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4. La gestione dei servizi pubblici locali da parte di società cooperative

1.2. Lo scopo

Dal momento che i caratteri strutturali, per il modo in cui sono stati concepiti dal legislatore e per la prassi statutaria, non sono, da soli, sintomatici dell’istituto, la vera «essenza» delle fondazioni deve essere ricercata sul piano funzionale e nel nesso patrimonio-scopo.

Ai fini del riconoscimento, la disciplina normativa si limita a richiedere che lo scopo sia possibile e lecito, e che il patrimonio risulti adeguato alla sua realizzazione427. Ma le caratteristiche dello scopo delle fondazioni non si esauriscono a quanto sopra ricordato, essendo, infatti, indagabili almeno sotto altri tre profili: la non lucratività, l’eterodestinazione e la pubblica utilità.

Le fondazioni e le associazioni si distinguono dalle società, per quanto attiene allo scopo, per essere organizzazioni che non perseguono la logica del profitto, intesa come ripartizione degli utili conseguiti428. Le associazioni, possono essere definite «aggregazioni organizzate di individui stabilmente uniti da interessi comuni, attinenti a scopi non economici», le fondazioni, invece, sono «organizzazioni comprendenti beni vincolati alla realizzazione di scopi non economici»429. Mentre nelle associazioni lo scopo è «interno» all’ente (all’unisono con il tipo di volontà), in quanto finalizzato a realizzare gli interessi dei membri stessi, nelle fondazioni, al contrario, esso è «esterno»430. In entrambi i casi, tuttavia, i fini perseguiti richiedono mezzi, moduli organizzativi, azioni e tempi che trascendono le possibilità dei singoli431.

427

Art. 1, c. 3, D.P.R. n. 361 del 2000.

428

G. Ponzanelli, Enti senza fini di lucro, (Voce), in «Digesto delle discipline privatistiche», vol. VIII, Torino, Utet, 1993, pp. 469 ss.

429

R. Rascio, Gli enti, cit., p. 137.

430

Cfr. E. Bellezza, F. Florian, Le fondazioni del Terzo Millennio. Pubblico e privato per il non

profit, cit., pp. 55-56.

431

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A differenza degli enti del Libro V, quindi, le associazioni e le fondazioni non perseguono fini di lucro ma di «promozione sociale, di elevazione culturale, di beneficienza o, più ampiamente altruistici»432.

In realtà, tale prima forte contrapposizione, non risulta essere così netta come potrebbe sembrare ad una prima analisi433. Basti pensare, tra l’altro, che le imprese cooperative e mutualistiche, pur avendo uno scopo non lucrativo, sono ricomprese, nel codice civile, nel novero delle società, e che, a differenza del passato, oggi è consentita, qualora sia prevista dall’atto costitutivo, la c.d. trasformazione eterogenea, ossia la modificazione causale dell’ente da non lucrativo a lucrativo e viceversa, senza pregiudizio per la continuità del patrimonio e dell’impresa434.

I fini non lucrativi, inoltre, possono anche implicare la realizzazione e lo svolgimento di attività economiche, essendo ormai pacifica, nel nostro sistema, la «despecializzazione» delle forme giuridiche rispetto all’attività di impresa435. Le fondazioni, infatti, «in mancanza di qualsiasi determinazione legislativa in ordine alle attività esercitabili per il conseguimento degli scopi ideali che le caratterizzano, possono svolgere anche attività imprenditoriali, che, rispetto agli scopi istituzionali, possono trovarsi o in rapporto meramente strumentale, in quanto volte al reperimento dei mezzi occorrenti per gli stessi, oppure in rapporto diretto, in quanto di per sé idonee all’immediata realizzazione degli scopi medesimi»436. Il carattere imprenditoriale è, infatti, eventuale e comunque strumentale al perseguimento del fine, anche se, in dottrina, non sono mancati orientamenti più possibilisti circa l’utilizzo del modello fondazionale proprio per

432

R. Rascio, La capacità degli enti, in M. Bessone (a cura di), Istituzioni di diritto privato, cit., p. 149.

433

Cfr. P. Rescigno, Fondazione, cit., p. 792.

434

Artt. 2500-septies–2500-novies c.c. Sul punto si rinvia a G. Iorio, Le trasformazioni eterogenee

e le fondazioni, cit..

