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la selezione degli impianti per la riparazione della frattura è largamente dipendente dal tipo e localizzazione della frattura e, meno importante, dalla preferenza del chirurgo. Inoltre, gli impianti devono essere scelti con una adeguata comprensione della biomeccanica della frattura e degli impianti. La disponibilità di impianti multipli e di varie dimensioni aiuterà a evitare difficoltà imprevedibili durante l'intervento. Gli impianti ortopedici sono comunemente classificati come primari o secondari. Gli impianti primari per la fissazione della frattura includono le placche ossee, chiodi interframmentarie, chiodi intramidollari e fissatori esterni. Gli impianti secondari o supplementari sono i cerchiaggi Kirschner, fili metallici e viti interframmentarie. Una corretta applicazione dell'impianto farà la differenza fra una ostesintesi di successo e una con molte complicazioni.

Fili ortopedici

i fili ortopedici sono fatti di acciaio inossidabile 316L, similmente alla maggior parte degli impianti, ma sono maggiormente malleabili in modo da poter essere piegati e annodati. Hanno una piccola resistenza alla flessione ma resistono ai carichi che lavorano nella stessa direzione. La resistenza tensile è relazionata alla area della sezione del fili (π * raggio2). Per questo, un piccolo incremento nel diametro del cerchiaggio incrementa grandemente la forza tensile. La dimensione del filo è determinata dalla dimensione dell'osso e dalla grandezza delle forze che ci si attende. Non ci sono regole per le dimensioni appropriate, se non di usare sempre il filo più più largo che sembra appropriato. Il punto più debole del filo è di solito determinato dal metodo usato per assicurarlo. La forza di tutti i nodi è più grande con un filo di diametro maggiore, ma anche dipende dal tipo di nodo. I fili vengono usati in 4 modi, come banda di tensione, cerchiaggio, emicerchiaggio e interframmentario.

Il filo ortopedico può essere assicurato in molti modi. Nella chirurgia veterinaria, i più usati sono i nodi Twist e il nodo a doppia ansa. Il nodo a twist è quello più usato, ma il processo di twisting potrebbe creare dei punti di suscettibilità alla fatica. Il twist può essere creato con uno strumento qualunque come un porta aghi o con gli strumenti dedicati. Un nodo twist deve essere creato in modo che le due parti del filo siano poste egualmente in

tensione. Molti principi di applicazione, se seguiti, garantiscono il successo dei cerchiaggi. I fili di cerchiaggio sono più efficaci quando applicati a fratture oblique. Cerchiaggi interi sono usualmente facili da applicare se la lunghezza della frattura è da 2,5 a 3 volte il diametro dell'osso. Almeno due cerchiaggi devono essere utilizzati, e l'uso di più cerchiaggi ancora è meglio. Come un barile senza una delle sue assi non può rimanere stabile, così si comporta un osso mantenuto insieme mediante cerchiaggi. La diafisi dell'osso deve essere del tutto ricostituita perché il cerchiaggio dipende dal contatto di tutti i frammenti fra loro per fornire stabilità. Se un frammento è perso, si muove oppure collassa, il fallimento dell'impianto è molto più possibile. I cerchiaggi interi causano slittamento dell'interfaccia nelle fratture oblique. Per evitare questo, un chiodo Kirschner o una vite a compressione può essere applicata, in un piano perpendicolare alla frattura. Questi sistemi comunque non forniscono molta stabilità contro la rotazione e non dovrebbero essere utilizzati come mezzi primari.

Un cerchiaggio stabile non influisce in modo negativo sulla vascolarizzazione. L’osso immaturo può continuare a crescere normalmente intorno ad un cerchiaggio ben costruito.

Chiodi

i chiodi possono essere chiamati Kirschner (i 3 diametri inferiori) o Steinmann. Nella fissazione interna, questi sono spesso usati lungo la cavità midollare delle ossa lunghe per contrastare le forze di tensione o come uno spiedino per tenere dei frammenti in posizione e prevenirne la rotazione.

