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Il secondo tempo del sardismo

La stagione dell’autonomia

3.1. Premesse

La sistematica di questo lavoro sceglie di considerare il fascismo ancora una volta come una parentesi, stavolta interna alla storia dell’autonomismo sardo. La scelta di operare un taglio cronologico che dalla fine della segreteria Pili giunga alla caduta della dittatura obbedisce alla tesi della presente ricerca che nel fascismo, come ampiamente discusso, ritrova un’ecclissi del pensiero autonomista.

Tale scelta conserva i margini di soggettività e arbitrarietà insiti in ogni prospettiva interpretativa. È chiaro, infatti, che, durante il ventennio, l’elaborazione concettuale dell’autonomismo si sviluppò e si articolò soprattutto negli scritti di Gramsci e Lussu che seppero leggere la trama della storia sarda dei precedenti vent’anni con particolare lucidità e profondità. È opportuno dunque precisare che, come sotterranee nervature, incunaboli del secondo tempo dell’autonomismo sardo scorrono nel ventre stesso della Sardegna fascista.

L’esilio di Lussu e l’esperienza dei Quaderni di Giustizia e Libertà risentivano delle precedenti vicissitudini politiche della storia sarda, ma le allargavano su un orizzonte più ampio. L’esperienza della trincea e la militanza all’interno del PSdA hanno certamente costituito le premesse di quel passaggio che dall’autonomismo porterà Lussu al federalismo solo durante gli anni dell’esilio. Tale passaggio è ben delineato in La ricostruzione dello Stato pubblicato a Parigi nel 1943 in cui si legge «La Regione è in Italia un’unità morale, etnica, linguistica e sociale, la più adatta a diventare unità politica … La terra, il clima, le acque, la posizione geografica, antiche influenze commerciali …contribuiscono a dare a ogni regione una sua economia caratteristica e quindi una vita sociale chiaramente distinta»443. E ancora: «Allo Stato totalitario fascista non potrà succedere che uno Stato federale; per oggi basterà dire che la Sardegna aspira a una Repubblica Sarda autonoma nella Repubblica Federale Italiana»444. Gli anni dell’esilio consentirono in sostanza di condurre una battaglia antifascista con un’attenzione privilegiata verso i temi istituzionali. Nel 1931 Lussu organizza un Congresso di esuli sardisti in cui l’idea dell’autonomia politica della Sardegna si fonde con quella del federalismo: «La Sardegna deve essere nello Stato italiano quello che è il cantone nella

443 E. Lussu, La Ricostruzione dello Stato, op. cit., p. 9. 444 Ibidem.

Confederazione Svizzera o il landstaat nella Repubblica Federale Tedesca»445. Il suo

impegno federalista continua nella stampa di Giustizia e Libertà con una serie di articoli in cui il problema è magistralmente trattato: «Federalismo», «Sardegna e Sardismo», «Sardegna e autonomismo».

In quegli anni anche la riflessione gramsciana assegna centralità alla questione meridionale, nel cui contesto si individua una “questione sarda” con una sua peculiarità non pienamente categorizzata. Certo, l’attenzione di Gramsci per il sardismo e per il Partito Sardo d’Azione era stata costante, ma il suo interesse era concentrato su un’alleanza dei contadini e dei pastori sardi con il proletariato industriale settentrionale, in funzione anticapitalistica, più che sull’autonomia regionale. La questione sarda acquista un carattere assai diverso da quello dell’elaborazione dell’autonomismo primo-novecentesco, nel quale mancava una chiara visione di classe. Gramsci si sforza di aprire un varco nel discorso sull’autonomia, teorizzando il pluralismo degli enti territoriali. A quest’apertura, però, non fa seguito il discorso, indispensabile, del pluralismo dei valori che la dottrina dell’egemonia del partito unico e del centralismo democratico, pilastri del marxismo-leninismo a cui Gramsci rimane, sostanzialmente e nonostante tutto, fedele, finiva per annullare. L’autonomismo comunista si riduce a un decentramento amministrativo, non politico. Secondo Contu, il tanto declamato federalismo gramsciano non è mai esistito se non in semplici enunciazioni senza elaborazione ulteriore, quali «Repubblica sarda degli operai e contadini nella federazione soviettista italiana» e nelle tesi di Lione446 in cui si parlava addirittura di una separazione del Mezzogiorno e delle isole dall’Italia dittatoriale447. Lo stesso

Gramsci nella famosa lettera, Per la fondazione dell’Unità del 1924, scrive: «Contro le degenerazioni autonomistiche io credo che il regime dei soviet, con il suo accentramento politico dato dal Partito comunista e con la decentralizzazione amministrativa, trovi un’ottima definizione ideologica nelle parole d’ordine «Repubblica federale degli operai e dei contadini»448.

