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La Scozia dei Lumi, i suoi protagonisti e gli echi italiani dei loro dibattiti

PARTE II Le traduzioni italiane dei “classici” dell'Illuminismo scozzese

3.1 La Scozia dei Lumi, i suoi protagonisti e gli echi italiani dei loro dibattiti

«Quando la Scozia non avesse altri Uomini di lettere che Adamo Smith, Robertson, Blair, e Mackenzie, ancor senza Ferguson, Cullen, Black, Anderson e molti altri che non conosco personalmente, questi basterebbero per renderla rispettabile nella Repubblica delle Lettere

quanto qualunque altra Nazione»10. Chi esprimeva, con queste poche parole, un giudizio

entusiasta sull'ambiente intellettuale scozzese era il letterato fiorentino Luigi Angiolini. In qualità di membro della missione diplomatica guidata dall'ambasciatore napoletano Bartolomeo Forteguerri, egli aveva avuto, infatti, alla fine degli anni Ottanta del XVIII secolo, l'occasione di visitare l'Inghilterra e, soprattutto, la Scozia, «quella famosa parte di

Europa che fu l'antica Caledonia di cui parlò tanto la Favola e poi la Storia»11, ed in questo

paese aveva potuto riscontrare, con sua grande ammirazione e stupore, non solo una «felice

rivoluzione»12 in ogni settore produttivo, dall'agricoltura alle manifatture, ma anche un

clima generale di rilancio e di progresso, che era stato reso possibile da una favorevole combinazione di più fattori, politico-amministrativi innanzitutto, ed anche culturali, visto l'impegno e i risultati ottenuti da un gruppo di letterati, di uomini e di donne, che godevano ormai di una meritata notorietà a livello europeo.

Un trentennio circa prima di Angiolini, nel 1761, era stato un altro Italiano, Carlo Denina, nel suo Discorso sopra le vicende della letteratura, a proporre un breve inquadramento

10 [L. Angiolini], Lettere sopra l'Inghilterra, Scozia e Olanda, cit., II, p. 344 (lettera XVIII). L'opera,

pubblicata inizialmente senza l'indicazione del nome dell'autore, era stata compilata da Luigi Angiolini, letterato toscano, ben inserito nell'ambiente intellettuale illuministico italiano. Nel 1787, durante un soggiorno nel regno di Napoli nel tentativo di ottenere un impiego presso la corte di Maria Carolina, riuscì ad entrare a far parte della missione diplomatica di Bartolomeo Forteguerri, diretta in Spagna e Portogallo, poi nelle isole britanniche e, infine, in Olanda e Francia. Durante l'ultima tappa parigina Angiolini iniziò a scrivere tale opera, che, tuttavia, rimase incompiuta e composta da soli due volumi, relativi all'esperienza inglese e scozzese, senza alcun riferimento all'Olanda. La scelta fu determinata in parte allo scarso successo editoriale dei primi volumi e in parte agli sviluppi della sua carriera diplomatica, dal momento che venne chiamato dal granduca Ferdinando III a ricoprire un incarico presso l'ufficio degli Affari Esteri della Toscana. Su Angiolini, una figura che, a mio avviso, andrebbe ulteriormente indagata, si veda, innanzitutto, la voce curata da E. Bonora per il DBI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, vol. 3, 1961. Delle sue lettere esiste anche un'edizione critica moderna a cura di A. Stäuble, M. Stäuble, Lettere sopra l'Inghilterra e la Scozia, Modena, Mucchi, 1990.

11 [L. Angiolini], Lettere sopra l'Inghilterra, cit., p. 188 (lettera XI).