Fili Kirschner

I fili Kirschner o K-wire sono i chiodi di piccolo diametro. Similmente agli altri impianti, i K-wire sono 316L dal diametro di 0.9, 1.1 e 1.6mm, di lunghezza variabile. Nella norma sono forniti di una punta a tre quarti da entrambi i lati. L'uso principale dei fili K è di mantenere piccoli frammenti o come aggiunta ad altri impianti attraverso più linee di frattura. Agiscono per contrastare le forze di flessione ma sono relativamente deboli. Per questa ragione, sono raramente usati da soli, ma piuttosto spesso si usano per contrastare la rotazione, con un piazzamento in coppia. Per avere questa funzione, i fili K funzionano meglio se posizionati in parallelo fra loro ma distaccati. Se usati da soli, di solito si

posizionano in modo da formare un angolo fra loro. Comunque, quando usati per riparare fratture che coinvolgano la fisi di pazienti in accrescimento, l'allineamento ottimale è quello perpendicolare alla piastra di accrescimento, e paralleli fra loro.

Chiodi Steinmann

chiodi di più grande diametro sono detti Steinmann o chiodi intramidollari, e sono fatti anche questi di 316L. Il diametro varia da 1,6 a 6,4mm. La punta più comune è la punta a tre quarti, ma esistono anche con punta a baionetta o diamante. Quando usati come chiodi transfissianti nei fissatori esterni, è importante che siano scanalati, mentre questa conformazione non è apprezzata nell'uso come fissatori interni in quanto si forma un punto di debolezza. I chiodi sono fatti per resistere alla flessione. La loro forza e debolezza sono determinati dalla loro superficie di inerzia, che usa il raggio alla quarta potenza. Questo quindi fa si che chiodi di diametro più largo siano più resistenti. Un parametro generalmente utilizzato è di usare un chiodo di diametro almeno pari al 70% del diametro dell'osso (quando usato come impianto intramidollare).

La resistenza è anche influenzata dalla porzione del chiodo che viene esposta alle forze di flessione. Per esempio, quando utilizzata come fissatori esterni, la resistenza è determinata dalla distanza dall'osso al connettore: più corta la distanza, più resistente l'impianto (e meno elastico).

I chiodi non resistono alle forze di compressione e di rotazione, se allineate con il loro asse maggiore. Le fratture che sono relativamente o completamente trasverse o con un qualunque livello di comminuzione non sono stabili se vi viene applicato un chiodo intramidollare come unico impianto, per via di una instabilità rotazionale e una compressione assiale nelle fratture comminute (fig). Quindi impianti addizionali sono indispensabile. Cerchiaggi, fissatori esterni o placche possono essere usati per fornire stabilità rotazionale e assiale. L'utilizzo di più chiodi di dimensioni minori invece di uno più grande è stato consigliato per fornire una certa stabilità rotazionale, ma studi di meccanica non hanno dato questo risultato (219).

la flessibilità di un chiodo decresce con l'incremento del diametro. In ossa dove il canale intramidollare non è rettilineo, il chiodo può essere piegato per adattarsi al canale, ma un leggero malallineamento è concesso. I chiodi non devono penetrare la superficie articolare,

perché ne invaliderebbe del tutto la funzione. Questo è facile nel femore e nell'omero, mentre richiede una attenzione particolare posizionare il chiodo nelle parti distali degli arti. I chiodi possono essere posizionati in modo normogrado o retrogrado. Per un piazzamento normogrado, il chiodo viene posizionato dall'esterno all'osso. Questo approccio è necessario per un piazzamento a cielo chiuso e può risultare in un posizionamento migliore del chiodo in femore e tibia. È stato anche suggerito per il piazzamento dei chiodi nella porzione mediale dell'omero distale, per ridurre la possibilità di danni articolari (146,194). il piazzamento retrogrado di un chiodo consiste nell'avanzare il chiodo dal sito di frattura fuori dall'osso. La frattura viene poi ridotta e il chiodo avanzato nel frammento opposto. Il chiodo va fatto avanzare fino alla metafisi ossea per aumentare la frizione a livello dell'interfaccia osso-chiodo.

In alcuni casi, il chiodo esce dall'osso dove è stato posizionato. Una volta che la posizione finale è confermata, la fine è tagliata più vicino possibile all'osso, o se lasciato lungo può avanzare fino all'esterno della cute per posizionare un fissatore esterno. Le complicazioni di lasciare il chiodo esterno all'osso comprendono seroma, limitazione dell'uso dell'arto e in alcuni casi grave e irreversibile danneggiamento dei nervi.