Un passaggio importante dell’evoluzione in senso federale della questione meridionale gramsciana è il noto carteggio con Lussu. Sulla base di questo

445 In M. Brigaglia, Emilio Lussu e Giustizia e Libertà, op. cit..

446 Si fa riferimento al 3° Congresso del Partito comunista d’Italia del 1926, cfr. G. Melis, op. cit. Si

veda anche A. Mattone, Gramsci e la questione sarda, «Studi storici», 1976, n. 3.

447 G. G. Ortu, op. cit., p. 177.

documento alcuni hanno ritenuto che più che a Lussu, che si sarebbe limitato ad un’impostazione regionalistica, tocca a Gramsci il merito di aver trattato la questione sarda come questione nazionale449. Negli anni dell’affermazione della dittatura, Gramsci approdò a una chiarificazione degli aspetti territoriali della questione meridionale attraverso lo studio delle contraddizioni del processo di formazione dello Stato italiano. La storiografia tuttavia non ha mancato di notare come questa nuova modulazione della sua riflessione fosse ascrivibile anche alla drammaticità di un periodo storico che imponeva la ricerca di alleanze più ampie. Tale precisazione consentirebbe di capire perché dopo il 1931 scompaia ogni riferimento diretto alla «Federazione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche d’Italia»450. Certamente

l’isolamento cui Gramsci fu costretto evidenzia la distanza tra il suo personale percorso intellettuale e quello del partito che con Longo nel 1933 parla dell’autonomismo come passaggio possibile, ma non necessario, per la realizzazione dello Stato operario.

Tuttavia anche in Gramsci sembra che le riflessioni sull’autonomismo e il federalismo non abbiano un ruolo realmente significativo451. Allora forse si tratta di capire le ragioni di questa assenza. Nei Quaderni del Carcere si attesta un superamento della concezione della dicotomia Stato-società civile. Lo Stato, inteso nella sua dimensione organica e integrale, non è più solo «Guardiano notturno» - non è più cioè solo coercizione, sanzione, imposizione- , ma è «il complesso delle attività pratiche e teoriche con cui la classe dirigente non solo giustifica e mantiene il suo dominio, ma riesce anche a ottenere il consenso attivo dei governati»452. Nei paesi occidentali non è più, di conseguenza, possibile pensare a una rivoluzione come puro atto di forza, ma bisogna piuttosto lavorare per un processo di «lenta accumulazione sull’intero tessuto sociale delle ragioni materiali e ideali del proletariato, nei modi e nei tempi di una guerra di posizione che trovi nel partito il suo moderno Principe»453.

La classe operaria è dunque classe rivoluzionaria perché, superando la particolarità degli interessi economici, sa farsi Stato. La riflessione gramsciana è pertanto lontanissima dalla tradizione democratica perché la democrazia finisce per coincidere con l’egemonia del proletariato che si risolve in una finale estinzione

449 Ibidem.

450 In G. G. Ortu, op. cit., p. 178. 451 Ibidem.

452 A. Gramsci, Quaderni del Carcere, op. cit., vol. II, pp. 763-764. 453 In G. G. Ortu, op. cit., p. 179.

dello Stato. È chiaro dunque che in una tale prospettiva i temi istituzionali non possono che essere congiunturali e funzionali comunque a obiettivi finali che li trascendono.

Nella Teoria dell’insurrezione Lussu sembra recuperare toni giacobini paragonabili alla teoria bolscevica della presa di potere da cui Gramsci aveva, come detto, preso le distanze. Tuttavia in merito alla riflessione autonomistica il pensiero di Lussu raggiungeva e superava la stessa concezione gramsciana. La teorizzazione federalistica maturata da Lussu tra il 1933 e il 1943 si incardina su un concetto di democrazia che finisce per coincidere con quello di uno Stato di diritto. Diversamente che per Gramsci in Lussu la società civile non si risolve nello Stato che mantiene dunque gli spazi per la tutela formale e sostanziale delle libertà.

