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L'asilo diplomatico e il caso di Julian Assange

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

……….pag. 4

Capitolo I

Il diritto di asilo e lo status di rifugiato

1.1 Il concetto di asilo, nascita ed evoluzione storica dell’istituto: la

protezione dalla persecuzione………..pag. 8

1.2 La relazione giuridica tra asilo e protezione dei rifugiati………….pag. 14

1.3 La definizione convenzionale di rifugiato: la Convenzione di Ginevra

del 1951……….pag. 18

1.4 Il principio del non-refoulement ……….pag. 22

1.5 La politicità del reato………pag. 26

1.6 La particolare tradizione latinoamericana in materia di asilo….pag. 30

Capitolo II

L’asilo diplomatico

2. 1 Nascita ed evoluzione storica dell’istituto………pag. 39

2.2 L’asilo diplomatico nel diritto internazionale generale………….pag. 42

2.3 Lo sviluppo del diritto (internazionale) convenzionale nell’ambito

regionale americano……….pag. 52

2.3.1

Prima fase………pag. 58

(2)

2 2.3.3

Terza fase………...pag. 66

2.4 La possibilità di ricostruire una consuetudine locale tra gli Stati

latino-americani in materia di asilo diplomatico……….pag. 70

2.5 Privilegi ed immunità dell’agente diplomatico e l’inviolabilità della

sede di missione………..pag. 75

2.6 Il precedente del leader peruviano Victor Raul Haya de la Torre e le

sentenze della Corte internazionale di Giustizia………pag. 81

2.7 I presupposti e le condizioni di ammissibilità della concessione

dell’asilo diplomatico……….…….pag. 91

2.8 Lo Stato competente a decidere l’esistenza dei presupposti che

legittimano a richiedere l’asilo diplomatico……….pag. 101

2.9 Aspetti procedurali dell’asilo diplomatico……….pag. 111

2.10 Le controversie che possono sorgere tra Stato di rifugio e

Stato territoriale nel momento in cui viene posta fine all’asilo

diplomatico……….pag. 116

Capitolo III

Il caso di Julian Assange

3.1 Julian Assange e Wikileaks………....pag. 121

3.2 La fuga di notizie e i documenti coperti da segreto………..……..pag. 126

3.3 La vicenda giudiziaria in Svezia………pag. 133

(3)

3

3.4 La concessione dell’asilo diplomatico e la controversia tra Ecuador e

Regno Unito: il Diplomatic and Consular Premises Act………..pag. 138

3.5 La posizione degli Stati Uniti sulla concessione dell’asilo diplomatico:

l’Espionage Act………pag. 148

3.6 La difesa legale di Assange……….pag. 160

3.7 Le possibili soluzioni diplomatiche………..…pag. 162

Conclusioni

……….pag. 171

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4

Introduzione

Il caso di Assange mette in evidenza gli aspetti problematici che da sempre hanno caratterizzato l’istituto dell’asilo diplomatico e, in particolare, il delicato rapporto tra la sovranità territoriale dello Stato di ricezione e l’inviolabilità diplomatica della sede di missione dello Stato accreditato.

Il termine asilo diplomatico, o extraterritoriale, è impiegato proprio al fine di contraddistinguere quelle situazioni in cui l’asilo è concesso ad un individuo, il quale si trova nel territorio dello Stato nel quale ha o si presume abbia commesso un crimine, nelle sedi di missioni diplomatiche, nei consolati, a bordo di navi da guerra o di navi adibite a esercizio della potestà pubblica dello Stato.

L’asilo diplomatico è probabilmente uno degli istituti più vecchi del diritto internazionale, da quando è iniziata la pratica da parte di re e principi di mandare missioni permanenti in paesi stranieri.

L’interesse nei confronti di questa tipologia di asilo deriva dalla peculiarità che fin dall’origine lo contraddistingue, ovvero la configurabilità dell’istituto alla stregua di una consuetudine a carattere particolare, la cui applicazione differisce ancora a seconda della regione geografica di riferimento.

Tale consuetudine origina da un processo di cristallizzazione di una prassi degli Stati impiegata da tempo, in relazione alla quale emergono difficoltà ad individuare un fondamento giuridico valido e universale.

Una simile problematica, unitamente alla delimitazione delle potestà riconosciute agli agenti di uno Stato operanti nel territorio di uno Stato straniero, e all’affermazione di una facoltà in capo agli stessi di accordare

(5)

5 protezione a chi la chieda per sottrarsi alla giustizia locale, evidenziano la necessità di affrontare la questione relativa alla legittimazione dello stesso nel diritto internazionale generale che è tutt’oggi ancora oggetto di studio e discussione.

Lo scopo del presente lavoro, è, dunque, quello di verificare, mediante l’analisi dei dati rilevati dalla prassi degli Stati e quelli convenzionali in materia, se allo stato attuale del diritto internazionale possa riscontrarsi un’evoluzione dell’istituto tale da indurre ad affermare l’esistenza di un principio di legittimità dell’asilo diplomatico quale istituto di diritto internazionale consuetudinario generale.

L’esigenza di una riforma in materia risulta sempre più impellente, soprattutto al fine di evitare che la mancanza di riferimenti normativi certi e universalmente condivisi determini incongruenze nell’assetto dei rapporti in seno alla Comunità internazionale, come per altro è avvenuto negli ultimi anni alla luce della casistica giurisprudenziale internazionale più recente.

Il caso emblematico di Julian Assange, relativo alla vicenda di Wikileaks, riveste una particolare importanza, nell’analisi dell’evoluzione dell’istituto fino ai giorni nostri, in virtù del fatto che esso apre la strada a questioni che vanno al di là di quelle tradizionali.

Non si discute più soltanto circa il riconoscimento o meno di un fondamento giuridico universalmente valido all’asilo diplomatico nell’ambito del diritto internazionale, della sua natura e delle sue caratteristiche, ma emergono ulteriori questioni relative alla possibilità di individuare i requisiti universalmente validi per tutti i paesi della Comunità

(6)

6 internazionale in base ai quali uno Stato sia obbligato a concederlo, e, nel caso in cui tali requisiti dovessero mancare, come impedire l’estradizione di un individuo in un paese in cui sarebbe esposto ad incolumità per la propria vita.

Recentemente si è assistito ad un fenomeno di progressiva erosione del principio di sovranità degli Stati, così che l’attenzione dedicata all’individuo e alle sue prerogative ha invertito la gerarchia di priorità tradizionalmente connesse al diritto internazionale che, essendo diritto degli Stati, poneva la persona fisica in secondo piano. Oggi, invece, la crescente pressione esercitata dai valori e interessi sovranazionali, soprattutto se connessi alla sfera di libertà dell’individuo, ha determinato la necessaria riconsiderazione di molti istituti del diritto internazionale.

In particolare, dalla vicenda di Julian Assange emergono tre questioni: se l’Ecuador può legittimamente vantare il diritto di concedere l’asilo diplomatico ad Assange, se il Regno Unito ha il diritto di porre fine all’asilo e, l’ultima, se Assange può invocare il diritto di protezione contro una presunta ingiustizia degli Stati Uniti.

Questioni di questo tipo non sono nuove nel diritto internazionale.

La questione dell’asilo diplomatico ha occupato politici, giuristi e studiosi di diritto durante i vari stadi di evoluzione del diritto internazionale.

Entrambi gli Stati hanno una carta vincente, lo Stato territoriale competente a prevenire la fuga e la partenza dal suo territorio, e lo Stato accreditato con l’inviolabilità della sua sede diplomatica per resistere alla cattura del rifugiato.

(7)

7 I disaccordi che scaturiscono dall’asilo diplomatico, come la prassi ci dimostra ampiamente, possono comportare una ben prolungata disputa.

L’insoddisfacente carattere dell’asilo diplomatico, sia da un punto di vista legale che da un punto di vista pratico, spiegano la riluttanza degli Stati a far uso di tale istituto.

