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IL FONDAMENTO TEORICO DELLA LEGGE REGIONALE.

2.1 Introduzione alla democrazia deliberativa

«Quando si è in una stretta, in una fase di crisi e cambiamento, bisogna rispondere allargando la democrazia e la partecipazione, questo è il principio che mi ha accompagnato nella vita sindacale, anzi è il motivo per cui ho amato lavorare in una organizzazione come il sindacato che questo richiedeva»27 ed ancora, «bisogna impedire l’isolamento, la solitudine, bisogna riunirsi e vedere i problemi insieme. La lotta contro la solitudine, questo è il vero problema; la solitudine è una brutta cosa»28. Così, Vittorio Foa, in una conversazione con Marianella Sclavi, rifletteva sulla partecipazione. Pare sorprendente la capacità che hanno alcuni uomini di cogliere gli elementi essenziali di una questione e di sintetizzarli con poche semplici parole. Vittorio Foa fa sicuramente parte di questa ristretta cerchia di persone.

La citazione riportata in apertura di questo secondo capitolo è illuminante rispetto ai temi che verranno qui affrontati, e soprattutto colpisce per la sua intensità politica, e per la forte valenza sociale. Se il primo capitolo è servito per definire il concetto di partecipazione politica su cui è incentrato questo lavoro, e per cogliere gli aspetti essenziali della globalizzazione e del modello democratico della rappresentanza, in questo secondo capitolo si tenterà di analizzare le caratteristiche di una nuova prospettiva, la democrazia deliberativa, e di come quest’ultima teoria abbia rappresentato il fondamento teorico della Legge sulla partecipazione della Regione Toscana.

                                                                                                                27  

S. L. Podziba, Chelsea Story – Come una città corrotta ha rigenerato la sua democrazia, Paravia Bruno Mondadori Editore, Milano, 2006, p. 6.  

In quest’ottica, le parole di Vittorio Foa, ci introducono al tema nel migliore dei modi, perché declinano alcuni valori che ci accorgeremo essere contigui al mondo della democrazia deliberativa. Ad esempio, l’idea che durante una crisi, o comunque in un periodo di grandi cambiamenti e trasformazioni, l’allargamento della partecipazione e della democrazia, possa essere una valida iniziativa nella costruzione delle soluzioni da dare ai problemi; o come del resto lo è anche la ricerca di risposte condivise, grazie alle quali l’individuo non è lasciato solo nel suo smarrimento, ma anzi, viene coinvolto e valorizzato all’interno del processo di formazione deliberativo. Comunque è opportuno andare per gradi e con ordine, e per farlo resta utile ripresentare alcune riflessioni.

La democrazia rappresentativa, per com’è stata presentata in questo lavoro, si caratterizza come un modello che racchiude in sé importanti qualità, e che ha saputo avvicinarsi all’ideale di democrazia come nessun altro modello ha mai fatto. Tuttavia, non potremmo affermare che siamo alla presenza di un’architettura democratica in salute vorrebbe dire non riuscire a cogliere l’evidenza dei fatti. Prima di tutto, dalla ricostruzione effettuata nel primo capitolo, è stato possibile comprendere, come alcuni caratteri, essenziali e critici allo stesso tempo di questo modello, sono sopravvissuti alle profonde mutazioni susseguitesi nel passare delle epoche, indebolendo sempre di più la sua natura democratica. La costante presenza di un’élite al vertice del sistema, ad esempio, è uno di questi. Che siano state le ricche proprietà terriere, oppure i notabili o i dirigenti di partito, la democrazia rappresentativa ha da sempre avuto un’alta direzione élitaria.

Altro aspetto, anch’esso emerso dall’analisi storica, riguarda il rapporto che lega l’elettore all’eletto rispetto alle decisioni che quest’ultimo dovrà prendere nella quotidianità delle sue funzioni. Le contraddizioni registrate in questa relazione fanno lungamente riflettere sui limiti della democrazia rappresentativa, oltre che sul modo con cui si garantisca al cittadino un livello di partecipazione minimale che si risolve nella selezione della classe politica mediante lo strumento del voto. Secondo le autorevoli analisi di Nadia Urbinati, quest’assicurazione è il fondamento del modello democratico

rappresentativo,29 e non c’è dubbio che in sé lo sia e rappresenti un elemento di qualità ma, rispetto alle grandi mutazioni che stanno interessando le nostre società, occorre rilevare che, su questo tema, si dovrebbe fare forse un passo in avanti, e probabilmente non soltanto uno, e inoltre non solo in termini teorici ma anche pratici.