12 Ivi, p. 195. Angiolini, nella sua relazione, si dimostrava un osservatore attento della realtà scozzese –

individuando anche una serie di possibili ostacoli al suo progresso – ed era rimasto favorevolmente colpito dai suoi incontri con William Robertson «superiore, com'è, agli altri, di lumi e di esperienza», anche se spesso criticato per le posizioni assunte nel governo degli affari ecclesiastici, con Adam Smith, «uno degli Uomini d'ingegno più acuto e più profondo», e con altri illustri letterati che lo avevano interessato per la loro dedizione alla causa del rilancio economico, sociale e culturale scozzese (le citazioni sono tratte dalla lettera XVIII, a p. 350 e 355).

della cultura scozzese e dei suoi protagonisti, riconoscendo loro il merito di aver contribuito in maniera determinante alla rinascita della letteratura britannica nel Settecento. Un'affermazione che, come è logico intuire, gli era valsa immediatamente l'apprezzamento e la stima di quei letterati di cui aveva tessuto gli elogi, ma che aveva procurato anche una serie di recensioni positive della sua opera – la quale avrebbe avuto, nel dicembre del 1763, una seconda edizione, con un ampliamento della parte dedicata alla Scozia, pubblicata dai fratelli Foulis a Glasgow – e, infine, una traduzione in inglese della

medesima, nel 1771, a cura del noto letterato John Murdoch13. L'abate piemontese era

venuto a conoscenza della situazione scozzese grazie, soprattutto, alla sua frequentazione con gli Inglesi presenti a Torino, dall'ambasciatore James Stuart Mackenzie al giovane lord John Mountstuart – del quale era stato maestro di lingua durante la tappa torinese del suo

Grand Tour14 – ma la percezione dell'eccezionalità e della straordinarietà del fermento

culturale ed intellettuale che attraversava la Scozia di metà secolo era un fenomeno che, d'altronde, cominciava ad essere ampiamente diffuso anche tra numerose personalità di rilievo, come Edward Gibbon, che considerava Edimburgo un rifugio dal fumo e dalla frenesia londinese, o come Thomas Jefferson, che reputava l'università edimburghese uno dei fiori all'occhiello dell'intera Europa15.

Non di meno, però, tale percezione era condivisa dai letterati scozzesi, che riconoscevano

13 C. Denina, Discorso sopra le vicende della letteratura, Torino, nella Stamperia Reale, 1761, in cui

Denina elencava alcuni dei principali autori responsabili della rinascita delle lettere in Inghilterra («F. Hutcheson, J. Thomson, D. Mallett, J. Home, W. Wilkies, D. Hume, W. Robertson, R. Simson, C. Maclaurin, J. Ferguson, W. Cullen», Ivi, p. 244). La seconda edizione stampata in Scozia fu, molto probabilmente, promossa da John Stuart, Lord Bute, e dal figlio John Mountstuart, ed era dedicata ad Elizabeth MacKenzie, nipote del celebre mecenate scozzese il duca d'Argyll (Discorso sopra le vicende

della letteratura, del sig. Carlo Denina, Glasgua, nella stampa di Roberto ed Andrea Foulis, 1763). La

traduzione dell'opera di Denina venne pubblicata nel 1771 e costituì il testo base per le successive versioni francesi (An Essay on the Revolution os Literature, Translated from the Italian of Sig. Carlo

Denina, Professor of Eloquence and Belles Letters in the University of Turin, London, T. Cadell, 1771).

Sulle traduzioni di Denina e sulla sua lettura della realtà scozzese mi permetto di rimandare al mio Il

paradosso Denina: le traduzioni italiane ed europee, relazione presentata al convegno Carlo Denina (1731-1813). Un Piemontese in Europa, tenutosi presso l'Accademia delle Scienze di Torino il 5 dicembre

2013, di prossima pubblicazione negli atti.

14 Sull'importante figura di lord Mountstuart, che fu probabilmente promotore della prima traduzione di

William Robertson in Italia, cfr infra paragrafo 4.2.1. Sulla sua esperienza torinese, rinvio invece a P. Bianchi, Nella specola dell'ambasciatore. Torino agli occhi di John Stuart, lord Mountstuart e marchese

di Bute (1779-1783), in Architettura e città negli Stati sabaudi, a cura di E. Piccoli e F. De Pieri,

Macerata, Quodlibet, 2012.