In quei casi in cui gli Stati, sia per ragioni politiche che per ragioni umanitarie, hanno deciso di concederlo, hanno evitato o risolto la questione ricorrendo a mezzi di natura diplomatica.

Sembra che ragioni di opportunità politica, più che chiari principi di natura umanitaria, abbiano guidato, nel corso dei secoli, la pratica dell’asilo diplomatico. Di conseguenza, risulta faticoso individuare precisamente un fondamento giuridico unitario all’istituto in questione, praticato con frequenza soprattutto in una determinata area geografica, l’America latina, e solo sporadicamente su scala internazionale.

La questione relativa alla vicenda di Julian Assange, fornisce quindi uno spunto per una nuova indagine in materia.

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8

I Capitolo

1.1

Il Concetto di asilo, nascita ed evoluzione storica

dell’istituto: la protezione dalla persecuzione.

Il concetto di asilo, nato come forma di accoglienza e ospitalità nella tradizione dei popoli nomadi e di molte società antiche, esiste almeno da 3.500 anni. Intorno alla metà del secondo millennio avanti Cristo, quando cominciarono a svilupparsi delle entità simili agli Stati moderni con i propri confini definiti, i governanti iniziarono a concludere vari trattati con cui si disciplinava la protezione dei fuggiaschi degli altri territori. Sviluppatosi come nozione di luogo sacro o santuario inviolabile, l’asilo nella tradizione greca, e poi romana, trova la sua giustificazione etica nella necessità di proteggere lo straniero. La qualità dell’inviolabilità, in tale periodo storico, veniva attribuita ai siti di culto, considerati di esclusiva competenza del dio al quale erano dedicati e al loro interno qualunque individuo era immune dalla violenza umana, poiché considerato soggetto alla sola volontà divina1. “Tale intoccabilità, tuttavia, veniva riconosciuta in modo assoluto soltanto per i luoghi sacri consacrati al dio patrono della città; chiunque poteva trovare rifugio in tali siti, dagli schiavi fuggitivi ai criminali autori dei delitti più efferati”2.

Soprattutto nell'alto medioevo, l'asilo rispondeva ad un bisogno di sicurezza e alla necessità di contrastare, attraverso la creazione di luoghi

1

F. Lanzerini, “Asilo e diritti umani , l’evoluzione del diritto d’asilo nel diritto internazionale”, Giuffrè, (collana Univ. Siena-Dip. diritto pubblico), 2009.

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9 separati ed inviolabili, la devastazione causata dalle invasioni che connaturavano tale periodo, le stragi di guerra e le vendette private. Si trattava, inoltre, di uno strumento di moderazione del particolare rigore legislativo e dell’esercizio della giustizia, soprattutto di quella penale.

Nei secoli che vanno dal basso Medioevo alla metà dell’ottocento chiese e conventi divennero il rifugio per coloro che sfuggivano all’arresto e alla prigione. Tale accoglienza accordata dai religiosi non rispondeva soltanto a sentimenti di carità cristiana, ma era anche un modo per affermare la sovranità e i privilegi delle istituzioni ecclesiastiche in virtù del potere temporale. Con l’inizio dell’età moderna, l’asilo perde i suoi connotati religiosi per diventare espressione della sovranità dello Stato, rivendicando così il principio di supremazia territoriale. Con l’accresciuto potere della monarchia, il diritto di concedere asilo diviene sempre più prerogativa dello Stato con un corrispondente declino dell’inviolabilità dell’asilo all’interno dei luoghi sacri.

Nell’epoca contemporanea, il diritto di asilo si è affermato sotto due forme giuridicamente diverse: l’asilo territoriale, accordato da uno Stato sul proprio territorio e l’asilo diplomatico, accordato da uno Stato al di fuori del proprio territorio nelle sedi delle proprie rappresentanze diplomatiche estere, ambasciate e consolati.

L’asilo, come concetto giuridico, ha avuto le sue radici nella sovranità dello Stato e nel principio della supremazia territoriale.

Il diritto d'asilo, nella storia degli Stati nazionali, è divenuto strumento tipico di politica intergovernativa atto a configurare una "protezione

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10 sostitutiva" accordata da uno Stato diverso da quello che dovrebbe garantirla proprio in ragione della sua inerzia, intesa sia come incapacità di proteggere i soggetti sottoposti alla propria sovranità, sia come difetto della volontà di farlo.

Secondo il diritto internazionale, il diritto di asilo è il diritto degli Stati sovrani di accordare protezione del proprio territorio.

Nell’esercizio della loro sovranità gli Stati sono liberi di ammettere nel proprio territorio le persone che desiderano entrarvi (normalmente profughi o perseguitati politici) e, in mancanza di obblighi come quelli derivanti dagli accordi di estradizione, di rifiutarsi di riconsegnarle ad un altro paese, compreso quello di origine. In sostanza, il diritto di asilo come diritto sovrano degli Stati si concreta nella facoltà di ammettere nel proprio territorio profughi politici senza incorrere in alcuna responsabilità internazionale. Di conseguenza, anche gli Stati che non si sono assunti obbligazioni internazionali vincolanti in materia di asilo, possono offrire i benefici di una protezione sul loro territorio.

Tutt’oggi, nessun trattato o convenzione giuridicamente vincolante obbliga gli Stati a concedere asilo3.

La prima tappa importante nella storia del diritto d’asilo è quella della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del dicembre 1948. Tale documento sancisce all’art. 14 il principio del diritto d’asilo4:

3 Al di fuori degli obblighi eventualmente risultanti da accordi internazionali, sul

piano del diritto internazionale generale si rileva la totale assenza di vincoli alla libertà dello Stato di concedere o negare l’asilo sul proprio territorio.

(11)

11 1. Ogni individuo ha diritto di cercare e godere in altri paesi asilo dalle

persecuzioni

2. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l’individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite.

Questo articolo mostra manifestamente le ambiguità dell’istituto dell’asilo. Da una parte, la Dichiarazione è una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e quindi non vincola giuridicamente i paesi membri. Tale previsione infatti è tradizionalmente considerata come un mero “ideale comune per tutti i popoli e le Nazioni”. Dall’altra, è chiaro che non è ancora configurabile un diritto individuale all’asilo5. La sovranità degli Stati è preservata, è lo Stato d’accoglienza che stabilisce se concedere o no l’asilo, è libero di determinarne tutte le condizioni per la concessione.

4 La norma è il frutto di un compromesso raggiunto a fronte della decisa

opposizione della Gran Bretagna e di altre nazioni a consentire una specifica limitazione della propria sovrana discrezionalità.

5

Secondo la definizione elaborata dall’Istituto di diritto internazionale nella sessione congressuale di Bath del 1950, il diritto d’asilo consiste nella protezione accordata da uno Stato, all’interno della propria sfera territoriale (asilo territoriale) o in altro luogo (asilo extraterritoriale, ad es. presso missioni diplomatiche) ad uno straniero che ne faccia richiesta, in quanto perseguitato per motivi politici. Perché vi sia asilo, dunque, non è sufficiente che lo Stato di emigrazione offra allo straniero una qualche forma di rifugio, con la conseguente ammissione sul proprio territorio, ma occorre che ne assuma la protezione contro ogni forma di ritorsione eventualmente attuata da altri Stati. Nella sua veste moderna, dunque, l’asilo è espressione di una “strategia di lotta indiretta” condotta dagli Stati liberali contro gli Stati assoluti dell’ancien régime. In questi termini l’asilo politico è stato previsto, per la prima volta, nella Costituzione francese del 1793: “Il popolo francese dà asilo agli stranieri banditi dal loro paese per la causa della libertà e lo rifiuta ai tiranni”. E. Bernardi, Asilo politico, voce in Digesto delle Discipline pubblicistiche, Torino, 1987, vol. I, pp.421-430.

