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La scoperta delle ragioni dei palestines

I socialisti italiani e la questione mediorientale

2.3. La scoperta delle ragioni dei palestines

Una delle conseguenze della sconfitta araba nella guerra del 1967 fu quella di sollecitare il dibattito interno alle organizzazioni palestinesi, dove si fecero sempre più strada i sostenitori di una maggiore autonomia della lotta rispetto agli Stati della Lega Araba, istituzione che, come abbiamo visto, aveva favorito la fondazione dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina nel 1964, sotto gli auspici del presidente egiziano Nasser. Ahmed Shuqayri venne allontanato dalla presidenza dell’OLP, e nell’organizzazione si impose la leadership del movimento guidato da Yasser Arafat, Al-Fatah281. L’affermazione delle azioni e della politica dell’OLP favorì, tra i palestinesi dispersi nei vari paesi della regione, l’acquisizione di una coscienza nazionale sempre più matura, e fu grazie a questo passaggio che gradualmente il mondo cominciò a distinguere, all’interno dell’amalgama dell’universo arabo, la specificità delle ragioni del popolo palestinese.

Si trattò di un elemento di portata storica, che modificò i termini dell’interpretazione del conflitto mediorientale presso diversi settori e attori della comunità internazionale: tutti acquisirono maggiore consapevolezza, in molti casi solo una prima conoscenza, delle condizioni del popolo che, più di ogni altro nella regione, aveva subito le conseguenze della creazione dello Stato di Israele. Fino alla metà degli anni Settanta il mondo, e abbiamo visto in particolare il Partito socialista italiano, stentò molto a trascendere la categoria umanitaria

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nella considerazione della realtà dei palestinesi, per assumere una chiave di lettura di diversa natura, legata alla sfera politica.

Dopo il ‘67 i socialisti italiani cominciarono a confrontarsi con i problemi mediorientali focalizzando l’attenzione sulle scelte di politica estera dello Stato di Israele, sul ruolo che esso aveva nella regione, e sui suoi rapporti con gli Stati limitrofi. Tuttavia gli organi di informazione di partito cominciarono a dedicare maggiore spazio alla questione palestinese, che fece irruzione sugli scenari internazionali, prima di tutto a causa dei nuovi profughi ed esiliati sfrattati dalle conquiste israeliane della guerra dei Sei giorni, e poi per via delle operazioni di guerriglia attuate dai militanti del movimento di lotta palestinese, che attirarono prepotentemente l’attenzione della comunità internazionale.

Nel frattempo i socialisti si avviarono verso la strada di una nuova rottura causata dal consolidarsi delle diverse correnti interne al partito, come conseguenza della dura sconfitta che il PSU riportò alle elezioni politiche del 1968282. Il risultato elettorale scardinò il faticoso processo di unificazione dei socialisti con l’area socialdemocratica, e gli effetti di questa frattura sempre più accentuata furono evidenti anche rispetto alla questione mediorientale, sulla quale fu seguito

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«Nelle speranze dei fautori del centrosinistra le elezioni del maggio 1968 avrebbero dovuto dare una spinta poderosa alla coalizione premiando il polo moderato (guidato dalla Dc) e quello socialista del Psu e ridimensionando la presenza comunista. Invece il verdetto delle urne è una doccia fredda per i socialisti, che perdono quasi un quarto dell’elettorato che cinque anni prima aveva votato per i due partiti separatamente. La strategia unitaria, perseguita soprattutto da Nenni, entra in crisi e i contrasti in casa socialista (destinati a sfociare in una nuova scissione tra le due “anime” del partito) giocano un ruolo non indifferente nel logorare progressivamente la coalizione di governo che non regge alla durata della legislatura», G. Mammarella, P. Cacace, op. cit., p. 224.

l’orientamento politico delle diverse correnti della compagine socialista: la sinistra del partito si attestò su posizioni molto più vicine a quelle del PCI, promuovendo un ripensamento dell’impostazione politica sullo Stato di Israele e sulle sue scelte.

