1. L’esame del «semipresidenzialismo» nei lavori della Commissione Fin dall’inizio dei suoi lavori, la Commissione bicamerale ha affron-tato, come possibile esito del dibattito sulla forma di governo, l’opzione del «modello semipresidenziale». Numerose proposte, provenienti da di-verse parti politiche, la contemplavano. E` significativo notare che tutte o quasi tutte proponevano non la recezione integrale della Costituzione francese, ma adattamenti che consentissero di adeguare il modello alla tra-dizione istituzionale e parlamentare italiana. Alcune proponevano l’ele-zione diretta del Capo dello Stato, lasciandone sostanzialmente inalterati i poteri rispetto all’attuale Costituzione, salva una piu` puntuale definizione del potere di scioglimento delle Camere. In questo gruppo di proposte l’e-lezione diretta emergeva, in sostanza, come un completamento democra-tico dell’evoluzione del sistema polidemocra-tico italiano, mantenendo al Capo dello Stato funzioni essenzialmente di garanzia. In una direzione originale si muoveva una proposta caratterizzata della elezione del Capo dello Stato contestuale a quella del Parlamento, per diminuire il rischio di doppia maggioranza e di conseguente coabitazione. Un’altra proposta si differen-ziava dal sistema francese perche´ valorizzava il ruolo della Camera poli-tica, prevedendo l’obbligo per il Governo di presentarsi per ottenere la fi-ducia sul programma, e perche´ costituzionalizzava il cosiddetto princı`pio del mandato elettorale piu` recente, prevedendo il potere di scioglimento senza controfirma per il Presidente «nuovo», con controfirma del Primo ministro per le Camere elette dopo il Presidente. Altre proposte erano piu` vicine al sistema francese, ma quasi tutte prevedevano adattamenti del semipresidenzialismo finalizzati ad una maggiore valorizzazione del Parlamento.
Emergeva, insomma, nelle proposte depositate un’ampia gamma di varianti possibili di semipresidenzialismo. Varianti tutte dotate di una coe-renza interna, con punti specifici di differenziazione: difformita` o meno della durata dei mandati parlamentare e presidenziale; contestualita` o meno delle elezioni; durata del mandato del Presidente; rieleggibilita` o meno; norme per la presentazione delle candidature; poteri attribuiti; ac-centuazione del ruolo di garante o di potere di riserva o di indirizzo po-litico del Presidente della Repubblica, ecc.
Nei lavori della Commissione si sono anzitutto discusse le obiezioni di ordine generale sui rischi connessi al semipresidenzialismo. In primo
luogo, il rischio di autoritarismo o plebiscitarismo, insito secondo alcuni nell’elezione diretta di una carica esecutiva; in secondo luogo, il rischio di conflitto in un esecutivo duale, accentuato in caso di doppia maggio-ranza e di possibile coabitazione, che nel caso italiano, secondo alcuni, si potrebbe trasformare in scontro istituzionale e politico; infine, quello della compressione delle prerogative parlamentari, certamente verificatasi nell’esperienza francese.
Sono critiche e obiezioni da tenere presenti, magari alcune piu` di al-tre. Ma vanno tenute presenti anche le repliche. La critica all’elezione di-retta come portatrice di possibile autoritarismo o plebiscitarismo, si e`
detto, va certamente ridimensionata, e comunque non si puo` esorcizzare l’elezione diretta di una carica come antidemocratica. Si puo` ragionare sulla sua opportunita` e sulle sue modalita`, ma non sulla sua legittimita` de-mocratica.
Per quanto riguarda, poi, il rischio di difficile governabilita` o di vera e propria crisi istituzionale in caso di doppia maggioranza e coabitazione, i fautori del semipresidenzialismo hanno replicato segnalando non solo l’esperienza francese di coabitazione, finora non portatrice di traumi isti-tuzionali, ma anche quella di coabitazioni in altri sistemi semipresiden-ziali: in Portogallo e in Polonia, ad esempio.
Per quanto concerne, infine, la ricerca del giusto equilibrio tra il Pre-sidente della Repubblica, da un lato, e il Primo ministro con la sua mag-gioranza, dall’altro, si e` fatto notare che si tratta, appunto, di procedere alla ricerca – certo complessa e non agevole – di quel giusto equilibrio, e non gia` dell’impossibilita` di individuarlo.
I sostenitori del semipresidenzialismo, d’altra parte, hanno sottoli-neato la possibilita`, lungo questa via, di conseguire risultati, al tempo stesso, di flessibilita` e di governabilita`, che apparivano invece di piu` dif-ficile perseguimento nell’altro modello approfondito dalla Commissione, quello del «governo del premier».