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12 Anche la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato pone le basi per il diritto d’asilo, ma questa si applica esclusivamente ai rifugiati, definiti dalla stessa in modo limitativo6.

Il testo fondamentale in materia di asilo è costituito dalla Dichiarazione sull’asilo territoriale del 1967 dell’Assemblea Generale delle N.U. L’importanza di questa Dichiarazione consiste nel fatto che essa costituisce, insieme alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, il solo testo di portata universale sull’asilo.

In essa vengono sanciti tre principi:

1. L’art. 1 dispone la solidarietà nei confronti del Paese di primo asilo, 1 comma “Il diritto di cercare e di godere dell'asilo non deve essere invocato da quelle persone rispetto alle quali ci sono fondate ragioni per credere che abbiano commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità, ai sensi degli strumenti internazionali elaborati per prevedere disposizioni relative a tali crimini.”, 2 comma “compete allo stato che concede l’asilo definire le cause che lo motivano”.

2. L’art. 3 dispone il principio del “non-refoulement” a titolo sia permanente, sia provvisorio, 1 comma “Nessuna persona indicata al par.1 dell’art. 1 sarà sottoposta a misure quali il rifiuto d’ammissione alla frontiera o, qualora sia già entrata nel territorio dove cerca asilo, l’espulsione o il respingimento verso uno Stato dove rischia di essere vittima di persecuzioni.”, 2 comma “Può essere fatta eccezione al

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13 precedente principio solamente per supreme ragioni di sicurezza nazionale o per salvaguardare la popolazione, come nel caso di afflusso massiccio di persone.”

3. L’art. 2 comma 2 dispone il principio in base al quale la concessione dell’asilo non costituisce un atto di inimicizia, ma è un atto pacifico ed umanitario che deve essere rispettato dagli altri Stati, “Qualora lo Stato abbia delle difficoltà a garantire o continuare a garantire l'asilo, gli Stati individualmente o assieme o attraverso le Nazioni Unite considereranno, in uno spirito di solidarietà internazionale, le misure appropriate per alleggerire il peso su tale Stato.”

Tuttavia, nonostante l’affermazione di tali principi, nessun trattato o convenzione giuridicamente vincolante obbliga gli Stati a concedere l’asilo. L’ostacolo principale consiste nel conflitto relativo alla concezione dell’asilo come “diritto dell’individuo” o come “diritto sovrano dello Stato”. Permane un irrisolta contrapposizione tra la natura dell’asilo riconosciuta dal diritto internazionale contemporaneo e la “sovranità resistente” degli Stati, restii a riconoscerlo come diritto soggettivo perfetto. Infatti, la consacrazione di un vero e proprio diritto all’asilo pregiudica l’assoluta discrezionalità degli Stati nella determinazione dei beneficiari della propria protezione, che costituisce uno degli elementi chiave della loro sovranità.

In conclusione si può affermare che, nonostante l’intenso percorso evolutivo che la materia ha compiuto, in ambito internazionale nessuna delle convenzioni, che si sono succedute nel tempo, può ritenersi adeguata ad incidere pienamente (giuridicamente e politicamente) sulla

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14 discrezionalità riconosciuta ad ogni Stato nel valutare le domande di asilo e nel potere di decidere in merito, con l’ovvia conseguenza di dover definire il diritto di asilo come un diritto “imperfetto”.

1.2 La definizione convenzionale di rifugiato: la Convenzione di

Ginevra del 1951

Le grandi masse di rifugiati del primo dopoguerra hanno fatto sì che emergesse, nel contesto internazionale, l’esigenza di definire il concetto giuridico di rifugiato, al fine di potergli garantire una forma di protezione internazionale, anche in considerazione della natura discrezionale della concessione dell’asilo da parte degli Stati.

Nel 1921 viene istituito l’Alto Commissario per i rifugiati, con il compito di garantire la protezione giuridica ed assistenza materiale ai rifugiati.

Tra il 1921 e il 1935 vengono adottate in ambito internazionale una serie di convenzioni che forniscono una prima definizione di rifugiato, individuando una serie di categorie protette: viene riconosciuta tale qualifica in virtù dell’appartenenza ad un gruppo omogeneo di persone private della protezione formale dello Stato di appartenenza. Si tratta, quindi, di provvedere ai problemi legali provocati, a livello internazionale, dal rifiuto di protezione da parte di uno Stato nei confronti dei suoi cittadini.

Nel periodo storico successivo, che va dal 1935 al 1939, che vede l’ascesa del regime autoritario nazista in Germania, l’elaborazione del concetto di rifugiato si arricchisce coinvolgendo la dimensione sociale del problema7: la

7

Si veda: C. La Peccerella, “L’istituto dell’asilo: evoluzione e cenni comparativi”, S.S.A.I., Contributi e Saggi, parte II, pag. 1029.

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15 protezione internazionale ricomprende le categorie di persone legate tra loro dalle cause della fuga. Caratteristica dei rifugiati di tale periodo, infatti, è il loro essere vittime indifese di eventi sociali e politici che li separano, e quindi privi della relativa protezione formale, dal loro Stato di origine.

Un ulteriore sviluppo nella formulazione del concetto di rifugiato è contrassegnato dagli sconvolgimenti provocati dalla II guerra mondiale. In questo periodo si avrà un punto di svolta in quanto si rifiuta la caratterizzazione dello status di rifugiato in base all’appartenenza a gruppi omogenei di persone. Questa nuova prospettiva, definita “individualista”, prende in considerazione il disaccordo tra le convinzioni personali dell’individuo ed i principi del sistema politico del suo paese. La conseguenza di tale rinnovato approccio è che non saranno più prese in considerazione categorie politiche o sociali predefinite, ma “il concetto di rifugiato diventa universale, astratto e applicabile a qualsiasi nuova situazione politica8”.

Il processo di elaborazione del concetto di rifugiato può dirsi concluso con l’adozione della Convenzione di Ginevra del 1951, con la quale venne data per la prima volta una definizione generale e internazionalmente riconosciuta di “rifugiato” e di tutti i diritti che conseguono al riconoscimento di tale status.

Contestualmente venne decisa l’istituzione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), un’agenzia intergovernativa finalizzata alla protezione internazionale e alla salvaguardia degli interessi dei rifugiati

8 Si veda: C. La Peccerella, op.cit.

(16)

16 e al rispetto del diritto d’asilo, alla prevenzione delle pratiche di rimpatrio forzato, promuovendo i rientri volontari, e all’integrazione nei paesi di accoglienza.

Secondo l’art. 1 della Convenzione “rifugiato” è colui che “avendo un fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o di opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale paese”. Dunque sono quattro i requisiti necessari per il riconoscimento dello status in questione:

1. La fuga dal propria paese. Il rifugiato deve essere materialmente uscito dal proprio paese.

2. Il fondato timore di persecuzione. Non occorre soltanto che il timore di persecuzione sia reale, ma che questa sia rivolta direttamente alla persona che richiede protezione. È importante sottolineare che la Convenzione non fornisce un proprio concetto di “persecuzione” ai fini del riconoscimento dello status, ma si limita ad individuarne le cause lasciando agli organi nazionali, deputati al riconoscimento di tale qualifica, il delicato lavoro di accertamento e interpretazione, così delicato se si considera che non esiste una nozione universalmente accettata.

Il “fondato timore” richiesto come presupposto è la chiave di lettura dell’intera definizione, in quanto fa emergere sia un elemento soggettivo consistente nel timore di si subire una persecuzione, sia un elemento oggettivo costituito dalle circostanze esterne senza il quale lo stato mentale di timore non acquista rilevanza.

3. Motivi specifici di persecuzione. La persecuzione, temuta o subita, deve essere operata in ragione di uno dei motivi indicati dallo stesso art. 1 della Convenzione.

(17)

17 4. L’impossibilità di avvalersi della protezione del proprio paese di origine. Il richiedente deve trovarsi nella condizione di chi non può o, non vuole, rivolgersi alle autorità del proprio paese, in quanto il c.d. “agente di persecuzione” può essere direttamente il Paese di origine o un altro soggetto da questi tollerato.

