recherches di Cournot condotta dal Bacon (Researches into

thè m athem atical principles o f thè theory o f tvealth, New Y ork 18971 e 1927* e ristampa, 173-209, cfr. 174), restando così consegnata a quelli che appaiono tuttora i meglio provveduti archivi bibliografici sull’argomento. A guardare al­ l’interesse intrìnseco del tentativo, tanto minuscolo e rudimentale, dello scrittore ginevrino, si potrebbe anzi giungere ad affermare che a esaurire il compito dello storico risulti appunto, nella specie, sufficiente la mera registrazione dell'episodio bibliografico; e che solo convenga, per l'esattezza e la completezza, sostituire alle tre differenti che si sono ricordate una nuova redazione della scheda, la quale precisi come i due tomi dell’opera, da Sismondi pubblicata in patria nel 1803 sotto il titolo D e la richesse com m erciale, ou principes d ’économ ie politique, appliqués à la législation du com m erce, rechino ancora sul frontespizio, accanto alle iniziali del nome Jean Charles Léonard, il semplice cognome Simonde, e come i simboli vi si leggano in due note, fra loro connesse, a piè delle pagine 104-8 e 215-6 del tomo primo.

Comunemente)'ignorata e degna tuttavia di attenzione, mi sembra invece la circostanza che dell’insueto procedimento l ’autore abbia, anche più insitam ente, cercato di ragionare una motivazione (1 0 4 -5 ):

Ceux qui ne sont pas familiarisés avec le langage algébrique, ne donnent aucune attention aux calculs qui leur sont présentés sous cette form e; ceux au contraire qui ont une fois pris l'habitude de considérer les idées et les nombres abstraitement, répugnent à voir faire des suppositions numériques, qui leur paroissent toujours invraisemblables ou inexactes: pour contenter les uns et les autres, je généraliserai dans cette note ce qui est exposé dans le texte, et j'adopterai cette fois seulement le langage des sciences exactes; mais je le répété, ce ne sera que cette fois, car appliquer ce langage i une science qui n'est point exacte, c'est s'exposer à des erreurs continuelles. L'économie politique n'est point fondée uniquement sur le calcul, une foule d'observations morales qui ne peuvent être soumises au dernier, altèrent sans cesse les faits; vouloir en faire constamment abstraction,. c'est pour le mathématicien supprimer au hasard des figures essentielles de chacune de ses équations.

Ho parlato genericamente di motivazione, ma, come! si vede, avrei potuto parlare più specificamente di scusa, non essendo davvero cosa contestabile, ancorché di tutte la più insueta e forse unica, che in sostanza nell'atto stesso di accingersi, fra i primi, all'uso dei simboli, Sismondi se ne sia, fra i primi, dichiarato avver­ sario. M a il richiamo. — cavallo di battaglia degli obiettanti d'ogni tempo — all'appartenenza dell’economica al novero delle cosiddette scienze morali, non tocca, à mio avviso, il fondo del problema della possibilità o non possibilità di uso siffatto : problema il quale mi pare avviarsi a piena e soddisfacente soluzione (e soluzióne, allora, affermativa) soltanto procedendo innanzi a riconoscere che, per proprio istituto della disciplina- e. quindi anche senza simboli, l'oggetto, indub­

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blamente spirituale, dell'economica è da questa sottoposto al calcolo in guisa non dissimile da quella tenuta verso l'oggetto loro dalle cosiddette scienze naturali; e che pertanto, anche senza simboli, essa consiste nell’intrinseco in una sorta di calcolo. E perciò stimerei che nel verdetto citato debba lo storico dar risalto non tanto alla condanna e forse nemmeno, per non correre il rischio di sopravvalutarla, a qualche vaga ammissione che pur sembra insinuarsi nel suo stesso enunciato, quanto alla nitida osservazione addotta apertamente a circostanza attenuante e della cui giustezza suppongo di non essere il solo ad avere, leggendo, fatto spesso per­ sonale esperienza. Come suppongo di non essere il solo ad apprezzare, in virtù di ripetute e contrastanti esperienze di lettore, un altro vantaggio dell'uso dei simboli accennato più oltre! (II, 33-4) a proposito di uno scrittore il cui nome ricorre con particolare frequenza nelle pagine della Rjcbesse com m erciale (I, xxi, x xx v m , l iv, 27 n., 39, 65 n., 129, 134, 167, 168, 187; II, 2, 33, 34, 36, 37, 90, 115):

.... Quand on pari de principes différens, il est tout simple qu'on puisse se disputer long-tems sans s'entendre, mais lorsqu'on part des mémes principes, et que ceux-ci exprimés dans le langage mathématique, tels que nous les présente très habilement M .r Canard, scmblent dépouillés de toute équivoque, il est fort extraordinaire qu'on puisse en U'rer des conclusions diamétralement opposécs.