In ogni caso, la Commissione ha fin dall’inizio discusso intorno all’i-dea, non gia` di esaminare la Costituzione francese, alla ricerca di qualcosa da togliere o aggiungere a questo o quel soggetto costituzionale; bensı` di individuare un modello originale, che sciogliesse i nodi ora indicati e gli altri che si evidenzieranno, alla luce anche del dibattito che da qualche anno si e` aperto anche in Francia intorno all’esigenza di «riformare la V Repubblica».
A questo proposito, va subito segnalato il dato, sul quale si tornera`, che l’esperienza del semipresidenzialismo non si riduce alla Francia, pure il piu` importante caso, ma si estende ad altri Paesi, mostrando una gamma di varianti e di situazioni differenti. In questo senso non necessariamente le critiche, non prive di fondamento, rivolte al sistema francese, come quella di comprimere eccessivamente il ruolo del Parlamento, si possono estendere al semipresidenzialismo in quanto tale. I fautori della variante di semipresidenzialismo piu` attenta al ruolo del Parlamento indicano, d’altra parte, come suo vantaggio quello di essere un sistema altamente flessibile, aperto a diversi esiti, in relazione tanto ai congegni istituzionali disegnati
quanto all’evoluzione del sistema partitico. In questa accezione, una delle funzioni essenziali del Presidente sarebbe proprio quella di operare come una sorta di potere di riserva, che si espande in tutte le sue potenzialita` nei casi di impossibilita` o difficolta` di regolare funzionamento del governo parlamentare. Ed e` questa, come si dira`, l’ipotesi che e` alla base del testo poi approvato dalla Commissione.
Sulla base delle considerazioni ora svolte, concludendo la relazione introduttiva alla seduta del Comitato sulla forma di governo del 5 marzo, proponevo di soffermare l’attenzione su entrambi i modelli che risultavano prevalenti negli orientamenti della Commissione, e segnalavo che «la scelta semipresidenziale va valutata in controluce con quella del premie-rato, soppesando certo vantaggi e svantaggi dell’una e dell’altra opzione, ma tenendo soprattutto conto del fatto che non esiste un modello semipre-sidenziale e un modello di governo del premier, ma, come ho cercato di illustrare in questa relazione, partendo dalle proposte depositate, diverse varianti dell’uno e dell’altro».
La scelta di procedere all’esame della forma di governo nei termini ora indicati si e` rivelata proficua. Avendo la Commissione deciso di sot-toporre a voto alternativo le due ipotesi, ho presentato, nella seduta del 28 maggio, i due testi, cosı` definendo il secondo: «un semipresidenzialismo che, partendo dal modello francese, tenesse conto sia dei punti di debo-lezza manifestati da quel sistema nella sua stessa patria di origine, sia della necessita` comunque di adattarlo alle caratteristiche e alle ragioni pe-culiari del nostro Paese». Nella stessa direzione muovevano del resto le indicazioni che avevano fornito nelle loro audizioni i professori Augusto Barbera e Giovanni Sartori, i quali entrambi hanno proposto adattamenti del cosiddetto modello francese, in larga misura recepiti nel testo che si sottopone all’esame del Parlamento; ancorche´ entrambi gli studiosi ab-biano insistito sull’esigenza di adottare un sistema elettorale analogo a quello francese. Ma sul punto si tornera` piu` avanti.
Nella stessa seduta del 28 maggio segnalavo peraltro di aver tenuto conto «nell’ulteriore elaborazione dei due modelli delle osservazioni for-mulate nelle riunioni del Comitato ed anche in consultazioni successive.
Naturalmente, ho ritenuto nello svolgimento di tale mandato di tenere maggior conto, per cosı` dire, delle osservazioni formulate a ciascun mo-dello dai sostenitori del medesimo. Cio` non toglie che, quale che sia il te-sto che la Commissione dovesse scegliere, esso non potra` che essere aperto alle ragioni e alle proposte di chi abbia optato per l’altro modello.
Cio` per ragioni non soltanto istituzionali, connesse alla procedura emenda-tiva ed ai voti che ne seguiranno, ma anche politiche, che sono legate alla ricerca di quell’ampia convergenza di cui parlavo all’inizio, che e` il pre-supposto stesso del nostro lavoro».
A seguito dell’adozione a stretta maggioranza del testo ispirato al-l’opzione semipresidenzialista, si e` effettivamente verificato quanto auspi-cato, con una piena assunzione di responsabilita` da parte delle diverse forze parlamentari.