Per una frattura semplice vicino ad una articolazione, una tecnica con chiodi crociati di piccolo diametro, impiantati dalla parte della articolazione possono mantenerne l'allineamento. Una certa stabilità rotazionale è raggiunta se i chiodi sono posizionati distanti l'uno dall'altro a livello della frattura. Nella tecnica incrociata standard, i chiodi aumentano l'appiglio penetrando nella corteccia opposta. La tecnica che invece viene chiamata incrociamento dinamico non penetrano la corteccia opposta e cercano cosi un effetto “molla”. I chiodi sono guidati con un angolo che gli permetta di ribalzare sulla corteccia opposta e continuare poi nella cavità intramidollare. La stabilità è maggiore con la tecnica tradizionale, e non ci sono pubblicazioni a supporto della tecnica dinamica. Queste tecniche sono spesso usato per le fratture della fisi, e li in alcuni casi il chiodo può danneggiare la fisi e impedire la crescita futura. Comunque, essendo la fisi spesso danneggiata dalla frattura stessa (116), in questi casi gli impianti non influenzano la crescita futura dell'osso.

Chiodi bloccati;

I chiodi bloccati sono chiodi intramidollari bloccati pensati per accogliore un meccanismo di blocco che permette all'impianto di resistere alla flessione, rotazione e carico assiale. Il chiodo è assicurato alle cortecce con specifici device. Le maggiori indicazioni per l'uso di questi impianti sono il trattamento di fratture diafisarie comminute chiuse, eccetto nel radio. Comunque, progressi significativi sono stati compiuti nel design degli impianti, in modo da poter utilizzarli in più condizioni, comprese le deformità angolari e le fratture epifisarie e metafisarie. Un ulteriore approfondimento di questi impianti, del loro funzionamento e biomeccanica esula dallo scopo di questa tesi.

Viti e placche

Viti

differenti tipi di viti sono disponibili per l'uso ortopedico. Le distinzioni sono basate sulla scanalatura delle viti, e sopratutto se la testa è scanalata (viti bloccate) oppure no (viti corticali). Le viti corticali o standard hanno una scanalatura “densa” in quanto sono pensate per la corticale delle ossa, questo significa che c'è molto poco spazio fra le linee di scanalatura della vite (in inglese, il pich), e sono meno profonde delle viti spongiose (che ormai non vengono quasi più usate). Le viti bloccate agganciano la placca fisicamente e producono un cambio enorme nel trasferimento delle forze dall'osso alla placca. Hanno una scanalatura sulla testa che combacia con uno simile all'interno della placca (tipo le placce DCP – dinamic compression plate), o tagliano la loro propria scanalatura all'interno del foro della placca (sistema PAX, seguros). In molti sistemi di blocco, il pitch della testa è la metà di quello dell'asta. Il profilo della scanalatura della testa è spesso alterato per avere un pitch più fine e meno profondo, perché queste viti sono pensate per avere una resistenza maggiore alle forze di flessione mentre non sono troppo resistenti al pull-out. Il sistema Fixin (Intrauma) usa una combinazione di testa scanalata e una ulteriore forma conica per bloccare la vite alla placca.

L'altra caratteristica delle viti più comune è la vite lag, o a compressione. Questa classificazione segue il concetto di funzione della vite piuttosto che della sua forma, e tutte le viti possono essere posizionate a compressione. Le viti spongiose parziali, ossia con la

scanalatura che non copre tutta la loro lunghezza, producono un effetto compressione se messe con le tecniche di piazzamento standard, finché il filo lavorerà solo sul frammento distante.

