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Una terza serenata, intitolata L'Amor sincero, venne infine allestita per chiudere gli spettacoli pubblici offerti dal duca durante il suo soggiorno in città nel 1686.

Come le precedenti serenate anche quest'ultima venne messa in scena su una struttura galleggiante ormeggiata di fronte al palazzo di Ca' Foscari, dove si trovava anche l'arrivo della regata.

Diversamente dalle altre però questa macchina era costruita e strutturata in modo particolarmente fantasioso, infatti appariva inizialmente in forma di Proteo, con torso umano e coda di pesce per poi trasformarsi in un cortile architettonico fornito di scalinate, logge, statue. La sorprendente trasformazione da essere marino ad edificio avveniva a vista, operazione che richiamava i cambi scena di Jacopo Torelli, evocato per la rigorosa simmetria degli elementi presenti nella scena architettonica e riscontrabile anche per la prevalenza di elementi architettonici rispetto ai dettagli naturali100.

Altro particolare tipico del teatro barocco era l'uso delle nuvole per far apparire un personaggio, in questo caso la Fama, che compariva appunto sopra una nube luminosa. Le nuvole a teatro rappresentavano una metafora della trasformazione continua, del dinamismo e dell'infinito, ma anche l'unione fra gli elementi perché dalle nubi si facevano scaturire il tuono e i lampi e la pioggia, quindi era possibile utilizzarle per sintetizzare

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la compresenza degli opposti acqua/fuoco, ma anche come antitesi fra inconsistente/solido poiché l'aria di cui fingevano di essere composte diventava una base concreta per sostenere i personaggi. Allo stesso tempo le nuvole teatrali, per la loro natura di schermo semitrasparente, servivano a rivelare la luce di scena che illuminava l'apoteosi del personaggio chiamato ad apparire in gloria101.

La macchina galleggiante utilizzata per la Serenata era molto grande “larga piedi 42, di lunghezza trapassava li 60 e l'altezza eccedeva li piedi 36102” e rappresentava Proteo, una divinità marina con torso umano e

coda di pesce, il quale aveva la testa, cinta di alloro, talmente grande da poter ospitare comodamente un musico che da lì dentro prestò la sua voce al dio. Il corpo di Proteo terminava in una coda arricciata e sul suo dorso aveva trovato posto Venere, accompagnata dalle Grazie e da altre divinità marine, che ordinò a Proteo di fermarsi davanti al palazzo Foscari per poter conoscere i vincitori della regata e ammirare la bellezza delle dame dell'Adriatico. Alle proteste di Proteo che riteneva Ca' Foscari un luogo non consono alla dea perché vi erano custodite delle armi e perché vi dimoravano Marte e Bellona, la dea rispose che i guerrieri non rifiutavano le gioie di Venere perché i prodi soldati erano giunti in città anche per ammirare la bellezza delle donne locali e quindi venne incaricato proprio Proteo di trovare la più bella. A questa ingiunzione Venere e il suo corteo sparivano, mentre il dio si trasformava sparendo sott'acqua e facendo apparire dove prima c'era il dorso, un cortile che aveva in primo piano una scalinata che scendeva fino all'acqua – affiancata da globi e guglie – e sul fondo una loggia tripartita con archi e colonne di ordine composto, nelle cui nicchie si trovavano dodici statue dorate. Ai lati della loggia salivano due scale che portavano al piano superiore. La loggia superiore era balaustrata e ornata da ulteriori otto statue che reggevano delle torce ad illuminare il cortile e lo spazio teatrale. Al piano di sotto lo spazio era contornato da altre dodici statue le

101 Maurizio FAGIOLO DELL'ARCO, Silvia CARANDINI, L'effimero Barocco Strutture della

festa nella Roma del '600, volume secondo, testi, Bulzoni, Roma, 1978, p. 174.

quali erano identificabili, grazie ai cartigli che avevano in mano, come le personificazioni delle arti liberali.