Immediatamente dopo la fine del conflitto la maggioranza dei socialisti continuò comunque ad esprimere il proprio sostegno allo Stato ebraico, e sulle pagine di Critica Sociale si sviluppò un dibattito inerente alla questione dei territori occupati, che vide l’intervento di Luciano Vasconi, convinto sostenitore della necessità del ritiro di Israele dai territori e dell’opportunità di un accordo sui confini tra lo Stato ebraico e gli Stati arabi vicini, e di Lodovico Targetti, che difendeva le posizioni di Israele valutando i nuovi confini raggiunti con la guerra del ‘67 come territori di difesa naturali necessari per la sicurezza del nuovo Stato mediorientale. Targetti si rifece alle tesi tradizionali socialiste, secondo cui i palestinesi erano strumentalizzati dai regimi arabi disinteressati a raggiungere un accordo di pace283. Parallelamente ai consueti orientamenti filo-israeliani, si sviluppò la posizione dei socialisti di sinistra, che avevano criticato già da tempo la politica mediorientale del partito: nel 1964 il PSIUP, con lo stesso schema interpretativo del Partito comunista italiano, aveva sostenuto l’idea di difendere il popolo palestinese, vittima dell’imperialismo e della politica espansionistica israeliana, e nel 1965 la sinistra del partito guidata da Riccardo Lombardi si dichiarò contraria all’unificazione del PSI con il PSDI, anche per la necessità di tutelare la tradizione neutralista dei socialisti italiani. Queste oscillazioni

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furono avvertite con forte preoccupazione e apprensione dagli ebrei socialisti, i quali cominciavano ad intuire che il vento dei cambiamenti interni al partito si sarebbero riversati anche sulla linea adottata finora rispetto ad Israele: «(…) la sinistra del partito, schierata dietro Riccardo Lombardi, cercava, nella scelta filoaraba, un ulteriore motivo per indebolire la linea filogovernativa del segretario Mancini, rafforzando invece la convergenza politica con il PCI di Enrico Berlinguer. Benché minoritaria, la sponda antisraeliana del PSI si faceva sentire – anche perché si guadagnò presto il sostegno di De Pascalis (Luciano, responsabile politica estera del PSI, ndr.) e così fu lo stesso Mancini a dover ammettere che “taluni nostri compagni tendono a privilegiare il carattere ideologico cioè la componente rivoluzionaria e liberatoria della guerra dei popoli arabi”. Alcuni ebrei socialisti si accorsero di cosa stava avvenendo nel loro partito ed uno di questi, Alfredo Pacifici, nel marzo del 1969, lo denunciò in una lettera aperta nella quale indicava la FGS (Federazione giovanile socialista, ndr.) e la rubrica “Tempo nostro” su l’Avanti! come i punti di riferimento della minoranza filoaraba»284. Tuttavia la corrente maggioritaria dei socialisti continuava a mantenere il proprio sostegno allo Stato di Israele, esplicitato dalle parole del segretario nazionale, che confermò la “solidarietà ad Israele entro confini sicuri e riconosciuti”, suscitando la disapprovazione di De Pascalis, la cui protesta era indice di quanto l’orientamento della politica mediorientale del partito stesse attraversando un periodo di nuovi assestamenti.

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La questione mediorientale rappresentò uno degli spunti maggiori del dibattito tra le correnti del partito285, e questo processo di confronto andrà avanti per alcuni anni, fino a capovolgere quasi completamente, come vedremo, l’orientamento politico dei socialisti rispetto al conflitto arabo-israeliano.

Dopo l’approvazione, nel novembre 1967, della risoluzione 242 delle Nazioni Unite, che richiedeva ad Israele il ritiro dai territori occupati e la soluzione del problema dei profughi palestinesi, il dibattito sul Medio Oriente si intensificò nuovamente all’interno del Partito socialista, sviluppandosi su due direttive di opinione ben distinte: quella della sinistra, che si opponeva alla volontà di Israele di mantenere la propria posizione nei territori occupati; e quella maggioritaria del partito, che continuava a mantenere vivo l’appoggio allo Stato di Israele, e che si avvalse, in occasione della celebrazione dei venti anni dalla fondazione dello Stato di Israele, del commento dell’intellettuale Aldo Garosci, membro della direzione del partito socialista. Garosci espresse la propria angoscia per un paese che, dopo venti anni, non aveva ancora ottenuto il diritto di esistere, e cercò di spiegare ai lettori del quotidiano socialista la singolare caratteristica di

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«Rimarcando il valore del neutralismo socialista il 1 luglio 1967 Lombardi, Fernando Santi, Tristano Codignola, Antonio Giolitti, Vincenzo Balzamo e Giorgio Veronesi presentarono un ordine del giorno al Comitato Centrale del partito per ribadire la tradizionale autonomia dei socialisti dallo schieramento fra blocchi contrapposti e per sottolineare le divergenze con la linea generale del Psu sul Vietnam e sul Medio Oriente. A proposito del recente conflitto arabo-israeliano, l’ordine del giorno presentato da Lombardi affermava: “Il CC ritiene che le garanzie di esistenza da assicurare a Israele, pur necessarie, non siano di per sé sufficienti a realizzare una condizione duratura di pace nel Medio Oriente; anche le esigenze di sviluppo e di civiltà dei popoli arabi, oppressi per secoli dal colonialismo, esigono un adeguato riconoscimento ed iniziative idonee ad emanciparli da ogni forma di soggezione e di sfruttamento», A. Tarquini, op.cit.,p. 218.