E’ importante sottolineare che la Convenzione di Ginevra non attribuisce al rifugiato un diritto soggettivo all’asilo (diritto di entrare e soggiornare in territorio straniero), ma gli accorda solo determinate tutele nel caso in cui uno Stato lo accolga.

L’attribuzione della qualifica di rifugiato viene effettuata nell’ambito degli ordinamenti degli Stati a cui viene presentata la richiesta d’asilo.

Una volta concesso l’asilo, e dopo che sia stato riconosciuto lo status di rifugiato, quest’ultimo gode di una serie di benefici, compresi i diritti e doveri previsti dalla Convenzione di Ginevra.

L’art. 5 autorizza gli Stati a garantire ulteriori diritti ai propri rifugiati, infatti il regime convenzionale è considerato lo standard minimo applicabile. Tra le norme della Convenzione che mirano a garantire un’effettiva tutela sono particolarmente rilevanti quelle che vietano di sanzionare l’ingresso o il soggiorno irregolare dei rifugiati (art. 31)9, che impediscono l’espulsione se non per motivi di sicurezza nazionale o ordine pubblico (art. 32), e di

9 “Nessuna sanzione può essere imposta dagli Stati contraenti ai rifugiati in buona

fede che provengono direttamente dal paese di persecuzione, purché essi presentino subito alle autorità competenti e dimostrino buone ragioni per il loro ingresso irregolare”

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18 fondamentale importanza per il sistema di protezione dei rifugiati è il principio del non-refoulement10 (art. 33) che verrà trattato in seguito. La Convenzione, inoltre, sancisce l’obbligo a carico dei rifugiati di conformarsi alle leggi e ai regolamenti del Paese in cui si trova.

Fino al 1967, la Convenzione di Ginevra prevedeva due limitazioni, la prima di carattere temporale, circoscriveva la sua applicazione agli individui che avevano subito persecuzioni per fatti antecedenti al 1° Gennaio 1951; la seconda, di tipo geografico, restringeva il campo di applicazione esclusivamente ai rifugiati di nazionalità europea. Entrambe le restrizioni sono venute meno nel 1967 con l’approvazione del Protocollo aggiuntivo di New York.

Ancora oggi entrambi i documenti, Convenzione e Protocollo aggiuntivo, sono considerati i principali strumenti del diritto internazionale in materia di rifugiati.

1.3 La relazione giuridica tra asilo e protezione dei rifugiati. Nella pratica si riscontra una stretta correlazione tra l’istituto dell’asilo e quello del rifugio, che, invece, a livello concettuale si trovano ad essere ben distinti. Infatti, la concessione dell’asilo consiste in un atto totalmente discrezionale di sovranità territoriale, mentre la protezione dei rifugiati è divenuta, con il tempo, un obbligo di carattere internazionale.

10

Principio del non respingimento, in base al quale il rifugiato non può essere respinto o espulso verso “le frontiere dei luoghi ove la sua vita e la sua libertà sarebbero minacciate”.

(19)

19 Il rifugiato è colui che si trova ad essere protetto sia dalle leggi dello Stato che lo accoglie sia dalle norme internazionali, potendo, inoltre, godere del diritto d’asilo che lo Stato di accoglienza decide di concedergli.

Non è ancora definito con chiarezza, nei vari ordinamenti, il ruolo del diritto di asilo rispetto allo status di rifugiato.

La libertà che spetta allo Stato in materia di concessione dell’asilo, va incontro a determinate limitazioni convenzionali e normative: il diritto di asilo è infatti previsto tanto da documenti internazionali (come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e la Dichiarazione sull’asilo territoriale del 1967), quanto da strumenti nazionali (quali ad esempio le Costituzioni italiana, francese e tedesca).

In assenza di una definizione convenzionale di diritto di asilo11, la dottrina si rifà generalmente a quella formulata dall’Istituto di diritto internazionale (elaborata nella sessione di Bath del 1950), in base alla quale l’asilo esprime un concetto di applicabilità generale, indicando la protezione che uno Stato accorda sul proprio territorio ad un individuo che la richiede, in quanto privato della protezione del suo Paese d’origine, a prescindere dai motivi della sua fuga.

In alcuni ordinamenti, come nel sistema italiano12, il diritto di asilo è meramente prodromico allo status di rifugiato. In altri, invece, assume un ruolo maggiormente significativo, più ampio e autonomo, fino ad elevarsi a vero e proprio diritto soggettivo.

11 L’art. 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea

Generale delle Nazioni Unite il 10 Dic. 1948, ha consacrato il diritto di asilo senza darne una definizione, alludendo alla situazione di chi fugge da una persecuzione.

12

Si veda, S. Del Core, Diritto d’asilo e status di rifugiato nella giurisprudenza di legittimità (Giust. Civ.2007,04,135).

(20)

20 Ad esempio, questa correlazione, se non vera e propria assimilazione, tra i due istituti in questione, è accolta nella generalità dei sistemi legislativi degli Stati Europei: ad una persona che presenta una domanda per ottenere lo status di rifugiato le autorità pubbliche possono accordare discrezionalmente una protezione sussidiaria a titolo di asilo.

Al di là delle diverse definizioni, i due istituti giuridici sono stati spesso accomunati. L’asilo, infatti, non ha rivestito un ruolo autonomo, ma è stato ricondotto nell’ambito della disciplina dello status di rifugiato, come presupposto di quest’ultimo, risultando nell’ammissione da parte di uno Stato di un individuo alla ricerca di protezione, al solo fine di accedere al successivo riconoscimento dello status di rifugiato.

Da questo collegamento ne è risultata la privazione di un’autonomia dell’asilo a favore dello status di rifugiato. Ma il diritto e lo status sono due posizioni giuridiche differenti13.

Nella Convenzione di Ginevra si parla espressamente di “riconoscimento della qualità di rifugiato”, ma la qualità è cosa ben diversa dalla titolarità di un diritto.

Lo status è il presupposto di una sfera di capacità e quindi di una serie aperta di poteri e doveri, o rapporti, che possono variare senza che cambi lo stato14.

Il diritto, invece, consiste nella posizione giuridica di vantaggio riconosciuta a favore di un determinato soggetto, è un potere di agire per la realizzazione di un interesse.

13

Si veda: Santoro Passarelli F., “Dottrine generali del diritto civile”, Napoli, Novene 2002.

(21)

21 La stessa Convenzione di Ginevra del 1951, che costituisce il testo fondamentale in materia di protezione dei rifugiati, fa un riferimento alquanto generico al diritto d’asilo, escludendo espressamente che questo sia un dovere imposto agli Stati, ad eccezione del solo principio del non-refoulement (art. 32-33), che verrà trattato nel paragrafo successivo.

Il Regime di Ginevra non si applica a qualunque soggetto richiedente asilo, ma ad una specifica categoria di persone: i rifugiati. Oggetto della Convenzione è quello di stabilire il trattamento e il livello di protezione dei rifugiati cui sono tenuti gli Stati che hanno deciso di accoglierli. Infatti, è bene sottolineare che “la Convenzione non accorda espressamente ai rifugiati un diritto di asilo, rispettando in ciò la piena sovranità dello Stato nel decidere a chi accordare rifugio e protezione”15.

Tra le nozioni di “rifugiato” e “richiedente asilo” esiste senza ombra di dubbio una correlazione, dovuta alla comunanza di ordine funzionale, ma è opinione diffusa in dottrina quella secondo cui le due posizioni giuridiche, anche in ambito internazionale, non vadano confuse “è bene evidenziare che se è possibile godere dell’asilo senza beneficiare dello status giuridico di rifugiato, a contrario nessuna disposizione convenzionale prevede che il riconoscimento dello status di rifugiato comporti un obbligo da parte di uno stato di accordare l’asilo”16.

