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La seconda fase, che va dal 1928 al 1939, è caratterizzata dall’opera di codificazione delle Conferenze panamericane78.

In questo periodo lo sviluppo del diritto convenzionale latino-americano in materia di asilo è caratterizzato dall’adozione di tre convenzioni. Due di esse, la Convenzione dell’Avana del 1928 sull’asilo politico e la Convenzione di Montevideo del 1933, costituiscono il risultato della VI e VII Conferenza pan-americana. La Convenzione di Montevideo sul rifugio e l’asilo politico, invece, costituisce il frutto del Secondo Congresso sud-americano di diritto internazionale tenutosi a Montevideo nel 1939.

L’insufficienza del Trattato di Montevideo del 1889 mostrò la necessità di un accordo specifico sull’asilo.

Tutti i congressi e le conferenze latino americane che a partire dal 1889 si sono susseguite hanno regolarmente avuto tra i principali obiettivi la formulazione e il consolidamento di un sistema giuridico-politico americano, e l’asilo interno/diplomatico fu motivo di preoccupazione in tutte queste conferenze, dove si cercò di dare regolamentazione internazionale e di trasformarlo in un principio di diritto internazionale universalmente riconosciuto.

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Ad essa appartengono la Convenzione dell’Avana del 1928 e le due Conv. di Montevideo del 1933 e 1939.

62 Poiché l’asilo aveva dato luogo ad abusi e il suo riconoscimento attraverso gli strumenti internazionali era chiaramente insufficiente, la Conferenza dell’Avana del 1928 cercò di elaborare un testo che permettesse la pratica dell’asilo diplomatico, però con quelle limitazioni che l’esperienza aveva dimostrato fossero necessarie.

Da tale documento emerge l’intento degli Stati di ricalcare con questa convenzione le linee generali della pratica latino americana. L’obiettivo dichiaratamente perseguito fu quella della codificazione del diritto non scritto piuttosto che quello della creazione di diritto internazionale nuovo. Tale documento, infatti, costituisce una pura e semplice rinuncia, non solo a porre in forma dichiarativa l’obbligo di rispettare l’asilo per motivi politici79, ma anche a stabilire convenzionalmente un tale obbligo per tutte le parti contraenti.

La Convenzione si limita solamente a vincolare gli Stati contraenti al rispetto dell’asilo solo laddove esso sia ammesso come un diritto, o per tolleranza umanitaria, dalle consuetudini, convenzioni o leggi del paese di rifugio. Rinviando al diritto interno e alle precedenti convenzioni internazionali per la soluzione del problema di fondo concernente l’ammissibilità dell’asilo, lascia del tutto impregiudicata la questione se tale ammissibilità sia sancita o meno da una consuetudine regionale latino- americana.

Il giurista M. L. Savelberg, analizzando la Convenzione, sostenne che questa, in nessun modo, creava un diritto di asilo a beneficio dei delinquenti

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L’Art 1 della Convenzione dell’Avana esclude la liceità dell’asilo a vantaggio dei delinquenti comuni, ammettendolo solo per i delinquenti politici.

63 politici80. La determinazione dell’esistenza o meno dell’asilo viene lasciata

completamente a quanto disposto dagli usi, accordi o leggi. La Convenzione dispone esclusivamente che nel caso in cui l’asilo sia ammesso dalle norme vigenti nel paese in questione, esso sarà rispettato, imponendo a tal proposito una serie di disposizioni da osservare nel caso concreto.

Di fatto, questa Convenzione, pur essendo il primo strumento espressamente dedicato all’asilo, fu attuata non per facilitarlo, ma al contrario per limitarlo in vista dei molti abusi che venivano commessi nella pratica.

Dalla settima Conferenza Internazionale Americana, riunita a Montevideo, dal 3 al 26 dicembre del 1933, sono derivati vari accordi, tra i quali tale trattato81, dedicato interamente all’asilo politico e diplomatico. I lavori preparatori attestano chiaramente che l’obiettivo perseguito col trattato era quello di completare la disciplina di base istaurata con la Convenzione dell’Avana, colmando le lacune che essa aveva rivelato alla prova dei fatti82. In questo senso il Trattato si presenta come strumento complementare della precedente convenzione.

80 M. M. L. Savelberg, “Le Probleme du Droit International Américain, étudié

spécialement a la lumiere des conventions panaméricaines de la Havane”, The Yale Law Journal Vol. 55, N. 4, 1946, pp. 860-863.

