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2.1 L’ evoluzione normativa dei servizi idrici

Il Servizio idrico integrato non è altro che l’insieme dei servizi idrici connessi con l’uso umano della risorsa idrica, ovvero la captazione dell’acqua potabile, il suo trasporto e la sua distribuzione e quindi la raccolta e la depurazione delle acque reflue.

Il concetto di servizio idrico integrato è stato introdotto per cercare di ricondurre tutte le competenze della gestione dell’approvvigionamento idrico e dello smaltimento delle acque reflue ad un unico soggetto.

I cicli dell’acqua connessi all’agricoltura, alla zootecnia ed all’industria non fanno parte del servizio idrico. Anche l’allontanamento delle acque di pioggia (le così dette acque bianche) non ne fa parte; nonostante ciò le fogne miste, ovvero le fogne che allontanano le acque nere (acque reflue domestiche) insieme con le acque bianche, sono generalmente gestite nell’ambito del servizio idrico integrato. Questa scelta gestionale discende dall’opportunità di tenere unita la filiera del servizio idrico, ma comporta in alcuni casi dei conflitti di competenza per assegnare le spese di costruzione e mantenimento di queste fogne.

La legge sulle municipalizzazioni del 190350 includeva al regime dei servizi pubblici la costruzione di acquedotti e fontane, la distribuzione di acqua potabile e la costruzione delle fognature. In seguito nel nostro Paese l’art. 91 del t.u. com. prov. 1934, r.d. 3 marzo 1934 n. 383, rese obbligatoria l’organizzazione dei servizi idrici, che prima era facoltativa, prevedendo spese per i servizi di provvista di acqua potabile e delle fognature.

La dottrina prevalente ha suddiviso la disciplina delle acque in cinque fasi storiche51. La prima si caratterizza per aver messo le fondamenta della materia, avendo definito il regime dominicale delle acque e la regolamentazione dei principali usi; essa ebbe inizio subito dopo l’unificazione dell’Italia e durò fino agli inizi del 90052. Tale fase è stata

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R. d. 15 ottobre 1925, n. 2578 contenente il testo unico sulle municipalizzazioni. Art. 1 “ I comuni

possono assumere nei modi stabiliti dal presente testo unico, l'impianto e l'esercizio diretto dei pubblici servizi e segnatamente di quelli relativi agli oggetti seguenti: 1° costruzione di acquedotti e fontane e distribuzione di acqua potabile”.

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Cfr., A. Fioritto, I servizi idrici, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Giuffrè editore, 2003, Milano.

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L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato f). Il terzo titolo di questa legge è dedicato alle acque e prevede tre finalità generali: tutelare i territori e le abitazioni dalle acque; regolare le utilizzazioni libere delle acque, a fini di navigazione; regolare lo sfruttamento delle acque a fini agricoli.

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caratterizzata dalla distinzione tra le acque pubbliche e le acque private, dalla natura giuridica delle concessioni, delle autorizzazioni o licenze amministrative.

La seconda fase comprende l’approvazione del testo unico sulle acque che ne definisce tutti i possibili usi. Agli inizi del secolo vengono emanate numerose norme relative all’utilizzazione industriale dell’acqua53, poi raccolte nel r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 contenente il testo unico sulle acque pubbliche. Il testo unico mira a disciplinare lo sfruttamento delle acque a fini industriali per la produzione di energia elettrica54 ed è caratterizzato, pertanto, dall’aumento dell’intervento pubblico fondato sulla concessione. L’organizzazione dell’amministrazione pubblica è accentrata e vede l’istituzione di uffici speciali differenziati55.