Per modesto che sia, c'è già in coteste osservazioni un contributo alla metodologia dell’argomento del quale non è comune l’esempio da parte dei predecessori di Sismondi, ancorché autori — come il Lloyd (Att essay on thè theory o f money,

London 1771) o, più prossimo, il ricordato Canard (Principes d'économ ie politique, Paris 1801) — di tentativi d'impegno assai maggiore che il suo; e contributo, vorrei aggiungere, della cui validità può, se non m’inganno, convenire anche chi, pur senza riconoscere, come Sismondi non riconosceva, che il ragionare dell'eco­ nomica, sia sempre in fondo un calcolare, appaia almeno disposto a concedere, come Sismondi col fatto concedeva e come sarebbe ben arduo non concedere, che all'economista tocchi, qualche volta, di eseguire e di esporre dei calcoli.

La domanda d e i t it o l i secondo Pa n t a l e o n i. — Meritevole di attenta lettura in ogni sua parte è, come al solito, uno studio delle principali Eccezioni apparenti alla legge teorica d i dom anda pubblicato da Umberto Ricci sulla Rivista internazionale di. scienze sociali dell'anno passato (306-30). M a nella presente sede storiografica vuol essere segnalato per una pagina nella quale vengono divulgate per le stampe alcune nitide righe di Pantaleoni, che appaiono tratte da un corso di lezioni litografate del 1911-12 intorno alla Legislazione sul credito e sulle op e­ razioni d i borsa e che qui si ritrascrivono :

In ogni mercato ci sono sempre compratori o venditori che còmprano o vendono per spirito imitativo, per la fiducia che hanno in determinate.persone, o istituti che vedono com­ prare o vendere. I caporioni d'un movimento possono anche speculare sii questo fatto ; se un titolo rialza è proprio allora che tutti lo comprano; quando ribassa diminuisce il numero dei compratori : succede cioè l’opposto di quel che accade con le derrate.

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In borsa, per i titoli, vale la regola opposta a quella dettata dall'economia: secondo i dettami della quale una merce tanto più ribassa, tanto più è comperata, in borsa invece (specialmente entro periodi brevi) succede l'opposto. Quanto più un titolo ribassa, tanto più lo si vende; quanto più cresce, tanto più lo si compra, in vista delle rivendite, poiché si

crede che continuerà a crescere.

Anche in borsa in un lungo periodo di tempo se un titolo ribassa si avvera il prin­ cipio generale dell'economia; ma questo non ha nulla a che vedere con quello che succede in brevi periodi di tempo.

Le citazioni e i riferimenti bibliografici relativi sono a pagina 3 1 9 : parafrasi com­ menti e svolgimenti del citante si possono leggere a pagine 318-20 e anche prima, a pagina 310.

Un d etto di Pa n t a leo n i s u Pa r e t o. — Dalla terza pagina del quotidiano torinese L a stampa del 12 luglio scorso ritaglio la chiusa di un articolo di Filippo Burzio (Luigi Lagrange, della serie Piem ontesi d el settecento), nella quale è ri­ prodotto e commentato un detto di Pantaleoni che, se la memoria non m'inganna, non è dato trovare nelle sue pubblicazioni:

.... ed io non posso a meno di ricordare, a questo punto, certe parole scrittemi, anni addietro, dall'economista Maffeo Pantaleoni, a commento del « Trattato di Economia Politica.» di Vilfredo Pareto, per esprimermi il massimo della sua ammirazione: « È un’opera lagran- grana », diceva. Anche Pareto, infatti, asseriva di non ricercare la giustificazione «ra z io n a le » ,

o «m etafisica», dei fatti; ma di volerli solo constatare sperimentalmente. Tutto un secolo di positivismo, dominato alle sue origini dalla figura di Lagrange, e dalla interpretazione data alla sua opera da Comte e dalla sua scuola, stava racchiuso in quelle parole.

Aggiungo che mi sono di proposito astenuto dal correggere la contaminano di titoli che il lettore avrà notata, perché, pur propendendo per la seconda ipotesi, non mi è consentito risolvere se l'allusione andasse al M anuale d i econom ia po­ litica ovvero al Trattato d i sociologia generale.

Un'o ss er v a z io n e di Did er o t. Jacques le fataliste et son m aitre nota­ vano già, quasi all'inizio del loro bizzarro conversare, la grande prolificità dei poveri e qualcuna fra le cagioni sue (i punti sospensivi finali sono nel testo) :

Jacques. — .... On ne fait jamais tant d'enfants que dans les temps de misère.

Le Maître. — Rien ne peuple comme les gueux.

