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3. Sintesi dei risultati raggiunti

2.1. I Seleucidi e i culti a loro dedicati

Se, come si è già anticipato nell’introduzione, è nella Siria ellenistica governata dai Seleucidi che va collocata la genesi del cosiddetto Romanzo di

Nino, per ricostruire il contesto storico e culturale di questa è fondamentale

innanzitutto guardare ai fenomeni di sincretismo religioso che caratterizzarono il regno di Siria e le strategie di rapporto dei suoi sovrani con il millenario sostrato di culti, credenze e miti del mondo siriaco e mesopotamico.

Il regno di Siria si estendeva dalla costa del Mediterraneo fino ai confini dell’India: comprendeva quindi il vecchio impero persiano (esclusi l’Egitto e la Palestina) e i territori più orientali conquistati da Alessandro Magno. La caratteristica di questo regno, economicamente prospero, era, di certo, l’eterogeneità dei popoli che lo componevano, diversi per cultura, tradizione, lingua e religione. Lo sforzo dei sovrani Seleucidi, successori di Alessandro Magno, di alimentare il processo di grecizzazione non valse a bloccare alcune ribellioni e i tentativi di secessione284.

Nell’epoca ellenistica e circa fino agli anni Settanta del I secolo d. C., resisteva fortemente la scrittura in lingua sumerica e accadica su tavolette cuneiformi

284 Vd. Musti 1966, pp. 61-197 e Sherwin-White-Kurth 1993. In particolare il contributo di Sherwin-White-Kurth si basa

sulla tesi che il regno seleucide fosse di tipo orientale: anche sul piano geografico il regno ha un’estensione totalmente asiatica. La popolazione è una popolazione eminentemente asiatica ed estremamente varia, arricchita dall’elemento greco-macedone.

95 che continuavano ad essere usate nei luoghi di culto e nella tradizione religiosa locale; infatti la scrittura cuneiforme e la cultura ad essa legata non sparirono con la fine dell’indipendenza babilonese, sotto il dominio dei Medi e dei Persiani, e neppure con la sconfitta di Dario III per mano di Alessandro. È vero che si assistette ad un processo graduale di restringimento tematico della letteratura cuneiforme negli ultimi secoli del I millennio a. C., ma ciò nonostante, la scienza babilonese raggiunse in questo periodo i suoi livelli più alti in assoluto, soprattutto nel campo della matematica astronomica, che venne trasmessa in eredità al mondo ellenistico. Si può parlare di una sparizione della lingua babilonese e della scrittura cuneiforme solo a partire dal I o II secolo d. C., e pertanto, prima di quel periodo non si può considerare morta la cultura millenaria a cui quella lingua e quella scrittura erano legate. La scrittura e la cultura babilonesi, quindi, nell’epoca seleucide, sopravvissero, anche se la scrittura cuneiforme venne utilizzata in contesti sociali sempre più ristretti: sembra che essa abbia rivestito un ruolo importante quasi esclusivamente nell’ambito del tempio, dove la classe sacerdotale se ne serviva per l’amministrazione dei santuari e dei loro beni (ad eccezione delle transazioni che per ragioni fiscali interessavano anche lo stato), per i propri archivi e soprattutto per la trasmissione della letteratura babilonese, inclusi i testi religiosi e scientifici285. L’amministrazione seleucide, infatti, insistette sulla

necessità di disporre di una documentazione in greco per alcuni tipi di scambi (per esempio compravendite di schiavi e di campi) per rendere più facile la tassazione, determinando la scomparsa dei corrispondenti testi babilonesi286.

285 Cfr. Strootman 2007.

286 È necessario ricordare che proprio dall’Asia transeufratica di epoca ellenistica l’archeologia ha riportato alla luce

96 I templi erano il punto di riferimento essenziale per le comunità babilonesi in quest’epoca: la necessità di mantenere il culto templare tradizionale incentivava queste comunità a preservare un’identità strettamente babilonese, a fronte della cultura ellenizzata e cosmopolita che si stava diffondendo in altri ambiti.

