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IL SETTORE AGROALIMENTARE

La produzione di beni alimentari è oggi sempre più industrializzata e globalizzata, tanto che i prodotti che si possono trovare nei mercati di tutto il mondo sono sempre più standardizzati. Grazie alle moderne tecniche di produzione agricola è possibile reperire prodotti una volta legati alla stagionalità durante tutto l’anno, così come in ogni località si possono trovare prodotti provenienti da ogni parte del mondo. L’aumento della produttività delle grandi aziende agricole industrializzate sta gradualmente portando ad una concentrazione della produzione e ad un conseguente calo del numero delle piccole realtà produttive.59

Piuttosto che vendere sul mercato locale, le aziende agricole preferiscono affidarsi alla grande distribuzione, ricavandone in questo modo solo un quarto del prezzo finale del prodotto, contro il circa 50% del prezzo che ricevevano fino a cinquant’anni fa (Tischner & Kjaernes, 2007). Aver abbandonato il mercato locale ha comportato anche l’aumento della distanza percorsa dal cibo per arrivare al luogo di vendita, processo che comporta dei costi sia culturali che ambientali (Blay-Palmer, 2008).

Nell’Unione Europea il mercato alimentare e delle bevande è al secondo posto per dimensioni con 4,53 milioni di persone impiegate in più di 288 000 aziende con un fatturato totale, nel 2012, di 1.062 miliardi di euro, per la maggior parte generato da poche grandi imprese.60

59 Reisch, L., Eberle, U., & Lorek, S. (2013). Sustainable food consumption: an overview of

contemporary issues and policies. Sustainability: Science, Practice and Policy, 9(2), 7-25.

60 European Communities (2008). NACE Rev. 2: Statistical classification of economic activities in the

European Communities.

Accessed via http://ec.europa.eu/eurostat/documents/3859598/5902521/KS-RA-07-015-EN.PDF on 1 June 2015

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Se l’86% dei produttori europei di beni alimentari sono imprese di piccole dimensioni con meno di venti dipendenti, la distribuzione di questi prodotti è in mano a poche imprese di grandi dimensioni che si sono divise il mercato concorrendo soprattutto sul prezzo. Questo livello di concentrazione e disparità di dimensioni ha dato alle imprese di distribuzione un enorme potere di mercato sui produttori e sulle aziende di trasformazione.

Negli ultimi anni si è assistito anche ad una biforcazione del mercato alimentare, secondo la quale alcuni alimenti identificati come salutari sono stati indirizzati alla clientela con maggiore capacità di spesa, proponendo prezzi mediamente alti, mentre altri prodotti, di solito lavorati e ad alto contenuto di grassi e zuccheri, sono stati riservati alle fasce più basse di prezzo e clientela, ricavando, in entrambi i casi, grossi margini di profitto.

Tra i prodotti proposti come salutari, e quindi indirizzati alla clientela più ricca, si trova tutto ciò che rientra nel mercato del biologico. In Europa questo settore ha raggiunto nel 2015 una quota di mercato pari a circa 28 miliardi di euro. Al primo posto per dimensioni troviamo il mercato tedesco, valutato circa 8.5 miliardi, al secondo posto si è posizionata invece la Francia, seguita da Regno Unito, Italia e Svizzera. Assieme questi cinque paesi hanno generato, nel 2015, tre quarti delle vendite totali europee.61

Nonostante la spinta verso il biologico si muova nella direzione di un mercato più sostenibile, l’aumento dei casi di obesità e disturbi legati all’alimentazione, le distanze eccessive percorse dagli alimenti prima di arrivare al consumatore finale, la scarsa sicurezza alimentare62, il boom della cultura dei fast food e l’aumento

61 Willer, H., & Lernoud, J. (2017). The world of organic agriculture. Statistics and emerging trends

2017. Research Institute of Organic Agriculture FiBL and IFOAM-Organics International, 1-336.

62 Una definizione di sicurezza alimentare comunemente accettata a livello internazionale è la seguente: “tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad

alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscano le loro necessità e preferenze alimentari per condurre una vita attiva e sana” (Fao, 1996)

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degli sprechi, tutte cose che hanno conseguenze sul cambiamento climatico, indicano che il mercato agroalimentare occidentale non è affatto sostenibile. Uno studio del 2005 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente ha evidenziato che il consumo privato di cibo e bevande rappresenta circa un terzo dell’impatto ambientale totale prodotto da un nucleo familiare europeo, ma la maggior parte dei danni ambientali legati al consumo di cibo derivano dalla sua produzione e trasformazione, come si può evincere dal grafico seguente.