uno Stato nato dal processo di nazionalizzazione dell’ebraismo: secondo la tradizionale considerazione socialista su Israele, Garosci individuava il fascino di quello Stato nella capacità eccezionale di coniugare il patrimonio e le tradizioni religiose alla modernità e al socialismo. Il commento si chiudeva con l’affermazione del diritto di Israele a difendersi da coloro che insistevano nel negargli il diritto all’esistenza286.

Tuttavia l’intransigenza israeliana rispetto al mantenimento dei territori occupati, se da alcuni esponenti socialisti fu considerata una scelta necessaria per la tutela di confini naturali sicuri, creò senza dubbio un certo imbarazzo per altri287, anche per Pietro Nenni. Convinto sostenitore dell’importanza del ruolo delle Nazioni Unite, sulla scia dei suoi tradizionali principi neutralisti, Nenni fu costretto a confrontarsi con la risoluzione 242 e con la sua mancata applicazione nella contesa mediorientale. Questo problema si manifestò soprattutto nel dicembre 1968, quando Nenni, titolare per la seconda volta del Ministero degli Affari Esteri del governo Rumor288, fu costretto a prendere posizione rispetto ad una irruzione delle milizie israeliane in

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Cfr. Avanti!, 15 maggio 1968. 287

«Se Israele volesse annettersi i territori conquistati, o anche la sola Cisgiordania, sarebbe costretto ad abbandonare gran parte del bagaglio socialista, che l’attuale classe dirigente israeliana ha recato con sé dai ghetti della Russia e della Polonia», P. Del Negro, Critica sociale, 20 maggio 1968.

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«Sono stato due volte agli esteri e,caso singolare, a farmi dimettere è stata due volte la scissione socialista, quella del gennaio 1947 e quella del luglio 1969 (…). L’alto grado raggiunto dalla distensione internazionale negli anni Sessanta rese possibile il ritorno di un socialista alla Farnesina per due ragioni. Perché si era delineato un riavvicinamento fra Dc e Psi nell’interpretazione del Patto Atlantico (…). Perché era generalmente ammesso che la fase bipolare della guida del mondo (Stati Uniti e Unione Sovietica) era in evoluzione verso una fase multipolare (…)», G. Tamburrano ( a cura di), Nenni. Intervista sul socialismo italiano, Laterza, Roma-Bari, 1977, pp. 137-142.

territorio libanese: il Ministro, di fronte alla Commissione degli Esteri alla Camera, il 9 gennaio 1969 sottolineò la ferma riprovazione per ogni ricorso alla violenza, da qualunque parte fosse provenuto289. Anche in questo caso l’orientamento di Nenni si identificò con quello dell’Assemblea delle Nazioni Unite, che aveva condannato il raid israeliano. Il leader socialista, nel periodo della sua permanenza alla Farnesina, si attestò su posizioni di equidistanza rispetto al conflitto290, ripercorrendo i passi e le scelte del governo Fanfani durante la guerra dei Sei Giorni, tanto criticate dal Partito socialista: Nenni sembrava non essere più pronto a schierarsi unilateralmente a difesa dello Stato di Israele come fece due anni prima; i tempi erano cambiati291. L’impotenza dell’intervento delle Nazioni Unite spingeva il governo a cercare di proteggere i propri interessi nel mondo arabo e

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«Le direttive alle quali il governo si è attenuto (…) sono: ferma riprovazione di ogni ricorso alla violenza anche sotto forma di attentati e rappresaglie da qualunque parte ciò si verifichi; necessità di rispettare in maniera rigorosa il cessate il fuoco in attesa di una soluzione politica; riconferma del principio che gli organi delle Nazioni Unite costituiscono il solo canale utile per la soluzione del problema del Medio Oriente nei suoi vari aspetti», Cit. in P. Nenni, op. cit., pp. 243-244.

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«Per parte sua l’Italia ha messo e mette a disposizione la sua buona volontà ed i mezzi modesti di cui dispone per facilitare contatti, rendere meno aspri i conflitti, giungere passo a passo alla coesistenza pacifica»,

idem, p. 246.