Al centro del cortile era stata posizionata una fontana rappresentante un delfino che spruzzava getti d'acqua zampillante. L'intera struttura era stata costruita per simulare i marmi più preziosi mentre le colonne, i globi e le guglie erano stati creati per apparire trasparenti come il cristallo. Le statue, i fiorami attorcigliati alle colonne, i trofei, le balaustre invece erano dorate e apparivano come se fossero realmente fatte di metallo prezioso, in tal modo la luce delle torce splendeva con uno scintillio come di stelle. La pavimentazione stessa era composta da riquadri colorati e trasparenti e tutta la struttura era ampiamente illuminata da fiaccole nascoste dietro vetri.

I protagonisti della serenata, le ninfe dell'Adriatico e i cavalieri provenienti da nazioni diverse, erano abbigliati secondo la consuetudine del paese di provenienza, mentre i musicisti erano vestiti con delle toghe di oro e di argento e avevano la testa ornata di piume103.

La serenata grande si concludeva infine con la Fama che su una nuvola divulgava i recentissimi successi della Serenissima appena ottenuti in Levante con la conquista della fortezza di Navarino Vecchio104 avvenuta

proprio in quei giorni.

Nel brano finale della Serenata, la Fama invitava i cavalieri che si erano dati battaglia galante per conquistare le belle dame ad abbandonare i versi d'amore e a dedicarsi ad attività più illustri e perciò venivano invitati ad unirsi alle armate che già si erano recate nel mar Ionico per combattere i turchi. La Fama raccontava che mille navi si erano portate in vista della Grecia e le loro vele erano gonfiate dal favore dei venti e della gloria mentre la fortuna105 aveva abbandonato la potenza ottomana. Dalla sua

103 Giovanni Matteo ALBERTI, Giuochi festiui, ... 1686, p. 31-33.

104 Kenneth M. SETTON, Venice, Austria, and the Turks in the Seventeenth Century, the American Philosophical Society, Philadelphia, 1991, p 297.

105 Il vento che gira gonfia le vele delle navi venete le quali godono del vento in poppa e del favore della Gloria. Lo stesso vento che gira fa cadere la Fortuna dal trono ottomano. Ancora lo stesso vento fa girare la seicentesca statua della “Palla d'oro sovrastata da Occasio” posta sulla Punta della Dogana a Venezia. Il gruppo scultoreo creato da Bernardo Falconi venne consegnato alla città a novembre del 1678. Paola ROSSI, La decorazione scultorea, in Dogana da Mar, di

nuvola luminosa la Fama rendeva note le ultime azioni belliche avvenute nella zona di Messene, dove le città di Pilo, la mitica città dei poemi omerici, e Navarino, erano appena state liberate e restituite al soave governo Serenissimo, mentre il canto continuava auspicando di vedere presto il leone volare sopra la città di Bisanzio ancora schiava della mezzaluna araba106.

In questo brano poetico e teatrale venivano racchiuse alcune tematiche molto peculiari, infatti c'era il richiamo a lasciare gli amori per andare a conquistare onori in battaglia, c'era l'idea che il momento era propizio alla Serenissima e contrario ai turchi e quindi si poteva osare fino a sperare di riconquistare Bisanzio come era avvenuto nel corso della quarta crociata107.

L'ambito mitologico ricco di divinità marine ricordava l'origine di Venezia, sorta come Venere dalle acque, ma in questo caso si aggiungevano altri dettagli che rimandavano alla consapevolezza di essere una capitale in grado di raccogliere l'eredità della classicità, anzi di superare la gloria delle capitali classiche così come il giudizio di Paride – che aveva portato tanta discordia e tragiche conseguenze – era stato superato dal giudizio di Casimiro, il protagonista della serenata L'Amor sincero, il quale riuscì a scegliere la più bella senza offendere nessuna dama e senza scatenare l'ira degli dei.