81 Trattato di Montevideo sull’asilo politico del 26 dicembre 1933. Oas Montevideo

Convention on Political Asylum, in Treaty series n. 7.

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Nel corso dei lavori preparatori furono formulate quattro clausole che miravano a superare i difetti che la Convenzione dell’Avana aveva già denunciato nel breve periodo della sua applicazione. Di queste clausole, la prima attribuiva allo stato del rifugio il potere di decisione circa la natura politica del reato, la seconda tendeva a porre garanzie per il trasferimento del rifugiato al di fuori della missione, la terza escludeva ogni criterio di reciprocità nella concessione dell’asilo, la quarta regolava la situazione in cui il rappresentante diplomatico fosse dichiarato “persona non grata” a seguito della concessione dell’asilo. La prima, la terza e quarta clausola furono adottate.

64 In particolare, nel rapporto dell’Istituto Americano di diritto internazionale, che con il rispettivo progetto pose le basi per i lavori della settima conferenza, si segnalava l’inesistenza di una consuetudine valida in merito alla qualificazione, ossia riguardo l’autorità competente a farla e al modo di effettuarla.

A tal proposito, all’art. 2 venne stabilito che “la qualificazione della delinquenza politica appartiene allo Stato che concede l’asilo”. Questa disposizione è la più importante del trattato, tuttavia a causa della sua incompletezza non risolse il problema della qualificazione.

Il trattato, infatti, individua chi è competente a qualificare, però non dice nulla sui principi in base al quale tale operazione deve essere messa in pratica, né tantomeno se questa si possa considerare definitiva. Inoltre non è contenuta nessuna norma avente chiaramente effetto obbligatorio per le parti contraenti nel senso di assoggettarle all’obbligo di tollerare l’asilo diplomatico sul proprio territorio.

Di conseguenza, non costituendo un chiaro titolo all’esercizio dell’asilo come diritto giuridicamente sancito, è logicamente impossibile che tale Trattato costituisca una prova cogente dell’esistenza di una consuetudine regionale da cui un simile titolo sia ricavabile.

Passando al Trattato di Montevideo sull’asilo e il rifugio politico del 193983 si nota come non poca influenza per l’adozione di questo trattato ebbero gli avvenimenti della guerra civile spagnola che, con i numerosi casi d’asilo da

65 essa originati, dette modo ai vari Stati latino-americani di constatare alcune deficienze e lacune del preesistente apparato convenzionale.

Da un punto di vista tecnico questo secondo trattato di Montevideo84 è molto più preciso e completo rispetto ai precedenti, non solo perché tratta separatamente e distingue l’asilo diplomatico e quello territoriale, ma anche per il tenore delle sue disposizioni. Esso stabilisce con maggiore rigore, rispetto ai testi precedenti, i requisiti oggettivi e soggettivi che legittimano la concessione dell’asilo85. Il complesso di norme fa emergere in tutta chiarezza un diritto dello Stato ad accordare asilo diplomatico per motivi politici ed un corrispondente obbligo da parte dello Stato territoriale di tollerare l’asilo nei limiti fissati dalla convenzione. Questo diritto e il correlativo obbligo nascono direttamente dal Trattato, al contrario di quanto avveniva in precedenza, ma non è altrettanto chiaro se questi siano coniati sulla base di una matrice consuetudinaria o viceversa con intenti innovativi. Ben poco si può ricavare dal testo o dai lavori preparatori del trattato86. Meno che mai si può desumere dal numero degli Stati contraenti, che sono due soltanto, Uruguay e Paraguay.

84 I delegati della Bolivia, Paraguay, Perù, Argentina e Uruguay, si riunirono a

Montevideo, dal 18 luglio del 1939 al 19 marzo 1940, per commemorare il cinquantesimo anno del trattato di Montevideo del 1889, dando così luogo al Secondo Congresso Sudamericano di diritto internazionale privato.

85 In occasione del Secondo Congresso di Montevideo, si consacrò la dottrina

secondo cui la concessione dell’asilo è opzionale per l’autorità a cui è richiesto e mai un obbligo giuridico.

86 Il testo del preambolo, se da un lato esprime l’intento degli Stati di ribadire in via

di principio la dottrina dell’asilo diplomatico “consacrata in America Latina”, dall’altro non parla affatto di codificazione di norme consuetudinarie, bensì di regolamentazione di “situazioni nuove”.

