• Non ci sono risultati.

Studio statistico retrospettivo dei fattori di fallimento di impianti Locking Compression Plate (LCP synthes©) in fratture appendicolari del cane e gatto

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Studio statistico retrospettivo dei fattori di fallimento di impianti Locking Compression Plate (LCP synthes©) in fratture appendicolari del cane e gatto"

Copied!
125
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in Medicina Veterinaria

Studio statistico retrospettivo dei fattori di fallimento di impianti

Locking Compression Plate (LCP synthes©) in fratture

appendicolari del cane e gatto

Candidato: Riccardo Fantoni

Relatore: Prof.ssa Simonetta Citi Correlatore: Dott. Alessio Raschi

(2)
(3)

Riassunto:

Parole chiave - Cane, Gatto, Fratture, Appendicolari, LCP


Obiettivi - Valutare l’impiego di impianti ortopedici a stabilità angolare LCP (Locking Compression Plate) Synthes© in fratture dello scheletro appendicolare di cani e gatti, con particolare attenzione a quelle caratteristiche dell’impianto che possono condizionare negativamente la riuscita del processo di guarigione. 


Materiali e metodi - Analisi retrospettiva di casi clinici di cani e gatti con fratture appendicolari trattate con sistema LCP (Locking Compression Plate) Synthes©. Sono stati inclusi soggetti con follow up clinico e radiografico pre e post-opetatorio, con il fine di analizzare dal punto di vista statistico i casi che hanno sviluppato complicazioni legate all’impianto rispetto agli altri. 


Risultati - Sono stati analizzati 119 casi clinici raccolti fra il 2012 e il 2019. Sono stati impiegati sistemi di osteosintesi LCP Synthes© 2.0, 2.4, 2.7, 3.5 e 3.5BROAD. Sono stati divisi i casi in base alla specie del paziente e se il caso si fosse risolto senza complicazioni oppure no, per poi analizzare le differenza fra i casi riusciti e quelli dove si riportano complicazioni. Si evidenziano correlazioni statisticamente significative in base alla lunghezza della placca rispetto alla frattura e una tendenza rispetto allo spessore delle viti rispetto all’osso e alla presenza di più di 2 viti bloccate per frammento. 


Discussioni e conclusioni - Questo lavoro presenta molte limitazioni in relazione alla sua natura retrospettiva ed alla variabilità dei casi clinici, con la difficoltà aggiuntiva di basarsi su casi trattati in numerose strutture differenti. Lo studio conferma la necessità dello sviluppo di linee guida riguardo l’utilizzo del sistema bloccato in traumatologia veterinaria e dimostra che queste linee guida dovrebbero basarsi su una suddivisione dei casi in: specie, segmento osseo interessato e tipologia di frattura.

(4)

Abstract

Key words - Dog, cat, fractures, appendicular, LCP


Objective - Value the use locking orthopedic device dog’s and cat’s fractures, with special attention to those factors who can negatively influence on the healing process. 


Materials and Methods - Retrospective analysis of clinical cases of dogs and cats with appendicular fractures treated with device LCP Synthes©. Are included patients with adeguate clinical and radiographic follow up with the purpose of study with a statistic point of view those cases who develop complications related to the implant.


Results - We retrospectively analyzed 119 clinical cases between 2012 and 2019 where were used LCP Synthes© 2.0, 2.4, 2.7, 3.5 and 3.5BROAD devices. All cases are divided between dogs and cats, and later for those who heal without complication and those who didn’t. We recognize a statistic correlation between the complications and a plate too short for the gap of the fracture, and there is also a tendency for the use of plates too thicks for the fractured bone, and for the use of more that 2 LHS in the main fragment. 


Discussion and conclusion - This work has several limits due to its retrospective nature and the variety of its clinical cases, and worst because all cases are treated in different private structures. The study agree with the needed of develop generale roles of use regarding the use of locking device in veterinary traumatology, and show why this guide lines must be redacted evaluating the differences between both dog and cat, between different bone involved and finally for different kind of fractures. 


(5)

PARTE GENERALE

Tessuti del sistema muscoloscheletrico

9

Organizzazione generale dei tessuti connettivi 9 Caratteristiche generali del sistema muscolo scheletrico 10

Componenti della matrice extracellulare

Composizione e proprietà di specifici tessuti connettivi 14

Osso Cartilagine

Biomeccanica dell'osso e biologia delle fratture

21

Concetti di biomeccanica e loro applicazione 21 Struttura ossea e proprietà meccaniche dell'osso 25

Biomeccanica delle fratture 28

Biologia delle fratture 33

Guarigione primaria 35

Guarigione secondaria 37

Ambienti speciali nella guarigione ossea 42

Riparazione delle fratture nei pazienti giovani: elastic plate ostesynthesis Osteogenesi per distrazione

Fratture e fratture esposte

46

Classificazione delle fratture 46

Trattamento 47

Terapia antibiotica pulizia chirurgica iniziale Pulizia chirurgica definitiva

(6)

Fissazione interna delle fratture

52

Pianificare la riduzione della frattura 55

Riduzione anatomica a cielo aperto Ostesintesi biologica

Open but do not touch

Minimally invasive osteosynthesis

Selezione degli impianti 58

Fili ortopedici Chiodi

Chiodi bloccati; Viti e placche

Principi dell'impianto di placche bloccate e viti 67

Biomeccanica degli impianti ad angolo-bloccato

Applicazioni delle placche 71

Impianto con placca e chiodo 73

Unioni ritardate, non-unioni e malunioni

74

Inadeguato ambiente meccanico 74

Unioni ritardate 76

Non unione 77

Mal-unione 78

Osteomieliti e infezioni associate agli impianti

79

Eziologia 79

Patogenesi 80

Infezioni associate agli impianti 80

Trattamento e prevenzione 82

(7)

Scopo del lavoro 85

Materiali e metodi 85

metodiche chirurgiche

Risultati 89

Complicazioni Studio degli impianti Utilizzo delle placche

Analisi statistica 102

Discussioni 106

Fratture semplici vs Fratture complesse Correlazione statistica vs correlazione causale Confronto con la bibliografia

L’importanza della valutazione del segmento osseo nello studio

Conclusioni 118

(8)
(9)

Tessuti del sistema muscoloscheletrico

Il sistema muscoloscheletrico dei vertebrati è composto da tessuto connettivo specializzato che disegna la forma generale del corpo e fornisce una base per il movimento. Inoltre, lo scheletro assiale e la cassa toracica servono da protezione per il sistema nervoso centrale e gli organi toracici, rispettivamente. Lo scheletro funziona inoltre come sito di stoccaggio per sostanze minerali e gioca un ruolo dinamico e vitale nella regolazione della omeostasi del calcio e nella emopoiesi. Nella ematopoiesi post natale il midollo osseo delle ossa lunghe si incarica della maggior parte della produzione delle emazie, sotto controllo regolatore degli elementi del sistema ematopoietico. I muscoli allo stesso modo giocano un ruolo importante nel metabolismo degli aminoacidi e del glucosio, in aggiunta alla loro funzione locomotoria.

Organizzazione generale dei tessuti connettivi

Classicamente, i tessuti connettivi sono descritti come composti da cellule e fibre sospese in una sostanza amorfa. Più modernamente, attualmente i tessuti connettivi sono descritti come tessuti ipocellulari, con specifiche cellule mesenchimali immerse in una matrice specializzata extracellulare.

Nel sistema muscolo-scheletrico, le cellule del tessuto connettivo hanno fenotipo e morfologia specifico, e prendono nome in base al tessuto dove sono situate: osteociti per l’osso, condrociti per la cartilagine. I tessuti connettivi contengono inoltre un piccolo numero di cellule migratorie come i mastociti, i macrofagi e altri leucociti. Il collagene, la proteina più abbondante nel corpo, è un ubiquitario componente del tessuto connettivo e della sostanza amorfa. Questa è appunto una complessa e variabile sostanza composta da proteine non fibrillari, glicoproteine, proteoglicani e proteolipidi. Ad eccezione del muscolo, i tessuti del sistema muscolo scheletrico sono tessuti connettivi densi, in funzione della relativa abbondanza della matrice extracellulare se comparata con la massa cellulare. La composizione e organizzazione della matrice extracellulare sono i primi determinanti delle proprietà meccaniche del tessuto connettivo.

