1 La rivoluzione ai nostri tempi
4.2 Scuola laboratorio di competenze
Le competenze chiave sono quelle competenze di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Cittadini (genitori, personale della scuola) e nuovi cittadini (studenti) vivono sfide di apprendimento complesse e sempre nuove che si allargano su due dimensioni integrate: quella analogica e quella digitale. La scuola necessariamente deve cambiare volto ed essere considerata, da operatori e utenza, non solo come luogo di “trasmissione”, ma anche e, soprattutto, come “laboratorio per la produzione di cultura, per la creazione di valore e per l’orientamento attivo all’innovazione”.
La sfida all'innovazione della scuola è un'azione culturale, che parte da un'idea rinnovata di scuola, intesa come spazio aperto per l'apprendimento e non unicamente luogo fisico, e come piattaforma che metta gli studenti nelle condizioni di sviluppare le competenze per la vita. Le tecnologie diventano abilitanti, quotidiane, ordinarie, al servizio dell'attività scolastica, dovrebbero aspirare a contaminare e ricongiungere tutti gli ambienti della scuola e del territorio: classi, ambienti comuni, spazi laboratoriali, spazi individuali e spazi informali. La sfida per gli studenti è quella di divenire utenti consapevoli di ambienti e strumenti digitali, ma anche ideatori, produttori, progettisti. La sfida per i docenti è quella di riuscire ad agire come facilitatori di percorsi didattici innovativi basati su contenuti più familiari per i loro studenti37.
La scuola come laboratorio di competenze vede un cambiamento nel modello formativo: si passa da una formazione per conoscenze/abilità ad una per competenze. Nella prima il modo di interpretare i problemi è “chiuso”, con un solo modo per risolverli, un'unica procedura che porta ad una soluzione univoca ed un modo binario per valutala, giusto o sbagliato. Nella formazione per competenze, invece, i problemi sono “aperti” a più interpretazioni, ammettono più soluzioni o una soluzione a cui si può arrivare da strade diverse. Segue una riflessione sui punti di forza e di debolezza delle proprie strategie.
La scuola come laboratorio di competenze punta sul rinforzare la responsabilità e l'autonomia dei ragazzi e delle ragazze.
La necessità di questo cambiamento, reale e non solo enunciato, è data anche dal fatto che ci sono almeno quattro discontinuità tra scuola e realtà. La scuola infatti:
- Richiede prestazioni individuali, mentre il lavoro mentale all'esterno è spesso condiviso socialmente;
- Richiede un pensiero privo di supporti, mentre fuori ci si avvale di strumenti cognitivi ed artefatti;
- Coltiva il pensiero simbolico, nel senso che lavora su simboli, mentre fuori dalla scuola la mente è sempre alle prese con oggetti e situazioni;
-Insegna capacità e conoscenze generali, mentre nelle attività esterne dominano competenze specifiche, legate alla situazione.
Il sapere scolastico spesso è astratto, analitico, sistematico, logico, generale, rigido ed individuale, mentre quello della vita extrascolastica è concreto,globale, intuitivo, pratico, particolare,flessibile e sociale.
Le competenze possono manifestarsi solo in situazioni reali e necessitano di conoscenze ed abilità. Un compito reale può essere spazio privilegiato in cui queste possono essere praticate, osservate, valutate e incrementate. Il compito di realtà è uno strumento utile per il consolidamento delle competenze necessarie alla cittadinanza consapevole degli studenti e per un più efficace coinvolgimento degli stessi nella vita scolastica. Per compito di realtà si intende la richiesta rivolta allo studente di risolvere una situazione problematica, complessa e nuova, quanto più possibile vicina al mondo reale, utilizzando conoscenze e abilità già acquisite e trasferendo procedure e condotte cognitive in contesti e ambiti di riferimento moderatamente diversi da quelli resi familiari dalla pratica didattica. Il compito di realtà prevede che gli studenti, a partire dall’utilizzo di competenze afferenti a più discipline, debbano:
• Lavorare in gruppo, talvolta producendo contributi personali; • Pianificare, progettare, costruire, eventualmente fare esperimenti; • Valutare e autovalutarsi;
• Fare ricerche, selezionare e rielaborare informazioni; • Risolvere problemi, spesso complessi proprio perché reali; • Valutare opzioni e scelte e prendere decisioni;
• Esporre ad altri, con diverse modalità, i processi e i risultati dell’apprendimento.