Figura 6 - Environmental effects of food and drink consumption (Adapted from UNEP, 2005b)

L’agricoltura è la fase con il maggior impatto ambientale a causa dell’utilizzo del terreno e la conseguente degradazione del suolo, il consumo di acqua, l’eutrofizzazione e l’inquinamento delle acque, le monoculture, che causano la perdita di biodiversità, e l’introduzione di sostanze chimiche pericolose come i pesticidi sintetici e i fertilizzanti minerali. In termini energetici, la produzione agricola consuma circa il 30% dell’energia utilizzata dall’intero settore alimentare (Owen et al., 2007), mentre la produzione di fertilizzanti chimici e pesticidi sintetici ne impiega il 40% del totale (Heller & Keoleian, 2003). Le ricerche riguardo l’agricoltura biologica (e.g., FAO, 2003; Shepherd et al., 2003) mostrano, invece,

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che le aziende che utilizzano questo metodo consumano in media il 50-70% (varia in base al tipo di coltura) di energia in meno per unità di prodotto rispetto alle aziende tradizionali e la differenza dipende soprattutto dai fertilizzanti utilizzati. La produzione biologica ha inoltre effetti positivi anche per la salvaguardia della biodiversità e del terreno.

Anche l’industria alimentare, in tutte le sue funzioni tra la fase del raccolto e quella della vendita, può causare danni all’ambiente in svariati modi: può, ad esempio, provocare emissioni nell’atmosfera durante processi quali la macinazione del grano; può verificarsi un eccessivo utilizzo delle risorse quali l’acqua, l’energia o i materiali per l'imballaggio alimentare; lo smaltimento di prodotti scaduti ha sicuramente ricadute sull’ambiente; e possono essere causati danni da fuoriuscite accidentali di sostanze inquinanti. Anche il trasferimento dei prodotti di stabilimento in stabilimento per la trasformazione, l’imballaggio, lo stoccaggio, la vendita all’ingrosso e al dettaglio, comporta un livello elevato di emissioni inquinanti63.

Il consumo di cibo in ambiente domestico, nei ristoranti, nelle scuole e in altri ambienti, ha un impatto sull’ambiente dovuto principalmente all’utilizzo di freezer e frigoriferi per la conservazione, alla cottura per l’utilizzo di gas ed energia elettrica e all’utilizzo di acqua ed elettricità per lavare piatti e pentole. Anche la scelta della dieta produce effetti sull’ambiente, ad esempio una dieta carnivora ha un impatto maggiore dovuto al fatto che la produzione di carne e latticini ha alti livelli di emissione di gas ad effetto serra, al contrario della produzione di cereali, frutta e verdura che mantengono invece dei livelli di emissioni in generale piuttosto bassi (Dabbert et al., 2004; Carlsson-Kanyama & Gonzalez, 2009). Un altro fattore da considerare nel calcolo dell’impatto ambientale dovuto al consumo di cibo, e spesso trascurato, è la tendenza a percorrere svariati chilometri in macchina per raggiungere il grosso supermercato fuori città. In ultimo va

63 Department for Environment, Food and Rural Affairs (DEFRA), (2008). Food Statistics Pocket Book

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considerato il grosso problema relativo ai rifiuti e agli scarti, che comporta un enorme spreco di risorse e beni.

Negli ultimi anni si è affermato uno stile di consumo differente, che, oltre ad un ragionamento economico, tiene in grande considerazione aspetti etici e culturali e questo avviene soprattutto per la scelta dei prodotti alimentari.

Alla base del consumo sostenibile sta l’idea di responsabilità etica nella produzione e nel consumo del cibo. Questo concetto racchiude diversi aspetti tra cui la sicurezza alimentare e dell’acqua, l’assenza di sfruttamento di lavoratori e ambiente e il rispetto delle condizioni di vita degli animali negli allevamenti. Per orientare i consumatori nella scelta di prodotti che rispecchino questi valori etici sono nati in tutto il mondo diversi enti di certificazione, come FAIRTRADE64, il

marchio internazionale del commercio equo e solidale, che certifica l’assenza di sfruttamento dei lavoratori e dell’ambiente nella produzione di un determinato bene. La certificazione ECOLABEL UE65 identifica i prodotti ottenuti secondo il

metodo biologico, questo marchio è riconosciuto dall’Unione Europea e può essere ottenuto dalle aziende che rispettano criteri ecologici rigorosi e dietro il pagamento di una cifra annua che può arrivare a 18 000 euro per le imprese che operano in paesi in via di sviluppo e 25 000 euro per tutte le altre imprese. Attualmente sono più di trentasettemila i prodotti venduti sul mercato europeo che recano questo marchio.