La terza fase parte dalla legge Merli56 e vede l’acqua come un bene scarso e, quindi, oggetto di tutela. Questa legge stabilisce i principi relativi all’organizzazione pubblica dei servizi di acquedotto, di fognatura e depurazione e prevede il rilevamento sistematico, tramite censimento, delle caratteristiche qualitative e quantitative dei corpi idrici57. Il decennio a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta vede anche l’attuazione delle direttive comunitarie n. 75/440 e n. 80/778 recepite dal d.P.R. 3 luglio 1982, n. 515 sulla qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile e su quelle destinate al consumo umano per mezzo del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236. La quarta fase è regolata nella legge di difesa del suolo del 18 maggio 1989, n. 183 caratterizzata da una tutela organica al problema delle risorse idriche e della tutela del suolo. Obiettivi della legge erano il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico, la tutela degli aspetti ambientali. Sul territorio vengono previsti la costituzione di bacini e di relative autorità. La legge prevede un’organizzazione complessa cui fa capo, al vertice, una diarchia composta dal Ministero dei lavori pubblici e dal Ministero dell’Ambiente. Parte delle funzioni, dato il conflitto tra i due ministeri, furono attribuite al Presidente del Consiglio dei ministri che divenne così organo principale di programmazione dotato di poteri sostitutivi.

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Ad es. il d. lg. N. 269 del 20 novembre 1916 sulla derivazione delle acque pubbliche.

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Viceversa la disciplina del primo quarantennio post unitario si riferiva ad usi normali dell’acqua pubblica.

55

Il magistrato delle acque istituito con l. 5 maggio 1907, n. 257 e il magistrato del Po, l. 12 luglio 1956, n. 735.

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L. 10 maggio 1976, n. 319.

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La quinta e ultima fase ha inizio nel 1994, con la legge n. 36/1994 è caratterizzata dal riassetto delle competenze legislative operato con la l. Cost. 18 ottobre 2001, n. 358. Le norme possono essere raggruppate in tre macro categorie: una si interessa del problema delle acque sotto il profilo della tutela, un’altra disciplina gli usi delle acque di superficie e di quelle sotterranee, la terza disciplina acquedotti, fognature e impianti di depurazione.

Fino all’emanazione del d.lgs. n. 152/199959 la normativa italiana in materia di risorse idriche è stata, dunque, articolata su quattro disposizioni legislative: il regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, c. d. legge Montemartini; la legge 10 maggio 1976, n. 319, c. d. legge Merli; la legge 18 maggio 1989, n. 183, legge sulla difesa del suolo e la legge 5 gennaio 1994, n. 36, c. d. legge Galli60. Il regio decreto n. 1775 del 193361 costituisce ancora oggi un atto di fondamentale importanza nell’ambito della normativa sugli utilizzi delle risorse idriche. Gli aggiornamenti successivi, in particolare il d. lgs. N. 275 del 1993 e la legge n. 36 del 1994, hanno cercato di conformare i principi che lo caratterizzassero all’attuale situazione. Il regio decreto n. 177/33 ha permesso la nascita di un processo diretto all’affermazione del principio di natura pubblica delle acque e della necessità dell’intervento della Pubblica amministrazione nella regolazione delle concessioni, in modo da garantire e tutelare gli interessi collettivi. Tuttavia, limite di questa disposizione legislativa, è stato quello di rimanere fortemente ancorata ad una visione delle acque concepite come risorsa illimitata da sfruttare attraverso la

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La riforma costituzionale del titolo V non tratta direttamente della materia delle acque ma dall’art. 117 Cost. emergono profili di interesse che riguardano la “determinazione dei livelli essenziali delle

prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”,

la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, la “tutela della concorrenza”, tre materie di competenza esclusiva dello Stato. Per tutti e tre i profili relativi alle acque si evince una sostanziale continuità rispetto al precedente assetto costituzionale; le acque rimangono beni del demanio naturale di proprietà dello Stato. Sia la tutela delle acque che del suolo possono essere considerate come parti della materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”. Maggiormente complesso è il profilo dei servizi idrici; le acque, intese come prodotto alimentare, sono materie di legislazione concorrente (Art. 117, co. 3, Cost.); deve però considerarsi anche il servizio pubblico cui il ciclo delle acque dà vita per cui entra in gioco la previsione contenuta al co. 2, art. 117, lett. m), Cost. che assegna allo Stato la competenza esclusiva per la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali

che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Pertanto il servizio idrico integrato può essere

compreso tra le “prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” cui il nuovo testo costituzionale assegna particolare importanza tanto da prevedere l’esercizio di poteri sostitutivi del governo nel caso in cui i livelli minimi non vengano rispettati.

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c. d. Codice dell’Ambiente.