(10)

Caratteristiche generali del sistema muscolo scheletrico

La maggior parte delle strutture muscolo scheletriche sono composte di tessuto mesenchimale, che deriva dal mesoderma embrionale. Unica eccezione è il nucleo polposo dei dischi intervertebrali, che è invece di origine neuro ectodermica. Durante lo sviluppo, le strutture muscoloscheletriche sono popolate da un limitato numero di cellule multipotenti (cellule staminali mesenchimali). Queste cellule, includendovi anche le cellule dei muscoli, i preosteoblasti e le cellule staminali di tendini e legamenti, sono capaci di auto rinnovamento e replicazione mediante divisioni cellulari asimmetriche, e possono andare incontro ad una differente differenziazione come risposta a diversi segnali di tipo umorale e meccanico in un processo detto osteogenico o condrogenico.

Una caratteristica comune delle cellule del tessuto connettivo è la meccanosensibilità. La meccanotrasduzione è il processo per cui ogni cellula risponde con risposte biologiche a stimoli di origine meccanica. L’effetto di forze meccaniche sulle strutture muscolo scheletriche produce una distribuzione dello stress e una regolazione dell'allungamento del tessuto. L’adattabilità si riferisce alla abilità di un tessuto di mantenere specifiche proprietà che sono richieste per la sua funzione in risposta a stimoli di diverso tipo. La risposta di un tessuto allo stress può essere fisiologica o patologica, dipendendo dalle condizioni anatomiche e dalla natura delle forze coinvolte. Si ha una risposta fisiologica durante la formazione e rimodellamento dell’osso in seguito ad una frattura o durante l’accrescimento, mentre un esempio di adattamento patologico potrebbe essere quello dell'ispessimento e fibrosi della capsula articolare in risposta ad una instabilità cronica. Il meccanismo secondo cui forze meccaniche possano stimolare cambi nel comportamento cellulare è complesso e non del tutto compreso. La forza dei fluidi sulla superficie cellulare viene probabilmente recepita da una miriade di meccanorecettori di superficie, inclusi i corpi ciliari. La deformazione della membrana plasmatica potrebbe indurre cambi conformazionali nei canali ionici trans-membrana o nei recettori, cambiamenti che a loro volta potrebbero attivare segnali intracellulari con un effetto a cascata.

Un’altra caratteristica del sistema muscoloscheletrico sono le strette interconnessioni fra le cellule, ad eccezione della cartilagine. Studi immuno-istochimici di ossa, tendini e legamenti mostrano che le cellule, regolarmente distribuite in tutta la matrice extracellulare, sono intensamente interconnesse mediante un sistema di gap-junction1,2,3.

(11)

Queste connessioni sono ristabilite durante la rigenerazione dei tessuti come muscolo e osso. Al contrario, tessuti come tendini e legamenti, dove la guarigione avviene mediante fibrosi, la connessione regionale non viene ristabilita4. Questo potrebbe spiegare le

inferiori proprietà meccaniche e la relativa mancanza di adattabilità delle cicatrici, se comparata con i legamenti e tendini originali.

Componenti della matrice extracellulare

Collagene

Il collagene è la proteina più abbondante nel corpo dei mammiferi, arrivando ad essere il 90% del peso secco di tessuti densi e fibrosi come tendini e legamenti. Il collagene è un componente ubiquitario di tutti i tessuti connettivi ed è il responsabile primario per la resistenza alla tensione di questi tessuti. A seconda della sua diversa funzione e struttura, il collagene può essere classificato in sottogruppi, quali:

Collagene formante le fibrille Collagene di connessione Collagene associato alle fibrille Collagene trans membrana

Tutti i tipi di collagene condividono una comune struttura terziaria, consistente di una tripla elica formata da tre diverse molecole polipeptidiche dette catene alfa. La biosintesi del collagene comincia con la trascrizione del gene codificante per le catene alfa, e la traduzione in RNA messaggero che guida la formazione di catene pre-pro alfa o pre-pro collagene. L'attività della lisina e prolina - idrossilasi porta alla idrossilazione di specifici residui di prolina e lisina all’interno del polipeptide, reazioni che avvengono contemporaneamente con la translazione del mRNA e richiedono acido ascorbico, ossigeno, ferro e altri cofattori. L’idrossilazione della prolina è uno step regolatore primario per la sintesi del collagene, come dimostrato in animali con una mutazione invalidante presso geni codificanti per la sintesi dell’enzima, che sviluppano gravi forme di osteogenesi imperfetta. Altre modifiche post-translazione delle catene pre-pro alfa includono la reazione di glicosilazione O-linked e l’assemblamento della tripla elica, che

(12)

avviene all’interno del corpo cellulare. Le triple eliche sono stabilizzate da legami solfidrici e da numerose molecole in una reazione catalizzata dall’enzima propyl-peptidyl isomerasi, che forma le triple eliche di tropo collagene. Infine il telo peptide globulare viene aggiunto da una ampia varietà di metallo proteinasi subito prima o dopo la secrezione, ottenendo cosi la formazione di tropo collage5. Il montaggio del tropo

collagene in macromolecole fibrillari complesse - nella matrice extracellulare - è un processo chiamato fibrillogenesi e avviene quando le molecole di tropo collagene allineate in una forma sfalsata si uniscono covalentemente a formare fibrille mature. Questo passaggio è catalizzato da un enzima, la lisinaossidasi, rame dipendente, ma la fibrilla nascente interagisce con una ampissima varietà di proteoglicani, alcuni dei quali sembrano giocare un ruolo nella regolazione del diametro delle fibrille e nelle interazioni interfibrillari. In alcuni tessuti, come tendini e legamenti, le fibrille possono interagire fino a formare una fibra macroscopica dal diametro di molte migliaia di micrometri. Le proprietà di un tessuto ricco di collagene non sono date solo dalle proprietà intrinseche del collagene stesso, ma anche dall’orientamento, impacchettamento e diametro delle fibre di collagene. La struttura gerarchica del collagene permette di generare una ampissima varietà di configurazioni fibrillari che sono specificatamente adatte alla funzione che richiede il tessuto. Per esempio, la cartilagine articolare, che è normalmente sottoposta a stress multidirezionali e compressione e scarico del peso, è parimenti fornita di fibrille di piccolo diametro all’interno della matrice extracellulare, che formano una rete complessa e multidirezionale fornendo così resistenza alla deformazione in molte direzioni.

Proteoglicani;

I proteoglicani sono un gruppo di proteine glicosilate, ubiquitarie, importanti componenti della matrice extracellulare di tutti i tessuti connettivi. La struttura base di ogni proteoglicano consiste in un core proteico con una o più catene glicosaminoglicaniche unite covalentemente a formare una struttura tridimensionale. I glicosaminoglicani sono polimeri di lunghezza variabile, composti da unità disaccaridiche. Il singolo glicosaminoglicano è definito dalla specifica unità disaccardica da cui è composto. L’acido ialuronico è un glicosamminoglicano composto da ripetute unità di glucosammina e D-acido glucuronico. I proteoglicani possono essere divisi in due grandi gruppi, quello dei

(13)

glucosaminoglicani (eparin e keratin solfato) e galactosaminoglicani (condroitin e dermatin sulfato). Gli aggregati di proteoamminoglicani hanno carica anionica, con ampia affinità per l’acqua. In molti tipi di matrice extracellulare, come nella cartilagine, questa affinità viene sfruttata per creare un alto livello di idratazione e turgidità che permette la distribuzione dell’energia, la attenuazione degli urti e fornisce quindi resistenza alle ampie superfici articolari.

Elastina e componenti elastiche;

Le fibre elastiche sono componenti della matrice extracellulare che forniscono flessibilità, estensibilità e resilienza ai tessuti. Le fibre elastiche sono variabilmente presenti nel tessuto muscolo scheletrico, a seconda della necessità del tessuto di essere elastico. Per esempio formano la maggior parte della composizione del legamento nucale, mentre sono presenti solo in piccola parte (5% del peso secco) nei tendini. Una volta formate, queste fibre elastiche sono più o meno stabili, e il loro turn-over quasi nullo. La elastogenesi tuttavia riprende durante la fase riparativa della cicatrizzazione tissutale e può essere indotta in una varietà di tessuti se sottoposti a forze di tensione.

