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Servizi pubblici, comunità di lavoratori o utenti e cooperazione: l’«intreccio»

Nell’ordinamento italiano, il dibattito sul possibile ruolo delle cooperative in settori di particolare interesse generale è scaturito soprattutto in relazione alla nozione di «collettivizzazione». Quest’ultima, evocata nell’art. 43 della Costituzione, è richiamata, seppur indirettamente, anche in altri articoli.

Secondo una definizione volutamente estensiva, per collettivizzazione si intende «il passaggio della proprietà o della gestione di risorse naturali o di mezzi

279

Cfr. il Rural Electrification Act del 1936.

280

Per un approfondimento sulla diffusione delle cooperative di consumatori elettriche e telefoniche nelle aree rurali degli Stati Uniti, cfr. H. Hansmann, La proprietà dell’impresa, ed. it., Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 189-206.

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Per il settore elettrico cfr., ad esempio, i dati riportati sul sito della National Rural Electric Co-

operative Association (NRECA), alla pagina: http://www.nreca.coop/members/Co-

opFacts/Pages/default.aspx; per il settore delle telecomunicazioni cfr. alcuni dati della National

Telecommunications Cooperative Association, alla pagina: http://www.ntca.org/about-ntca/about-

our-members.html. Cfr. anche i dati della National Rural Water Association, alla pagina: http://www.nrwa.org/about/about.aspx. Cfr., inoltre, University of Wisconsin Center for Cooperatives, Research on the Economic Impact of Cooperatives, a cura di Steven Deller, Ann Hoyt, Brent Hueth e Reka Sundaram-Stukel, 19 giugno 2009, pp. 46-56, disponibile alla pagina: http://reic.uwcc.wisc.edu/sites/all/REIC_FINAL.pdf.; F. Spinicci, Le cooperative di utenza in

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di produzione o di attività economiche allo Stato, ad enti pubblici minori (o da essi dipendenti), o coattivamente a collettività di lavoratori e consumatori»282.

L’art. 43 C. – come noto unico articolo ad evocare la nozione di servizio pubblico essenziale – si pone in linea di continuità, in particolare, con gli artt. 41 e 42 C. e, in generale, con tutti gli articoli facenti parte della c.d. «costituzione economica». Con i primi, condivide soprattutto la natura garantista nei confronti dell’iniziativa economica e della proprietà privata283. Con i secondi – che ricomprendono anche i primi –, invece, la limitata o incompleta attuazione.

Nel complesso risulta pacifico che le norme contenute negli articoli 41-45 C. sono tra loro strettamente connesse.

L’art. 43 prevede la possibilità di riservare originariamente o trasferire imprese o categorie di imprese284 che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiamo carattere di preminente interesse generale. Premesso che l’elenco di tali categorie di attività non risulta essere tassativo, e che restano irrisolte questioni quali la definizione di servizi pubblici essenziali, l’individuazione dei fini di utilità generale e la determinazione del carattere di preminente interesse generale285, la riserva si configura come il divieto di iniziativa o di attività imprenditoriali ai soggetti non esplicitati nella norma, e come «costituzione di una situazione di monopolio di diritto»286.

Nonostante della possibilità di una «riserva originaria» allo Stato o a enti pubblici o a comunità di lavoratori o utenti si sia sottolineato soprattutto il carattere di eccezionalità287 in funzione garantista, l’articolo 43 C. dovrebbe essere considerato anche per la sua «portata interventista». Quest’ultimo, infatti,

282

A. Predieri, Collettivizzazione, (Voce), in «Enciclopedia del diritto», vol. VII, Milano, Giuffrè, 1960, pp. 394-395. Per una ricostruzione storica delle forme di collettivizzazione, v. pp. 396-418. Per una rassegna degli strumenti di collettivizzazione al di fuori delle forme previste dall’art. 43 C., cfr. pp. 430-431.

283

Sono previsti, infatti, precisi limiti all’intervento autoritativo dello Stato nell’economia, è costituzionalmente garantito il diritto del privato espropriato all’indennizzo, ecc.

284

Con il termine impresa si intende tanto l’attività quanto l’organizzazione imprenditoriale, cfr. A. Predieri, Collettivizzazione, cit., pp. 419-420.

285

Ivi, pp. 422-425.

286

Ivi, p. 420.

287

Cfr. A. Di Majo, L’avocazione delle attività economiche alla gestione pubblica o sociale, in

Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, I,

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sembra «destinato a completare il quadro dell’azione pubblica nel settore dell’economia»288. Quando l’attività di regolazione, con il suo insieme di controlli e di programmi, si rivela insufficiente, si rende possibile il ricorso alla «formale pubblicizzazione della impresa economica la cui titolarità viene preclusa ai privati ed affidata alla collettività, perché provveda a gestirla in modo conforme all’interesse generale»289. La realizzazione dei «fini di utilità generale», quindi, autorizza l’esclusione del regime di libera iniziativa, ossia «il ricorso a strumenti autoritativi in una serie di ipotesi nelle quali la sostituzione della mano pubblica ai privati imprenditori può essere di essenziale importanza e, tuttavia, non ha alcuna o ha scarse o potrebbe incontrare troppo onerose possibilità di attuarsi nelle ordinarie forme consensuali»290.