15 Cfr il saggio di H. Trevor-Roper, The Scottish Enlightenment, nato come relazione al secondo congresso

di studi sull'Illuminismo di St. Andrews, del 1966, e pubblicato l'anno dopo negli «Studies on Voltaire and the Eighteenth-Century» ed, infine, tradotto anche in italiano in A. Santucci, Interpretazioni

dell'Illuminismo, Bologna, Il Mulino, 1979 e Id., Protestantesimo e trasformazione sociale, Laterza,

Roma-Bari, 1969 (ed. or. Religion, the Reformation and Social Change and Other Essays, London, Macmillan, 1967). Le citazioni dei giudizi di Gibbon e Jefferson sono tratte da quest'ultima raccolta di saggi, alla p. 262.

nella loro capitale “the Athens of Britain”, oppure la definivano – secondo la celebre espressione coniata da Tobias Smollett – un “hot-bed of genius” ovvero una “fucina” di talenti, i quali avevano reso finalmente giustizia con le loro attività al proprio paese16. E lo

stesso David Hume, in una lettera a Gilbert Elliot del 1757, aveva riflettuto su come fosse davvero sorprendente ed ammirevole il numero di «Men of Genius» che, pur essendosi formati in un periodo in cui si erano verificate una serie di circostanze alquanto sfavorevoli, a partire dalla perdita dell'indipendenza parlamentare, per le loro oggettive capacità avrebbero potuto aspirare ad essere «the People most distinguish'd for Literature in Europe»17.

Queste citazioni, alle quali ne potrebbero essere aggiunte molte altre, testimoniano da un lato come esistesse un riconoscimento a livello europeo dell'importanza dell'esperienza scozzese, e dall'altro, come fosse maturata, nei protagonisti stessi di quel rinnovamento, la coscienza della rilevanza e dell'utilità del proprio operato, sia nei termini del progresso della Scozia, sia in quelli di un vantaggio generalizzato che le loro discussioni e teorizzazioni – in campo economico-politico, ma anche filosofico, storiografico o scientifico – avrebbero potuto procurare anche ad altri contesti continentali; una convinzione che, come vedremo e come è già stato in parte efficacemente ricostruito da Richard Sher nella sua monografia The Enlightenment and the Books, influenzava direttamente non solo i canali e le strategie messe in atto per promuovere la pubblicazione e la circolazione delle opere letterarie e scientifiche entro i confini nazionali, ma anche – ed è l'aspetto che assume una valenza particolare nella mia ricerca – quelle relative, nello

specifico, ai progetti traduttivi18. Un'indagine consacrata al ruolo avuto dalle traduzioni

16 La definizione “Athens of Britain”, più volte ripresa su gazzette e periodici scozzesi, comparve, secondo

Richard Sher (The Enlightenment and the Books, cit.), per la prima volta sul «St. James Chronical» di Londra, il 31 agosto 1761, ma fu resa celebre da Allan Ramsey, nella lettera indirizzata a Sir A. Dick, datata 31 gennaio 1762 (ora raccolta in Curiosities of a Scot Charta Chest, edited by A. Forbes, Edinburgh, W. Brown, 1897). Smollett aveva utilizzato l'espressione “hot-bed of genius” nel suo romanzo Humphry Clinker (T. Smollett, The Expedition of Humphry Clinker, cit.).

17 «Really it is admirable how many Men of Genius this Country produces at present. It is not strange that,

at the time when we have lost our Princes, our Parliaments. Our independent Government, even the Presence of our chief Nobility, are unhappy in our Accent and Pronunciation, speak a very corrupt Dialect of the Tongue which we make use of, is it not strange, I say, that in these circumstances, we shou'd really be the People most distinguish'd for Literature in Europe?», Lettera di D. Hume a G. Elliot, datata luglio 1757, in The Letters of David Hume, edited by J. Y. T. Gleig, Oxford, Clarendon Press, 1932, 2 voll (la lettera in questione è contenuta nel vol. 1, p. 255). Un estratto della lettera è riportato anche in R. Sher,

The Enlightenment and the Books, cit., p. 44.