In quest’ottica l’autonomia e il federalismo sono istituzioni pienamente democratiche e svolgono una funzione attiva di garanzia perché lo Stato possa essere difeso dall’insorgere d’interessi di parte. Scrive Lussu: «Lo Stato federale non è, come lo Stato unitario, una fortezza che si può conquistare in un solo giorno, ma un sistema di fortezze e di ridotte che non cede per un colpo di mano»454. Le fortezze di cui parla Lussu sono tutte interne allo Stato e si strutturano proprio come un sistema di garanzie che tutelino il cittadino dallo strapotere di classi o gruppi. Il centralismo è dunque tratto di ogni Stato che prescinda dalla legittimazione popolare e cioè dal consenso delle masse organizzate secondo interessi sociali e locali. Per tale ragione Lussu non può non condannare il federalismo delle Repubbliche Socialiste Sovietiche d’Italia: queste non possono svolgere una funzione di reale garanzia democratica perché non sono depositarie di quella sovranità che nella concezione gramsciana resta comunque appannaggio esclusivo del Partito. Si potrebbe dire che invece la fonte della sovranità resti in Lussu ancorata alle comunità locali o alle soggettività individuali. È facile scorgere dunque un’impostazione giusnaturalistica dell’elaborazione lussiana che non può non collidere con lo storicismo marxista. Il funzionamento democratico delle istituzioni resta in Lussu misura della coscienza acquisita dalle masse lavoratrici e della loro insostituibile funzione civile e politica.

3.2. Fine della trasmissione

Nel 1948 il geografo francese Maurice Le Lannou, studioso accorto della storia sarda, argomentava acute riflessioni sul problema dell’isolamento sardo:

L’isolamento dei sardi perdura, a onta dei mezzi di trasporto e comunicazione. E non per colpa dei sardi: si tratta di un isolamento per così dire organico, di un difetto di integrazione, della permanenza, in un organismo progressivo quale è lo stato italiano, di un elemento rimasto arcaico, singolare, per non dire estraneo (…). L’Isola si è costituita un piccolo mondo separato, chiuso, autosufficiente, cementato da istituzioni e da tradizioni che oggi ostacolano la necessaria incorporazione in un complesso più largo e più vivente, quale il nazionale, l’europeo o mondiale. Non si potrà parlare del Risorgimento della Sardegna finché l’Isola, conservando pure il proprio genio, non abbia forato la sua corazza di isolamento.455

E concludeva la sua analisi sostenendo che:

Il famoso cerchio d’isolamento che chiude la Sardegna a dispetto della sua situazione di privilegio al centro del Mediterraneo occidentale è costituito dalle opinioni forgiate sulle rive del continente. Il determinismo geografico non c’entra: la natura e l’endemismo insulari non sono poi granché nel quadro geografico della Sardegna d’oggi. Conta di più l’opinione che da secoli se ne sono fatte le società europee dove- malgrado i progressi della scienza- le leggende conservano un pericoloso potere456.

Incrociando una focalizzazione interna a un’esterna, Le Lannou riprendeva il tema dell’isolamento sardo, già affrontato da Gavino Alivia, e considerava la separatezza dell’isola come somma di fattori molteplici. L’isolamento non era pertanto solo etnico, commerciale e politico, ma era diventato soprattutto psicologico. La questione sarda si era trasformata in “un incantesimo tenebroso d’isolamento, diventato psicologico dopo essere stato naturale”457.

Nel difficile autunno del 1943 furono le onde della Radio Sardegna a spezzare l’isolamento. Era una delle prime radio libere, trasmessa dal retrobottega di una falegnameria del nuorese. Il palinsesto era ricco e articolato e in grado di garantire un flusso internazionale di notizie. L’emittente sarda permise, per lunghi mesi, grazie

455 M. Le Lannou, La Sardegna nell’Europa, in “Bollettino degli interessi sardi”, III (dicembre

1948), n. 12, p. 3.

456 ID.; Studenti di Lione in Sardegna, in “Ichnusa”, II (1950), n. 4, ora in appendice a ID., Patres et

paysans de la Sardaigne, Tours 1941, trad. it., Pastori e contadini di Sardegna, traduzione di M.

Brigaglia, Cagliari 1979, p. 350.

soprattutto alla voce del L’Italia che combatte, molto seguita anche sul continente, di creare un ponte tra l’Italia liberata e le regioni del Nord portando «un saluto e un incitamento serale agli eroici patrioti del settentrione»458. Ribaltando la funzione centralistica assunta dagli organi di stampa durante il ventennio, la nuova emittente mostrò subito «le sue potenzialità aggreganti in una comunità, che in una fase di sbandamento, cercava con qualche incertezza di ritrovarsi»459.

Fu proprio ai microfoni di Radio Sardegna che Emilio Lussu rivolse il suo primo vibrante saluto ai sardi, dopo essere approdato a Olbia nel 1944. Bello di fama e di sventura come l’eroe omerico460, il mito di Lussu era largamente diffuso ed era

diventato l’immagine delle prime manifestazioni antifasciste. La dirigenza del PSdA aveva accolto con molta preoccupazione il ritorno di Lussu perché, pur riconoscendone il carisma, non ne comprendeva affondo l’ideologia, affinatasi negli anni dell’esilio e la collocazione organica nel partito.