Non si può ignorare che il cittadino contemporaneo viva una condizione di crescente smarrimento, di distacco dalle istituzioni, dai partiti e dall’uomo politico, verso il quale nutre un profondo risentimento. Deve far riflettere ad esempio l’aumento delle percentuali dei dati relativi sull’astensionismo elettorale.30 Ci sarebbe poi da concentrarsi anche sui diffusi bagliori della crisi nella quale versa il mondo dell’editoria italiana, risucchiata da una disaffezione alla lettura che ormai raggiunge dimensioni inimmaginabili ed emergenziali.31 Se poi ci aggiungiamo il dato relativo alla dispersione scolastica, ben lontano dalla media europea32, il contesto diventa assai preoccupante. E questi sono solo alcuni degli indicatori che potrebbero guidarci in quest’analisi. La democrazia rappresentativa, intesa come volontà del popolo che si esprime perlopiù attraverso il voto, non è più sufficiente a svolgere il suo ruolo all’interno di un quadro contraddistinto da questo livello di complessità.

                                                                                                                29  

In merito a questa prospettiva si fa riferimento al saggio di N. Urbinati, Democrazia in diretta. Le nuove sfide alla

rappresentanza, Feltrinelli Editore, Milano, 2013. 30

Nel momento in cui viene elaborata questa testi, si sono da pochi giorni tenute l’elezioni regionali in Emilia – Romagna ed in Calabria. I dati ufficiali del Ministero del’Interno sull’astensionismo dipingono un quadro assai preoccupante. In Emilia–Romagna alle precedenti elezioni regionali avevano votato il 68,06% degli elettori aventi diritto al voto, mentre questa volta solo il 37,70%. Per quanto riguarda invece la regione Calabria si passa da un 59,26% ad un 44,08%.    

http://elezioni.interno.it/regionali/votanti/20141123/Rvotanti.htm. I dati posso essere consultati utilizzando questo

indirizzo web. (02/12/2014)  

31  

Il “Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2014” elaborato e presentato dalla AIE (Associazione Italiana Editori), presenta numeri sconfortanti. Diminuiscono i lettori (- 6,1), si ridimensiona il mercato (- 4,7), diminuiscono i titoli pubblicati (-4,1), e per finire diminuiscono le copie vendute (-2,3). I dati posso essere consultati utilizzando questo indirizzo web:

http://www.aie.it/Portals/_default/Skede/Allegati/Skeda10-146-2014.11.3/04_SintesiRapporto2014.pdf?IDUNI=agr yef1m3g2w0zroo3wq4gp05863. (02/12/2014)

32  

Dati pubblicati sul sito del MIUR:

http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/9b568f0d-8823-40ff-9263-faab1ae4f5a3/ Focus_dispersione_scolastica_5.pdf (02/12/2014)

James Fishkin, uno dei più autorevoli esponenti della democrazia deliberativa, esprime con chiarezza le sue preoccupazioni: apatia verso la vita pubblica, l’elitismo dei partiti e dei gruppi dirigenti, mancanza di partecipazione, dibattito politico superficiale, assenza d’informazione, sono le parole chiave con le quali leggere la contemporaneità. Non c’è più spazio per la politica, per il ragionamento, per le motivazioni. La centralità del dibattito è occupata dalla superficialità di una politica che è diventata strategia di vendita, pura commercializzazione delle idee.33

Fishkin sostiene che proprio le élite al potere, con l’utilizzo degli strumenti del marketing politico, sarebbero i soggetti che maggiormente si adopererebbero per limitare gli spazi democratici di una discussione politica pubblica più ampia e partecipata. Se queste considerazioni sono valide, ne deriva che occorre forse ripensare in termini diversi il modello della democrazia nel quale abbiamo vissuto, ponendo al centro del ragionamento un impegno diverso del cittadino, che vada oltre l’espressione del voto, e la semplice partecipazione passiva.34

C’è da superare la relazione di mercato che lega tra di loro cittadino e politica, gli fa eco Jon Elster, proponendo come unico processo valido, quello che esprime una razionalità discorsiva adeguata ad una politica che ritrova il suo spazio di discussione pubblico, e non più limitata ad un’aggregazione di preferenze individuali.35