L’indubbia confusione concettuale tra i due istituti ha fatto sì che si avesse una reale, ma non per questo giustificata, assimilazione dei due termini in

15 M. Pedrazzi, “Il diritto di asilo nell’ordinamento internazionale agli albori del terzo

millennio”, in: “Verso una disciplina comune europea del diritto d'asilo”, a cura di L. Zagato, Padova, CEDAM, 2006, pag. 19.

16

E. M. Mafrolla, “Evoluzione del regime internazionale in materia di asilo”, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 2001, pag. 365.

(22)

22 un unico diritto dell’individuo a richiedere protezione nei casi previsti sia dalla legislazione nazionale di ogni singolo Stato, sia dalla normativa internazionale. Può ben dirsi che il diritto d’asilo è stato oscurato dagli sviluppi che la protezione convenzionale dei rifugiati ha conosciuto.

1.4 Il principio del Non-refoulement.

Come in precedenza sottolineato, non esiste tra le disposizioni convenzionali una norma che riconosca formalmente il diritto di asilo politico, al contrario viene affermato e riconosciuto, nei principi e trattati internazionali, il diritto di ogni Stato di controllare ingressi e soggiorni di individui stranieri sul proprio territorio e di provvedere legittimamente alla loro espulsione. Tuttavia, tale diritto non risulta essere illimitato ma trova il suo limite nel principio del non-refoulement. Quest’ultimo consiste nel divieto di allontanare dal proprio territorio coloro che corrono il rischio di subire atti di tortura o trattamenti crudeli, inumani e degradanti nello Stato di destinazione.

In termini pratici, il principio del non-refoulement costituisce il nucleo essenziale e caratterizzante del diritto d’asilo17, esso rappresenta la fattispecie minima nella quale tale diritto trova compimento.

Il principio in questione è stato oggetto di una progressiva evoluzione che ne ha con il tempo potenziato l’estensione applicativa, compensando le lacune che nella sua accezione tradizionale lo rendevano incompleto.

17

F. Lanzerini, “Il principio del non-refoulement dopo la sentenza Hirsi della Corte Europea dei diritti dell’uomo”, Rivista di Diritto Internazionale 03/2012, pag. 721.

(23)

23 La formulazione classica e generalmente accettata del principio del non-refoulement è contenuta nell’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 che stabilisce quanto segue:

1. Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere (refouler), in nessun modo, un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a

causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche. 2. Il beneficio di detta disposizione non potrà tuttavia essere invocato

da un rifugiato per il quale vi siano gravi motivi per considerarlo un pericolo per la sicurezza dello Stato in cui si trova, oppure da un rifugiato il quale, essendo stato oggetto di una condanna già passata in giudicato per un crimine o un delitto particolarmente grave, rappresenti una minaccia per la comunità di detto Stato. Tale norma, anche a causa del periodo storico in cui è stata formulata, è fortemente riduttiva rispetto alla portata attuale, anche se lo scopo da essa perseguito resta immutato, scopo che consiste nel prevenire il rischio della sottoposizione del soggetto espulso a trattamenti contrari al senso di umanità.

A tal proposito si può notare come la formulazione letterale dell’art. 33 si riferisce alla “vita e libertà” in maniera riduttiva, portando ad escludere tutte quelle situazioni pratiche in cui la persecuzione non sia suscettibile di tradursi in trattamenti che privano la vita o violano la libertà personale. In realtà, come si evince dall’analisi della prassi legislativa e, soprattutto

(24)

24 giurisprudenziale, il principio in questione si estende a tutte le situazioni in cui la persona che chiede protezione corra il rischio di subire una lesione dei propri diritti umani fondamentali internazionalmente riconosciuti18.

L’espansione che ha acquisito il principio del non-refoulement è il risultato di un processo evolutivo che ha determinato una totale riformulazione, sia sotto un punto di vista contenutistico che applicativo, rispetto all’enunciato dell’art. 33 della suddetta Convenzione.

Il divieto del refoulement è stato esplicitamente previsto e regolamentato da strumenti internazionali19, adottati successivamente alla Convenzione di Ginevra, che hanno generalmente adottato un orientamento maggiormente innovatore rispetto ad essa.

Esiste, anche, una parte della dottrina, seppur minoritaria, che sostiene che il divieto di “refoulement” costituisce un principio di diritto internazionale di natura cogente (jus cogens), fondando tale tesi su alcuni precedenti giurisprudenziali della Corte Europea dei diritti dell’uomo20. Tuttavia, non possiamo condividere tale posizione, infatti, è bene precisare che il principio in questione, sia nella sua configurazione originaria, rappresentata dall’art. 33 della Convezione di Ginevra, che nel suo assetto

18

F. Lenzerini, “Asilo e diritti umani”, Milano, 2009, pag. 336 ss.

19

Ne segue un elenco non esaustivo: Dichiarazioni delle N.U. sull’asilo territoriale del 1967, la Convenzione americana dei diritti umani del 1969, la Convenzione dell’Organizzazione per l’Unità africana del 1969, la Convenzione delle N.U. contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumane e degradanti del 1984, la Dichiarazione di Cartagena sui rifugiati del 1984, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea adottata a Nizza nel 2000.

20

Si veda S. Mirate, “Gestione dei flussi migratori e principio di non refoulement: la Corte EDU condanna l’Italia per i respingimenti forzosi di migranti in alto mare”, Resp. Civ. e prev. 2013, 2, 454

(25)

25 attuale, è espressamente soggetto ad una serie di deroghe21, condizione che

porta ad escluderne l’inderogabilità (qualità caratterizzante lo jus cogens). La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, invece, non ammette deroghe né riguardo a situazioni eccezionali, né in presenza di una minaccia terroristica o di un pericolo per la sicurezza del Paese22.

La dottrina maggioritaria, invece, nega il carattere cogente del principio in esame, più precisamente ne condiziona l’inderogabilità al divieto di tortura, “posto che il divieto di tortura costituisce un principio di ius cogens e che il non-refoulement rappresenta una delle fattispecie in cui si scompone il divieto di tortura, la conclusione logica è quella per cui anche il non-refoulement assurge al livello di norma cogente, ovviamente nella misura in cui funzionale a proteggere la persona da trattamenti riconducibili alla tortura. Lo stesso ragionamento può essere esteso alle altre fattispecie in cui la protezione dal respingimento sia indispensabile al fine di proteggere l’individuo da altri trattamenti integranti violazioni di norme di jus cogens (ad esempio la riduzione in schiavitù)”23.

A prescindere dall’appartenenza o meno alla categoria del diritto internazionale cogente è indubbio che il divieto di refoulement sia un diritto internazionale consuetudinario.

21

La ratio dell’art 33 co. 2, e delle deroghe ivi disposte, consiste nel sollevare gli Stati dall’obbligo di offrire protezione a soggetti che possano mettere a rischio l’ordine e la sicurezza pubblica, valore questo considerato, in quel contesto storico, come prioritario rispetto alla protezione degli stranieri da eventuali violazioni e persecuzioni.

22 Così è stato, ad esempio, nel caso dei sospetti terroristi islamici nella pronuncia

della Grande Camera Corte EDU, 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia.

23

F. Lanzerini, “Il principio del non-refoulement dopo la sentenza Hirsi della Corte Europea dei diritti dell’uomo”, Rivista di Diritto Internazionale 03.2012, pag. 721.

(26)

26 Per quanto riguarda l’aspetto relativo alla natura dei provvedimenti statali ai quali si estende l’ambito di applicazione del principio in esame, è ampiamente diffusa l’opinione in dottrina in base al quale si prescinde da qualsiasi considerazione legata alla natura giuridica dei provvedimenti adottati per attuare i respingimenti, infatti il divieto riguarderà anche quei provvedimenti formali quali l’estradizione e l’espulsione. Inoltre , è bene sottolineare che, il divieto di refoulement estende da sua operatività non soltanto nel caso in cui il pericolo di persecuzione provenga direttamente dall’apparato statale, ma anche nel caso in cui il persecutore appartenga a gruppi privati contro la cui attività l’autorità lo Stato non voglia o non possa intervenire adeguatamente.