Di contro in un contesto destrutturato e disorganizzato i documenti d’archivio hanno permesso la ricostruzione di una atmosfera tentata da nuove seduzioni separatiste. Il vento indipendentista trovava origine nell’insoddisfazione popolare e rifletteva lo sbandamento dei ceti dirigenti moderati in una fase in cui sembrava assente ogni riferimento istituzionale nazionale. Il commissario alleato commentava come il nazionalismo sardo fosse un risentimento contro l’indifferenza dei governanti e che vi fosse più orgoglio nell’essere sardi che nell’essere italiani. 461 Fu

proprio il comandante Lussu a spezzare il vortice dell’avvitamento su posizioni separatiste. Nel suo saluto radiofonico il comandante aveva pronunciato parole destinate a diventare pietra: «Sento che avremo delle grandi ore da vivere insieme. E le vivremo da sardi, da italiani e da europei. Noi concepiamo quest’autonomia nel quadro della vita italiana». Qualche anno dopo il suo sbarco sull’isola, Lussu avrebbe raccontato «il partito si mostrò molto deluso di me, ma io fui molto più deluso dal partito. Il PSdA era diventato separatista. Me lo dichiararono i massimi dirigenti responsabili al primo contatto dopo l’esilio: i tre quarti del partito erano separatisti. Quanta confusione, quanta decadenza! Nel mio discorso di Nuoro impegnai tutto il

458 Le Sorti di Radio Sardegna. Discorso alla Radio del direttore Agostino Gomez, in “L’Unione

Sarda”, 3 maggio 1945.

459 S. Ruju, Società, economia e politica dal secondo dopoguerra a oggi, in L. Berlinguer, A. Mattone,

Le regioni d’Italia, op. cit., p. 779.

460 M. Pira, Il Mito, La Nuova Sardegna, 5 settembre 1948.

mio prestigio contro il separatismo perché avevo vergogna del separatismo»462.

Queste notazioni rendono possibile comprendere pienamente il ruolo che Lussu ebbe nella creazione della nuova realtà politica regionale. Si potrebbe forse asserire che in Sicilia fu proprio la mancanza di un personaggio carismatico di tale calibro, pronto a intercettare e vivere tutte le tensioni più alte della riflessione novecentesca di respiro europeo, a determinare la forza massiva assunta dal Movimento per l’Indipendenza della Sicilia463. Tra Finocchiaro Aprile ed Emilio Lussu si misura

proprio la rilevanza solcata dalla riflessione europea sul federalismo. Tale coscienza europeista ebbe significativa espressione nella chiusa che Lussu consegnò alla sua terra: «L’autonomia non risolverà tutto. Non è l’acqua di catrame contro tutti i mali. Autonomia è innanzitutto autocoscienza. Autocoscienza individuale e collettiva»464.

Il movimento sardista sopravvisse dunque nella sua corrente autonomistica, ricacciando ancora una volta la possibilità di un definitivo distacco da uno Stato che non era mai parso così debole. E’ certo comunque che il PSdA fosse, alla sua rinascita, scisso tra anime diverse e solo al congresso di Macomer del 1944 la prospettiva di Lussu si impose anche grazie all’intervento di Fancello465. Nel partito convivevano posizioni diverse: i lussiani dovevano misurarsi con chi voleva troncare ogni legame con la penisola, cercando di realizzare unioni commerciali e doganali con i paesi anglosassoni, ma anche con chi, pur sentendosi italiano, pensava che solo un’autonomia integrale, raggiungibile «con una tattica rigidamente extraparlamentare», avrebbe potuto attuare una ripresa economica466. Negli ambienti sardisti moderati le parole di Lussu suscitarono comunque molta perplessità, in particolare quelle dette al congresso di Cosenza del Partito d’Azione che presentavano una Sardegna “socialista e progressista”. Nella posizione contadinista di Lussu l’autonomia doveva essere lo strumento per democratizzare la società isolana e far emergere le forze sociali nuove467. Dalle parole dell’avvocato Salvatore Cottoni veniva fuori proprio questa volontà:

Noi dobbiamo dire se siamo per il vecchio o per il nuovo mondo, se dobbiamo ravvivare quell’organismo in decadenza che è la società borghese-capitalistica o

462 C. Fiori, Il cavaliere dei rosso-mori, op. cit., p. 369

463 G. C. Marino, Il Separatismo siciliano, Editori Riuniti, Roma 1979. 464 In S. Ruju, op. cit., p. 781.

465 A. Saba, Il socialismo contadino di Francesco Fancello, in M. Brigaglia, Melis, Mattone, op. cit.,

pp. 214-215.