In una frase il concetto centrale è apprendere dall'esperienza per costruire la competenza. Si rende necessario, quindi, de-costruire molte prassi didattiche ripensando gli ambienti di apprendimento, la struttura e l'articolazione dei contenuti, l'organizzazione delle attività, la scelta delle priorità, la produzione dei materiali, la verifica dei risultati e l'analisi degli effetti a medio e lungo termine.
La scuola deve favorire la ricomposizione dei saperi, promuovere l'interattività e lo scambio, suscitare non solo domande ma proposte provocatorie, farsi luogo di ricerca, sociale, culturale ed etica.
La scuola dovrebbe avere un approccio che percepisce le tecnologie come normali risorse culturali, utilizzando gli strumenti tecnologici per supportare le attività di apprendimento e riconoscere le competenze acquisite nell'informale per renderle funzionali all'apprendimento. Molti ragazzi e ragazze hanno veri e propri talenti, spendibili nella vita fuori dal contesto scolastico, ma che quest'ultimo non considera tali, allontanandosi, così, dal presente che quotidianamente i giovani vivono e dal futuro prossimo. La scuola come laboratorio di competenze dovrebbe cogliere queste opportunità o anche solo appassionare i ragazzi e le ragazze che manifestano curiosità verso strumenti digitali, in modo da permettere loro di poter seguire le proprie aspirazioni ed attitudini. Solo creando un rapporto del genere, incentrato sul diffondere la passione per le conoscenze e per l'imparare ad imparare, sarà veramente possibile giungere ad una formazione permanente, che si dispiega nell'ottica di una lifelong learning.
Gli obiettivi educativi che un tipo di didattica più funzionale alla odierna complessità sociale deve proporsi, almeno in prima approssimazione, possono essere formalizzati nei seguenti punti:
• Puntare a fare acquisire agli allievi adeguati strumenti cognitivi;
• Sollecitare nei discenti la formazione di una adeguata strumentazione affettivo- emozionale.
Il concetto di intelligenza emotiva è stato introdotto da Salovey e Mayer (1990) per descrivere “la capacità che hanno gli individui di monitorare le sensazioni proprie e quelle
degli altri, discriminando tra vari tipi di emozione ed usando questa informazione per incanalare pensieri ed azioni”.
Daniel Goleman, nel 1995, riprende tale concetto mediante la pubblicazione del suo libro ”Intelligenza emotiva”38; questo termine, secondo Goleman, include l’autocontrollo,
l’entusiasmo e la perseveranza, nonché la capacità di auto-monitorarsi. Egli afferma che la famiglia è il primo contesto in cui apprendiamo gli insegnamenti riguardanti la vita emotiva; qui l’educazione emozionale opera non solo attraverso le parole e le azioni dei genitori indirizzate al bambino, ma anche attraverso i modelli che gli offrono mostrandogli come gestiscono i loro sentimenti e la propria relazione coniugale. I bambini che imparano a gestire le proprie emozioni ed a controllare i propri istinti tollerano meglio le situazioni stressanti, imparano a comunicare meglio i propri stati emozionali e sono in grado di sviluppare relazioni positive con la famiglia e gli amici. La scuola, in un’ottica di prevenzione, può fare molto per sostenere un’adeguata educazione affettiva. Come sostiene Carl Rogers, in un clima favorevole alla crescita, l’apprendimento è più profondo, procede più rapidamente, in quanto nel processo è investita l’intera persona, con sentimenti e passioni al pari dell’intelletto.
Secondo Galimberti a scuola appare evidente il ruolo centrale che i processi affettivi giocano nell’organizzare l’esperienza ed il comportamento, perché “non si dà apprendimento senza gratificazione emotiva”.