60

Le informazioni inerenti la normativa italiana in materia di risorse idriche, sono tratte da Il quadro

normativo in Italia, in “Del diritto alla buona acqua”, edito dalla Fondazione Franceschi, disponibile sul

sito www.fondfranceschi.it .

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Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, “Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’8 gennaio 1934, n. 5.

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realizzazione di infrastrutture e di adeguate condizioni giuridiche, non essendo stata concepita in un’ottica di tutela della risorsa.

La legge Merli62 ha disciplinato gli scarichi industriali e demandato la regolamentazione degli scarichi civili e delle fognature alle Regioni, senza però toccare direttamente il tema della quantità. La legge n. 183 del 198963 si è occupata in particolare della pianificazione dei bacini idrografici. Si tratta di una legge quadro che istituisce le Autorità di Bacino, allo scopo di elaborare Piani di Bacino da utilizzare come guida da parte delle altre autorità territoriali nelle attività di pianificazione e definizione degli obiettivi di qualità.

La sopravvenuta legge n. 36/9464 oltre a fissare importanti principi generali in materia, definiva i criteri per l’organizzazione delle strutture per la gestione delle acque, considerandone in modo integrato l’intero ciclo, dall’approvvigionamento alla depurazione. Questa legge trova fondamento in una gestione delle infrastrutture delle acque, come acquedotti, fognature e depuratori, da ricondurre ad una unitarietà di gestione a livello di ambiti territoriali ottimali. Tale gestione si propone di mirare tendenzialmente alla copertura integrale dei costi attraverso l’applicazione di una tariffa.

2.2 La legge Galli

La legge n. 36 del 5 gennaio 1994 di disciplina delle “Disposizioni in materia di risorse idriche”, ha completato la riforma del sistema idrico in attuazione dei principi per la pianificazione delle risorse idriche stabiliti dalla legge Merli. La riforma del settore avviata con la legge quadro sulla difesa del suolo è stata completata attraverso l’emanazione della legge di riorganizzazione dei servizi idrici.

Il perno della riforma introdotta si basa sul concetto di equilibrio idrico, inteso come adattamento fra disponibilità di risorse e fabbisogno dei differenti utilizzi. Vengono uniformati principi di salvaguardia ambientale e di efficienza economica all’interno di un medesimo testo normativo. La legge non è diretta all’abrogazione dei precedenti provvedimenti normativi, ma va a sovrapporsi agli stessi fornendo una differente chiave di lettura, incidendo attraverso interventi normativi sostitutivi, correttivi o integrativi.

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Legge 10 maggio 1976, n. 319, “Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento” (legge Merli). Testo base pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 141 del 29 maggio 1976. Oggi questa legge è sostituita dal d.lgs. n. 152 del 1999 sulla tutela delle acque dall'inquinamento.

63

Legge 18 maggio 1989, n. 183, “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 25 maggio 1989 n. 120.

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Legge 5 gennaio 1994, n.36, “Disposizioni in materia di risorse idriche”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 19 gennaio 1994, n.14, Suppl. Ordinario. Testo vigente al settembre 1999.

53

L’acqua dolce, intesa come risorsa idrica, viene considerata quale bene essenziale per la vita umana, ma contemporaneamente suscettibile di sfruttamento da parte dei singoli o della collettività. La legge, nata per risolvere l’eccessiva frammentazione del servizio idrico italiano e per razionalizzare il confuso quadro normativo, contiene alcuni principi generali sulla tutela e sull’utilizzo delle risorse. In base all’art. 1, “Tutte le acque, superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà”65; da ciò consegue che qualunque utilizzo delle risorse idriche va realizzato tutelando i diritti delle future generazioni ad usufruire di un patrimonio ambientale integro. La difesa del patrimonio ambientale esige che i diversi impieghi delle acque siano improntati a criteri univoci in grado di “non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici”. L’obiettivo, oltre ad occuparsi della salvaguardia e della conservazione delle risorse idriche, include una molteplicità di beni ambientali che si riferiscono ad interessi paesaggistici, ecologici ed ambientali. Il legislatore ha stabilito, inoltre, che il “risparmio e il rinnovo delle risorse” devono informare tutti gli usi delle acque.