466 Cfr. Carte SS, 4 agosto 1944, ora in S. Ruju, op. cit., p. 782. 467 A. Mattone, Velio Spano, op. cit., p. 118.

batterci per una nuova democrazia sociale e progressista, se dobbiamo puntellare le forze della reazione o combattere per l’instaurazione di una democrazia del lavoro (…) Noi siamo per la libertà. Però la libertà per noi sardisti deve essere una forza espansiva e rivoluzionaria che non rifugge dalle riforme agrarie più ardite468

Il secondo tempo dell’autonomismo nella sua fisionomia aurorale si presentava come avanguardia radicale delle questioni sociali più urgenti. Tuttavia il Partito sardo, a differenza del primo dopoguerra, non ebbe una presa sul mondo contadino e sulle sue scelte contarono maggiormente altri ceti sociali. Così si spiega l’opposizione ai decreti Gullo che si presentavano come i primi efficaci strumenti per la concessione di terre incolte469. Tuttavia altrettanto fuorviante sarebbe una lettura dell’autonomismo sardo come espressione organica degli interessi della borghesia agraria: il sardismo, nel secondo dopo-guerra, pur condizionato da una vocazione notabiliare di una parte del suo ceto dirigente, fu un partito regionale con composizione elettorale sfaccettata. Apertamente e radicalmente antimonarchico, il PSdA ebbe indubbiamente il merito, nel momento di crisi pervasiva del centralismo statalistico, di avanzare una proposta moderna di una Repubblica federale in grado di puntare «allo sviluppo autonomo delle varie regioni e all’espandersi delle energie locali»470. Ho trovato numerosi e accesi riferimenti alla possibilità di una Sardegna

indipendente nel dibattito sviluppatosi tra l’estate del 1944 e la primavera del 1945 sulle pagine dei settimanali «Riscossa» e del periodico «Il Solco», aventi come specifico oggetto il bilancio finanziario regionale e la bilancia commerciale471.

Se per l’avvocato Antonio Bua esisteva nell’isola «un movente ideale non dissimile da quello che aveva guidato l’Irlanda all’Indipendenza»472; secondo

l’azionista Cottoni l’indipendenza era invece un lusso che poteva permettersi «una regione ricca come la Catalogna, ma non la Sardegna». Il separatismo concludeva «non risponde affatto alle esigenze ideali e storiche del popolo sardo e non ha neppure alcun fondamento economico»473. Particolarmente penetranti le analisi di un

468 A. Cottoni, Appunti sulla questione sociale in Sardegna, Sassari 1947, p.5.

469 A. Mattone, Introduzione, in Stampa periodica in Sardegna 1943-1949, vol.VIII, raccolta di

«Riscossa sardista» , Cagliari 1974, p. 167.

470 A esporre questa posizione fu Pietro Mastino durante un comizio a Cagliari. Cfr. Il comizio

sardista di domenica, in «L’unione sarda», 3 maggio 1945.

471 La raccolta antologica del settimanale «Riscossa» in M. Brigaglia (a cura di), Stampa periodica in

Sardegna 1943-1949, cit., voll. III-IV; del «Il Solco» in M. Cardia ( a cura di), Stampa periodica in Sardegna 1943-1949, voll. X-XI.

472 A. Bua, Separatismo e separatisti, in “Riscossa” I (21 Agosto 1944) , n.5.

moderato del movimento, Bartolomeo Sotgiu, che contestava, a chi riteneva la Sardegna incapace di reggersi autonomamente sul piano meramente economico, di non essersi affrancati dall’impronta autarchica fascista. Affermava, infatti, che «l’autosufficienza si acquista con il lavoro, con i commerci, con le imprese agricole e industriali, e a ciò ogni popolo è condotto dal proprio genio e vi riesce più o meno a seconda della capacità che ha in sé e dello spirito che lo anima»474. Il ritorno di Lussu, comunque, impose un radicato anti-separatismo che nell’indipendenza dell’isola vedeva un manicomio criminale e un’inappellabile condanna all’arretratezza. Il retroterra ideologico dell’indipendentismo non si presentò in Sardegna con un’elaborazione paragonabile a quella siciliana. Il sicilianismo e il sardismo finivano per seguire sentieri paralleli e contrastanti. L’ideologia baronale che aveva fornito il retroterra ideologico all’idea della separatezza siciliana non costituiva in Sardegna un supporto identitario, atto a catalizzare le risorgenti forze

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