Jacques. — U n enfant de plus n'est rien pour eux, c'est la charité qui les nourrit.

E t puis c’est le seul plaisir qui ne coûte rien ; on se console pendant la nuit, sans frais, des calamités du jour....

Jacques le fataliste fu dato alle stampe nel 1796. M a — giova rammentare — po­ stumo; e il momento della sua composizione sembra potersi situare intorno al '73-’74, all’epoca del viaggio del filosofo in Russia.

Mario d e Bernardi

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RECENSIONI

Pierpaolo Luzzatto-Fegiz, Statistica demografica ed economica. U .T .E .T ., Torino, 1940. Un

voi. in 8° di pp. X1X-518.

La statistica è parente molto stretta della storia economica; ed ho g ii avuto occasione di dire qui del vantaggio che allo studio dei fatti economici del passato reca il possesso, ol< treché della logica economica, degli strumenti rigorosi di ricerca proprii degli statistici. Lct storico si incontra ad ogni passo in dati e notizie riguardanti popolazione, migrazioni, fami­ glie, imprese, lavoro, disoccupazione, produzione, reddito, tributi, pressione fiscale, distribu­ zione del reddito, consumi, risparmio e simili. Poiché esiste una tecnica dello studio di questi problemi, tecnica la quale si è andata via via perfezionando, e poiché di questa tecnica il libro del Luzzatto-Fegiz dà una esposizione chiara e precisa e poiché l'a. non si limita ad esporla, ma ne fa volta per volta l'applicazione ai dati e fatti contemporanei, principalmente italiani, risalendo non di rado assai indietro nel tempo, cosi raccomando assai il libro anche agli stu­ diosi di storia economica come manuale di consultazione e di lavoro. Il valore pratico del manuale è cresciuto da una scelta bibliografia per il lettore desideroso di approfondire i varii argomenti trattati nel testo e da un glossario dei termini tecnici. Esempio quest'ultimo degno di essere imitato dai tanti i quali non contenti di adoperare termini il cui significato é noto o reperibile, inventano essi stessi termini nuovi e pretendono poi che il disgraziato lettore ne abbia sulla punta delle dita il significato insolito, sebbene spesso tutt'altro che peregrino. Il Luzzatto ha due m eriti: di non inventare termini nuovi a scopo di infastidire chi ha voglia di imparare e di ricordare la spiegazione dei termini noti.

In verità, è un fare torto al libro del Luzzatto-Fegiz lodandolo solo come ottimo ma­ nuale. Esso è il frutto anche di ricerche originali dell'a.; ad es. sul calcolo del reddito agrario, sull'interdipendenza e sulla durata delle imprese (qui veggast un bel grafico sulla sopravvi­ venza delle compagnie di assicurazione sorte a Trieste fra il 1761 ed i l - 1 8 9 3 , la quale addita un filone prezioso di ricerche agli storici), sulla evoluzione professionale di una generazione in una popolazione stazionaria. N é del resto si può immaginare che un buon manuale sia scritto da chi non ha qualcosa da dire sulla materia trattata.

L. E .

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G um o Db Ruggero, L'età delfillum inttm o. D ue v o i.; di pp. 227 e 320. D a Vico a Kant.

Un voi. di pp. 44 5 . Latería, Bari, 1939 e 1941. Prezzo L. 45 e 40.

I tre volumi continuano la grande storia della filosofia iniziata da tempo da Guido D e Ruggero. Che è opera non tanto lontana dagli studi economici come il titolo potrebbe lasciar supporre. Purtroppo, noi economisti siamo tratti non di rado ad adoperar parole ed a manipolar concetti altrui od appartenenti a quel terreno di nessuno, che nelle scienze morali è così gran parte del territorio esplorato in confuso da tutti. Giova spesso rifornirsi di strumenti di interpretazione nei libri dei non economisti. D e Ruggero riassume i moralisti inglesi del '7 0 0 ; e subito ci si imbatte in una distinzione chiarificatrice: « L a morale concerne le azioni e le affezioni, cioè un dominio a cui l'influenza della ragione è estranea. La ragione è la scoperta del vero e del falso, che consistono nell'accordo e nel disaccordo delle idee tra loro d tra le idee e l'esistenza di fatto ; ora è evidente che le passioni e le azioni non sono suscettive di tali rapporti, essendo realtà complete in se stesse e non implicanti rife­ rimento ad altre passioni ed azioni » (L ’età, I, 166). Se gli economisti tenessero sempre pre­

sente la distinzione di Hume, non presumerebbero, dimostrando un teorema puramente astratto, di dettare una norma di condotta umana; ed i a itic i non accuserebbero gli economisti di reati innominabili quando invece essi si contentano di dedurre logiche illazioni da premesse teoriche. La lettura di opere lungamente meditate di storia delle idee, come è questa del D e Ruggero, nella quale si ritrova l'eco di tutte le grandi dispute del passato, è un inse­ gnamento di modestia per gli specialisti : quanto dovremmo riflettere solo per ren d aci ragione del valore delle parole e dei concetti che noi adoperiamo e dei limiti dei ragionamenti che su di essi istituiamo!