Il principio del non-refoulement, di fondamentale importanza, in quanto strettamente connesso al rispetto e alla tutela della vita umana dal rischio di torture o trattamenti degradanti, ha assunto un’accezione così ampia ed estesa da aver superato l’ambito di applicazione previsto per la concessione dell’asilo.

1.5 La politicità del reato.

E’ noto come nel paradigma dell’istituto dell’asilo e del rifugio ha da sempre svolto un ruolo caratterizzante la tipologia del reato “politico”. L’istituto dell’asilo, come in precedenza affermato, è nato come impunità di fatto, facendo si che il reo si sottraesse all’applicazione della giustizia rivendicata dallo Stato territoriale in cui il reato fosse stato commesso.

(27)

27 Storicamente, con l’affermazione del sistema feudale, l’asilo è stato già del tutto consacrato e si è praticato ampliamente, tuttavia, raramente con il carattere di asilo politico, a causa della gravità che gli era attribuita.

La tendenza a non riconoscere validità all’asilo di delinquenti politici, nei secoli XV e XVI, si spiega con il potere assoluto che si attribuiva alla figura del principe. In questo ambiente il crimine politico appariva caratterizzato da una gravità eccezionale, posto che, oltre a costituire, direttamente o indirettamente, un’offesa al principe, rappresentava una ribellione contro un potere politico personale considerato assoluto e di origine divina. Al contrario, il crimine di diritto comune non era considerato come crimine contro la società e per tale motivo era ritenuto meno grave.

Il disfacimento del sistema feudale e l’apparizione della monarchia assoluta portarono al declino, da un punto di vista teorico, dell’asilo soprattutto politico. Tuttavia, il potere assoluto dei monarchi e le differenze ideologiche fecero aumentare, nella pratica, i casi di asilo richiesti per motivi politici o religiosi. Proprio in tale periodo si affermò la tendenza a proteggere principalmente il “delinquente” politico e non il delinquente comune. L’asilo concesso a favore dei politici iniziò a rivestire carattere di necessità sociale. Grozio, nel “De Jure Belli ac Pacis”24, già difendeva l’asilo politico non solo come diritto dello Stato di concedere rifugio, bensì come un dovere dello stesso Stato.

Si era così creato il moderno concetto di rifugio/asilo, la scienza giuridica distingueva tra delitti comuni e politici. La solidarietà degli Stati, che non

24 Lib. II, Cap II, XII.

(28)

28 incontrava ostacoli quando si trattava di comuni delinquenti, tendeva a sparire nei casi di delinquenza politica.

La tendenza a dare ai delinquenti politici un trattamento di favore si accentuò nel XVIII sec. e già a metà del XIX sec. solo i rifugiati politici erano ritenuti meritevoli di protezione, con la conseguenza di negare definitivamente l’asilo nei confronti dei delinquenti comuni.

Per quanto riguarda la distinzione tra crimini comuni e politici, la maggior parte degli autori ritiene che nelle infrazioni di natura comune la criminalità dell’atto è assoluta, consacrata da tutti i popoli che si trovano allo stesso livello di civilizzazione. Per i delitti politici, invece, la criminalità è considerata relativa, vale a dire che ciò che è considerato delitto da una parte della frontiera può non esserlo dalla parte opposta.

L’estradizione, che storicamente veniva largamente concessa in relazione ai delinquenti politici, è stata del tutto negata in occasione di tali reati. La prassi costante nel diritto internazionale di vietare l’estradizione di coloro che fossero accusati di un delitto “politico”, ha origine nel periodo storico che va dalla prima metà del XIX sec.

La tradizione liberale, che caratterizzava tale periodo, è stata mossa dall’esigenza di fornire una tutela a coloro che avrebbero potuto essere oggetto di persecuzione solo a causa delle proprie ideologie politiche. Ma tale protezione, per quanto giustificata, ha finito per attribuire un connotato positivo alla figura del delitto/delinquente politico.

Il concetto di “delitto politico” emerso in questa fase inglobava in sé: “l’offesa ai beni e interessi politici (delitto oggettivamente politico), l’offesa

(29)

29 ispirata da motivi politici (delitto soggettivamente politico) e l’offesa commessa allo scopo di realizzare, occultare e portare alle sue conseguenze il delitto politico”25.

Ma ben presto, di fronte alle contingenze terroristiche, i limiti all’estradizione derivanti dalla natura politica del reato sono stati superati dalle cc.dd. clausole di depoliticizzazione, con cui gli Stati si sono impegnati, con strumenti convenzionali come la Convenzione Europea per la repressione del terrorismo del 1970, a non considerare politici alcuni reati.

Di fronte alla difficoltà di individuare una nozione condivisa di “politicità” del reato, è stata attuata un’opera di ridimensionamento che sottraeva alla sfera di protezione classica dei reati politici, gli atti di aggressione ai beni primari dell’individuo che “quand’anche fossero stati commessi per affermare le libertà democratiche, con quelle stesse libertà fossero entrate in rotta di collisione per le modalità della loro esecuzione”26.

Con il tempo si è assistito ad una sostanziale riduzione dell’ambito del reato politico, riservando il trattamento privilegiato (negando quindi l’estradizione) soltanto agli autori di azioni delittuose che non comportino una totale violazione dei diritti primari ed irrinunciabili della persona.

Ciò che emerge con chiarezza è la rinnovata sensibilità internazionale, non più disponibile ad attribuire la qualifica di “politico” a quelle condotte caratterizzate da una particolare gravità, lesive dei beni primari quali la vita, l’integrità fisica e la libertà.

25

B. Galgani, “Estradizione, reato politico e clausola di non discriminazione”, in Archivio penale, 2012, n.1, pag 11.

(30)

30 Purtroppo, a questa rinnovata visione non corrispondono sempre adeguate legislazioni statali, essendo ancora previste norme che tutelano il reato politico senza distinzione alcuna, contribuendo così a provocare squilibri internazionali.

1.6

La particolare tradizione latinoamericana in materia di

asilo.

L’istituto dell’asilo nasce in America Latina con il consolidamento delle repubbliche indipendenti, ed è in questo periodo che si perfeziona e si sviluppa per poi convertirsi, dopo un lungo processo evolutivo, in uno dei principali contributi forniti al diritto internazionale.

Le condizioni politiche e sociali delle emergenti repubbliche e gli ideali di libertà, propri di questi popoli, portarono in molte occasioni all’insediamento di regimi dittatoriali che utilizzavano tutti i tipi di repressione per la loro instaurazione. Tale contesto ha portato da un lato alla formazione di grandi partiti politici, dall’altro alla nascita di movimenti rivoluzionari.

Luis Carlos Zarate, riferendosi al tema in questione, dice: “L’istituto americano dell’asilo, con le particolari caratteristiche che riveste in questo continente, si presenta come il risultato di due condizioni coesistenti che emergono, uno nel campo del diritto, l’altro nel campo dei fatti politici, che si sono manifestati durante la storia di questo gruppo di Stati; da un lato vi è l’autorità dei principi democratici, riguardanti la persona umana e la libertà di opinione, e dall’altro vi è l’eccezionale frequenza delle rivoluzioni armate

(31)

31 che hanno reso precaria la sicurezza e la vita delle persone che hanno militato negli schieramenti sconfitti”27.

E’ frequente in dottrina l’affermazione secondo la quale la tradizione dell’asilo latinoamericano è un fenomeno autonomo, rispetto alla tradizione e al diritto universale (internazionale) in materia. Questa tesi sostiene che l’autonomia ha avuto origine nell’affermazione dell’indipendenza degli Stati e ha trovato fondamento sia nella messa in pratica dei principi che ispiravano il movimento emancipatore, sia nella preoccupazione dei nuovi Stati di mantenere intatta la loro sovranità, in virtù della quale ognuno di loro poteva ammettere nel proprio territorio l’individuo che giudicasse conveniente.