Altre componenti della matrice extracellulare;

La matrice extracellulare del tessuto connettivo contiene numerose altre proteine, proteolipidi e glicoproteine che, a dispetto della loro scarsa rappresentanza, giocano un ruolo importante. Sono presenti 3 famiglie di fibrille, più una detta latent transforming growth factor – beta binding proteins. La fibrille sono proteine di grandi dimensioni, leganti il calcio, con una struttura secondaria bastoncellare, che formano macropolimeri fibrillari stabilizzati da legami mediati dalle transglutaminasi. Giocano un ruolo importante nel tessuto connettivo attraverso la loro interazione con i proteoglicani, il collagene e la elastina. Altri componenti della matrice includono fattori di crescita, proteine specifiche dell’osso come osteonectina, oseocalcina e sialoproteine ossee, e una ampia varietà di l'assemblaggio degli elementi fibrillari della matrice extracellulare.

(14)

Composizione e proprietà di specifici tessuti connettivi

Osso

Lo scheletro forma l’impalcatura di base che supporta l’apparato locomotore e, da un punto di vista meccanico, fornisce una serie di leve e perni dove la muscolatura scheletrica può esercitare la sua forza contrattile. Le ossa variano enormemente di forma in differenti specie, ma la loro architettura molecolare rimane fortemente conservata. Negli adulti, il tessuto osseo si può riscontrare soprattutto in due forme, corticale e spongiosa (o trabecolare). L’osso corticale è compatto, la sua unità funzionale sono le unità haversiane, che a loro volta sono composte da un canale haversiano centrale, circondato da lamelle ossee concentriche.

L’osso trabecolare invece è presente primariamente nella regione metafisaria delle ossa lunghe e fra gli strati di osso corticale nelle ossa piatte. È composto da una fitta e interconnessa rete di coni, placche e strutture chiamate trabecule. La superficie interna ed esterna dell’osso è coperta da una sottile membrana – rispettivamente – endostale e periostale, contenente osteoprogenitori e osteoblasti. La matrice extracellulare del periostio è ricca in collagene tipo I, proteglicani e una nutrita quantità di elastina.

La maggior parte delle cellule nell’osso sono osteoblasti, osteociti e osteoclasti. Le attività di queste cellule sono temporalmente e tridimensionalmente coordinate durante la crescita, come durante il rimodellamento e riparazione dell’osso. Questo trio di cellule è detto basic multicellular unit6. Gli osteoblasti risiedono all’interno della membrana endo e periostale, e

costituiscono una popolazione eterogenea di cellule che rappresenta diverse fasi di una crescita lineare, includendo i progenitori osteogenici, preosteoblasti e osteoblasti. Sono responsabili per la biosintesi delle componenti della matrice ossea e inoltre esprimono una ampia varietà di mediatori osteogenici. La loro attività è regolata da una ampia schiera di segnali extracellulari, includendo ormoni circolanti e fattori autocrini. Gli osteociti sono osteoblasti differenziati e incasellati nella matrice ossea durante l’ostesintesi. All’interno dell’osso, gli osteociti sviluppano sottili connessioni che intercorrono nella matrice cellulare con le cellule vicine, mediante proiezioni citoplasmatiche che intercorrono in canali contenenti liquido. Gli osteoclasti sono grandi cellule multinucleate sulla superficie dell’osso, che derivano da precursori ematopoietici della linea monolitica e sono

(15)

responsabili per la demineralizzazione e degradazione proteolitica della matrice ossea. La formazione e l’attività degli osteoclasti è strettamente regolata. Gli osteoblasti sono il maggior regolatore degli osteoclasti, della loro differenziazione e attivazione, mediante produzione di osteocyte colony stimulating factor (M-CSF) e l’attivatore (RANKL) del recettore attivante il fattore nucleare kappa B (NFkB). Quindi, gli effetti degli ormoni calcio tropici come l’ormone paratiroideo (PTH) e il PTH-rP sulla mobilizzazione del calcio osseo sono largamente indiretti, in quanto mediati dagli osteoblasti mediante espressione del RANKL7 L’osso vivente contiene una quantità di acqua ridotta, dal 5 al

10% del peso, mentre è composto al 70% di minerali. Il rimanente consiste di matrice organica con un ridotto numero di cellule. Il collagene compone il 90% della matrice organica sopratutto del tipo I, con parti minori del tipo III e V. Il rimanente della matrice organica consiste di proteoglicani, glicoproteine, proteine gamma carbossilate e altri proteine non incluse nel collagene, alcune derivate dal plasma come albumina e proteine epatiche. Il minerale osseo è composto primariamente di calcio idrossilo-apatite (CO10[PO4]6[OH]2) combinato con piccole quantità di altri minerali, incluso carbonato, magnesio, acido fosfato e altre tracce di impurità varie. La precipitazione iniziale dei cristalli di apatite ha luogo all'interno di vescicole specializzate all'interno della matrice extracellulare. Queste vescicole sono prodotte da condrociti e osteoblasti. I cristalli sono inizialmente deposti alla fine di singole fibrille collagene, e da li si espandono mediante la crescita del cristallo e micro-aggregazione in stretto rapporto con le fibrille. Le fibrille di collagene formano l'impalcatura dove avviene la mineralizzazione. Questo processo necessita di altre proteine di matrice come le sialoproteine ossee, osteocalcina e fosfatasi alcalina.

La configurazione delle fibrille di collagene nella matrice ossea può quindi dare una struttura interna diversa all'osso. Nell'osso lamellare, le fibrille sono deposte con un orientamento alternato, con un pattern retiforme altamente specializzato, mentre nell'osso giovane le fibrille sono disposte senza un apparente ordine. Questo osso giovane e temporaneo si forma tipicamente durante la iniziale fase di ossificazione endocondrale, durante la crescita dell'osso e durante la ossificazione secondaria nelle cure delle fratture.

(16)

La componente minerale della matrice extracellulare dell'osso fornisce alta resistenza e forza sopratutto per resistere agli stress di tipo compressivo. In contrasto, la resistenza alla forza tensiva nasce primariamente dalle componenti organiche.

L'osso è un tessuto altamente dinamico sottoposto a continui rimodellamenti, che regolano un bilancio controllato fra assorbimento e apposizione di tessuto osseo. L'abilità dell'osso di rimodellarsi attivamente in risposta ad una forza meccanica fu descritto per prima del chirurgo tedesco Julius Wolff nel 19828.

Durante l'osteogenesi, la differenziazione terminale da osteblasti a osteociti esita in un cambiamento significativo nell'espressione genica. Un importante regolatore della osteogenesi è la sclerostina, un regolatore paracrino che viene espresso negli osteociti in risposta ad uno stress meccanico9,10. La sclerostina viene rilasciata dalle parti terminali

delle estensioni citoplasmatiche degli osteociti e esplica funzione inibitoria sulla proliferazione e sulla attività biosintetica degli osteoblasti. La perdita di osteociti porta ad un decremento della produzione di sclerostina, che a sua volta esita in un aumento nella differenziazione e attività sintetica degli osteoblasti. La attività degli osteoblasti comprende l'espressione del gene M-CSF e del RANKL, i maggiori mediatori della differenziazione degli osteoclasti.

Nel contesto di un trauma tissutale o altre patologie, numerose citochine infiammatorie potenziano il reclutamento e la differenziazione degli osteoclasti, che sono quindi reclutati in una area bersaglio e riassorbono l'osso localmente. Il riassorbimento della matrice rilascia numerosi fattori di crescita e altri mediatori, includendo anche membri della famiglia del TGF-ß, IGFs (insulin-like growth factor), FGF (fattore di crescita dei fibroblasti) e frammenti di matrice che stimolano la attività degli osteoblasti. Alla fine del ciclo di riassorbimento gli osteoclasti vanno incontro ad apoptosi e il punto di riassorbimento viene preparato per una nuova deposizione di osteoidi, in un processo che non è stato del tutto compreso. Durante la apposizione del nuovo tessuto gli osteoblasti vengono incasellati nella nuova matrice in mineralizzazione, diventano osteociti, stabilizzano l'effetto inibitorio sugli osteoblasti vicini e cosi termina il ciclo di rimodellamento. Il rimodellamento interessa in genere la superficie corticale o quella trabecolare, tuttavia un processo simile può anche osservarsi all'interno dei canali haversiani nell'osso corticale. In questo caso, i precursori degli osteoclasti sono reclutati

(17)

nelle aree dell'osso danneggiato attraverso la vascolarizzazione haversiana. La differenziazione e la attivazione di queste cellule porta alla formazione di un cluster di osteoclasti che migra attraverso i canali haversiani, creando un tunnel di riassorbimento nell'osso compatto. Questo cluster forma il fronte di avanzamento di un cono di taglio ed è strettamente seguito da neogenesi capillare e da una popolazione di osteoblasti che deposita nuove lamelle concentriche di osteoni durante il percorso del cono. La formazione del cono di taglio e il rimodellamento corticale diretto avviene durante la cicatrizzazione primaria delle fratture, e può quindi essere considerato una forma di guarigione del tessuto osseo per rimodellamento diretto.