L’analfabetismo emozionale rappresenta un fattore di rischio e pericolo per i ragazzi e le ragazze e per la società tutta. L’esclusione o la marginalizzazione nei programmi scolastici di spazi da destinare alla formazione emozionale, è un indicatore negativo che può spiegare l’impotenza delle istituzioni scolastiche di fronte all’aumento delle difficoltà e del disagio, oltre all’insorgenza di alcuni disturbi fra gli adolescenti ed i bambini. I programmi di alfabetizzazione emotiva proposti nell’ambito della prevenzione, hanno come obiettivo quello di consentire un’adeguata gestione dei sentimenti. Le finalità dello sviluppo dell’intelligenza emotiva riguardano pertanto la conoscenza, l’acquisizione e la realizzazione delle competenze emotive relative a cinque aree: consapevolezza di sé, autocontrollo, motivazione, empatia, abilità sociali.
Questo significa, nello specifico:
1. Consapevolezza di sé: conoscere in ogni istante i propri sentimenti e le proprie preferenze e usare questa conoscenza per guidare i processi decisionali; avere una valutazione realistica delle proprie abilità e fiducia in se stessi.
2. Autocontrollo: gestire le proprie emozioni in modo che facilitino il compito in corso invece di interferire; essere coscienziosi e capaci di rimandare le gratificazioni per perseguire i propri obiettivi; saper ben fronteggiare la propria sofferenza emotiva.
3. Motivazione: usare le proprie preferenze più intime per spronare e guidare se stessi al raggiungimento dei propri obiettivi, come pure per aiutarsi a prendere l’iniziativa; essere altamente efficienti e perseverare nonostante insuccessi e frustrazioni.
4. Empatia: percepire i sentimenti degli altri, essere in grado di adottare la loro prospettiva e coltivare fiducia e sintonia emotiva con un’ampia gamma di persone fra loro diverse. 5. Abilità sociali: gestire bene le emozioni nelle relazioni e saper leggere accuratamente le situazioni sociali; interagire fluidamente con gli altri e usare queste capacità per guidarli, per ricomporre dispute, come pure per cooperare e lavorare in equipe. Questa dimensione risponde ad un modo diverso di comprendere l’intelligenza, che va al di là degli aspetti cognitivi, come la memoria o la capacità di comprendere problemi. Si parla, innanzitutto, della capacità di dirigersi in maniera efficace agli altri esseri umani e a sé stessi, di connettersi con le proprie emozioni, di gestirle, di auto-motivarsi, di frenare gli impulsi, di vincere la frustrazioni.
Goleman spiega che il suo approccio all’intelligenza emotiva prevede quattro dimensioni di base:
• La prima è l’auto-coscienza, e fa riferimento alla nostra capacità di comprendere quello che sentiamo e di restare attaccati ai nostri valori, alla nostra essenza.
• Il secondo aspetto è quello dell’auto-motivazione e della nostra abilità di orientarci verso le nostre mete, di recuperare i contrattempi, di gestire lo stress.
• La terza ha a che vedere con la coscienza sociale e con l'empatia.
• La quarta dimensione è senz’altro la pietra filosofale dell’intelligenza emotiva: la nostra capacità di relazionarci per comunicare, raggiungere accordi e creare connessioni positive e rispettose con gli altri.
Nelle sue opere l’autore ci spiega che parte di questa capacità risiede nella nostra epigenetica. In altre parole, è possibile attivarla o disattivarla a seconda dell’ambiente emotivo e sociale nel quale si cresce e si viene educati.
Da tutto ciò è facilmente comprensibile come una scuola che si pone l'obiettivo di essere un laboratorio esperienziale per i sui alunni e alunne non può farlo a prescindere dalla cura degli aspetti emotivo-relazionali che li riguardano. Questo significa anche fare prevenzione primaria , andando a sostenere aspetti che rappresentano fattori protettivi per i giovani, in modo da impedire o ridurre l'insorgenza di comportamenti che possono configurare situazioni a rischio.