La «deprivatizzazione» delle imprese e delle categorie di imprese, quindi, da sola non sembra risultare sufficiente a garantire il conseguimento dei «fini di utilità sociale». Il trasferimento dovrebbe operare, nel caso, in favore di un soggetto che assuma come proprio scopo la destinazione dell’impresa all’interesse generale.

Oltre l’ipotesi più immediata della devoluzione dell’impresa allo Stato, il Costituente, «sotto l’influsso di una tendenza decentratrice, ha ritenuto che l’impresa conforme all’interesse generale possa realizzarsi anche affidandola, sia ad altri enti pubblici, sia a “collettività” composte dai medesimi lavoratori dell’impresa o da coloro che ne consumano i prodotti: in quanto gli interessi di queste categorie, concernendo di regola l’incremento dell’azienda e il miglioramento della produzione indipendentemente da mire egoistiche di lucro o di vantaggi politici, tendono a collimare con l’interesse generale»291.

288

S. Cattaneo, Comunità di lavoratori o di utenti, (Voce), in «Enciclopedia del diritto», vol. VIII, Milano, Giuffrè, 1961, p. 347.

289

Ibidem. Cfr. anche p. 348.

290

F. Galgano, Art. 43, in F. Galgano, S. Rodotà, Rapporti economici, tomo II, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, Zanichelli, 1982, p. 196, ma v. anche p. 195. Sulla legittimità costituzionale della collettivizzazione, non solo in relazione al funzionamento del sistema economico, ma anche in caso di attività che riguardino fondamentali aspetti della vita democratica, v. Corte costituzionale, sentenza 9 luglio 1974, n. 225, in materia di radiotelediffusione, citata ivi, p. 196.

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Si ricorda che l’espropriazione per pubblica utilità non ha limiti sotto il profilo soggettivo. È di fondamentale importanza, quindi, che il Costituente abbia voluto specificare i possibili beneficiari della riserva o del trasferimento, ponendo in particolare l’accento sul c.d. «governo democratico dell’economia».

Quest’ultimo trova la sua affermazione negli artt. 1-4 della Costituzione. L’art. 1 afferma il principio democratico anche sul piano economico. L’art. 2 riconosce le formazioni intermedie e la solidarietà economica. Il secondo comma dell’art. 3 enuncia il diritto di tutti i lavoratori di partecipare all’«organizzazione politica, economica e sociale del Paese». L’art. 4, infine, sottolinea il dovere di ciascuno di concorrere al progresso materiale292.

Nel disegno costituzionale, quindi, alla «democrazia dei cittadini» si collega la «democrazia dei produttori» e si riconosce un diritto di partecipazione politica connesso alla posizione che l’individuo occupa nel processo produttivo293.

Da questa premessa si può dedurre, in particolare, il diretto rapporto del secondo comma dell’art. 3 con l’art. 43 e con l’art. 45 C.

Le comunità di lavoratori e utenti – di cui la norma costituzionale non definisce la natura giuridica – non solo costituiscono il riflesso dell’indirizzo «a decentrare la pubblicizzazione delle attività economiche mediante organismi dotati del margine di autonomia sufficiente al dinamismo di siffatte attività»294. Ma, in quanto possibili portatori degli «interessi particolari di quelle minori collettività che […] devono porsi come necessari elementi di mediazione fra individuo e Stato»295, costituiscono anche un’espressione dell’organizzazione politica, economica e sociale del Paese di cui all’art. 3 C.

La cooperazione, quindi, collocandosi tra le istituzioni di «democrazia dei produttori» rappresenta «uno dei modi mediante i quali si realizza l’accesso dei

292

Cfr. A. Nigro, Art. 45, in A. Nigro, G. Ghezzi, F. Merusi, Rapporti economici, tomo III, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, Zanichelli, 1980, p.22.

293

F. Galgano, Art. 41, in F. Galgano, S. Rodotà, Rapporti economici, cit., p. 36.

294

S. Cattaneo, Comunità di lavoratori o di utenti, cit., p. 348.

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lavoratori alla direzione della vita politica; una delle forme di partecipazione popolare all’esercizio della sovranità»296.

Sebbene in un primo momento le «comunità di lavoratori o di utenti» fossero considerate alla stregua di soggetti di interesse pubblico e, comunque, come soggetti non aventi carattere meramente privato297, in seguito si è affermata la tesi per cui tali figure corrispondono necessariamente alle cooperative298.

Tale tesi si fonda, in particolare, sul riconoscimento di una funzione sociale sia alle comunità di lavoratori e utenti sia alle cooperative.

Ferma restando, inoltre, la fondamentale unità del fenomeno cooperativo, la stessa distinzione tra «lavoratori» e «utenti» sembra richiamare la diversa tipologia delle cooperative di produzione e lavoro e delle cooperative di utenza/consumo299.

Forzando l’interpretazione, si potrebbe dire che il Costituente, anche in un momento in cui il fenomeno cooperativo non era particolarmente sviluppato e non aveva ancora assunto l’attuale ruolo economico, già ne intravedeva le potenzialità in un settore estremamente «strategico» quale quello dei servizi pubblici.

3. I tratti tipici dell’istituto in relazione ai servizi pubblici locali: considerazioni