In realtà, gli antecedenti storici analizzati portano a sostenere che questa tesi non corrisponde totalmente alla realtà, specialmente per quanto riguarda l’asilo territoriale. Nel 1939, in occasione del dibattito relativo al Trattato sull’asilo e il rifugio politico di Montevideo, si convenne riguardo al fatto che “sebbene l’asilo si sia sviluppato particolarmente in America, questa istituzione, contrariamente a quanto si suole affermare, non è nata né in questi giorni né in questo continente”28.

L’asilo, infatti, nella sua particolare concretizzazione come asilo territoriale, trova riconoscimento tanto nel sistema universale quanto in

27

Alba Coello M., “El asilo em frente a convenciones”, Afese, n°21, 1992,

consultabile sul sito internet

http://www.afese.com/img/revistas/revista40/artAlbaCoello.pdf.

28

Secondo Congresso Sudamericano di dir. Internazionale privato, Resoconto delle discussioni, redatto dal relatore e delegato del Chile, Julio Escudero, Montevideo, 1939.

(32)

32 quello interamericano, e la natura giuridica della sua nozione non è differente in America latina o in Spagna o altri paesi Europei.

In seguito alla soppressione dell’asilo religioso, come conseguenza delle lotte tra il potere ecclesiastico e il potere statale, in Europa a partire dal XVIII secolo, specialmente dopo la Rivoluzione Francese, l’asilo, che nelle sue diverse manifestazioni era una forma di protezione ai perseguitati per reati comuni, diventò un tipo di protezione per i perseguitati per reati politici, prima esclusi dal beneficio.

Durante il XIX secolo questa tendenza continuò a svilupparsi in Europa, arrivando all’apice con gli eventi del 1848-49, quando si impose, sia negli accordi tra i governi sia nella scienza giuridica, il criterio di negare l’estradizione nei casi di delitti politici29.

Questo criterio era sostenuto sia dai paesi europei che dall’America Latina. Da quanto detto, si desume che esiste un tronco comune nelle tradizioni dell’asilo dei diversi continenti e questo si può individuare nella rivoluzione francese, in quanto, a partire da questa, l’asilo assunse un carattere civile che pose fine alla connotazione religiosa che aveva mantenuto fino al XVIII secolo.

L’evoluzione dell’istituto dell’asilo nel continente latino americano si caratterizzò per la sottoscrizione di una serie di convenzioni30, ed iniziò immediatamente dopo l’indipendenza, come dimostra il fatto che già nel 1823 il Messico aveva celebrato un accordo sull’estradizione con la Colombia, che consacrava l’istituto in questione.

29

Argomento approfondito nel paragrafo 5 del presente capitolo.

(33)

33 La Conferenza di Lima, celebrata nel 1867, è stata la prima opportunità in cui si regolamentò il diritto di asilo in modo positivo, posto che fino a quel momento vigevano solo consuetudini31. Ventidue anni più tardi, il 23 gennaio del 1867, in occasione del Primo Congresso Sudamericano di diritto internazionale privato, celebrato a Montevideo, fu sottoscritto il più antico strumento convenzionale, intitolato “Trattato di diritto internazionale penale”. Tale trattato, oltre a stabilire che l’estradizione non viene concessa nei casi di reati politici o comuni connessi, contiene un capitolo in cui si stipula che “l’asilo è inviolabile per coloro che hanno commesso reati politici”32.

Questo carattere inedito del diritto convenzionale americano, che si sviluppa a partire dalla seconda metà del XX secolo, è, senza dubbio, un fenomeno storico che sta alla base della discussione contemporanea sulla ricezione e l’applicazione, nel continente, del sistema universale di protezione dei rifugiati e permette di comprenderne le cause. Tali cause non sono di carattere né teorico né dottrinale, bensì di carattere politico e storico.

Parte della dottrina sostiene, riferendosi in modo specifico all’asilo diplomatico, che l’istituto si pratica soprattutto nei paesi dove il malcontento e l’instabilità politica sono più frequenti e ciò spiega il perché si sia sviluppato in America Latina, caratterizzata da un contesto di instabilità dei governi, di rivolte, di colpi di Stato, di turbolenze civili e di rivoluzioni politiche.

31

J. Tineo-Farias, “El asilo politico, un analisis critico y una tesis”, edicion particolar, OAS Law Library, 1979, pag 13.

(34)

34 Lo sviluppo in America Latina dell’istituto dell’asilo non è una continuazione di una pratica radicata in Spagna, infatti non vi sono adeguati elementi che permettano di affermare che la scelta dell’asilo diplomatico, come la via più comune di protezione ai perseguitati politici, si debba ad una applicazione consapevole e ragionata delle norme in vigore in Spagna o in altri paesi europei.

Per un altro verso, il reiterato richiamo ai principi di non intervento e di inviolabilità del territorio nazionale, che hanno origine nel fenomeno dell’indipendenza latino-americana e nella preoccupazione dei nuovi Stati di affermare, ognuno nei confronti dell’altro, la loro sovranità e integrità territoriale, è un elemento fondamentale per comprendere la tradizione americana in materia di asilo. I suddetti principi costituiscono le principali giustificazioni teoriche dell’inviolabilità di questa istituzione, però non spiegano né lo sviluppo dell’asilo nel continente, né la preponderanza della modalità dell’asilo diplomatico.

Il fenomeno trova la sua spiegazione principale in tre fattori che si relazionano fra loro. Il primo è l’instabilità politica e i successivi conflitti per il controllo dei governi33, che sfociano bruscamente in persecuzioni politiche. Il secondo fattore è che, quasi sempre, detti conflitti minacciavano di espandersi nel paese vicino, motivo questo che rendeva necessario porre in essere accordi vincolanti tra gli Stati interessati al fine di evitarne la diffusione.

33

S. Dutrenit Bielus, “Sobre la perception y la decision politicas de aplicar el asilo diplomatico: una reflexion desde experiencias latinoamericanas”, Revista America Latina Hoy n° 22, Universidad de Salamanca, 1999, pag 111-118.

(35)

35 In tal senso, è significativo il Trattato generale di Pace e Amicizia34 del

1907, sottoscritto dai governi dell’America centrale a causa delle contese centroamericane, cui i principali obiettivi erano quelli di prevenire le cause più frequenti di disordine nelle Repubbliche, e di ristabilire e mantenere la pace interna.

Il terzo fattore, non meno importante, che spiega in particolare lo sviluppo dell’asilo diplomatico in America Latina, è costituito dalle condizioni geografiche e di comunicazione, che rendevano impossibile l’asilo territoriale. I numerosi mezzi di comunicazione disponibili in Europa erano, al contrario, scarsi nel continente americano. Questa condizione ha reso l’asilo diplomatico la soluzione più rapida e sicura per fornire protezione al perseguitato politico.

In questo senso, la persistente consacrazione dell’asilo non rileva un’eccessiva generosità dei governi. Al contrario questa tradizione latino-americana è caratterizzata da una ampia resistenza a concedere l’asilo. Infatti, si può affermare che la maggior parte delle conferenze furono convocate per risolvere problemi originati dalle difformità relative all’applicazione dell’asilo, e le stesse convenzioni furono concepite per restringere la pratica dei governi, piuttosto che per consacrarla.

Difatti, secondo vari autori35, le convenzioni, a partire dal XIX secolo, hanno avuto come principale obiettivo evitare, il più possibile, l’abuso della pratica dell’asilo, a causa della sua applicazione senza controllo36.

34 Sottoscritto a Washington il 20 Dicembre 1907 dai governi di Costa Rica,

Guatemala, Honduras, Nicaragua e El Salvador.