John Dryzek invece cerca di evidenziare come sia insito nella razionalità strumentale il rischio di far prevalere un modello nel quale il potere è consegnato nelle mani dei tecnici, degli esperti, e cioè ad una conseguente politica della disgregazione dei dati e dei problemi rispetto al corpo politico.36 Il pericolo di approdare ad un potere tecnocratico è talmente reale secondo Dryzek, che la centralità del dibattito deve diventare l’analisi dei processi decisionali, ed il modo con il quale le varie                                                                                                                

33  Si veda D. Held, op. cit., cap. IX. 34  

Ibidem.   35

Ibidem. 36Ibidem.

preferenze private possono divenire patrimonio comune, nel quale cercare interessi generalizzabili.37 Di fronte a questa situazione, Dryzek suggerisce che per affrontare i problemi collettivi debbano essere adottate soluzioni collettive, e le uniche variabili che interagiscono positivamente per l’incentivazione di questo principio sono la razionalità comunicativa e quella discorsiva.

Si tratta appunto di allargare la democrazia e la qualità della partecipazione, come diceva Vittorio Foa, e di comprendere che questo passaggio serve anche ad accompagnare l’individuo lungo un cammino che si distanzia dalla solitudine per approdare in una dimensione politico-sociale più forte, fatta di solidarietà ed uguaglianza.

«Esiste una concezione della democrazia proponibile e accettabile oggi che attribuisca una certa importanza alla capacità di giudizio dei cittadini e alla possibilità che essi siano messi in condizioni di confrontare le loro vedute sulle questioni più rilevanti, di discutere le rispettive preferenze, di esaminare i propri e gli altrui interessi alla luce delle scelte da fare?»38. La risposta che dobbiamo dare alla domanda che giustamente si pongono Bosetti e Maffettone, in una raccolta di saggi da loro curata nel 2004, è positiva, ed aggiungere altresì che la democrazia deliberativa potrebbe essere questa nuova concezione.

Ma cos’è la democrazia deliberativa?

Come primo elemento di analisi è assai interessante partire da una delle fondamenta sulle quali poggia buona parte della teoria deliberativa: la discussione pubblica razionale. Sulla validità di questo strumento, si affidano molti degli sforzi dei sostenitori di questa visione39 che,

                                                                                                                37

Ibidem. 38

G. Bosetti, S. Maffettone, op. cit., p. 22.

39L’esperienza vissuta da Susan L. Podziba nella città di Chelsea nel Massachusetts, e riportata nel testo “Chelsea Story – Come una cittadina corrotta ha rigenerato la sua democrazia” edito da Bruno Mondadori ( 2006), rappresenta

un’importante dimostrazione della validità della discussione pubblica razionale come strumento di decisione su questioni di grande rilevanza.

fondamentalmente, ne ritengono essenziale l’utilizzo per arrivare ad ottenere i migliori risultati dalla democrazia deliberativa.

Grazie alla discussione pubblica razionale, le informazioni e le conoscenze che riguardano la complessità dei temi affrontati sono veicolate e sedimentate dai e tra i cittadini, sviluppando un’elevata qualità dei saperi, che non solo riescono a migliorare la cognizione e la consapevolezza individuale, ma anche a rendere competitive le soluzioni elaborate.

La discussione serve anche per riuscire a decifrare le varie posizioni che si confrontano dentro ad un dibattito, ed eventualmente a smascherare quelle che in realtà difendono interessi minimi e di parte, rispetto alle ragioni complessive di una comunità. È la ragione che in teoria, oltre che nella pratica, prevale sull’interesse.

La democrazia deliberativa prevede altresì che la discussione pubblica razionale permetta non solo di confrontare analisi tra loro diverse, ma anche di entrare in modo approfondito nel merito delle questioni, elevando la qualità del giudizio collettivo e della preparazione individuale dei cittadini. Informazione, comunicazione, approfondimento e interesse collettivo, divengono aspetti centrali della discussione pubblica razionale, ed è proprio grazie a questi elementi che la democrazia deliberativa può diventare una valida procedura democratica attraverso le quali arrivare alle decisioni finali su questioni di interesse collettivo.

Siamo alla presenza di un passaggio qualitativamente e quantitativamente più elevato di democrazia, non solo per la fruizione di quest’ultima da parte del cittadino, ma anche per i governi che, valorizzandola, sarebbero ancor più legittimati da un consenso aggiuntivo nelle scelte da prendere; e se una migliore qualità della partecipazione si ha quando i cittadini, oltre all’esercizio del voto, si impegnano anche in percorsi deliberativi, allora sarà la democrazia deliberativa l’ideale da seguire.