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«Dietro la nostra comprensione dei fattori umani insiti negli avvenimenti del Medio Oriente c’è la consapevolezza della responsabilità collettiva della umanità nel dramma degli ebrei, vittime di una persecuzione che dura da secoli e che ha dietro di sé il ricordo recente e atroce dei forni crematori hitleriani, c’è la comprensione da un lato delle cause della esasperazione delle popolazioni palestinesi oggi ancora sradicate dai territori nei quali vivono, dall’altro lato delle cause storiche che rendono le popolazioni arabe insofferenti verso tutto ciò che, ai loro occhi, appare legato al colonialismo di cui hanno patito la ferrea legge oppressiva. Il nostro obiettivo è di concorrere a gettare un ponte sugli odii e le incomprensioni; a rendere sicura Israele dietro le proprie frontiere e sicuri gli Stati arabi dietro le loro; a risolvere secondo giustizia il problema dei profughi palestinesi, a fare dell’intera zona del Levante un polo di sviluppo al crocevia dei tre Continenti», idem, pp. 246-247.

in Medio Oriente, in linea con le posizioni democristiane292, ma il Ministro socialista cominciò probabilmente a soppesare anche il dibattito interno al suo partito, dove l’orientamento delle correnti di sinistra riuscì ad influenzare diversi esponenti dell’area filo-israeliana. Avevano avuto dunque un giusto presentimento i socialisti ebrei: la questione palestinese avrebbe cominciato ad acquisire uno spazio diverso nella politica dei socialisti in Medio Oriente. Questi furono solo i primi segnali del cambiamento.

Nel frattempo la lotta palestinese si impose sempre di più all’attenzione della comunità internazionale: alla fine del 1968, in seguito alla famigerata battaglia nella cittadina di Karameh293, che favorì l’affermazione definitiva di Al-Fatah all’interno dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, la rivista americana Time dedicò la propria copertina a Yasser Arafat: il mondo conobbe così, attraverso un’intervista, il leader dei fedayin palestinesi, di quei guerriglieri che contribuirono a legittimare la leadership di Al- Fatah all’interno dell’OLP, e che attraverso le operazioni di guerriglia introdussero presso l’opinione pubblica internazionale la causa palestinese, accanto a quella israeliana. La fine del sogno nasseriano panarabo, che subì il colpo finale con la sconfitta della guerra del ’67, e che provocò un ripiegamento su se stessi dei vari governi arabi, nonché la loro disaffezione alla causa palestinese, lasciò, nel bene e

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«In una regione a noi tanto vicina l’Italia ha interessi umani e culturali, interessi commerciali ed economici, interessi nazionali e mediterranei in rapporto alla riapertura e alla libertà di navigazione del Canale di Suez che coincidono con gli interessi generali del Medio Oriente, il suo sviluppo, il suo avvenire. Lo sforzo finanziario che l’Italia sostiene nel Medio Oriente è notevole. Esso è in rapporto soprattutto col fatto che l’85% delle nostre importazioni di petrolio proviene da quella regione», idem, p. 246.

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nel male, lo spazio necessario per l’affermazione dell’autonomia della causa nazionale palestinese. Ma i tempi non erano ancora maturi per la legittimazione della rappresentanza dell’OLP, né all’interno del mondo arabo e tanto meno in Occidente, dove si guardava con sospetto alla guerriglia palestinese e dove venivano considerati estremisti coloro che la mettevano in atto.

L’organizzazione palestinese stava emergendo sempre di più come protagonista del conflitto mediorientale, ma per il momento i socialisti non presero in considerazione questi importanti cambiamenti. Non si soffermarono sulla nomina di Arafat alla guida dell’OLP, ma espressero il loro giudizio sulle operazioni militari terroristiche che il Fronte popolare di George Habbash aveva condotto in territorio giordano, offrendo il pretesto al Re Hussein di dare il via all’espulsione dei guerriglieri palestinesi dalla Giordania294.

