3. L’in house: una s.p.a senza scopo di lucro?
3.4. Società in house e azienda speciale: sintesi delle principali differenze
Prima del recente mutamento del contesto normativo afferente la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, il legislatore nazionale, come sopra ricordato, ha sempre previsto, per i soggetti in house, la forma giuridica societaria, in coerenza con un indirizzo politico, ormai consolidato, finalizzato a
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Cfr. art. 18, c. 1, del d.l. n. 112 del 2008 come convertito e successivamente integrato dall’art. 19 del d.l. n. 78 del 2009, come convertito; art. 3-bis, c. 6, del d.l. n. 138 del 2011, come convertito.
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Cfr. art. 3-bis, c. 5, del d.l. n. 138 del 2011, come convertito.
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promuovere un processo di privatizzazione. La medesima ratio aveva ispirato anche le disposizioni contenute nella legge finanziaria 2002, che imposero la trasformazione in società di capitali delle aziende speciali252.
Le società in house, sorte dalle ceneri di quest’ultime – ma il discorso vale anche per quelle di più recente istituzione, che non derivano da alcuna trasformazione – presentano, pur con le dovute differenze, numerose analogie con il modello stesso dell’azienda speciale. In dottrina, a proposito, si è parlato di «rinascita dell’impresa pubblica-organo», per descrivere l’«ingegnosa soluzione» volta a consentire la continuazione degli affidamenti diretti in favore delle aziende speciali, sebbene in una veste giuridica differente253.
Appare utile, dunque, tentare di riassumere le principali differenze tra i due soggetti gestori.
Mentre l’azienda speciale è, in quanto ente pubblico economico, un soggetto di diritto pubblico, la società in house trova la sua fonte di disciplina innanzitutto, ma non esclusivamente, nel diritto societario. Ne deriva che la prima, in virtù del carattere strumentale, che favorisce una maggiore coincidenza di scopo con l’ente locale di riferimento, «per natura» non persegue interessi puramente economici. Per la seconda, invece, in ragione della propria forma giuridica, la finalità lucrativa non è del tutto escludibile.
L’azienda speciale gode di una limitata autonomia, in quanto sottoposta al potere di indirizzo, vigilanza e controllo, in questo caso «autentico», da parte dell’ente affidante. La società in house, invece, in quanto riconducibile ad una dimensione privatistica, subisce in maniera mediata le ingerenze da parte dell’ente locale. Quest’ultimo, infatti, non ha la facoltà di incidere unilateralmente sull’attività della società, potendo tendenzialmente avvalersi, tramite i membri di
252
Cfr., in questo capitolo, il paragrafo 2.2.
253
G. Napolitano, Le società “pubbliche” tra vecchie e nuove tipologie, cit., p. 1012. Sul punto v. anche S. Cassese, Il neosocialismo municipale, in «Corriere della Sera», 29 ottobre 2003; R. Ursi,
Le società per la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica tra outsourcing e in
house providing, cit., p. 209, in cui l’Autore afferma che «le vecchie municipalizzate, ora trasformate in s.p.a., continueranno a svolgere il loro servizio sotto la copertura dell’in house
providing». Cfr. anche G. Caia, Autonomia territoriale e concorrenza nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali, cit, p. 13.
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propria nomina in seno agli organi, solo degli strumenti previsti dal diritto societario254.
Sul piano economico, le aziende speciali risultano meno esposte, rispetto alle società in house, al rischio di impresa, essendo per esse contemplata, oltre la copertura dei costi sociali prevista nondimeno per il modello in house, anche l’ipotesi, seppur non automatica, del ripiano delle perdite. Entrambi i soggetti, tuttavia, sono indubbiamente legati alle sorti finanziarie dell’ente locale di riferimento, in ragione del capitale di dotazione da esso conferito, oltre che per i vincoli di finanza pubblica e i limiti relativi all’assunzione del personale cui sono sottoposti.
Sul piano operativo, inoltre, l’azienda speciale sconta i limiti della soggezione ad una legislazione che comporta «una “duplicazione amministrativistica” della gestione imprenditoriale». Ma anche la società in
house, in molti casi, non si può sottrarre – come anche sopra evidenziato – alla
normazione amministrativa, ad esempio in materia di accesso agli atti e procedure di evidenza pubblica255.
Sul piano organizzativo, infine, le società in house sono dotate di una struttura molto più agile e meno burocratizzata di quella delle aziende speciali, e, a differenza di quest’ultime, sono soggette ad una normativa limitativa del numero degli amministratori256.
Dal combinato delle differenze permanenti tra i due soggetti e delle deroghe in funzione “antielusiva” al diritto comune che caratterizzano il modello societario
in house, sembrerebbe emergere un progressivo avvicinamento delle due
fattispecie. Il solo elemento a favore della scelta del modello societario, per alcuni, parrebbe consistere nella limitazione della responsabilità del socio pubblico257. Le società in house, tuttavia, come sopra evidenziato, sembrano presentare maggiori criticità. Il presunto superiore beneficio da esse derivante in
254
A. Lucarelli, I modelli di gestione dei servizi pubblici locali dopo il decreto Ronchi. Verso un
governo pubblico partecipato dei beni comuni, cit., p. 137 e giurisprudenza ivi citata.
255
G. Napolitano, Le società “pubbliche” tra vecchie e nuove tipologie, cit., pp. 1012-1013.
256
Art. 4, c. 5, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, come convertito.
257
A.R. Tassone, Gli statuti delle società per gestione “in house” dei servizi pubblici, in F. Guerrera (a cura di), Le società a partecipazione pubblica, cit., p. 60.
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termini di efficienza, non sembra compensare adeguatamente il rischio di un utilizzo strumentale di tale modalità gestoria al fine di eludere le regole pubblicistiche. Accade così, che in nome di una gestione meno burocratizzata e presumibilmente più efficiente, senza risolvere le problematiche connesse alla commistione di ruoli e al rischio di derive clientelari, si rinunci ad una maggiore trasparenza e assunzione di responsabilità.
Considerato, infine, che le deroghe al diritto comune non sono tendenzialmente auspicabili, soprattutto laddove l’effetto è una società di fatto alterata nella sua natura, sembra «facile convenire che tanto vale, allora, continuare ad utilizzare forme organizzatorie più direttamente, coerentemente e così, si può presumere, efficacemente, pubblicistiche»258.