18 Per una ricostruzione dell'auto-rappresentazione dei letterati scozzesi sono utili le riflessioni proposte da

Richard Sher nella monografia più volte citata, The Enlightenment and the Books, nella quale vengono forniti anche numerosi esempi di come questa coesione all'interno del gruppo influenzasse e determinasse anche le strategie adottate per promuovere la circolazione delle produzioni letterarie all'interno delle isole britanniche e sul continente. Strategie che, come vedremo nel corso del paragrafo, interessavano, naturalmente, anche le traduzioni. Ben documentati sono anche i diretti rapporti tra autori scozzesi e

nella diffusione dell'Illuminismo scozzese non può, a mio avviso, prescindere dalla considerazione di tali questioni e, più in generale, da un inquadramento preliminare dei tratti peculiari del contesto “di partenza” dei testi19.

Tentare di definire quali fossero le caratteristiche principali della proposta illuministica scozzese vuol dire, in un certo senso, porsi un interrogativo del tutto simile a quello ancora recentemente suggerito da Roger Emerson, uno dei più importanti studiosi dell'argomento, ovvero «how does one construct a Scottish Enlightenment?»20. Il problema di come

costruire, o meglio, di come interpretare il senso e i caratteri distintivi di quella straordinaria esperienza culturale ne ha accompagnato fin da subito la ricezione e ha condizionato ogni riflessione su quale fosse il contributo da essa apportato allo sviluppo del pensiero moderno, contribuendo anche a creare un “canone” degli autori ritenuti più incisivi, e, in senso lato, meritevoli di un'ampia diffusione delle loro produzioni.

Se il termine Scottish Enlightenment fu, con ogni probabilità, usato per la prima volta solo nel 1900, nella biografia di Francis Hutcheson – filosofo di origine irlandese considerato

uno dei “padri fondatori” dell'Illuminismo scozzese21 – una precoce individuazione di una

scuola scozzese emergeva, tuttavia, già nelle opere di Dugald Stewart, successore di Adam

traduttori, soprattutto francesi, come l'abate Le Blanc, che si dedicò alle opere di Hume, o il letterato Jean-Baptiste Suard, che tradusse Robertson.

19 Nel presente paragrafo, verranno fornite alcune indicazioni generali, senza entrare nel merito di una

puntuale disamina dei caratteri peculiari delle proposte degli autori oggetto della mia ricerca. Tali aspetti saranno, invece, affrontati nei capitoli successivi relativi alle traduzioni delle loro opere.

20 R. L. Emerson, Enlightened Ages, Ages of Improvement, and the Scottish Enlightenment, «I castelli di

Yale», XI (2011), pp. 21-45. La citazione è a p. 29. Emerson, nel suo saggio, oltre a proporre un sintetico bilancio delle linee di ricerca che, negli ultimi decenni, si sono concentrate sull'Illuminismo scozzese, presenta un quadro generale dei suoi aspetti caratterizzanti, individuando come tratto essenziale il concetto di “improvement” («I see it [the Scottish Enlightenment] as beginning with efforts of a handful of men to improve most things, a movement which rooted partly in natural philosophy or science and partly in other things like religion and economic distress», pp. 21-22). Gli studi di Roger Emerson si sono concentrati su numerosi temi legati alla società scozzese e al movimento illuminista, dal ruolo avuto dal patronage (utile, a mio avviso, come rimarcherò, per comprendere anche strategie di promozione di traduzioni) al contributo apportato dalla riflessione scientifica alle discussioni sul progresso della società (cfr almeno R. L. Emerson, Academic Patronage in the Scottish Enlightenment. Glasgow, Edinburgh and

St Andrews Universities, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2008, Id., Science and the Origins and Concerns of the Scottish Enlightenment, «History of Science», XXVI (1988), pp. 333-366 e Id., Science and Moral Philosophy in the Scottish Enlightenment, in M. A. Stewart, Studies in the Philosophy of the Scottish Enlightenment, Oxford, Oxford University Press, 1990. In particolare, la sua “ricostruzione”

tende ad estendere i limiti cronologici dell'Illuminismo scozzese fino a comprendere gli anni tra XVII e XVIII secolo, nei quali si sarebbe sviluppata, da parte di un gruppo di “virtuosi” quali George McKenzie, Archibald Pitcairne e, soprattutto, Robert Sibbald, la consapevolezza della necessità di imprimere una nuova rotta all'organizzazione economica e sociale scozzese.