In un articolo firmato da Francesco Gozzano, giornalista tradizionalmente vicino ad Israele, e pubblicato il 13 settembre 1970 sull’Avanti!, l’azione dei guerriglieri palestinesi del Fronte popolare, che avevano dirottato e distrutto tre aerei di linea in Giordania, venne accusata di “infantilismo politico”: «Esistono altri interlocutori, come i guerriglieri palestinesi, che rifiutano di sottoporsi alla logica della protezione dei “grandi” e appaiono incamminati lungo il piano inclinato di una “guerra di liberazione” che non potrebbe non tramutarsi in una guerra di sterminio. (…) Questo diritto di rappresentatività le organizzazioni palestinesi debbono conquistarselo: e non già bombardando i kibbutz dei contadini israeliani o dirottando

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aerei civili di Paesi neutrali, ma esprimendo un’autorità politica che sia in grado di assumere impegni come uno Stato e quindi di comportarsi come tale, rispettando le regole del gioco e non dilaniandosi in una accecante ed odiosa gara all’estremismo, al rivoluzionarismo verbale ed alle gesta una più piratesca dell’altra»295. È interessante notare che i socialisti si soffermano sull’estremismo guerrigliero come elemento di impedimento per il diritto dell’OLP di rappresentare il popolo palestinese: alle fazioni organizzate palestinesi i socialisti rispondono con un certo distacco, avvertendo la mancanza di un’ideologia politica e di un impianto strutturale forte, impostato con le caratteristiche di uno Stato296. L’autore dell’articolo, Francesco Gozzano, fu membro di una delegazione del Partito socialista italiano297, che all’inizio del 1970, dal 4 al 10 gennaio, effettuò una visita in Israele ospitata dal Partito dei Lavoratori Unificati – MAPAM. La visita rappresentò la concretizzazione del progetto socialista di avviare una politica attiva per la pace in Medio Oriente, attraverso lo strumento della mediazione tra le forze socialiste coinvolte nel conflitto, e si inseriva dunque nel quadro della filosofia

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Avanti!, 13 settembre 1970. 296

Ben diverso, molto più vicino a quello del Pci, è l’orientamento del Psiup rispetto al Medio Oriente: il partito della sinistra socialista aderì al Comitato italiano per la solidarietà al popolo palestinese, fondato a Roma il 5 marzo 1969, e sostenitore dei contenuti della lotta dell’OLP per una Palestina laica abitata da arabi ed ebrei. Una delegazione del Comitato partecipò, agli inizi del settembre 1970, alla II Conferenza internazionale sulla Palestina ad Amman. Tra i delegati del Comitato c’era anche Giancarlo Lannutti, redattore di Mondo Nuovo, il settimanale del Psiup, che realizzò un’intervista a Faruq Qaddumi, uno dei massimi esponenti di Al-Fatah. 297

La delegazione era composta anche da Luciano De Pascalis, responsabile delle relazioni estere del PSI; Pietro Lezzi, membro della Direzione nazionale del PSI; Antonio Landolfi, membro del Comitato Centrale del PSI.

Atti visita in Israele della delegazione del Partito Socialista italiano – PSI,

Fondazione Filippo Turati, Fondo PSI – Direzione Nazionale, Serie 11, Sottoserie 4, UA 81.

del partito, che rifiutava da sempre l’assoggettamento alle dinamiche della Guerra Fredda, rivendicando il ruolo autonomo dell’Italia e, nel caso specifico, degli attori mediorientali nel conflitto arabo-israeliano. Nel loro discorso ufficiale in Israele i socialisti, dopo aver ribadito la loro ammirazione per «il sistema socialista basato sui principi della democrazia e della partecipazione operaia», l’essenzialità del riconoscimento dell’esistenza dello Stato di Israele e «del suo diritto a vivere in condizioni di sicurezza e di parità con tutti gli altri Stati del Medio Oriente, con i cui popoli noi socialisti abbiamo ed intendiamo mantenere le migliori relazioni», sottolinearono anche l’importanza del «riconoscimento della esistenza del problema dei profughi palestinesi e della necessità di dare ad esso, in tutte le sue implicanze e con l’impegno e la solidarietà di tutti i popoli, soluzione giusta e rapida»298.

Parallelamente alla linea maggioritaria del partito, si affermava progressivamente l’orientamento pro palestinese della sinistra del partito, confermato e argomentato in diverse occasioni, ma principalmente dalla partecipazione di Riccardo Lombardi al Convegno “Mediterraneo ‘70”, organizzato a Palermo nel novembre del 1970. Al convegno partecipò anche una delegazione del movimento di Arafat, Al-Fatah, e durante i lavori Lombardi espresse, attraverso un appassionato intervento, la necessità di «sviluppare una lotta contro i blocchi (…) Proprio in questa area infatti spiegò Lombardi – tutto il modello di sviluppo autonomo delle forze dei

298Atti visita in Israele della delegazione del Partito Socialista italiano – PSI, Fondazione Filippo Turati, Fondo PSI – Direzione Nazionale, Serie 11,

Paesi Mediterranei, è condizionato dalla presenza di un blocco