L’art. 2, c. 1 stabilisce che “l’uso dell’acqua per il consumo umano è prioritario rispetto agli usi del medesimo corpo idrico superficiale e sotterraneo”. L’Autorità di bacino, al fine di garantire stabilità tra risorse e fabbisogni, “definisce ed aggiorna periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l’equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell’area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi”66, ed esercita le proprie attribuzioni “di pianificazione dell’economia idrica in funzione degli usi cui sono destinate le risorse”. La funzione cui l’Autorità di bacino non può sottrarsi è quella di assicurare il “livello di deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi” tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati, attraverso la regolazione delle derivazioni “nei bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti, sia a valle che oltre la linea di displuvio”.

L’art. 5 attribuisce alle Regioni la previsione “di norme e misure volte a favorire la riduzione dei consumi e l’eliminazione degli sprechi”.

65

L. n. 36 del 5 gennaio 1994 “Disposizioni in materia di risorse idriche”, art. 1, co. 1, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 19 gennaio 1994, n. 14, S.O. ; dichiarare la natura pubblica della risorsa acqua non significa tanto statalizzare, quanto porsi nella prospettiva di lavorare per una forma di Stato che consenta di attuare i principi di solidarietà economica e sociale per realizzare uno sviluppo sostenibile.

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La legge Galli fornisce alle Regioni disposizioni in tema di risparmio dirette alla razionalizzazione del sistema di distribuzione delle risorse idriche. Lo sviluppo tecnologico si traduce in una concreta possibilità di ottimizzazione dei servizi di adduzione e distribuzione delle acque, evitando perdite e dispersioni, e di razionalizzazione delle singole metodologie di utilizzo. In parallelo alle disposizioni sul risparmio idrico, le Regioni sono chiamate ad adottare misure e norme dirette all’incremento del riutilizzo delle acque reflue depurate e il riciclo dell’acqua in generale67.

Una fondamentale innovazione presentata dalla legge quadro riguarda la separazione tra titolarità e gestione del servizio idrico. In tal senso si pone fine all’identità tra gestori e titolari del servizio prevista dal nostro sistema, causa di inevitabile confusione tra le funzioni di controllo e regolamentazione, e la funzione di gestione. La titolarità del servizio resta a Province e Comuni, che sono obbligati a delegare la gestione operativa tramite gara, con la sola facoltà di scelta tra società private, proprie aziende speciali o società miste pubblico-private68. La separazione tra titolarità e gestione risolve diversi problemi di carattere sostanziale, assicurando una maggiore finalizzazione economica delle attività, ma nello stesso tempo genera altre problematiche soprattutto in relazione alla possibilità di una politica monopolistica adottata dal gestore a scapito degli interessi collettivi. Di conseguenza, la funzione principale della Pubblica Amministrazione è quella di tutelare i diritti dei consumatori in relazione alla qualità e al prezzo del servizio, attraverso l’attività di controllo assegnata dalla legge. I rapporti tra gestori ed enti titolari del servizio devono essere, infatti, regolati da una Convenzione prevista in ambito regionale, che deve prevedere la durata dell’affidamento, il livello di servizio da assicurare all’utenza, le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio nonché il regime giuridico della gestione. Un’altra fondamentale innovazione apportata dalla legge si intravede nel tentativo di superamento della frammentazione gestionale, che delinea e contraddistingue il settore dei servizi idrici in Italia, e di promozione di una crescita imprenditoriale del sistema relativo all’acqua69. A tal fine si richiede l’identificazione di Ambiti territoriali ottimali all’interno dei quali approdare ad una gestione unitaria ed integrata del ciclo idrico, inteso come somma dei servizi di

67

L. n. 36 del 1994, art. 6, co. 2.

68

Sulle funzioni delegate a Province e Comuni v. M. Lovisetti, I servizi idrici, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 31‐38.

69

G. Caia, Aspetti giuridici delle forme di organizzazione e gestione del sistema idrico integrato, in “Atti del convegno 2 Obiettivo ’90”, Bologna, 1994, II, pag. 42.