Cartilagine

La cartilagine ialina forma le superfici di scarico del peso in tutte le diartrosi. L'aspetto traslucido di questa cartilagine è dato dal suo alto contenuto in acqua (70% del peso) e alla sua struttura di collagene. Per quanto riguardo il peso secco, la cartilagine è composta al 50% di collagene, 35% di proteoglicani e al 10% di altre glicoproteine. Il restante è composto da una miscela di minerali e lipidi. I condrociti formano approssimamente dal 2 al 10% del volume della cartilagine. La cartilagine articolare fornisce una superficie priva di punti di frizione e funzionale per lo scarico del peso, moderatamente resistente alla deformazione se sottoposta a forze compressive. Queste proprietà riflettono la composizione della matrice extracellulare e l'attività dei condrociti.

La cartilagine articolare è strutturalmente eterogenea con variazione nella architettura molecolare fra differenti articolazioni, e anche fra diverse aree di scarico del peso all'interno della stessa articolazione.

La cartilagine articolare è divisa in zone non mineralizzate, che sono divise dalla cartilagine calcificata (IV zona) dalla linea di confine ossea. Il confine inferiore della cartilagine matura calcificata è la linea di cemento formatasi alla fine della ossificazione encondrale della fisi di crescita epifisaria articolare durante lo sviluppo. Negli adulti, la zona I (zona superficiale o tangenziale) ha la densità di cellule maggiore. I condrociti sono piccoli e rotondi, e sono orientati lungo l'asso lungo parallelo alla superficie. La zona II (di transizione) mostra cellule più larghe di forma rotondeggiante. La zona III (radiale) invece mostra cellule ancora più grandi, disposte con asse lungo in modo quasi perpendicolare alla

(18)

superficie. La citoarchitettura della cartilagine articolare è complementare alla organizzazione delle fibrille di collagene: l'ordine geometrico delle fibrille varia in accordo con il sito anatomico e dalla profondità nel tessuto. Nella zona superficiale le fibrille di collagene sono per lo più tangenziali alla superficie articolare, in modo da distribuire la forza di tensione in modo parallelo alla superficie durante lo scarico del peso. Nella zona mediale le fibrille sono disposte in una rete tridimensionale, con molte delle fibre più larghe che decorrono perpendicolarmente alla superificie in una disposizione simile all'apparato radicale di un albero. Nella zona profonda e calcificata, dove predominano forze di tipo compressivo, le fibrille sono più spesse, disposte soprattuto in senso perpendicolare alla superficie e in certi punti sono parzialmente mineralizzate. Lo strato superficiale quindi forma un diaframma protettivo capace di resistere alla tensione sul piano della superficie articolare, mentre le fibrille più profonde sono organizzate per resistere a forze compressive11. La aumentata concentrazione di proteoglicani che si

osserva scendendo di profondità nella cartilagine è appunto associata a questa resistenza alla compressione, mentre nella parte superficiale predominano le fibrille di collagene. I condrociti sintetizzano, organizzano e regolano la composizione della matrice extracellulare in un ambiente avascolare e relativamente ipossico. In ogni stadio della crescita, sviluppo e maturazione, il grado di sintesi della matrice e la sua degradazione sono regolati per raggiungere una crescita equilibrata e un appropriato scarico del peso. Nel cane adulto, il turn-over del collagene è estremamente lento (120anni), nonostante quello dei proteoglicani sia solo di 300 giorni. Ciononostante, una perdita marcata di proteoglicani dalla cartilagine articolare è irreversibile e esita in una degenerazione articolare. Stress meccanico e citochine influenzano la produzione e la attivazione degli enzimi condrocitici che possono degradare la matrice cartilaginea, in un processo che di norma è tenuto sotto stretto controllo dalla produzione di enzimi inibitori e fattori di crescita anabolici. La maggior parte del collagene articolare è di tipo II (circa 85%), e forma una struttura tridimensionale che fornisce la resistenza alla tensione della cartilagine. Altri tipi di collagene presenti sono il tipo VI, IX, XI, XII e XIV.

Molti proteoglicani ricchi in leucine sono presenti nella cartilagine articolare, e possono essere divisi in due gruppi: uno ricco di condroitin/dermatan sulfati e l'altro ricco in keratan sulfati.

(19)

Le glicoproteine restanti (che non sono né collagene né proteoglicani) compongono una piccola parte ma molto importante della cartilagine articolare. Tutte queste proteine (di legame, fibronectine e oligoproteine della matrice cartilaginea) originano da un singolo gene ma vengono modificate in seguito alla loro produzione.

La lubrificazione è essenziale per l'ambiente cartilagineo, e molti modelli sono stati sottoposti a studio. Durante la compressione la cartilagine essuda un liquido lubrificante che forma un biofilm protettivo fra le due superfici articolari. La lubricina e l'acido ialuronico hanno funzione sinergica: la lubricina è il lubrificante di superficie, mentre l'acido ialuronico è più viscoso. La lubricina è più importante quando la cartilagine è sottoposta a forze intensamente importanti ma in condizioni di scarsa mobilità.

La cartilagine articolare può essere sottoposta a ampie deformazioni volumetriche, anche durante la normale attività fisica di un animale sano, ma queste deformazioni agiscono su un materiale elastico e quindi spesso sono temporanee. Il peso applicato alla superficie articolare viene suddiviso nelle varie componenti della matrice; le fibrille di collagene resistono alle forze di tensione mentre i proteoglicani forniscono le proprietà osmotiche che forniscono resistenza alla compressione. Queste proprietà forniscono anche alla cartilagine una certa capacità deformativa, permettendo la deformazione del tessuto necessaria per incrementare la congruenza con i capi articolari opposti12. I

glicosamminoglicani forniscono circa il 75% della pressione osmotica dei proteoglicani, che ha sua volta fornisce circa il 50% della rigidità alla cartilagine. Riassumendo quindi

◊ il turgore della cartilagine varia con a densità distribuzione e conformazione molecolare dei proteoglicani

◊ la resistenza tensile della cartilagine dipende dalla organizzazione strutturale e dalla forza del network delle fibre di collagene

Un difetto in uno o entrambi queste caratteristiche porta ad un decremento nella integrità meccanica della cartilagine e risulta in una degenerazione delle sue funzioni articolari. La fibrocartilagine è una forma di cartilagine specializzata che consiste in condrociti in una matrice extracellulare ricca di collagene tipo I, e relativamente povere di proteoglicani. La fibrocartilagine è un componente di molti tessuti muscolo scheletrici, come l'anello fibroso delle cartilagini intervertebrali e altri. La fibrocartilagine è un materiale molto duro ma flessibile e con una elasticità variabile. Le fibrille di colalgine nella fibrocartilagine sono

(20)

orientate in accordo con le forze che attraversano il tessuto. La fibrocartilagine inoltre si riscontra durante la degenerazione o guarigione di molti tessuti del sistema muscolo-scheletrico, come osso, tendini e legamenti, ed è il materiale predominante nei punti dove la cartilagine risulti danneggiata. 


(21)

Biomeccanica dell'osso e biologia delle fratture

L'osso è un materiale complesso composto di elementi sia organici che inorganici, e come tale è un tessuto vivente in costante stato di adattamento e rimodellamento. In vivo, l'osso è soggetti a forze fisiologiche risultanti dalla contrazione muscolare, dalla locomozione e dallo scarico del peso, ma oltre queste può essere anche sottoposto a forze non fisiologiche come in caso di incidenti automobilistici, oggetti contundenti, cadute, ferite da arma da fuoco e altri tipi di traumi. L'abilità dell'osso di resistere alle fratture durante questi eventi dipende da molti fattori, incluso l'intensità e la direzione delle forze applicate, la specie animale, l'età e lo stato di salute del tessuto osseo.

