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Segue: le prescrizioni riparative e la mediazione

Nel documento La via italiana alla Restorative Justice (pagine 122-125)

Parte II: la messa alla prova dell’adulto

15. Segue: le prescrizioni riparative e la mediazione

L’art. 168-bis c.p. prevede, tra le possibili prescrizioni, “la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato”.

Quelle previste sono due prescrizioni dai contenuti differenti: una è il risarcimento del danno civilisticamente inteso, sia in forma specifica che per equivalente; l’altra, invece, va individuata in negativo come ogni condotta finalizzata ad eliminare, o comunque ad attenuare, le conseguenze dannose o pericolose del reato diverse dal risarcimento. Lette nel complessivo, dunque, le previsioni mirano ad eliminare ogni conseguenza negativa ascrivibile al rapporto tra

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danneggiante e danneggiato provocata dal reato, anche mediante forme di riparazione simboliche, di assistenza per un certo periodo, e così via.

A differenza dei lavori di pubblica utilità, tali prescrizioni sono solo eventuali: ciò rende l’istituto applicabile anche quando si proceda per reati di pericolo o quando la vittima non sia individuata.

L’art. 464-quinquies c.p.p. prosegue specificando che “nell’ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice stabilisce il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie imposti devono essere adempiuti; tale termine può essere prorogato, su istanza dell’imputato, non più di una volta e solo per gravi motivi. Il giudice può altresì, con il consenso della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somma dovute a titolo di risarcimento del danno”.

Il meccanismo congegnato dal legislatore è calibrato alle ipotesi in cui il danneggiante nullatenente non sia in grado di onorare alcuna forma di risarcimento per equivalente: all’occorrenza possono subentrare forme di riparazione diverse dal risarcimento e, in ogni caso, il lavoro di pubblica utilità di cui è chiamata a beneficiare l’intera comunità oltre che la persona offesa.

Al contrario, al colletto bianco già ben socializzato, educato e capace di risarcire il danno potrebbero essere adeguatamente ridimensionati gli oneri di riparazione morale, le prescrizioni comportamentali e anche il lavoro di pubblica utilità, seppur obbligatorio, potrebbe essere ridotto al minimo di dieci giorni, anche non continuativi, e dalla durata giornaliera simbolica (in assenza di qualsiasi tetto minimo ex lege).

Per quanto riguarda la determinazione dei contenuti riparativi e dell’ammontare del risarcimento, la disciplina introduce una nuova ipotesi di mediazione penale fra vittima e offensore.

Lo svolgimento di una adeguata attività di mediazione, oltre a favorire le possibilità di un esito conciliativo, può terminare con degli accordi volontariamente determinati da offensore e vittima riguardo il rispettivo rapporto privatistico. Il giudice che opportunamente optasse per il recepimento nella prova dell’accordo dovrebbe necessariamente provvedere alla modifica in itinere del programma (ex art. 464-quinquies, comma 3°, c.p.p.) per cui “durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice, sentiti l’imputato e il pubblico ministero, può

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modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova”.

Anche se non è configurabile alcun tipo di obbligo alla modifica del programma in capo al giudice, l’adozione di finalità riparative, così come intese dalla restorative

justice, implicano la necessaria valorizzazione dell’accordo raggiunto dalle parti,

ossia il riconoscimento di un ruolo sussidiario dello stato nella definizione dei rapporti giuridici fra danneggiante e danneggiato anche in ambito penale. Il giudice allora, chiamato ad adeguare la prova in base all’accordo delle parti, rappresenta un essenziale filtro di ragionevolezza posto fra la volontà delle parti e la prescrizione nella prova, volto a censurare quei contenuti palesemente sproporzionati o che siano contrari all’ordine pubblico e alle altre finalità attribuite all’istituto.

Pare condivisibile ritenere che, in mancanza di un simile recepimento degli accordi conciliativi, il giudice non dovrebbe far seguire conseguenze negative all’inottemperanza extraprocedimentale degli stessi da parte dell’imputato.

Vi sono tuttavia ulteriori problematiche relative ai rapporti fra mediazione e processo: in primo luogo non è chiaro se il consenso dell’imputato manifestato al momento della richiesta di sospensione coincida con il consenso ad intraprendere l’attività di mediazione; invero ci si domanda se il rifiuto a mediare del richiedente possa essere liberamente apprezzato dal giudice al termine della prova come indice dell’esito negativo o addirittura quale grave trasgressione al programma passabile di revoca anticipata (rinvio al paragrafo successivo l’approfondimento di questo aspetto); mentre, invece, non vi sono dubbi sul fatto che l’eventuale dissenso della persona offesa non dovrebbe in alcun caso contribuire al fallimento della prova, la quale può liberamente rifiutarsi di procedere in qualunque momento.

Per quanto riguarda i pericoli di possibili contaminazioni confessorie provocate dalla mediazione, che è una attività intrinsecamente volontaria e che presuppone il riconoscimento dei fatti essenziali del caso da parte dell’autore del reato, oltre a sentirmi di rinviare a quanto già detto rispetto all’omologo istituto per imputati minorenni (supra §9), si dovrebbe estendere per analogia, in questo e in qualsiasi caso di mediazione processuale o extraprocessuale, quanto previsto dalla disciplina del tentativo di conciliazione davanti al giudice di pace, per il quale è espressamente stabilito che “in ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell’attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della deliberazione” (ex art. 29 d.lgs. 274/2000).

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