21 W. R. Scott, Francis Hutcheson. His Life, Teaching and Position in the History of Philosophy,

Cambridge, Cambridge University Press, 1900, pp. 261 e 265. Su Francis Hutcheson, filosofo di nascita irlandese, titolare della cattedra di Filosofia morale a Glasgow, cfr T. D. Campbell, Francis Hutcheson:

“Father” of the Scottish Enlightenment, in R. H. Campbell, A. S. Skinner (eds), The Origins and Nature of the Scottish Enlightenment, Edinburgh, Donald, 1982. Lo stesso Denina, nel Discorso, aveva

Ferguson sulla cattedra di Filosofia morale di Edimburgo ed esponente della cosiddetta

“scuola filosofica del senso comune”22. In alcuni suoi contributi, come le biografie di

Adam Smith, William Robertson e Thomas Reid23 – presentate durante le adunanze della

Royal Society di Edimburgo e poi pubblicate singolarmente – o come la Dissertation24 – un

discorso introduttivo, di carattere metodologico, al supplemento della quarta, quinta e sesta edizione dell'Enciclopedia britannica – Stewart propose una lettura ed interpretazione dell'esperienza intellettuale dei suoi connazionali che enfatizzava particolarmente il ruolo da essi avuto nel progresso del pensiero filosofico europeo. L'aspetto più importante e caratteristico della riflessione degli autori scozzesi era stato l'aver sviluppato un'analisi della storia naturale della società che si fondava su un dato incontrovertibile, ovvero che la capacità della mente umana fosse la stessa in ogni epoca e che la differenza oggettiva dei comportamenti fosse dovuta alle diverse circostanze nelle quali gli uomini si trovavano ad

agire25. Il filosofo aveva definito un canone dei maggiori pensatori, che comprendeva, fra

gli altri, John Millar, Henry Home, Adam Ferguson, ma anche David Hume, il quale, con Adam Smith aveva avuto il merito di allargare il campo di indagine della filosofia morale all'economia e alla politica, riprendendo la lezione di Francis Hutcheson ed integrandola con una rivisitazione critica di Locke, Cartesio e Gassendi, ed infine William Robertson, il quale aveva saputo unire «the lights of philosophy with the appropriate beauties of

historical composition»26; un giudizio del metodo robertsoniano, quest'ultimo, che sarebbe

22 Dugald Stewart, nonostante il ruolo di primo piano avuto nel dare una prima visione d'insieme ai

contributi offerti dall'Illuminismo scozzese, è una figura relativamente poco studiata. Fondamentale per la comprensione del suo progetto di “custodia” e trasmissione dell'eredità dei Lumi scozzesi è, dunque, la monografia di G. MacIntyre, Dugald Stewart, the Pride and Ornament of Scotland, Sussex, Sussex Accademic Press, 2003, oltre al saggio di Paul Wood, pubblicato come capitolo introduttivo a P. Wood (ed), The Scottish Enlightenment. Essays in Re-interpretation, cit., dal titolo Introduction: Dugald

Stewart and the Invention of the Scottish Enlightenment, in cui si analizza il filosofo scozzese soprattutto

dal punto di vista dell''influenza avuta su una serie di studiosi ottocenteschi appartenenti alla “scottish school of philosophy”. Si veda anche M. Brown, Creating a Canon. Dugald Stewart's Construction of the

Scottish Enlightenment, «History of Universities», XVI (2000), pp. 135-154.