Concetti di biomeccanica e loro applicazione

Funzione primaria dell'osso è il supporto meccanico. Di conseguenza, la fisiologia dell'osso è influenzata da fattori meccanici. Per questo, una conoscenza basilare della meccanica e dei suoi principi è necessaria per sviluppare appropriati trattamenti per le fratture.

La meccanica è la scienza che studia l'effetto delle forze su corpi e strutture. La biomeccanica è la scienza che applica principi e concetti della meccanica a sistemi biologici. Il linguaggio della meccanica è la matematica, ma in biomeccanica i numeri sono usati soprattuto come vettori, quindi in associazione ad una unità di misura avremo anche una direzione. I vettori e gli scalari non sono che forme particolari di un concetto generale della matematica conosciuto come tensori, cioè la descrizione matematica di fenomeni tridimensionali. Esempi di vettori sono forza, velocità e accelerazione. Un vettore quindi può anche essere disegnato come una freccia. Il vettore non ha solo direzione in un piano bidimensionale ma bensì può essere scomposto nello spazio ad indicare diversa direzione sui piani x, y e z. questo è detto un tensore.

La forza

La forza è una quantità vettoriale che in condizioni teoriche è ben definita dalle leggi di Newton: La prima legge di Newton dice che un oggetto continua il suo movimento finché una differente forza viene applicata. La seconda legge di Newton spiega che una forza f applicata ad un corpo indurrà una accelerazione che è inversamente proporzionale alla

(22)

massa m del corpo (F=ma). Infine, la terza legge di Newton spiega che ogni forza applicata da un corpo ad un secondo corpo genera una forza pari e opposta a quella generata. Quando una forza è applicata ad un corpo, può indurre una deformazione del corpo stesso, un cambiamento nello stato mobile del corpo o entrambe. Quando forze multiple agiscono su un corpo, è utile determinare la forza resultante, cioè essenzialmente il netto delle forze agenti sul corpo, dove tutte le forze agenti vengano sommate. La sommatoria di quantità vettoriali richiede considerazione sia dell'intensità che della direzione. Quindi, la forza risultante avrà allo stesso modo una direzione e una intensità.

Moments

Le forze possono indurre cambi nel movimento o deformazione di un corpo. Tutti questi possono essere descritti in due termini fondamentali, come translazione e rotazione. La translazione è il movimento da un punto all'altro senza un cambio nell'orientamento, mentre la rotazione è un cambio nell'orientamento indotto quando il netto delle forze risulta in un moment. Un moment si genera quando una forza attua su un corpo ad una certa distanza da un potenziale asse di rotazione. Se le forze sono uguali in grandezza e sono applicate in direzione opposta, non ci sarà nessuna translazione. Se le forze attuano nella stessa direzione, non ci sarà rotazione, ma comunque se attuano non sulla stessa linea, per quanto possa non esserci traslazione, ci sarà tuttavia rotazione sullo stesso asse localizzato fra le linee di azione delle rispettive forze. La distanza fra la linea di azione di una forza e l'asse di rotazione è chiamata moment arm, il prodotto del moment arm e la forza applicata è il moment. Quando un moment è applicato ad un corpo, si ha la tendenza del corpo a ruotare.

Se un corpo è costretto in strutture che ne impediscono la rotazione o è sottoposto a moments applicati a capi opposti e in direzioni opposte avremo una flessione o una torsione (immagine)

Stress

lo stress è uno dei concetti più comunemente malcompresi nel campo della meccanica dei corpi solidi.

Un materiale è considerato omogeneo se le sue proprietà meccaniche sono le stesse in tutti i punti del materiale. Un materiale è detto isotropico se la risposta a forze meccaniche è la

(23)

stessa in qualsiasi direzione, mentre è detto anisotropico se non è così. Questi parametri non sono dati dalle proprietà intrinseche di un materiale, ma bensì dalla sua microarchitettura, ed è indipendente dalla sua macroarchitettura. L'osso corticale è un materiale anisotropico. È composto di osteoni, ossia colonne di osso lamellare dense e riccamente vascolarizzate orientate per resistere a forze altamente comprensive lungo l'asse lungo dell'osso. Per questo, non è ugualmente resistente a forze trasverse. Un materiale è detto lineare quando il cambio deformativo è costante e proporzionale ai cambi nelle forze. Se il cambio deformativo non è costante e proporzionale e costante con la forza di azione, il materiale è considerato non lineare. Infine, un materiale è considerato elastico se: è presente una relazione lineare fra la deformazione e la forza applicata (altrimenti il materiale è detto inelastico) e le relazione fra la deformazione e le forze applicate sono indipendenti dal rate di applicazione di queste forze, altrimenti il materiale viene detto viscoelastico. In biologia, la maggior parte dei materiali sono viscoelastici. Il termine viscoelastico è usato per materiali quindi che esibiscono sia proprietà meccaniche dei solidi sia quelle dei liquidi. Molti tessuti sono ricchi in acqua e hanno forti proprietà idrofiliche, e il comportamento viscoelastico di questi materiali in risposta alle forze applicate è sopratutto imputabile al movimento dell'acqua all'interno del tessuto.

Per sviluppare un concetto comprensibile di stress, consideriamo un materiale ideale, lineare ed elastico, omeogeo, isotropico, soggetto ad una singola forza uniassiale tensoria. Il materiale inizia ad allungarsi, in modo uniforme in ogni suo punto. Uno dei concetti più longevi della biomeccanica è stato elaborato da Cauchy nel 1827: quando una forza è applicata ad un corpo, gli elementi di questo interagiscono fra di loro in modo da distribuire le forze in tutto il corpo, e questa interazione è detta stress. Quindi la definizione di stress non ha a che fare con il concetto di vettori e scalari, ma bensì è meglio

(24)

descritto come un tensore di secondo ordine. Per questo, è meglio parlare dello stress in termini di distribuzione dello stress, quando si considera lo stato di un corpo o un oggetto biologico tipo un osso sotto sforzo meccanico. Va notato che lo stress non può essere misurato direttamente, ma si può misurare invece il peso e la deformazione e da questi calcolare lo stress, mediante un modello che possa esplicare come un materiale risponde ad una forza.

Tensione

La tensione è la misura della deformazione di un corpo in risposta allo stress. Come lo stress, la tensione è un tensore di secondo ordine, e per questo è più appropriato pensare alla tensione in termini di campi di distribuzione. La distribuzione della tensione nel corpo dipenderà dalle proprietà del corpo stesso, che dipendono dalle varie proprietà del materiale. È importante valutare due stati riguardo la tensione, ossia lo stato iniziale (prima della applicazione della forza) e lo stato successivo. Sono state proposte molte unità di misura per la tensione, ma tutte incorporano il concetto di allungamento e ratio di allungamento, dove semplicemente si ha un rapporto fra la lunghezza del corpo dopo e quella prima l'applicazione delle forze. Questo ratio in molti testi di veterinaria è confuso con la tensione in sé. È importante comprendere che la tensione si applica ad una area, che è possibile esprimerla in maniera differente, e che ci sono limitazioni alle condizioni sotto le quali le forme più comune di tensione possono essere applicate.

(25)

Struttura ossea e proprietà meccaniche dell'osso

La struttura dell'osso è estremamente complessa, e viene più facilmente esplicata attraverso un sistema gerarchico13. In questo sistema, il livello più basso della organizzazione

gerarchica è a livello molecolare e viene riferito come nanostruttura e ultrastruttura. Il livello seguente è quello riferito come microstruttura. Il termine lamella è usato per definire un sottile foglio o struttura piana, composto di membrana o tessuto. Le lamelle ossee formano un anello che istologicamente sembra simile alla superficie di taglio di un albero segato. Vanno da uno spessore di 3 a 7µm. In contrasto all'osso lamellare, l'osso verde è meno organizzato. Appare come una piccola e poco organizzata struttura che contiene pori spersi in un mare di collagene mineralizzato di tipo I in fibre. L'osso verde può essere formato rapidamente, e per questo è il primo tessuto a comparire ex-novo durante la rimarginazione delle fratture come callo osseo, nelle fisi durante l'accrescimento e anche nella risposta infiammatoria dell'osso come osteite. L'osso primario è osso semplice formato in una locazione dove prima non era esistente. È direttamente depositato sopra uno strato senza il riassorbimento dell'osso pre-esistente. L'osso primario può essere di 3 tipi; lamellare primario, plessiforme e osteoni primari.