435

Cfr. A. Zoppini, Problemi e prospettive per una riforma delle associazioni e delle fondazioni di

diritto privato, in AA.VV., Per una riforma del diritto di associazioni e fondazioni. Atti del

Seminario (Roma, 19-20 gennaio 2005), Fondazione Camera dei Deputati, Il Sole 24 Ore, 2005, p. 16. Cfr. anche, Corte di Giustizia, 29 novembre 2007, causa C-119/06.

436

Corte dei Conti, Sez. Lombardia, Relazione sulle esternalizzazioni degli enti locali, approvata con delibera 11 dicembre 2009, n. 1088, p. 47.

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l’esercizio di impresa437. È erroneo, quindi, ritenere le fondazioni come soggetti «economicamente negativi», essendo questi produttivi di «altro» genere di utilità438. Così come è inesatto, nel momento della qualificazione del risultato dell’attività, non ritenere l’area dell’economicità, seppure strumentale, asimmetrica rispetto a quella del lucro soggettivo di cui all’art. 2247 c.c. 439.

Lo scopo perseguito dalle fondazioni, inoltre, deve avere un’utilità non individuale, ma collettiva, e valutabile alla stregua di criteri di apprezzamento sociale440. La natura della fondazione, infatti, «risiede nella realizzazione di interessi che toccano la generalità o larghe sfere dai confini più specificamente predeterminabili»441 e, in quanto espressione dell’idea pluralista, «risponde alla convinzione che alla cura di tali interessi non sia necessaria la natura pubblica dell’ente»442. Lo scopo altruistico, tuttavia, come rilevato in dottrina, «non si risolve nell’altruità dello scopo»: la fondazione, infatti, alla stregua degli altri soggetti di diritto privato, realizza «il proprio scopo attraverso la modalità attuativa dell’eterodestinazione vincolata del risultato»443.

Sebbene il codice civile non faccia alcuna esplicita menzione all’utilità sociale che lo scopo della fondazione deve perseguire, questa «regula iuris» si deduce, in via interpretativa, argomentando che solo una tale finalità può giustificare i vincoli di destinazione che il tipo di ente implica444. Solo «il nesso di strumentalità che lega la fondazione all’interesse generale può bilanciare il costo sociale»445 dovuto alla sottrazione dei beni, che costituiscono il patrimonio

437

Per una ricostruzione dei diversi orientamenti in dottrina, si rinvia a S. De Götzen, Le

“fondazioni legali” tra diritto amministrativo e diritto privato, Milano, Giuffrè, 2011, pp. 84-90.

438

A. Romano Tassone, Le fondazioni di diritto amministrativo: un nuovo modello, relazione al Convegno Fondazioni e attività amministrativa, Palermo, 13 maggio 2005, p. 43, in www.diritto- amministrativo.org.

439

A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, cit., p. 95. Sull’erronea assimilazione dello scopo non economico con l’attività non economica, si rinvia a G. Ponzanelli, Gli enti

collettivi senza scopo di lucro, Torino, Giappichelli, 2ª ed., 2000, pp. 106 ss.

440

Cfr. P. Rescigno, Fondazione, cit., p. 806.

441

P. Rescigno, Le fondazioni ed i gruppi bancari, in Scritti in onore di Giuseppe Guarino, Padova, Cedam, 1998, p. 355.

442

Ibidem.

443

A. Zoppini, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, cit., p. 141.

444

Cfr. S. De Götzen, Le “fondazioni legali” tra diritto amministrativo e diritto privato, cit., p. 65.

445

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dell’ente, alla normale circolazione446. La pubblica utilità, tuttavia, – secondo una parte della dottrina – non è lo scopo esclusivo di una fondazione, potendo essercene altri: «costituisce pertanto non un vincolo positivo, ma il limite posto all’attività dell’ente»447.

Lo scopo della fondazione, oltre ad essere non lucrativo, di utilità sociale, possibile e lecito, è anche tendenzialmente non modificabile448. Tale caratteristica, che si collega alla destinazione perpetua del patrimonio, nella prassi, ha visto attenuato il suo significato449. Si registra, infatti, soprattutto nei casi di indicazione generica del fine nell’atto costitutivo, una maggiore elasticità nell’interpretazione dello scopo da parte degli organi di governo della fondazione.