66

2.3.3 Terza fase

Il terzo periodo va dal secondo dopoguerra all’epoca attuale ed è caratterizzato dal contraccolpo subìto dall’istituto in seguito alla sentenza della C.I.J. sul caso Haya de la Torre87 e dalla conseguente riaffermazione dell’istituto nella Convenzione di Caracas del 1954.

Tale ultima fase di evoluzione della normativa convenzionale in materia di asilo diplomatico coincide con il periodo successivo al secondo conflitto mondiale ed è marcata dall’adozione della Convenzione di Caracas del 1954.

Per la stipulazione di tale documento è indubbio che abbia agito da potente catalizzatore il precedente giudiziario dell’affare del Diritto d’asilo deciso dalla Corte internazionale di giustizia con sentenza 20.10.1950. In questa sentenza la Corte, interrompendo un orientamento altrove manifestato di spiccato favore alla rilevazione di regole consuetudinarie di natura speciale, negava la possibilità di fondare sulla pratica regionale invocata dalla Colombia una consuetudine speciale in materia di asilo. Sul piano del diritto consuetudinario, l’unica questione sottoposta al giudizio della Corte riguardava l’esistenza o meno della regola attributiva allo Stato del rifugio di un potere di qualificazione unilaterale della natura politica del reato e del caso d’urgenza88.

La reazione che tale sentenza suscitò da parte della generalità dei governi latino-americani fu tale da mettere in moto un processo di revisione del diritto convenzionale in materia di asilo. Il 18 dicembre 1950 il Guatemala

87

I.C.J., “Caso Haya de la Torre”, Reports, 1950.

88

La questione della qualificazione del reato è analizzata nel paragrafo 6 del presente capitolo.

67 chiese la convocazione del Consiglio dell’O.S.A. perché venisse tempestivamente preso in considerazione il problema dell’asilo. Il 14 febbraio 1951 una risoluzione del Consiglio proclamava la necessità di riaffermare l’asilo come principio giuridico latino-americano ed al tempo stesso raccomandava al Comitato giuridico inter-americano di dare priorità alla preparazione di un progetto di convenzione nella relativa materia. L’8 maggio 1953 un “Progetto di Convenzione sull’asilo diplomatico” veniva approvato con quindici voti favorevoli e quattro astensioni (Perù, Repubblica Dominicana, Brasile e Stati Uniti). Con pochi ritocchi definitivi il progetto definitivo veniva a formare il contenuto della Convenzione di Caracas adottata a conclusione della Decima Conferenza Internazionale degli Stati americani il 28 marzo 1954.

Con i suoi ventiquattro articoli che coprono l’ampia gamma di problemi sorti nella pratica degli anni precedenti, la Convenzione costituisce tutt’oggi il più completo sistema di norme convenzionali che sia stato adottato dagli Stati americani per risolvere i conflitti in materia di asilo diplomatico. Tutto il sistema tende al massimo allargamento del campo di applicazione dell’asilo diplomatico e procede dall’inequivocabile riconoscimento di esso come diritto.

L’art. 1 stabilisce che l’asilo diplomatico sarà rispettato dallo Stato territoriale “in accordo con le disposizioni della presente Convenzione”. Si tratta di una disposizione di straordinaria portata, infatti nei precedenti documenti era frequente il riferimento al diritto internazionale o ad altre espressione più vaghe, per far rispettare l’asilo. In questa Convenzione

68 l’istituto dell’asilo è completamente regolamentato e le sue disposizioni sono l’unica fonte in materia rispetto agli obblighi giuridici degli Stati.

L’art. 2 consacra il principio secondo cui “tutti gli Stati hanno il diritto di concedere asilo, ma non sono obbligati a concederlo né a dichiarare le motivazioni per le quali lo si nega”. Questa è una tra le disposizioni più importanti della Convenzione, poiché rifiuta la teoria secondo cui gli Stati sarebbero obbligati a concedere asilo89.

L’art. 4, relativo al problema essenziale dell’asilo, la qualificazione, è redatto nella seguente maniera “concerne allo Stato che concede asilo la qualificazione della natura del delitto e dei motivi della persecuzione”. E’ indubbio che questa formula non ha nessun precedente nelle Convenzioni anteriori, anche se continua ad esser vaga non solo riguardo all’autorità competente, ma anche riguardo ai parametri utili per poterla effettuare.