L'osso lamellare primario consiste in un denso network di fogli laminari paralleli. Ha una alta rigidità e provvede soprattuto al supporto meccanico. Comunque, l'osso lamellare primario più anche essere depositato in superfici trabecolare all'interno dell'osso spongioso. L'osso plessiforme è composto di osso non lamellare e osso lamellare primario, e contiene un network vascolare di interconnessione. Gli osteoni primari sono formati dall'approfondimento di vasi sanguigni all'interno dell'osso lamellare. Questo forma i canali haversiani, circondati da cellule ossee.

L'osso secondario invece è tessuto osseo formato dopo riassorbimento dell'osso precedente e deposizione di nuovo osso al suo posto. La formazione di osso secondario richiede una precisa ed elegante serie di eventi che contemporaneamente riassorbono e rimpiazzano l'osso. La formazione di osso secondario è in corso costantemente durante il rimodellamento osseo, viene usata per riparare danni microscopici e microfratture all'interno dell'osso. Il risultato della formazione secondaria di osso è la formazione di osteoni secondari o sistema haversiano. Gli osteoni secondari consistono in un network di

(26)

fibre ossee orientate parallelamente ad un canale haversiano centrale, con le cellule ossee orientate intorno a questo canale in modo similare all'osteone primario. Gli osteoni secondari però sono molto più grandi di dimensioni, e contengono più lamelle se comparate con gli osteoni primari. Gli osteoni secondari possono essere larghi fino a 10mm e correre in modo parallelo lungo l'asse lungo dell'osso. Importante, i vasi di ogni canale haversiano sono connessi a quelli dei canali limitrofi mediante i canali di Volkmann, che decorrono in direzione trasversa. I canali di Volkmann uniscono anche i vasi haversiani con la vascolarizzazione del midollo osseo e anche con la rete vascolare del periostio. I canali di Volkman sono separati dalle lamelle ossee circostanti da una linea detta cemento. È in questa linea che cessa l'attività di riassorbimento degli osteoclasti e dove invece comincia la formazione di osso. La linea di cemento è povera di collagene ed ha importante ruolo meccanico, ossia proteggere l'osso dalle microfratture assorbendo l'energia, oltre a implementare le proprietà meccaniche di resistenza alla fatica dell'osso corticale.

Il livello finale della organizzazione si ha a livello macroscopico e viene detto macrostruttura dell'osso. A questo livello di gerarchia, l'osso è classificato come osso corticale, spongioso o trabecolare. L'osso corticale è l'osso della diafisi delle ossa lunghe, ma è anche presente come un sottile foglio di osso intorno alle metafisi e epifisi delle ossa lunghe, circonda l'osso spongioso del corpo vertebrale ed è presente anche nel cranio. L'osso corticale è composto da osso primario e secondario. L'osso primario lamellare è inizialmente orientato in senso longitudinale alla superficie periostale della corteccia, e gli osteoni primari formano una densa rete di lamelle primarie. Nel caso ci sia un rimodellamento dell'osso, comincia lo sviluppo di osso secondario. Questo consiste in osteoni secondari (sistema haversiano) come prima descritto.

L'osso spongioso è localizzato nella metafisi delle ossa lunghe, pelvi, sternebre, coste e colonna vertebrale. In contraso con l'osso corticale, l'osso spongioso è composto da una rete di placche o coni trabecolari, disposti in base allo stress cui la zona viene sottoposta. L'osso spongioso è composto da osso lamellare primario e osteoni primari, ma a differenza dell'osso corticale, l'osso lamellare è deposto parallelo alla rete di placche e coni trabecolari.

(27)

La superficie dove ogni osso interagisce con i tessuti adiacenti è detta compartimento osseo o envelope osseo. Le quattro superfici ossee funzionali sono il periostio, la endocorticale, spongiosa, e intracorticale. L'osso può essere funzionalmente diviso in questi envolepe perché ognuno di questi ha funzioni diverse in relazione alla omeostasi dell'osso e la risposta a sforzi meccanici. L'envelope periostale è composto dalla superficie delle diafisi delle ossa lunghe dove l'osso interagisce con il periostio. Il periostio è una doppia superficie fibrosa e cellulare che contribuisce alla formazione dell'osso, innervazione e apporto vascolare, consiste in una porzione fibrosa esterna con cellule fibroblastoidi e uno strato interno altamente cellulare. Le cellule nello strato interno sono precursori osteogenici e sono responsabili per la crescita dello scheletro, il suo modellamento e la riparazione delle fratture in questa regione. Per via del fatto che il periostio è altamente vascolarizzato , innervato e ricco in cellule progenitrici, l'envelope periostale è capace della metodica formazione di un osso lamellare altamente organizzato, e una più rapida formazione di disorganizzato osso verde. Importante, le cellule osteoprogenitrici sono localizzate nella parte interna del periostio e sono anche capace di differenziare in condrociti durante il processo di guarigione secondaria del tessuto osseo. La superficie dell'osso che circonda la cavità ossea è chiamata envelope endocorticale. È delineata da uno strato di cellule osteoprogenitrici dette “lining cells”, che sono associate a capillari adiacenti alla superficie endostale dell'osso, e hanno importante regolazione degli scambi del calcio fra osso e fluido extracellulare.

L'enveope spongioso consiste nella superficie trabecolare all'interno dell'osso spongioso. Questa regione è simili all'envelope endocorticale, dove le lining cells sono in contatto con lo spazio midollare, e hanno funzione simile a quelle dell'envelope endocorticale (nutrimento e sostegno). Infine, l'envelope intracorticale è quello dove si hanno le interazioni fra la superficie dei canali haversiani e con l'osso sottostante. La superficie dei canali è essa stessa coperta da uno strato di cellule osteoprogenitrici, che sono in contatto diretto con la rete neurovascolare attraverso il canale haversiano, e regolano anche gli scambi nutritizi fra il sistema vascolare e lo spazio extracellulare.

(28)

Biomeccanica delle fratture

Le ossa sono soggette ad un ambiente meccanico molto complesso. Il carico fisiologico sono il risultato cumulativo di multipli carichi che possono crearsi dalla contrazione muscolare e il carico di pesi. Anche carichi semplici possono risultare in complesso stress distribuito sui tessuti. Per illustrare questo concetto, è utile applicare la teoria della elasticità lineare e considerare l'osso come un materiale lineare, elastico, omogeneo, e isotropico. Quando un carico compressivo uniassiale viene applicato ad un osso lungo, una tensione uniassiale sarà indotta in quanto l'osso tende a accorciarsi in direzione del carico. Come l'osso diventa più corto, sarà osservato l'effetto Poisson in quanto l'osso viene teso e gonfiato nella direzione trasversa, in tal modo diventa esplicita la presenza di uno stress tensile sulla circonferenza delle ossa cilindriche. Un carico compressivo inoltre indurrà stress superficiale, come dimostrato dalla presenza di carico superficiale in una direzione obliqua (immagine)

Quando una forza torsionale viene applicata, stress superficiali sono sviluppati nella direzione assiale e transversa.

Lo stress tensivo e compressivo sono indotti in direzione obliqua. Infine, quando una forza flessoria (normale o indotta dalla compressione) v i e n e a p p l i c a t a , s t r e s s compressivi sono indotti sulla superficie interna della curvatura dell’osso, dove stress lo tensorio è indotto sulla superficie esterna della curvatura del radio. In questo caso, i campi di stress sono la compressione sulla superficie interna e la tensione

sulla superficie esterna della curvatura del radio. Nel mezzo quindi c'è una linea lungo l'asse dove né forze compressive né di tensione sono evidenti. Questo è chiamato asse

(29)

neutrale. La rilevanza clinica dell'asse neutrale deriva dal fatto che i fissatori interni come i chiodi intramidollari, o un chiodo intramidollare bloccato, essendo posizionati sull'asse neutrale sono esposti ad un minore livello di carico se comparate con impianti posizionati lontani dall'asse neutrale, come una placca o un fissatore esterno.