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produzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue. Un terzo fattore è costituito dalla disciplina tariffaria70. Esistono enormi differenze fra i paesi nelle modalità in cui i prezzi dell’acqua coprono i costi. In alcuni paesi i prezzi non coprono le operazioni di costo e di mantenimento delle infrastrutture. In altri nei prezzi vengono inclusi i costi di capitale e a volte si verifica il tentativo di includere nel prezzo dell’acqua anche i costi opportunità e i costi delle esternalità. Una buona valutazione del valore delle risorse naturali deve tener conto non solo del valore d’uso diretto, ma anche degli altri valori che compongono il valore economico totale del bene oggetto di valutazione, quali il valore d’opzione, per il possibile uso futuro del bene, il valore di lascito, per le generazioni future, e il valore vicario, per consentire l’uso altrui71. Sulla base del principio della copertura dei costi72, la riforma predispone che la tariffa sia calcolata sulla base della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione73. La determinazione dell’effettiva tariffa del servizio è compresa nelle funzioni degli enti titolari, tuttavia la legge prevede la formulazione di un criterio di formazione di una tariffa di riferimento, sulla base delle componenti di costo74. Il metodo tariffario indicato dal D.M. 1 agosto 1996 è il price-cap75, un meccanismo contrattuale che, nel processo di ridefinizione periodica delle tariffe, determina un limite agli incrementi tariffari tramite l’abbattimento programmato dei costi di funzionamento operativo e permette, viceversa, incrementi correlati ad

70

P. Giampietro, Una nuova gestione dell’acqua, in “Ambiente”, n. 5, 1994, pp. 48‐49.

71

R. Cavatassi, Il Metodo delle Valutazioni Contingenti: il Caso delle Risorse idriche di Bologna, in Economia Pubblica”, n. 3, 1999, pp. 75‐100.

72

La legge Galli prevede la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio mediante la definizione di tariffe che costituiscano il corrispettivo del Servizio Idrico Integrato e quindi dell'insieme di attività di captazione, adduzione, distribuzione, fognatura, depurazione.

73

Sino all’esito referendario del 12‐13 giugno 2011 quando è stata abrogata parzialmente la norma sulla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito.

74

Il criterio di formazione della tariffa viene elaborato dal Ministero dei Lavori Pubblici d’intesa con il Ministero dell’ambiente.

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Il meccanismo del price cap vede la luce nell’ordinamento italiano con le leggi 481 del 1995 e 249 del 1997, istitutrici delle Autorità indipendenti per la regolazione dei settori dell’energia elettrica e il gas e del settore delle telecomunicazioni, e con la delibera CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) del 24 aprile 1996 recante le linee guida per la regolazione di quei servizi di pubblica utilità per i quali la legge italiana non prevede un’apposita autorità di settore slegata da ministeri, regioni o enti locali. A seguito di questi interventi legislativi il price cap viene indicato come lo strumento da utilizzare per la regolamentazione dei settori industriali caratterizzati dalla presenza di imprese con potere di mercato. Ad oggi la sua applicazione ha già visto attuazione in diversi settori quali quello del trasporto autostradale, delle ferrovie, dell’elettricità e del gas, delle telecomunicazioni, dei servizi postali e di diversi servizi pubblici locali. La finalità dichiarata dal legislatore attraverso l’istituzione del price cap è quella di garantire la promozione della concorrenza, dell’efficienza e della qualità nella fornitura dei servizi di pubblica utilità (L. 481/1995).

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interventi di miglioramento dell’efficienza e qualità del servizio. Disposizioni fortemente frammentarie disciplinano dotazioni ed impianti e più nello specifico impianti di acquedotti, di fognatura e di depurazione. “Le opere, gli impianti e le canalizzazioni relative ai servizi di cui all’art. 4, co. 1°, lett. F), di proprietà degli enti locali o affidati in dotazione o in esercizio ad aziende speciali e a consorzi, salvo diverse disposizioni della convenzione, sono affidati in concessione al soggetto gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare”76. Quindi le opere, gli impianti e le canalizzazioni sono quelle asservite al prelievo, distribuzione ed erogazione dell’acqua alle diverse utenze e cioè la parte principale viene svolta dagli acquedotti. In altre parole, gli impianti coinvolti dall’art. 12, sono quelli appartenenti a Province e Comuni che saranno oggetto di concessione traslativa ai soggetti gestori. Il co. 3 dell’art. 12, inoltre, prevede la disciplina per il trasferimento ai soggetti gestori del servizio idrico

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