23 D. Stewart, Biographical Memoirs of Adam Smith, L. L. D., of William Robertson, D. D., and Thomas

Reid, D. D. read before the Royal Society of Edinburgh, Edinburgh, G. Ramsay and Company, 1811.

Inizialmente le Vite erano state lette durante le adunanze della Royal Society di Edimburgo e successivamente stampate singolarmente.

24 D. Stewart, Dissertation. Exhibiting the Progress of Methaphysical, Ethical, and Political Philosophy,

since the Revival of Letters in Europe, supplemento all'Encyclopedia Britannica pubblicato in due parti,

nel 1815 e 1821 e confluito poi nelle varie edizioni dei Collected Works di Stewart. L'edizione da me consultata è la ristampa del 1858, The Collected Works of Dugald Stewart [...], edited by William Hamilton, Edinburgh-London, printed by Thomas Constable & Co.-Hamilton, Adams & Co., in dieci volumi, contenente anche la versione a stampa di alcuni manoscritti inediti. William Hamilton fu, infatti, erede di Stewart e ultimo esponente della scuola filosofica scozzese.

25 Cfr D. Stewart, Dissertation, cit. pp. 69-70. Stewart parlava di un modello di “theoretical history” della

società, che avrebbe dovuto applicarsi all'analisi della storia del linguaggio, dei costumi, delle arti, della scienza, delle leggi, del governo e della religione.

stato destinato a godere di una certa fortuna anche tra i biografi e gli interpreti successivi27.

Se alcune delle chiavi interpretative stewartiane vennero riprese, più o meno

sistematicamente, nel corso dell'Ottocento e del primo Novecento28, è solo a partire dagli

anni Sessanta del secolo scorso che l'Illuminismo scozzese è diventato un tema particolarmente frequentato dagli storici – e non solo naturalmente – i quali, con le loro puntuali analisi, ne hanno restituito un quadro molto più particolareggiato, ampliato nei confini cronologici e geografici, ed arricchito dalla presenza di una serie di figure meno note che, in realtà, incisero profondamente nella società scozzese e nel suo progresso e che, in alcuni casi, vennero conosciute anche al di fuori delle isole britanniche. Senza entrare nel merito di una letteratura molto vasta e contraddistinta da lavori di notevole interesse, non possono, comunque, non essere citati almeno i pionieristici saggi di Hugh Trevor- Roper, Franco Venturi e Duncan Forbes29, che hanno contribuito ad avviare una

discussione, poi ripresa e sviluppata nei decenni successivi, che si proponeva di spostare

Davies-E. Balfour, Edinburgh, 1802, versione edita della relazione tenuta nel 1796 alla Royal Society, p. 139.

27 Il modello biografico stewartiano ebbe un notevole successo e, in particolare, la biografia di Robertson

venne premessa a buona parte delle edizioni ottocentesche delle histories, in Gran Bretagna, ma anche in Francia. In Italia, nel solo caso in cui si dispose di una “Vita di Robertson”, ad introduzione di un'edizione milanese della History of Charles V, il modello stewartiano fu in parte ripreso, ma elaborato dal traduttore Michele Sartorio con una riflessione più ampia sul metodo storiografico dello scozzese (Storia di Carlo

V, Milano, 1820).

28 Cfr ad esempio C. Paoletti, Interpretazioni storiografiche dell’Illuminismo scozzese, in E. Mazza, E.

Ronchetti (a cura di), “Instruction and amusement”. Le ragioni dell’Illuminismo britannico, Padova, Il Poligrafo, 2005.

29 Uno dei primi saggi a richiamare l'attenzione degli studiosi sull'Illuminismo scozzese è stato quello di H.

Trevor-Roper, The Scottish Enlightenment, cit., sul quale si vedano anche J. Robertson, Hugh Trevor-

Roper Intellectual History and the Religious Origins of the Enlightenment, «English Historical Review»,

CXXIV (2009), pp. 1389-1421 e C. Kidd, Lord Dacre and the Politics of the Scottish Enlightenment,

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