Nonostante questo esercizio fornisca qualche idea sul comportamento delle ossa lunghe sotto il carico sopra descritto, l'osso non è un materiale lineare, elastico, omogeno e isotropico. Quindi, queste analisi sono solo indirizzate a fornire una prima idea approssimativa. La prima approssimazione può già però essere approfondita pensando a come il materiale di studio differisca da quello ipotizzato. L'osso non è un materiale omogeno bensì è composto da una parte corticale e una spongiosa. La parte spongiosa è presente principalmente alla fine delle ossa, mentre l'osso corticale è presente sopratutto a livello della diafisi. Quando una forza assiale è applicata ad un osso in modo concentrico, la tensione assiale non sarà uniformemente distribuita, come sarebbe nel materiale ideale sopra descritto, ma sarà bensì molto più grande alla fine dell'osso perché l'osso spongioso è molto meno duro del corticale. Va notato che in comparazione con l'osso corticale, l'osso spongioso è capace di assorbire una tensione molto maggiore senza rompersi (rispettivamente 2% e 75%) e può assorbire un colpo o una grande energia senza rompersi e mantenendo una integrità meccanica. Oltre questo, per via della struttura e orientamento degli osteoni, l'osso corticale è molto resistente alla deformazione sotto compressione assiale e può resistere fino a 200MPa senza rompersi. Quando la forza assiale è di tensione, la rottura può avvenire anche solo con 100MPa. Questa differenza è primariamente dovuta alla struttura e orientamento degli osteoni nell'osso corticale. Il fallimento sotto forze compressive richiede a la disintegrazione degli osteoni. Sotto forza tensiva, il fallimento avviene in quanto gli osteoni scivolano oltre gli osteoni adiacenti rimanendo integri. Questo esempio è basato su una forza esercitata in modo assiale e compressivo sull'osso, esattamente al centro del suo asse. È normale in condizioni fisiologiche però che le forze sia esercitate in modo eccentrico rispetto all'asse dell'osso. Queste condizioni includono la flessione. In un esempio classico di scarico assiale sul femore, la forza su reazione sull'articolazione dell'anca è applicata alla testa del femore, che è fuori dall'asse dell’arto. Quindi, la forza assiale e applicata in modo eccentrico, e induce una flessione verso il lato

(30)

mediale del femore, sottoponendo l'aspetto mediale della diafisi a compressione mentre l'aspetto laterale è sottoposto a tensione. Consideriamo la frattura in immagine;

in considerazione delle forze eccentriche sul femore, e la distribuzione delle forze di tensione e di compressione, è ovvio che posizionare una placca sull'aspetto mediale del femore non sarebbe biomeccanicamente utile, mentre sull'aspetto laterale avrebbe una funzione di tension band, limitando la separazione dei due segmenti ossei indotta dalla forza di tensione.

Quando si applica una forza di tensione concentrica - su un osso - che eccede la sua resistenza alla tensione, si avrà una frattura trasversa. Come si è visto, le forze tensili indurranno uno stress compressivo trasverso, e uno assiale di tensione. Grazie alla struttura degli osteoni, e ad loro orientamento, c'è meno resistenza allo stress di tensione (il meccanismo del fallimento è legato alla ritirata degli osteoni). Quando carichi assiali concentrici compressivi sono applicati, forza oblique e di tensione trasversa sono indotte in aggiunta agli stress compressivi. In queste condizioni, avviene una fratture nella microstruttura osteonale e si propaga lungo il sistema di canali haversiani. Questo avviene

(31)

sopratutto per gli stress obliqui che vengono indotti e avremo quindi una linea di frattura obliqua.

Se applichiamo una forza torsionale lungo l'asse lungo dell'osso, stress superficiali sono indotti sia nella direzione assiale che in quella trasversa. La grandezza di questi stress incrementa in modo proporzionale alla distanza dall'asse di rotazione. Inoltre, forze di tensione e compressive sono indotte in direzione ortogonale ed obliqua. Per questo la frattura inizia tipicamente in un piano parallelo all'asse di rotazione e si propaga lungo la linea dello stress tensorio. Questa risulta in una frattura spirale.

Come visto prima quando un osso è sottoposto ad una forza di flessione, uno stress compressivo si forma sulla curvatura interna dell’osso e uno stress tensorio su quella esterna. La grandezza di questi stress è proporzionale alla distanza dall'asse neutrale della flessione dove non ci sono modifiche. Il fallimento inizia tipicamente sul lato di tensione e si propaga in direzione trasversa. Quando la frattura si propaga, l'asse neutrale della flessione si muove verso il lato compressivo, finché le forze superficiali raggiungono un orientamento massimo di 45 rispetto all'asse neutrale. La frattura può quindi propagarsi lungo queste linee e potenzialmente produrre uno o più piccoli frammenti a farfalla sul lato compressivo della flessione.

In sintesi, la rottura dell'osso avviene quando un particolare tipo di carico eccede la abilità dell'osso di resistervi. In alcune situazioni, più di un tipo di stress può eccedere la resistenza dell'osso e quindi avvengono rotture multiple. Questo risulta alla fine in una frattura comminuta, nella quale sono presenti più di due frammenti. Per esempio, quando una forza assiale compressiva piega o flette l'osso, lo stress obliquo addizionale indotto risulta in una butterfly molto grande sul lato di compressione della flessione. Quando vengono combinati la flessione indotta dalla compressione e la forza di torsione si avrà l'evidenza di una frattura spirale e una frattura trasversa con una grande farfalla.

Ci sono molti modi per indurre una deformazione da flessione. Come detto, la flessione indotta da un carico assiale compressivo è chiamata incurvamento, in modo da distinguere questa modalità di flessione dalla flessione a sbalzo, a due o tre punti (tutte metodiche diverse di indurre meccanicamente una flessione). Generalmente, questi differenti modalità di flessione daranno caratteristiche della frattura simili, perché agiscono sullo stesso materiale. L'altro tipo oltre l'incurvamento che viene osservato comunemente nella clinica

(32)

dei piccoli animali è la flessione a tre punti. Nella flessione a tre punti, i capi dell'osso sono mantenuti in sito mentre una spinta laterale viene applicata fra i capi ossei stessi, e anche qui la linea di frattura inizierà sulla parte di tensione per poi propagarsi in senso trasverso. Infine, è importante nominare il ruolo della viscoelasticità nelle fratture e nella biomeccanica delle fratture. Come materiale viscoelastico, l'abilità dell'osso di assorbire una forza dipende dal rate con cui questa è applicata14,15,16,17. Riguardo questo concetto, c'è

una forte discordanza in letteratura riguardo la nomenclatura del rate di carico. Per i nostri propositi, è sufficiente classificare un rate di sforzo lieve come i carichi cui il sistema muscoloscheletrico viene sottoposto ogni giorno fisiologicamente, un rate medio quello esercitato con l'attività atletica (corsa – caccia – gioco) e un rate estremo quello dato da attività o eventi non fisiologici (per esempio un investimento automobilistico o un colpo d'arma da fuoco).

Risulta evidente come la corticale dell'osso dimostri maggiore resistenza e forza rispetto all'osso spongioso. Disegnando la curva dello stress cui l'osso viene sottoposto, maggiore sarà l'area sotto la curva e maggiore sarà l'energia assorbita prima della frattura.

Sottoposto a carichi elevati (rate estremo), l'evidenza dimostra che la capacità dell'osso di assorbire l'energia viene compromessa. Il classico lavoro di McElhaney (23), dimostra che a rate elevati di sforzo l'osso dimostra una grande resistenza alla tensione e una grande forza, ma nonostante questo è molto fragile. A rate minori di sforzo, l'osso è più malleabile e duttile, ma meno forte. L'osso è ottimizzato per contenere una rate di sforzo di circa 0,1/s, cioè circa 10 volte il rate indotto da una camminata veloce. Quindi, una energia più grande può essere rilasciata quando le fratture avvengono ad un rate più basso di quello associato con eventi estremi come un colpo di arma da fuoco. Prot e collaboratori investigarono gli effetti del rate di sforzo sull'osso spongioso e correlarono un incremento della forza ad un incremento del rate di sforzo, similmente all'osso corticale. Nonostante questo, in contrasto con l'osso corticale, viene osservato anche un incremento nella malleabilità dell'osso, in linea con la funzione dell'osso spongioso che serve come shock absorver e ha un ruolo importante nel mantenimento della integrità ossea in contrasto ai ripetuti sforzi assiali associato ad attività energiche come corsa o salto.