I gruppi che avevano sostenuto l’ipotesi del «governo del premier»
hanno accettato il responso del voto, rinunciando a rimettere in discus-sione la scelta e impegnandosi nell’approfondimento, nell’adeguamento e nel miglioramento tecnico del modello semi presidenziale.
I gruppi che avevano propugnato la scelta «presidenzialista», e che si sono ritrovati in maggioranza nel voto di adozione del testo base, dal canto loro, hanno rinunciato a irrigidire la loro posizione, manifestando disponibilita` a ricercare la piu` larga convergenza possibile.
Ma la ricerca della piu` larga convergenza possibile e la disponibilita`
all’approfondimento e all’adeguamento non hanno significato l’annacqua-mento, o peggio la sostituzione, di un presunto modello semi-presidenziale
«puro»; bensı` la volonta` di proseguire nella ricerca – gia` avviata, come ho ricordato, sia nella presentazione delle proposte di legge, sia nella prima fase di attivita` della Commissione – volta ad adattare alla realta` italiana una scelta istituzionale di per se´ dotata di un alto grado di flessibilita` e di variabilita` nelle sue diverse applicazioni.
Del resto, quando nell’inverno 1996 si delineo` – con l’incarico di go-verno all’on. Antonio Maccanico – l’ipotesi di un’intesa tra le principali forze politiche per introdurre in Italia un sistema semipresidenziale di ispi-razione francese, le dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio incari-cato precisavano l’esigenza di adeguare il sistema alla «tradizione parla-mentare italiana».
2. Il semipresidenzialismo e i semipresidenzialismi
E` (o dovrebbe essere) noto che non esiste, come chiarito dalla lette-ratura scientifica sull’argomento, un unico modello di sistema semipresi-denziale. Certamente la V Repubblica francese puo` essere assunta – in ter-mini non cronologici, ma di peso politico della Francia e di radicalita` del-l’esperimento iniziato da De Gaulle – come il prototipo dei sistemi semi-presidenziali, cosı` come il governo inglese – il cosiddetto modello West-minster – e` assunto come il prototipo della forma di governo detta del primo ministro, e cosı` come il presidenzialismo di Washington e` assunto come il prototipo dei sistemi presidenziali.
Ma i prototipi o i modelli di origine non esauriscono la gamma delle varianti nazionali.
Il cancellierato tedesco o il governo del primo ministro spagnolo, ad esempio, non sono la mera applicazione del modello originario inglese, pur condividendone gli esiti in termini di governabilita` e di stabilita`.
Solo le varianti nazionali del presidenzialismo puro, quello statuni-tense, presentano un bilancio d’insieme negativo, a testimonianza della sua difficile esportabilita`; cio` che giustifica l’esclusione di tale modello dal novero delle opzioni assunte a base del lavoro della Commissione.
I vari sistemi semipresidenziali esistenti in Europa – intendendo non semplicemente i sistemi che prevedono l’elezione diretta del Capo dello Stato, ma specificamente quelli che attribuiscono a questa figura poteri
piu` o meno influenti sull’indirizzo politico, e che ne vedono di fatto l’e-sercizio – presentano, dal canto loro, un bilancio di rendimento istituzio-nale e democratico complessivamente soddisfacente, e non tale da gene-rare preoccupazioni sia sul piano dei princı`pi democratici che su quello del funzionamento pratico delle istituzioni.
Con l’esclusione del caso tragico della Repubblica di Weimar, ripor-tabile ante litteram alla categoria «semipresidenziale», e che fu segnato da problemi storici immani oltre che da indubbi difetti dei congegni istituzio-nali (primo tra i quali il sistema elettorale proporzionale «puro» a fronte di un sistema partitico estremamente frammentato e diviso ideologicamente), tutti i sistemi semipresidenziali attualmente esistenti in Europa hanno su-perato la duplice prova della democraticita` e della governabilita`.
Da questo punto di vista, la presenza al vertice delle istituzioni di due figure titolari in diverso grado di funzioni di indirizzo politico – un Pre-sidente direttamente eletto e un Primo ministro che mantiene, assieme alla sua maggioranza, un rapporto fiduciario con il Parlamento – non sembra aver comportato, nelle numerose esperienze contemporanee che la preve-dono, quelle conseguenze negative che vengono, a volte contraddittoria-mente, associate a tale forma di governo. Ci si riferisce, da una parte, al pericolo di concentrazione eccessiva di poteri, di «iper-presidenziali-smo», nel caso di maggioranze coincidenti, di forti poteri di indirizzo po-litico ed esecutivi formalmente attribuiti al Capo dello Stato, di ruolo ef-fettivo di leader della maggioranza svolto dal Presidente (ed e` questo solo il caso francese in alcune fasi); dall’altra parte, al pericolo di orientamenti politici divergenti, se non opposti, tra Presidente e Primo ministro, con il rischio di conflitti istituzionali (la cosiddetta «coabitazione»).