Centrale è la riflessione che Habermas indirizza ai partiti, all’interno del più vasto ragionamento sulla democrazia deliberativa. Egli sostiene che la discussione pubblica razionale deve avvenire senza nessuna forzatura o imposizione; a prevalere deve essere solo il ragionamento migliore, ed in questo passaggio, i partiti, sono chiamati a partecipare, confrontando le proprie ragioni con le altre presenti sul tavolo della discussione, nel pieno rispetto dell’uguaglianza formale e sostanziale, ad un livello paritario con il cittadino.40

Non a caso Habermas si esprime in questi termini. Egli sa che il sistema deliberativo, per funzionare correttamente, deve aborrire qualsiasi forma di negazione della libertà del cittadino, di manipolazione o di contrattazione. Il suo modello prevede la discussione libera e pubblica tra cittadini, ed anche le istituzioni e i partiti devono evolversi verso quest’impostazione.41

Per Habermas il sistema politico culturale e sociale nel quale viviamo è in una profonda crisi di legittimità figlia del capitalismo avanzato, e la teoria della democrazia che egli propone prevede l’affermazione di quelle modalità comunicative che si adattino ai processi ideali di deliberazione; un processo democratico per essere considerato tale deve fondarsi su una discussione che prepara le decisioni partendo dal processo iniziale di formazione delle opinioni, ed è nella sfera pubblica politica che questa procedura si realizza.42 Perché questo meccanismo possa essere efficace non solo i cittadini devono essere liberi ma devono anche essere uguali tra di loro.43

Se la discussione pubblica razionale è elemento costituente della democrazia deliberativa, lo è anche la formazione delle preferenze dei cittadini. I processi di formazione e trasformazione delle opinioni, non si limitano solo ai periodi scansionati dagli appuntamenti elettorali, ma trovano spazio ed espressione anche in altri momenti. Si alternano così tra di loro spazi diversi di elaborazione dei                                                                                                                

40Si veda D. Held, op. cit., cap. IX. 41

Ibidem. 42

S. Segre, Introduzione a Habermas, Carocci Editore, Roma, 2012, cap. XIII.

dati, dove le preferenze si allontanano dalla loro natura statica e prefissata per diventare il frutto di un percorso riflessivo e discorsivo.

Con il processo deliberativo, si cerca quindi di creare le condizioni per un esame critico dei problemi, in una discussione pubblica nella quale trovano cittadinanza tutte le opinioni, alla ricerca di una decisione collettiva guidata dall’imparzialità.

Si tratterebbe quindi di elaborare un approccio che dia la possibilità di ragionare sostanzialmente dalla prospettiva degli altri, ed in modo equidistante ed imparziale trovare una soluzione che possa soddisfare le ragioni più rilevanti secondo un criterio di non faziosità.

Il ragionamento imparzialista, così denominato da David Held,44 che affonda le proprie radici nel pensiero d’importanti studiosi quali Habermas, Rawls e Barry, diventa quindi un riferimento molto importante.

Lo schema che tale approccio propone, aperto e critico verso le opinioni, è la regola grazie alla quale si devono formare le preferenze dei singoli cittadini nel modello deliberativo. Le sintesi sono il frutto di una visione collettiva, di uno sguardo etico e morale che sostiene la possibilità di contrapporre alle visioni parziali ed unilaterali, prospettive condivise universalmente. Essere imparziali, e non seguire gli interessi individuali o di parte, consente di valutare secondo ciò che è giusto e corretto, superando i limiti di una visione strumentale che non permette di aprirsi a tutti i diversi punti di vista.

Addirittura, in un approccio più radicale che questa visione sostiene e che ritroviamo in autori come Caney e Barry,45 tutte le situazioni di criticità che si manifestano, non possono essere sempre giustificate come effetti delle condizioni in cui si trova la società, ma anzi, soprattutto dove le ricadute di tali discrasie producono condizioni di precarietà nello sviluppo del benessere sociale,                                                                                                                

44 Ibidem 45Ibidem.

sono considerate illegittime in modo inversamente proporzionale alla loro non corrispondenza dei criteri dello sguardo imparzialista. Tale pensiero rappresenta un passaggio di grande importanza e profondo cambiamento, perché riesce a svuotare le questioni analizzate da quel fardello distorto di ragioni che si fondano su pregiudizi, accondiscendenze varie, e dinamiche di potere, che non fanno altro che precludere l’approdo ad una valutazione fondata sulla giustizia e sulla correttezza.