Le viti autofilettanti sono disegnate per velocizzare il processo di inserzione. Una testa tagliente permette l'inserzione senza usare una ulteriore punta per disegnare il percorso della vite nell'osso. La presenza di una testa di taglio riduce la superfice totale di interfaccia osso-placca, quindi queste viti devono essere messe per forza a tecnica bicorticale (almeno 2mm oltre la corticale distante) per ottenere un potere di mantenimento simile a quello delle viti non autofilettanti posizionate per metodologia classica40. Le

dimensioni normali per una vite corticale o spongiosa sono 1.5, 2.0, 2.4, 2.7, 3.5, 4.5, 5.5 e 6.5mm in diametro. Le viti sono composte di acciaio 316L, come gli altri impianti. Esistono anche le viti in titanio ma devono essere messe solo su placche di titanio. Per le viti standard, durante il posizionamento, la forma della scanalatura converte la torsione di quando viene stretta la vite in compressione lungo l'asta della vite. Il design è relazionato alla densità e durezza dell'osso che viene fissato. Un pitch più fitto e un profilo meno profondo sono utilizzati per l'osso corticale molto denso. La forza di spinta di una vite è determinato prima di tutto dal suo diametro esterno e secondariamente dalla forza del materiale dove è posizionato. Il diametro a cuore determina la resistenza alla flessione della vite. Come con i chiodi, la area di inerzia è calcolata mediante il raggio alla quarta potenza. Se una vite viene posizionata dove viene richiesta una flessione, meglio posizionare viti a cuore molto largo. Proprio per questo, essendo che le viti bloccate devono spesso resistere a forze di flessione, vengono usate con un cuore molto largo. Molte viti se non posizionate in una placca sono impiantate con funzione di compressione, creata perché la vite lavora solo sulla corteccia lontana. Quando la vite è stretta, la testa prende contatto con la corteccia vicina ed il lavoro longitudinale della vite fa si che i due frammenti siano compressi insieme. La compressione può essere creata usando una vite che è solo parzialmente scanalata o forare eccessivamente il buco nella corteccia vicina in modo che la vite non vi lavori. Questo è chiamato glide hole. L'orientamento ottimale della vite a compressione è perpendicolare al piano di frattura. Tuttavia, per fratture oblique corte, questo orientamento non sempre è raggiungibile. Per fratture più corte, se la vite è orientata troppo perpendicolare all'osso, può causare lo slittamento dei frammenti l'uno

sull'altro. Se la lunghezza della frattura è meno di 1,5 volte il diametro dell'osso, il posizionamento di una vite è oggettivamente difficoltoso.

Una vite di posizione è utilizzata per mantenere i frammenti in una posizione precisa. Questi sono piazzati con la scanalatura che lavora su entrambi i frammenti (detti cis il frammento vicino e trans quello lontano). Questa è una stabilizzazione molto meno stabile di quella compressiva. Il piazzamento come vite di posizione può essere necessario se la compressione potrebbe causare il collasso dei frammenti. Questo è particolarmente il caso delle fratture articolari complesse.

L'uso primario delle viti standard è tuttavia mantenere le placche attaccate all'osso. Quando le viti sono usate con placche non bloccate, queste vengono rese solidali con l'osso comprimendole contro di esso. La scanalatura della vite non aggancia la placca, per cui quando la vite è stretta, la testa spinge la placca verso l'osso. La dimensione della vite e la qualità dell'osso determina il totale di forza che può essere generato (209). La forza ottimale è pari al 70% del 100% totale della forza di chiusura (definizione di stripping torque).

Placche

Le placche ossee sono fatte anch'esse di 316L. La maggioranza degli impianti sono rinforzati, ma alcuni, tipo le placche da ricostruzione, hanno un acciaio ammorbidito, così che possano essere più facilmente plasmate per adattarsi all'osso. Ci sono anche stili di placche in titanio. Queste possiedono il vantaggio teorico di essere più resistenti alla fatica ma non sono dure quanto le equivalenti in acciaio.

Le placche sono disponibili in molte dimensioni e forme, dipendendo dal sito dove verranno applicate e dalla forza richiesta. Molte aziende producono placche e viti che identiche ai sistemi originali sviluppati dal gruppo AO. Molti di questi sistemi sono apposta pensati per il mercato della medicina veterinaria.

Il primario sistema di placca osseo è la placca a compressione. Questo nome deriva dal

design del foro di alloggiamento della vite, che, quando usato correttamente nella

situazione appropriata, risulta nella compressione dei frammenti della frattura. Le dimensioni basilari sono di 1.5, 2.0, 2.4, 2.7, 3.5 e 4.5. Nel sistema 3.5, una placca broad (ampia) è stata creata per la medicina veterinaria da usare nelle stesse situazioni della 4.5.