L’art. 5 dispone che “l’asilo non potrà essere concesso se non nei casi di urgenza e per il tempo strettamente indispensabile perché il richiedente asilo esca dal paese con le garanzie necessarie, fornite dal Governo dello Stato territoriale”, e l’art. 7 attribuisce allo Stato che concede l’asilo la competenza a verificare e valutare gli estremi dell’urgenza. In tal modo vengono regolate con precisione le annose questioni relative alla qualificazione del reato e al salvacondotto.

Dal momento della sua adozione la Convenzione è stata ratificata da dieci Stati, per essi tale documento è la fonte diretta di un obbligo di tolleranza

89

Solo l’Uruguay ha sostenuto che l’asilo è un diritto del’individuo e un dovere per lo Stato.

69 dell’asilo politico concesso sul loro territorio nazionale ad opera di un agente straniero.

Il numero rilevante degli Stati contraenti, nonché l’esistenza di tutta una serie di trattati precedenti di analogo contenuto, sono dati che non possono non essere ritenuti sintomatici di un conforme sentimento giuridico da parte di una larga cerchia di Stati latino-americani. Tuttavia, né dal testo della convenzione, né dai lavori preparatori si può evincere con certezza la persuasione degli Stati contraenti di fare pura e semplice opera codificatoria di una consuetudine cui fossero in precedenza vincolati.

In ogni caso, anche assumendo come criterio il carattere dichiarativo della Convenzione di Caracas, non si può da essa ricavare il quadro soggettivo di applicazione della consuetudine particolare, in quanto rimarrebbero esclusi Stati, che pur non essendo parti della convenzione, sostengono fortemente, sul piano della prassi il principio del diritto d’asilo diplomatico.

I dati convenzionali costituiscono nel loro insieme un serio indizio dell’esistenza di una consuetudine avente l’effetto di sancire la liceità dell’asilo diplomatico. Essi tuttavia non offrono la prova conclusiva di siffatta consuetudine e tanto meno la misura del suo ambito di applicazione90. Le convenzioni esaminate creano tutta una serie di rapporti bilaterali tra le Repubbliche latino-americane, ma non instaurano un sistema omogeneo di applicazione regionale91.

90 A tale conclusione perviene F. Francioni, op. cit. , Giuffrè, Milano, 1973.

91 Alcune di queste convenzioni si preoccupano solo di regolamentare gli effetti

della concessione dell’asilo, lasciando volutamente da parte il problema iniziale della liceità di tale concessione. Altre pur stabilendo la liceità dell’asilo non si può dire che rivelino un carattere dichiarativo del diritto consuetudinario preesistente.

70 2.4

L’ammissibilità di consuetudini locali nel diritto

internazionale

Preso atto dell’inesistenza nel diritto internazionale attuale di norme generali consuetudinarie che sanciscano la forza vincolante dell’asilo diplomatico è necessario verificare se, nell’area continentale latino- americana, la pratica abbia dato vita ad una consuetudine locale.

Il problema circa le consuetudini locali/regionali, riguarda l’ammissibilità riconosciuta dal diritto internazionale, e la possibilità che queste possano vincolare un numero limitato di Stati.

Sin dagli inizi del XX secolo, soprattutto ad opera dei giuristi latino- americani, è emersa, con sufficiente autorità, l’idea secondo la quale un insieme di regole consuetudinarie potesse imporsi in un ambito di elaborazione e applicazione di portata regionale o continentale, così da mettere in crisi, per la prima volta, il principio secolare che consacrava il carattere universale delle consuetudini internazionali92.

L’effettivo manifestarsi sul piano regionale di principi e regole particolari, come, ad esempio, quelle vigenti in America latina in materia di delimitazione di territori93, di asilo diplomatico, di limiti alla protezione diplomatica94, ed altre ancora, ha messo in discussione l’opinione che, vedendo nelle consuetudini valori universali, si rifiutava di ammettere

92

Si veda per ulteriori approfondimenti: F. Francioni, op. cit. pag. 61 ss.

93

Principio dell’uti possidetis, si è sviluppato in Sud-America in seguito al processo di indipendenza degli Stati che facevano parte dell’impero coloniale spagnolo. Tale principio affermava che i confini degli Stati sorti dal processo di decolonizzazione dovevano conformarsi a quelli stabiliti nel periodo coloniale. In pratica le vecchie frontiere coloniali divenivano permanenti al momento dell’acquisto dell’indipendenza e non potevano essere unilateralmente modificate.

94

Ci si riferisce alla Clausola Calvo, che prende il nome dall’internazionalista argentino che per primo la formulò nel secolo scorso, attraverso la quale l’individuo rinuncia ad invocare la protezione diplomatica del proprio Stato nazionale.