Dal punto di vista linguistico si riscontrano in questo periodo, per la prima volta da quasi 1500 anni, differenze dialettali fra il babilonese del Sud, documentato dai testi di Uruk, e il babilonese settentrionale, documentato dai testi di Babilonia. Poiché in entrambi gli orizzonti geografici si tratta di una documentazione che ha la sua origine in un ambiente templare, l’idea che queste differenze possano essere spiegate come effetti di contesti sociali diversi è da rigettare: si tratta, invece, con ogni probabilità, del risultato del crescente isolamento culturale delle sempre più ristrette comunità babilonesi. La presenza di (poche) lettere private nel corpus dei testi di epoca tarda suggerisce che il babilonese è ancora una lingua parlata nel III e nel II secolo a. C., ma alla fine di questo periodo essa viene utilizzata in ambienti molto circoscritti, se non è già diventata una lingua esclusivamente scritta.

Il segno più evidente della continuità culturale babilonese negli ultimi secoli dell’impero achemenide e nel periodo ellenistico è costituito dalle biblioteche di testi letterari, scientifici e scolastici che datano a questa fase. Si tratta in parte, come già detto, di collezioni private di tavolette, in parte di testi istituzionali,

convergevano tradizioni politiche e rituali, e perciò essi stabilivano un terreno ideale per la propaganda dei sovrani seleucidi. Le iscrizioni che sono state ritrovate sono sia in greco che in scrittura cuneiforme: la lingua greca veniva utilizzata per riferimenti diretti alla struttura della costruzione teatrale, il babilonese, invece, costituiva, in particolare, la scrittura usata dal sovrano nelle lettere ufficiali che dovevano essere declamate nel teatro. Per questi aspetti vd. in particolare Messina 1972, pp. 4-39 e Van Der Spek 2001, pp. 445-456.

97 provenienti, come si è detto, da biblioteche templari287. Questi testi

rappresentano quasi l’intera gamma della letteratura erudita mesopotamica del periodo tardo. Fra i soggetti delle tavolette private si annoverano la magia e la medicina (che non sono sempre nettamente separabili) da un lato, e la divinazione dall’altro, accanto ai cosiddetti testi scolastici che servono sia per l’insegnamento della scrittura, sia come opere di consultazione (liste di parole con glosse, liste di segni cuneiformi ecc.). Si trovano anche un gruppo di testi astronomici, alcuni testi religiosi (preghiere, inni ecc.), testi matematici e un ridotto numero di tavolette di altro argomento. In effetti si tratta di biblioteche funzionali alle esigenze professionali dei sacerdoti che le hanno raccolte; il loro contenuto si inserisce bene nella tradizione della cultura mesopotamica e nel contesto sacerdotale che li ha elaborati.

È questo il contesto socio-culturale nel quale si collocano complessi fenomeni di sincretismo tra la tradizione religiosa mesopotamica e quella dell’élite etnica e politica greco-macedone. Va tenuto conto, in particolare, che la produzione letteraria legata alla cultura mesopotamica presentava un evidente limite di conservazione e di diffusione: il tempio babilonese, intorno al quale ruotava tradizionalmente la cultura e l’economia della comunità, era una struttura autoreferenziale e chiusa, finalizzata alla difesa e alla conservazione del passato come patrimoni da preservare e proteggere288.

L’unico interlocutore esterno rispetto a questa struttura era il re con il suo

287 Vd. Van Der Spek 1993, pp. 61-79.

288 Cfr. Del Monte 2001, p. 137-166. Del Monte già in un precedente lavoro parlava di vari gruppi sociali autogovernati

nella Babilonia ellenistica (cfr. Del Monte 1997, pp. 38-39, 76-77, 86-87, 96-97), tra i quali i cittadini babilonesi erano governati dal capo amministrativo del tempio (shatammu) e dal concilio templare (kinishtu), mentre i cittadini greci dal cosiddetto ‘governatore della Babilonia’. Si stabilisce quella che Van der Spek chiama apartheid della Babilonia ellenistica (Van der Spek 2001, p. 453); lo stesso Van der Spek riprende il medesimo argomento nei suoi contributi sulla multietnicità e segregazione sociale nella Babilonia dell’epoca seleucide (Van der Spek 2005, pp. 393-408 e Van der Spek 2009, pp. 101-115).