Entrambi i pericoli additati appaiono esagerati, giacche´ in tutti i casi contemporanei di semipresidenzialismo, pur in circostanze tra loro diverse e relative a situazioni anche difficili, come transizioni dalla dittatura alla democrazia, crolli di regime, presidenti-militari, frammentazione e polariz-zazione partitica, e` dato riscontrare una dinamica politico-istituzionale nella quale la figura del Capo dello Stato direttamente eletto non e` mai degenerata – al di la` di fisiologici attriti tra le cariche istituzionali, come tali presenti anche nei sistemi con Presidente eletto dal Parlamento – in una figura presidenziale demagogica o autoritaria. Anzi, i diversi casi testimoniano un assestamento equilibrato, nel corso del tempo, dei poteri presidenziali, tale da permettere o una naturale evoluzione parlamentare con il baricentro dei poteri di governo incentrato sul Primo ministro (e`
il caso del Portogallo e della Polonia), oppure un’evoluzione che fa del Capo dello Stato una figura di garanzia, di equilibrio, di attore solo nei momenti di crisi delle maggioranze parlamentari, e a volte, in qualche caso, per determinate materie (di solito politica estera), un titolare di po-teri condivisi o esclusivi di indirizzo politico.
La letteratura comparata sulle piu` varie esperienze di semipresiden-zialismo o piu` in generale sui sistemi che presentano l’elezione diretta po-polare del Capo dello Stato non ci offre, insomma, un quadro fosco o fo-riero di chissa` quali avventure o salti nel buio.
3. Elezione diretta del Presidente della Repubblica e democrazia
Al fondo di molti argomenti polemici o di posizioni di princı`pio con-tro l’elezione diretta del Capo dello Stato sta la preoccupazione di evitare possibili derive plebiscitarie, come tali – si sostiene – possibili nel nostro Paese. Questa preoccupazione, di per se´ legittima, rivela pero` una duplice sfiducia: nella maturita` degli elettorati contemporanei e nella maturita` de-mocratica del nostro Paese.
L’elezione popolare diretta del Capo dello Stato e` presente nella grande maggioranza dei Paesi europei: Austria, Irlanda, Islanda, Porto-gallo, Finlandia, Francia, senza contare i nuovi Stati dell’Europa centro-orientale come Polonia, Romania, Bulgaria ed altri. Molti degli Stati eu-ropei nei quali non e` prevista l’elezione diretta del Capo dello Stato, d’al-tra parte, conservano l’istituto monarchico, come il Regno Unito, la Spa-gna, il Belgio, l’Olanda, i Paesi scandinavi.
Si puo`, dunque, affermare che l’elezione diretta del Capo dello Stato e` il sistema piu` diffuso in Europa, e che non ha dato luogo a degenera-zioni plebiscitarie o a pericoli per la tenuta democratica del sistema isti-tuzionale. Non si comprende dunque perche´ solo l’Italia, e con essa il po-polo italiano, dovrebbe fuoriuscire dal quadro europeo dominante; ne´
credo si possa dire che l’elettorato italiano, in cinquant’anni di elezioni politiche e di referendum, abbia mai dato prova di comportamenti irrazio-nali o si sia mostrato facile preda di suggestioni demagogiche.
Certamente, l’elezione diretta popolare di una carica monocratica – tanto piu` quando sia la suprema carica dello Stato – comporta una parti-colare attenzione a tutti quegli aspetti – dal possibile conflitto di interessi alle regole sui finanziamenti e sulla propaganda nella campagna elettorale presidenziale, ad altri ancora – che possono incidere sulla parita` della competizione elettorale e quindi sui suoi stessi esiti. Sono, questi, aspetti che sono stati presenti all’attenzione della Commissione e come tali inse-riti nel testo finale approvato. Ma un conto e` l’esigenza di regole demo-cratiche di una competizione e di una elezione, un altro contestare la de-mocraticita` dell’elezione diretta popolare di una carica monocratica.