71 l’esistenza di norme che, pur avendo natura consuetudinaria, rivestissero un carattere relativo per il fatto di rivolgersi ad un numero limitato di Stati.

A sostegno della tesi che nega l’esistenza di consuetudini particolari è stato invocato l’art. 38, lett. B, dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia. Questo, nel fornire l’elenco delle fonti del diritto internazionale, parla di consuetudine come “prova di una pratica generalmente accettata come diritto”. Tale dottrina, facendo leva sul tenore letterale dell’art. 38, ha sostenuto che, dovendo essere la consuetudine la risultante sul piano giuridico di una pratica generale, si debba escludere la possibilità di regole consuetudinarie particolari95. La fondatezza di tale opinione non è condivisibile, e a prova di ciò possiamo prendere in considerazione le varie sentenze della Corte Internazionale di Giustizia che, a partire dagli anni ’50, hanno riconosciuto l’esistenza di consuetudini regionali. Ad esempio, la Corte ha ammesso, in una sentenza degli anni ’70, che una consuetudine si possa formare tra due stati. Nella fattispecie si trattava della controversia tra Portogallo e India96, nella quale il Portogallo rivendicava il diritto di passaggio su una porzione del territorio vicino ai possedimenti coloniali portoghesi. Tale diritto si fondava su una prassi bilaterale tra i due Stati.

Una sentenza precedente della stessa Corte, pur pervenendo ad una pronuncia negativa circa l’esistenza di una consuetudine particolare nel caso di specie, aveva riconosciuto in termini inequivocabili la possibilità che si potessero formare regole consuetudinarie di natura particolare. Si tratta

95 P. Guggenheim, “Traitè de droit internation public”, I, Genève, 1953, pag. 50. 96 Il diritto di passaggio rivendicato dal Portogallo comprendeva il transito di

persone e beni, nonché di pubblici ufficiali e forze armate. La tesi difensiva dell’India si fondava sull’inammissibilità di una regola consuetudinaria avente vigore fra due Stati.

72 della sentenza relativa ai “diritti dei cittadini statunitensi in Marocco”97. La

Corte affermò la possibilità teorica di una consuetudine locale, benché negasse nel caso di specie che la pratica consolare, invocata dagli Stati Uniti98, rivestisse il carattere di una vera e propria norma consuetudinaria avente effetto obbligatorio per il Marocco99.

Un altro esempio significativo è costituto dalla sentenza relativa al caso delle peschiere norvegesi100, riguardante il problema della compatibilità dei modi di delimitazione delle acque territoriali ed interne da parte della Norvegia con il diritto internazionale101. La Corte Internazionale di Giustizia, anche in questa occasione, confermò la presenza di una norma consuetudinaria particolare derogatoria rispetto al diritto consuetudinario generale.

I dati desumibili dalla giurisprudenza internazionale, oltre ad attestare l’ammissibilità di consuetudini internazionali formatesi nell’ambito di un

97

Rights of Nationals of the United States of America in Morocco (France v. United States of America), I.C.J., Reports, 1952, pag. 200. Consultabile al sito http://www.icj-cij.org/docket/files/11/1927.pdf.

98

La pretesa degli Stati Uniti si basava sulla circostanza che, a partire dal 1937, essi avevano continuato ad esercitare i diritti consolari e di giurisdizione, malgrado il fatto che, da quell’anno in poi, non fossero più in vigore i trattati che garantivano tali diritti. Da qui la necessità di trovare un titolo extracontrattuale alla pretesa invocata.

99 Nella fattispecie la Corte ritenne che si poteva riscontrare l’elemento materiale

costituito dalla pratica continuata, ma negò che tale pratica fosse integrata dal secondo elemento della opinio juris.

100

Sentenza della Corte internazionale di giustizia del 18 dicembre 1951 nel caso delle Peschiere norvegesi (Regno Unito c. Norvegia). Fisheries case, Judgment of December 18th, 1951, ICJ Reports, 1951, p. 116, consultabile al sito http://www.icj- cij.org/docket/files/5/1809.pdf . Si veda anche R. Mc Corquodale, M. Dixon, Cases and Materials on International Law, Oxford, Oxford University Press, 2003, pp. 354- 355.

101

Il sistema norvegese derogava per eccesso alla presunta regola delle 10 miglia come limite massimo di chiusura della baia mediante linea retta.

73 gruppo limitato di Stati, consentono anche di individuare le caratteristiche di

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