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entourage: egli, dal canto suo, aveva necessità di adeguarsi a tale cultura

templare, affinché fosse pienamente integrato nel sistema sociale che ruotava intorno ad essa. Questo valse anche per i sovrani greco-macedoni di età ellenistica a partire dal conquistatore Alessandro. Le prime attestazioni dei Greci nella documentazione mesopotamica risalgono alla seconda metà del VIII secolo a. C.: si tratta di testi che documentano quasi sempre rapporti economici e militari.

La natura storica dei rapporti tra Alessandro Magno e i popoli della Mesopotamia fu quella tra dominante e dominati, molto diversa da quella di semplice contatto alla pari tra popoli diversi che s’instaurava prima con i Greci, tuttavia la qualità dei rapporti con il conquistatore Alessandro fu buona, pacifica, a tratti di esaltazione e trionfo289. Nei rapporti con le istituzioni

templari quello che nella tradizione mesopotamica era valso per i re locali continuò a valere anche per i sovrani ellenistici a partire da Alessandro; lo dimostra il fatto che nei Diari astronomici290 Alessandro si era guadagnato il

titolo di “re del mondo” nonostante fosse uno straniero (khana291), a

dimostrazione del suo rispetto per l’indipendenza delle istituzioni religiose locali; fu solo con i Seleucidi, tuttavia che si passò progressivamente dalla visione dei nuovi monarchi come stranieri a una loro visione come governanti

289 Un esempio ne è l’ingresso di Alessandro a Babilonia, testimoniato da Curzio Rufo (5.17-23) e Arriano (An., 3.5, 3.16). 290 I Diari astronomici sono una raccolta di testi provenienti da Babilonia e oggi collocati al British Museum. Ogni

tavoletta descrive accuratamente le osservazioni astronomiche relative a un periodo di sei mesi e i corrispondenti avvenimenti politici, economici e sociali. La tavoletta più antica a noi pervenuta risale al 652-651 a.C. (benché probabilmente osservazioni astronomiche dettagliate siano state iniziate circa un secolo prima), mentre la più recente è del 61-60 a.C. I diari astronomici sono una fonte storica importante e costituiscono il primo tentativo di utilizzare un approccio scientifico.

291 Cfr. The Assyrian Dictionary of the Oriental Institute of the University of Chicago, VI (1956), pp. 82 e ss.. Il termine

geografico “Khana” indicava la media valle dell’Eufrate nei secoli XVIII e XVII a. C. con capitale Mari; l’etnico “Khanei” indicava la popolazione tribale. Generalmente a Babilonia il termine risuonava con il significato di un posto lontano e barbaro; perciò considerare Alessandro un “khaneo” significava averlo etichettato come estraneo, barbaro, straniero, seppure la convivenza fosse pacifica.

99 pienamente integrati nel tessuto socio-culturale e religioso autoctono. Questo titolo di “straniero” è stato riscontrato anche in molti documenti che testimoniano i rapporti della popolazione locale con i primi Seleucidi; Seleuco I si colloca nel punto di svolta del processo culturale di assimilazione dei nuovi sovrani all’interno della cultura e popolazione neo-assiro-babilonese. In una Cronaca292, risalente all’epoca seleucide, infatti, si raccontava dei regni

“estranei” che si erano succeduti nel territorio siriaco, di come Seleuco avesse allontanato i Khanei dal paese e che avesse fatto ciò con l’aiuto divino degli dèi più importanti, come Enlil, Marduk e Shamash. L’esempio della Cronaca è significativo dell’atteggiamento di graduale distacco delle popolazioni babilonesi nei confronti di Alessandro, compreso tra i Khanei che avevano preceduto i Seleucidi, probabilmente a causa di qualche sua ingerenza in questioni templari; ma il dato di interesse che emerge è l’importanza, la grandezza e l’autorità che veniva conferita ai sovrani Seleucidi, tanto da esser considerati con la medesima rilevanza delle divinità babilonesi più importanti. Ci troviamo di fronte, quindi, all’inizio di un profondo processo di assimilazione dei Seleucidi nell’orizzonte culturale babilonese, che toccherà il suo culmine con Antioco I ed Antioco III: i re venivano considerati sovrani di Babilonia, legittimi o, meglio ancora, legittimati dagli dèi, re autoctoni, inseriti nella cultura e tradizione regale babilonese.

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