L’affermarsi di un comportamento di consumo influenzato da motivazioni etiche ha determinato delle modifiche nel mercato agro-alimentare. Sotto la macro- categoria di consumo etico troviamo diversi comportamenti. I consumatori possono manifestare resistenza nei confronti del mercato, comportamenti di anti- consumo (Kozinets & Handelman, 2004) o organizzarsi in movimenti di boicottaggio (Neilson, 2010) determinando un rapporto conflittuale col mercato.

64 https://www.fairtrade.it/

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Le filosofie della semplicità volontaria (Ballantine & Creery, 2010) e dello slow

living (Parkins & Craig, 2006) propongono invece uno stile di consumo moderato

facendo attenzione a non sprecare le risorse naturali a nostra disposizione e in ottica di agevolare uno sviluppo sostenibile.66

Nel grafico seguente possiamo avere una visione schematica dei principali comportamenti di consumo guidati da ragioni etiche e l’influenza che questi possono avere sul mercato.

Figura 7 - Comportamenti di consumo etico e loro effetti (Montagnini, F., Sebastiani, R., Dalli, D., & Barbarossa, C., 2013, p.3)

Dalla collaborazione e integrazione di domanda e offerta nel raggiungimento di obiettivi comuni sono nate nuove realtà economiche che vantano simultaneamente criteri di gestione economici ed etici. In Italia esempi evidenti di queste nuove tipologie di business sono Eataly, nata nel 2007 dai valori di Slow Food per uno stile alimentare sostenibile e locale, e Cortilia . La peculiarità del modello di business promosso da Eataly è che il movimento dei consumatori è stato direttamente coinvolto nella sua progettazione e nel suo lancio, nel manifesto di questo progetto si può leggere: “Raggiungeremo il nostro obiettivo

quando il consumatore capirà di essere un coproduttore, cosciente di determinare con le sue scelte la qualità e la quantità dei cibi. Responsabile quindi, non solo della

66 Montagnini, F., Sebastiani, R., Dalli, D., & Barbarossa, C. (2013). The Role of Consumers in

Developing Ethically Oriented Business Models: Cases from the Food Industry. In EMAC 42th Annual

62 qualità della propria vita, ma anche di chi produce: contadini, allevatori, pescatori, affinatori, trasformatori.”

(https://www.eataly.net/it_it/chi-siamo/manifesto/).

Cortilia ha invece unito le possibilità offerte dalla tecnologia con le tradizioni agricole del paese, aprendo nel 2011 un sito web per agevolare l’incontro e la conoscenza reciproca tra produttori e consumatori di una zona e la consegna porta a porta nel rispetto dei principi di sostenibilità e km zero.

Queste realtà, in particolare l’esempio di Eataly, proponendo prezzi mediamente alti per i loro prodotti e criteri molto ambiziosi nella scelta dei produttori, hanno contribuito in Italia ad aumentare il divario alimentare legato al reddito ed alle possibilità imprenditoriali67.

La recente crisi economica e gli alti costi per ottenere le certificazioni hanno impedito a molti piccoli produttori di poter apporre il marchio biologico ai propri prodotti, nonostante fossero ottenuti seguendo gli standard previsti dagli enti di certificazione68. Per piccole realtà come queste non poter accedere ad un tale

riconoscimento di qualità e sostenibilità rischiava di determinarne il fallimento, soprattutto nei paesi con una radicata tradizione agricola. In questo contesto la presenza di gruppi di acquisto al di fuori dalle leggi di domanda-offerta e basati su un forte rapporto di fiducia tra produttori e consumatori sembra essere stata l’unica via per mantenere in vita molte piccole realtà produttive (Grasseni, 2014, 182) 69.

La rete Genuino Clandestino è nata a Bologna nel 2010 per dare modo anche alle piccole realtà biologiche che non riescono ad accedere alla certificazione ufficiale di ottenere un riconoscimento di qualità, attraverso un sistema di

67 Bukowski, W. (2015). La danza delle mozzarelle. Slow food, Eataly, Coop e la loro narrazione. 68 Andretta, M., & Guidi, R. (2017). Political consumerism and producerism in times of crisis. A social movement perspective?.

69 Grasseni, C. (2014). Seeds of trust. Italy's gruppi di acquisto solidale (solidarity purchase groups). Journal of Political Ecology, 21(1), 178-192.

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autocertificazione partecipata che garantisce il rispetto da parte dei produttori facenti parte della rete di criteri etici e politici, dell’utilizzo del metodo biologico e del mantenimento di rapporti corretti con i lavoratori. Sono gli stessi produttori e consumatori nella rete a determinare se un nuovo produttore rispetti o meno i criteri previsti seguendo le linee guida stabilite dal gruppo locale e condivise a livello nazionale (http://genuinoclandestino.it/lautocertificazione-partecipata/).

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