Come la meditazione sulle idee generali giovi alla esatta comprensione di quelle particolari si vede leggendo le poche pagine che il D e Ruggero consaaa ai fisiocrati. H o lamentato altrove (ed ora in O pere, Scritti di economia e di finanza, I, 333 e segg.) che i

fisioaati avessero dato argomento, con le loro bizzarre costruzioni e col più bizzarro linguag­ gio, agli economisti venuti poi di m ettali facilmente da un canto riducendone la loro posi­ zione scientifica a quella di teorizzatori della esclusiva produttività della terra e dell'imposta unica sulla rendita ta rie ra . Posizione ingiustamente autocalunniosa. M a D e Ruggero avverte lapidariamente : « N on da 'queste conseguenze caduche si può misurare l'importanza e l'effi­ cacia della fisiocrazia, bensì dalla viva coscienza che essa ha avuto del contrasto tra il proprio ideale, razionale ed armonico, e le disarmonie create dagli uomini. Che cosa hanno fatto essi

nel <mrso della loro storia? Hanno elevato impedimenti e barriere d’ogni sorta al lib a o spiegamento delle forze concorrenti della t a r a e della natura umana. Privilegi signoriali, fidecommessi, beni di manomorta, dazi doganali, pedaggi, incoraggiamenti fittizi ad alcune produzioni a danno di altre, questi ed altri simili ostacoli hanno disseminato nel loro cam­ mino, turbando improvvisamente ciò che la natura aveva con saggezza predisposto a loro favore. La conseguenza ultima è che spetta all'economia, come conoscitrice delle vie della natura, annullare tutti gli ostacoli, ripristinando il gioco e l'equilibrio spontaneo delle forze. Si avverte di qui facilmente che la fisiocrazia nella propria s f a a opera non divasa-mente dal giusnaturalismo e dalla religione naturale nelle sfere rispettive » (L'età, l i , 251-2)

Qui, assai sommessamente, vorrei porre al D e Ruggero un quesito: possiamo noi assimilare del tutto la posizione dei fisiocrati a quella dei filosofi del giusnaturalismo e, in g e n a e , della filosofia della natura? .« N a tu ra le » , p a i fisioaati, non è un ordine che, si debba dedurre dalla contemplazione della natura propria dell'uomo; non è un ordine che, p a e ssae

conforme ad un’idea concepita da talun filosofo o storico o romanziere della « n a tu ra » procacci la felicità dell'uoma e della società umana; non è un ordine dedottq dall'ipotesi della

natura originariamente buona dell'uomo, guastata poscia dalle istituzioni storiche; non è

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RECENSIONI 43

un ordine che faccia astrazione dallo stato e presupponga il libero agire delle sole forze spontanee. Che cosa è l'ordine naturale dei fisiocrati? Leggendoli, a me è parso che esso non

consistesse in un ideale immaginato di una società politica economica religiosa perfetta, reputata esistente nel passato o possibile nell'avvenire. I fisiocrati partono invece dalla consi­ derazione di una società effettivamente esistente in un dato momento storico e in un dato paese, studiano le forze da cui lo stato politico sociale economico di quella società è deter­ minato, l'influenza che dall'agire di quelle forze derivano sulla struttura della società, sui rapporti fra le classi sociali, sull'avanzamento o regresso morale, intellettuale, politico ed economico del paese; e giudicano che lo stato in cui quella società si trova sia ovvero non sia conforme all'ordine naturale a seconda che quello stato possa essere descritto come stabile ( o progressivo) ovvero decadente. Non esiste, nella interpretazione che a me pare di poter dare del pensiero dei fisiocrati, una società ideale alla quale le società esistenti possano essere paragonate, dalla quale talvolta si crede esse siano decadute o verso la quale esse tendano. Qualunque tipo di società può essere invece considerato conforme all'ordine naturale fisio-cratico. Il criterio di giudizio sta nell'osservare se quel tipo è stabile od anche progressivo, nel senso che esso sia dominato da forze, da istituzioni, da credenze le quali conducano alla prosperità economica, all'elevazione morale ed intellettuale degli uomini, alla grandezza dello stato, alla formazione di una classe politica indipendente dal sovrano, di magistrati intesi a render giustizia a tutti, di classi sociali uguagliate non nella dipendenza verso un

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