35

Per approfondimenti in merito alla relativa dottrina si veda: C. A. Fernandes, “Do asilo diplomatico”, Coimbra editora, 1961, pag. 95-126.

(36)

36 La formula proibitiva dei vari testi convenzionali successivi riflette la resistenza generale ad accettare un compromesso definitivo.

In conclusione, si può sostenere che la tesi che sostiene una pretesa autonomia della tradizione latinoamericana in materia di asilo è accettabile solo in quanto si riferisce all’istituto dell’asilo diplomatico, dovendosi invece negare tale argomentazione riguardo all’istituto dell’asilo territoriale.

Per poter meglio comprendere la portata di tale ultima affermazione, è opportuno tracciare la netta distinzione che permette di distinguere le due tipologie d’asilo.

L’asilo territoriale si riferisce tradizionalmente al diritto degli Stati di concedere protezione agli stranieri presenti nel proprio territorio, al fine di tutelare tali individui dalle persecuzioni messe in atto dallo Stato di appartenenza. Logicamente questo diritto è stato associato al diritto degli Stati di rifiutare l’estradizione di individui presenti nel proprio territorio37.

Questa forma di asilo presuppone che l’individuo sia presente fisicamente nel territorio dello Stato che concede l’asilo, l’individuo deve esser riuscito a lasciare lo Stato che vuole esercitare la propria giurisdizione per i presunti reati.

La Corte Internazionale di giustizia ha affermato, nel caso, più volte citato, relativo all’asilo, che la concessione dell’asilo territoriale “è un normale esercizio della sovranità territoriale” perché “il rifugiato è fuori dal territorio

36 Come vedremo nel paragrafo 3 del 2° capitolo, già nelle Conferenze di Lima il

dibattito centrale riguardava la proposta del Perù di abolire l’asilo.

37

A. Grahl-Madsen, “The status of Refugees in International Law”, Leiden, A. W. Sijthoff, 1972, Vol. II, pag. 23.

(37)

37 dello Stato dove il reato è stato commesso e la decisione di concedergli l’asilo non deroga in alcun modo la sovranità di tale Stato”38.

Il diritto di concedere l’asilo territoriale trova la sua base anche nel principio fondamentale secondo cui lo Stato ha un esclusivo diritto di esercitare la giurisdizione sugli individui presenti nel proprio territorio.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha affermato che la concessione dell’asilo è un atto pacifico ed umanitario, un normale esercizio della sovranità dello Stato, e per tale motivo esso deve essere rispettato da tutti gli altri Stati39.

L’asilo diplomatico, invece, è quel particolare tipo di protezione accordato da uno Stato ad un individuo al di fuori del proprio territorio, tramite i suoi agenti operanti nello Stato estero alla giustizia del quale il rifugiato cerchi di sottrarsi (meno convenzionalmente, è stato anche concesso in strutture militari e a bordo di navi ed aerei militari)40.

L’asilo extraterritoriale è problematico perché, a differenza di quello territoriale, l’individuo protetto si trova ancora nel territorio dello Stato che intende perseguirlo, comportando una palese deroga alla competenza esclusiva che lo Stato territoriale ha in materia di amministrazione della giustizia penale sul proprio territorio.

Secondo una regola fondamentale di diritto internazionale, gli Stati non possono esercitare la loro giurisdizione al di fuori del proprio territorio. Considerando quanta importanza gli Stati e il diritto internazionale hanno da

38 Asylum (Colombia v Perù), Judgment, ICJ Reports (1950) 226, pag. 274, spec. par.

2.6.

39

Assemblea Generale, Risoluzione 2312 (XXII), 14.12.1967, Art. 1.

40

F. Morgenstern, “Extra-territorial Asylum”, 25 British Yearbook of International Law, 1948, pag 253-255.

(38)

38 sempre attribuito alla sovranità, una tale intrusione è accettabile solo se essa ha un chiaro fondamento nel diritto internazionale.

(39)

39

II Capitolo

2.1 Nascita ed evoluzione dell’asilo diplomatico

L’asilo diplomatico è emerso nel XV° e XVI° secolo in Europa come conseguenza della trasformazione delle ambasciate da temporanee in permanenti e con la connessa estensione del privilegio per l’ambasciatore dell’inviolabilità sia personale (ratione personae) che della sua residenza e della missione diplomatica (ratione loci)41.

In seguito alla proibizione alle autorità locali di entrare nelle sedi diplomatiche , i fuggitivi ne hanno approfittato cercando rifugio in tali sedi. La dilagante pratica dell’asilo diplomatico, in questo periodo, è stata ulteriormente rafforzata dalla scomparsa delle più tradizionali forme di asilo42.

Studi sulla pratica dell’asilo diplomatico dal XV° al XVIII° secolo rivelano come, sebbene ampiamente riconosciuto, la sua concessione dava vita a frequenti contrasti, specialmente se il beneficiario era stato accusato di alto tradimento o altri crimini riguardanti interessi pubblici, arrivando, in alcuni casi, all’entrata forzosa nelle sedi diplomatiche per provvedere alla cattura del criminale. Un famoso episodio riguarda il Duca Johan Willem Ripperda, ambasciatore del governo olandese a Madrid (dal 1715 al 1726), accusato di alto tradimento e appropriazione indebita di ingenti somme di denaro. Il

41

E’ nel XV secolo che per la prima volta, nella storia delle relazioni internazionali, cominciano a manifestarsi le prime forme di rappresentanza diplomatica permanente. Si può ritenere che le prime istituzioni di rappresentanze diplomatiche a carattere stabile risalgano alla metà dell’Ottocento. La legazione permanente del Ducato di Milano nella Repubblica di Genova e Napoli, dal 1455 in poi, ne è uno dei primi esempi.

42

In particolare si tratta dell’abolizione delle città rifugio e dell’entrata in disuso di asili concessi in chiese e santuari.

(40)

40 Duca, intimorito dalle possibili ripercussioni, si rifugiò presso l’ambasciata inglese a Madrid da cui venne, però, forzosamente prelevato proprio a causa della gravità delle accuse imputategli43.

La sovranità territoriale è stata usata anche per rinnegare gli abusi dell’asilo diplomatico come avvenne per la “Franchise du quartier”44, la pratica attuata in alcune città Europee come Madrid, Venezia, Roma e Francoforte, in base al quale l’ambasciata rivendicava il diritto di poter prevenire l’arresto delle persone che si trovavano fisicamente nel perimetro intorno l’ambasciata, con la conseguenza che interi distretti/quartieri erano considerati rientranti nell’inviolabilità dell’ambasciata.

Fino al XIX° secolo l’asilo diplomatico era giustificato e spiegato da, un’ormai defunta, teoria dell’extra-territorialità, secondo cui le sedi diplomatiche si sottraevano alla sovranità territoriale dello Stato ospitante in quanto soggette alla sovranità dello Stato d’invio45.

L’abuso dei privilegi diplomatici, l’idea di un’esclusiva sovranità territoriale e l’insistenza su un’ordinata amministrazione della giustizia, spiegano la perdita di popolarità dell’asilo diplomatico in Europa nel XIX° sec.

In seguito ad un’analisi e valutazione delle pratiche e delle posizioni ufficiali sull’istituto in esame, si può affermare che nel primo decennio del

43

Il governo spagnolo giustificò il suo operato con la necessità di recuperare certi documenti segreti che si asseriva fossero stati trafugati dal duca.

44

Ius quarteriorum.

45 La teoria dell’extraterritorialità è stata formulata da Ugo Grozio nel XVII secolo

per spiegare il perché le missioni diplomatiche non rientrassero nella giurisdizione dello Stato ricevente. La Commissione di diritto internazionale mentre si occupava della stesura della Convezione di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1961) ha espressamente rinnegato tale teoria perché basate su una finzione legale, non riflettendo la realtà dei fatti e la comprensione moderna delle relazioni diplomatiche.

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