Le critiche a questo principio però non mancano, e sono molti gli studiosi democratici deliberativi, come Gutmann e Thompson, che l’hanno messo in discussione ed al quale hanno contrapposto idee ed analisi diverse.46 Il loro pensiero entra nel merito di quella che forse è la questione più spinosa. Le loro mosse d’accusa partono dall’idea che l’imparzialismo si fonda su un presupposto sbagliato. Nella loro critica le condizioni ideali del dibattito deliberativo non sono raggiungibili in quanto distanti dalla realtà. Nella loro interpretazione questo approccio è fallace perché ignora la presenza la dimensione conflittuale. L’approccio imparzialista, altresì, sembrerebbe distinguersi per un assolutismo etico che ne determinerebbe l’inadeguatezza, perché chiuso dentro una rigidità che non riesce a leggere negli eventuali oppositori, uguale dignità e contenuto di ragioni. Secondo Thompson e Gutmann invece il disaccordo non nasce solo ed esclusivamente da un’incapacità di analisi o dalla carenza d’informazioni corrette; anzi, rivendicano la diversità delle idee ed il riconoscimento di quest’ultime come un passaggio etico più praticabile rispetto a quello proposto dall’imparzialità.47 Non si tratterebbe di sfoltire dal dibattito tutte quelle idee che dall’approfondimento apparirebbero non prevalenti, ma semmai riconoscere le ragioni reciproche tra i soggetti coinvolti, e lavorare per la costruzione di convergenze, ponendo così nell’istituto del voto a maggioranza la soluzione ultima nel caso in cui non si raggiunga un accordo accomodante. Questa posizione, in definitiva, tenta di

                                                                                                                46

Ibidem. 47Ibidem.

economizzare l’eventuale disaccordo, cercando di rendere minime le contrarietà alle idee non condivise e allo stesso tempo, tentare di non accentuare le posizioni degli oppositori.

Rispetto alle critiche che sono state formulate da questi due studiosi, mi sento di voler però evidenziare alcune questioni che potrebbero far emergere aspetti che limiterebbero l’efficacia complessiva di questa analisi. Il primo punto riguarda l’idea del conflitto come presenza ineliminabile dalle relazioni sociali. Da questo punto di vista è interessante notare come dall’analisi di alcuni processi deliberativi affiora con forza non solo la consapevolezza che il conflitto sia una variabile con la quale dover fare i conti, ma anche la convinzione che è caratteristica di un buon processo deliberativo entrare nel pieno di questa conflittualità e delle contrapposizioni che l’alimentano.

Un esempio interessante in questa prospettiva, è la vicenda che riguarda il processo deliberativo che all’inizio degli anni novanta fu attivato nella città Chelsea (Massachusetts) e che Susan L. Podziba, la responsabile del progetto, ha riportato in un libro divenuto centrale nella letteratura sulla democrazia deliberativa.48 Chelsea, piccola città ad un passo da Boston, era ormai afflitta da una serie di problemi che andavano dalla dilagante corruzione, ad una radicata “politica” clientelare, passando dall’inefficienza complessiva della classe dirigente locale. Solo per dare un’idea della dimensione del problema, basterà ricordare che quattro dei sindaci susseguitisi nell’incarico e buona parte dei consiglieri comunali in carica al momento del progetto, erano stati condannati per corruzione. Il commissario, incaricato di riportare non solo la legalità in città, ma anche di riequilibrare il grave dissesto finanziario nel quale era precipitata Chelsea, decise che per ridisegnare il nuovo assetto del governo municipale post-commissariamento, e quindi la stesura di un nuovo statuto, sarebbero stati coinvolti i cittadini stessi, i quali avrebbero dovuto darsi le regole per la loro futura convivenza.

                                                                                                                48S.L. Podziba, op. cit..

Da questa importante sensibilità, rivelatasi con il passare del tempo vincente, iniziò a trovare concretezza la possibilità di realizzare un progetto di democrazia deliberativa per la stesura dello statuto comunale. Il libro riporta e spiega con attenzione tutte le fasi essenziali del percorso, e cosa interessante, evidenzia anche i vari passaggi di conflittualità che sono stati presenti fin dall’inizio nel progetto. La percezione che si ha nella lettura delle pagine di Chelsea Story è netta: il conflitto è sicuramente presente a più livelli, ed il progetto stesso deve essere uno strumento che si confronta con questa condizione nel tentativo di risolverla, ed in qualche modo sembrerebbe funzionale al

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