Del resto, in Italia, come in tutte le democrazie occidentali, si registra da tempo una spinta verso forme sempre piu` dirette di partecipazione e di decisione dei cittadini e anche di «personalizzazione» della politica. Que-ste spinte sono particolarmente presenti nelle funzioni di leadership, alle quali si domanda responsabilizzazione personale; ma anche in quelle di rappresentanza (come nella scelta per il collegio uninominale nelle ele-zioni parlamentari). Tutte le grandi democrazie occidentali funzionano for-malmente o di fatto sulla base del princı`pio di leadership personale. E` questo un processo che trova le sue giustificazioni non solo nelle esigenze di stabilita` e responsabilita` dell’esecutivo, ma anche nelle trasformazioni sociali e culturali che hanno modificato o che premono per modificare le vecchie forme della rappresentanza politica.
Non necessariamente le forme di personalizzazione della politica por-tano a comprimere le istanze e i canali delle varie forme di rappresen-tanza, dai Parlamenti ai partiti politici. Tutt’altro. Nei principali Paesi oc-cidentali dove sussiste l’elezione diretta del Presidente o la legittimazione popolare del Primo ministro, la personalizzazione della leadership si ac-compagna con, e sovente sollecita, la rivitalizzazione degli istituti della rappresentanza, primi fra i quali quei soggetti collettivi che sono i partiti politici (questo vale per la Francia, come per il Regno Unito, la Spagna e la Germania). Spesso, inoltre, la personalizzazione della politica richiede e impone la democratizzazione dei processi decisionali interni dei partiti – e qui c’e` certamente un ritardo nel nostro Paese –, come testimonia la dif-fusione di forme democratiche e partecipate di selezione delle candidature, la valorizzazione programmatica nelle competizioni, l’esaltazione del ruolo di controllo dei Parlamenti, l’affinamento delle garanzie costituzio-nali e giurisdiziocostituzio-nali.
Insomma, elezione diretta e istituti della rappresentanza, nel contesto di assetti e culture democratici e di vigenza dello Stato di diritto, non solo non confliggono, sotto il profilo della teoria democratica, ma anzi possono generare un circolo virtuoso sulla stessa partecipazione popolare e sulla rappresentanza politica, rivitalizzando sistemi istituzionali che possono es-sere affetti da sclerotizzazione, da distanza dai cittadini, da pratiche oli-garchiche. I pericoli per la democrazia storicamente non sono venuti solo dal versante autoritario-plebiscitario, ma anche dal versante oligar-chico e dalla chiusura delle istituzioni.
Con la scelta dell’elezione diretta del Presidente, la Commissione ha scelto di respingere i giudizi e le valutazioni di immaturita` sull’elettorato italiano o di non maturita` della situazione italiana.
Con questa scelta, i cittadini acquistano un nuovo diritto e un nuovo potere, quello di eleggere direttamente la suprema carica dello Stato. Non e` un’innovazione da poco, e come tale i cittadini probabilmente l’apprez-zeranno. Ne´ puo` trascurarsi il valore, in una fase come l’attuale, dell’ele-zione a suffragio elettorale e diretto, su tutto il territorio nazionale, di una persona chiamata a svolgere, tra le altre, l’alta funzione di garantire l’u-nita`, l’indipendenza e l’integrita` della nazione.
4. Elezione diretta e poteri del Presidente
Rispetto ad una innovazione di tale portata, e` legittima, oltre che do-verosa, la discussione – che pure c’e` stata in Commissione e che conti-nuera` in Parlamento e nel Paese – sui poteri del Presidente eletto, sul suo ruolo e sul suo rapporto con il circuito fiduciario Parlamento-Governo.
E` singolare, tuttavia, che il «Presidente eletto», come configurato nel testo che qui si illustra, sia criticato o perche´ avrebbe troppi poteri – come nel caso del Presidente francese – o perche´ ne avrebbe troppo pochi. Le opposte critiche dovrebbero elidersi; ma, per evitare impropri semplicismi, conviene entrare nel merito.
La scelta che la Commissione ha compiuto, con le modifiche appor-tate al testo originario quanto ai poteri, e` quella di un semipresidenziali-smo che potremmo definire «temperato», o, come si e` affermato, «ita-liano». Questa scelta non e` dipesa dal rifiuto aprioristico del cosiddetto
La scelta che la Commissione ha compiuto, con le modifiche appor-tate al testo originario quanto ai poteri, e` quella di un semipresidenziali-smo che potremmo definire «temperato», o, come si e` affermato, «ita-liano». Questa scelta non e` dipesa dal rifiuto aprioristico del cosiddetto