Essendo che i fori delle viti sono più piccoli (alloggiano le viti da 3.5), la placca risulta più forte. Inoltre, i fori sono anche più vicini, quindi più viti sono presenti per la stessa lunghezza della placca. Il problema con le placche da 3.5 broad è che sono difficoltose da piegare. Le placche LC-DCP (limited contact dinamic compression plate) sono state sviluppate per via dei problemi associati alle placce DCP. In queste, la porzione inferiore della placca non ha dei segmenti concavi – invece presenti nelle LC DCP – che servono per ridurre il contatto con l'osso, riducendo il danno alla vascolarizzazione. Le placche LC – DCP sono presenti in misura 2.0/1.5, 2.4/2.0, 2.7 e 3.5mm.

Due dimensioni di placche sono valide per viti di dimensioni diverse, e sono disponibili in misura lunga così che vanno tagliate per essere utilizzate. Se serve un impianto più forte, due placche di questo tipo possono essere posizionate una sopra l’altra.

Le placche lunghe hanno una sezione al centro senza fori, perché sono state inizialmente pensate per “bypassare” un gap presente in caso di danni acuti o dopo escissione di una porzione di corticale. Con il cambio nella filosofia del trattamento delle fratture, adesso vengono usate con funzione a ponte nelle fratture comminute senza tentare la riduzione. Essendo impianti a ponte, non è di alcuna utilità dargli un effetto a compressione.

Le placche da ricostruzione sono fatte di un acciaio più morbido. Questo permette di modellarle in tutte e tre le direzioni, ma sono considerevolmente più deboli delle controparti LC-DCP. Sono state usate per fratture di pelvi, mandibola e mascella, e ultimamente anche per il femore distale.

Ci sono poi molte placche specifiche per l'applicazione in medicina veterinaria. Una placca a T è stata prodotta per le artrodesi parziali di carpo nei cani di taglia media o grande. L'area del collo di queste placche è più larga e la placca più spessa, per renderla più forte, rendendola anche utilizzabile per fratture distali delle ossa lunghe. Placche specifiche per una artrodesi pancarpale sono state ideate con fori per una vite più grande da una estremità piuttosto che dall'altra. Questo permette al chirurgo di usare viti più piccole nell'osso metacarpale, riducendo il rischio di fratture iatrogeniche. Un foro centrale che può alloggiare una vite di entrambe le dimensioni è posizionato sopra l'osso carpale intermedioradiale.

Placche curve sono disponibili per riparare fratture acetabolari. Il sistema AO è simile in design alle DCP ed è disponibile fra 2.0 e 2.7mm. Il secondo stile di placche acetabolari è fatto di acciaio più morbido così che possano essere più facilmente modificabili.

Questi esempi sono solo alcuni della varietà di placche veterinarie presenti sul mercato, e sono in continuo aumento. Attualmente vengono usate placca specifiche per la TPLO, TTA, DPO, salvataggio dell'arto e molte altre.

Le DCP servono quindi per fornire una buona stabilità ad entrambi i frammenti della frattura, comprimendoli fra loro. Questo permette una guarigione primaria dell'osso. I fori delle viti sono ovali, e la superficie di contatto della vite è inclinata. Se la vite è piazzata sulla porzione sopraelevata del foro, quando viene stretta provoca il movimento del frammento osseo rispetto alla placca in direzione centrale, provocando la compressione dei frammenti.

Se il piano di frattura è obliquo, applicando la compressione con la placca si causa lo slittamento di un frammento sull'altro. In questo caso, la compressione dei due frammenti è raggiunta con una vite posta a compressione. Tuttavia, da sola, una vite non sarà mai sufficiente a resistere alle forze di flessione, quindi una placca viene lo stesso applicata. Una placca in questa modalità è detta di neutralizzazione.

Quando l'osso non può essere ricostruito nell'area della frattura, la placca è applicata in modalità a ponte. Viene assicurata al frammento distale e prossimale, e deve assorbire la totalità del carico finché l'osso non si rimargina. La forza di di una placca è ridotta nei fori delle viti, rendendola più soggetta a flettersi in questi punti. Le LC – DCP sono ideate per

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