Queste caratteristiche dell'osso sono molto importanti quando si considera i traumi che avvengono in caso di investimento o colpo d'arma da fuoco. A questi alti rate di sforzo,

(33)

l'osso esibisce un comportamento molto più fragile. Semplicemente, questo avviene perché non c'è tempo per una riorganizzazione microstrutturale o ridistribuzione di fluido nel tentativo di adattare il carico. Conseguentemente l'osso non può assorbire molta energia più prima di rompersi. Quando lo stress eccede la resistenza in un certo punto del materiale, avremo una frattura; questo spesso esita in un concomitante decremento dello stress in altri punti del materiale, perché la forza applicata non è più trasmessa lungo la regione della frattura. L'energia è dissipata in altre linee di frattura che corrispondono ad aree dove le forze applicate sono ancora trasmesse. In eventi traumatici estremi come quelli sopracitati, lo stress eccede la resistenza in siti multipli del corpo contemporaneamente, perché l'energia non può essere dissipata abbastanza velocemente lungo una unica linea di frattura. In questi punti si formano linee di frattura multiple e avviene la frammentazione dell'osso. Non vuol dire che le linee di frattura multiple e frammentazione avvengano solo in eventi con alto rate di carico, perché a volte vengono osservate anche in eventi non estremi, ma solo che la microstruttura ha una condizione pre-esistente che compromette la integrità strutturale dell'osso, come una osteopatia secondaria a uso cronico di corticosteroidi o una perdita di osso localizzata in caso di processo neoplastico.

Per concludere il discorso, l'aspetto di una frattura dipende in parte anche dalla forza che la provoca, l'osso è un materiale inomogeneo e anisotropico, quindi, l'aspetto dipenderà anche da variazioni nella microstruttura. Nel progettare la riparazione di una frattura, le forze che andranno a agire sul sito di riparazione dovranno essere considerate per garantire una corretta guarigione.

Biologia delle fratture

L'osso presenta peculiarità uniche nella sua guarigione rispetto ai tessuti molli. Nonostante la guarigione dell'osso e quella dei tessuti molli coinvolgano entrambe la formazione di nuovo tessuto, i tessuti molli guariscono per rimpiazzo del tessuto ferito con una cicatrice fibrosa, mentre l'osso guarisce per rigenerazione, ottenendo un tessuto finale strutturalmente e funzionalmente competente. Essendo la locomozione vitale per sopravvivere, ci sono meccanismi alquanto eleganti che comportano una ossificazione sia encondrale che intramembranosa, per ristabilire rapidamente le ossa rotte e ristabilirne la

(34)

funzionalità. Il meccanismo con cui un osso guarisce è determinato da un ampio numero di fattori, includendo l'osso stesso che si è rotto, il suo ambiente meccanico, la sanità biologica della frattura e del paziente, se la frattura viene operata oppure no, e il modo in cui essa viene trattata.

In questo contesto, il termine tensione viene usato per descrivere gli effetti del carico di peso sulla linea di frattura, ed è determinato misurando il cambiamento nel volume della frattura: εf = ∆Lf / Lf0

dato che questa è una misura di un cambiamento delle dimensioni di uno spazio vuoto, più che di un materiale, è meglio chiamare questo cambiamento come potenziale di tensione, ossia la tensione a cui cellule e strutture che occupano la linea di frattura potrebbero essere soggette. Anche se può sembrare contro intuitivo, il gap di una piccola frattura viene sottoposto a un grande potenziale di tensione rispetto a quello delle grandi fratture. Per la guarigione di una frattura, un piccolo gap è quello considerato delle dimensioni di un osteocita o più piccolo, altrimenti è considerato un grande gap. Per esempio, prendiamo un gap di frattura di 10µm e uno di 100µm; quando una tensione è applicata alla struttura, il gap è ampliato di 10µm (in entrambi i casi). In accordo con la precedente equazione, la frattura più piccola sta subendo una tensione del 100%, mentre la frattura grande solo del 10%. quindi, un piccola frattura avrà un potenziale di tensione maggiore se comparata con una frattura più grande con la stessa instabilità. Per questo, le fratture piccole concentrano tensione, mentre le grandi risultano in una minore tensione lungo la frattura.

Durante la guarigione delle fratture, la formazione di vari tipi di tessuti lungo il gap di frattura è dettata dal grado del potenziale di tensione (in altre parole sarebbe come dire dalla % di mobilità della frattura). In un ambiente con una alta tensione, possono formarsi solo tessuti profondamente flessibili come il tessuto di granulazione. Come la tensione si riduce, tessuti ricchi di collagene possono essere apportati e si forma un callo morbido. Specificatamente, è necessaria una tensione massima del 10-15% per la fibrocartilagine, e solo un 2% per il tessuto osseo. La sopravvivenza degli osteoblasti e osteociti richiede un ambiente povero di tensione, le fratture con piccoli gap interframmentari spesso risultano più lente a guarire per il fatto che questi piccoli gap vengono sottoposti a molta tensione durante il carico in confronto a fratture con gap più grandi.

(35)

Quindi, l'obbiettivo della fissazione delle fratture non dovrebbe semplicemente essere la riduzione del gap di frattura, ma piuttosto di raggiungere uno dei seguenti obbiettivi: a) eliminare la tensione interframmentaria con una buona riduzione anatomica, compressione dei frammenti con fissazione rigida, e stabilità assoluta

b) mantenere un ambiente con bassa tensione mediante tecniche di ponte e impianti che permettono una stabilità relativa.

Esempi clinici di questi due approcci al trattamento sono l'uso di una riduzione diretta, ricostruzione anatomica e fissazione rigida, mediante un impianto di osteosintesi interna su una frattura trasversa con placca DCP, oppure una riduzione indiretta con un impianto tipo placca a ponte o placca e chiodo per ampi focolai di frattura comminuta.

Guarigione primaria

La guarigione dell'osso avviene mediante uno dei due meccanismi differenti di riparazione. Il grado di riduzione, gli effetti degli impianti sulla tensione nel sito di frattura e l'ambiente biologico della frattura determina se l'osso ripari per prima o seconda intenzione. La guarigione primaria, anche chiamata diretta o ricostruzione osteonale diretta, avviene sotto condizioni di assoluta stabilità dove la tensione nel sito di frattura è stata efficacemente eliminata dal trattamento, riduzione anatomica e compressione dei frammenti ossei, con una buona fissazione dei frammenti. Per via del fatto che sono necessari ricostruzione anatomica e fissazione rigida, la guarigione primaria si ha soltanto se la frattura è stabilizzata usando certe tecniche chirurgiche, alcuni esempi includono la fissazione con viti, placche di neutralizzazione o compressione, viti a compressione, cerchiaggi. Quando la frattura è chirurgicamente stabilizzata con una ricostruzione anatomica e fissazione interna, la tensione nel sito di frattura viene eliminata e la corteccia danneggiata ricostituisce la continuità attraverso la frattura mediante apposizione diretta di nuovo osso, nel processo di ossificazione intramembranosa (dove osteoblasti e precursori degli osteoblasti producono direttamente depositi minerali nel sito di frattura). L'osservazione che due frammenti ossei trattati con ricostruzione anatomica e fissazione interna rigida senza la formazione di un callo di periostio o endostio fu fatta per prima da Danis18,19. Fu

Riferimenti

Documenti correlati

The visual design phase is aimed at bridging the gap between the concep- tualization of heritage objects (the archetypes in Labyrinth 3D) and the users through the use of visual

 Un  tel  choix  témoigne  de  la  fonction  particulière  de  l’image   dans  la  relation  de  l’œuvre  au  genre,  qui  est  de  synthétiser  le

intestazione in tutti i datagrammi IP che lo attraversano Rete Link Fisico Rete Link Fisico Rete Link Fisico Rete Link Fisico Rete Link Fisico Rete Link Fisico Rete Link Fisico

In questo caso tutti i pesi (%) sono investiti positivamente ovvero con posizione d’acquisto. La seconda possibilità s’identifica nella facoltà di compiere anche delle

Alternativamente, si può ricorre ad appositi detergenti liquidi esistenti in commercio (quali Hibital ® , Sagrisept ® , Sterilium ® , ecc.) che offrono buona praticità

Colla, rispetto ai competitors, ha anche la peggiore gestione del circolante che non le permette di avere un indice di liquidità del RO sufficientemente positivo nel triennio

The task of the empirical analysis is two-fold: on one hand, it investigates if there is any statistically significant difference in means between actual and synthetic prices