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Nei prossimi anni, le Università italiane, sotto la guida del Governo, saranno impegnate in un complessivo processo di ristrutturazione del sistema universitario attraverso processi di ridimensionamento (fusioni, espansioni o riduzioni) e posi-zionamento di ciascun ente in termini qualitativi e di mercato della formazione e della ricerca, andando oltre un sistema che finora ha considerato e regolato l’attività di tutti gli Atenei come se fossero uguali e destinati tutti alle stesse funzioni.

Il Piano Strategico intende promuovere, tra i principali attori del territorio, una riflessione strategica volta a favorire la crescita delle Università locali nel sistema globale dell’economia della conoscen-za e il loro impatto positivo sul sistema economico e sociale locale. In merito agli elementi fondamentali di questa duplice sfida ri-portiamo di seguito alcune prime considerazioni per avviare il confronto e configurare una possibile strategia.

Formazione. La prima e fondamentale sfida, che accomuna

Torino all’Italia, è quella di aumentare il numero assoluto di laureati (per esempio in Italia i laureati sono 20 ogni 100 indivi-dui di 30–34 anni, risultando l’ultima in Europa, a fronte dell’o-biettivo del 40% indicato dall’Europa per il 2020). La questione è indubbiamente complessa e ha radici profonde anche a livello nazionale, deve inoltre tenere conto della scarsa diffusione e successo in Italia dei percorsi formativi di terzo livello a carat-tere professionalizzante. A livello locale si può però fare molto per migliorare l’orientamento scolastico, riconfigurare alcuni percorsi universitari, soprattutto quelli brevi professionaliz-zanti, e potenziare le politiche di attrazione di studenti da altre Regioni e Nazioni, con l’obiettivo di favorirne poi l’integrazione nel mondo del lavoro locale.

La seconda sfida riguarda il miglioramento delle competenze dei laureati rispetto alle esigenze del mondo del lavoro. La relazione tra formazione e mondo del lavoro negli ambiti scientifici e tec-nologici è soddisfacente, con alti tassi di assunzione dei laureati nell’anno successivo alla laurea (a Torino più del 90% del laureati ingegneri del Politecnico trova impiego entro l’anno dalla lau-rea). La maggior parte dei laureati dell’Università è destinata al mercato delle attività professionali e terziarie avanzate, che sono fondamentali per lo sviluppo economico complessivo di un ter-ritorio, incluso il sostegno ai settori manifatturieri.

Le Università sentono anche la necessità di attrezzarsi per esse-re più velocemente esse-reattive nei confronti di specifiche doman-de doman-del mercato occupazionale, come quello doman-delle professioni

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Strategie da costruire

digitali, o in relazione ad imprese che intendono insediarsi localmente e richiedono programmi formativi su misura per assumere forza lavoro locale. In questo ambito le normative na-zionali devono essere più adeguate e flessibili.

Le Università devono anche operare per garantire ai propri lau-reati percorsi di formazione nell’ambito dello “sviluppo conti-nuo delle competenze” per favorire un più adeguato e dinamico

matching tra conoscenze acquisite nel percorso curriculare e le nuove sfide occupazionali.

Si tratta di offrire opportunità maggiori ai soggetti occupati (in un’ottica di costante aggiornamento), a coloro che perdono il lavoro (per lo sviluppo e l’adeguamento delle competenze di cui dispongono), alle imprese locali (per disporre di formazio-ne continua altamente qualificata e certificata) e alle imprese che intendono insediarsi localmente (per ‘utilizzare’ al meglio il potenziale professionale ed innovativo).

Ricerca. Per quanto riguarda la ricerca, il principale

obiet-tivo è raggiungere: buoni posizionamenti internazionali nei campi in cui le nostre università eccellono, o hanno il poten-ziale per farlo; un migliore tasso di successo nei programmi di ricerca fondamentali quali i progetti dello European

Rese-arch Council; maggiore capacità di attrazione di Co-location

Centers  delle Knowledge Innovation Communities (attualmente solo uno a Trento), di large scale facilities per la ricerca, di ospedali di ricerca. Questi sono gli ambiti nei quali si gio-ca oggi la competizione di alto livello tra le università eu-ropee, e che possono assicurare finanziamenti rilevanti di medio-lungo periodo. Gli investimenti in ricerca possono essere connessi al meglio alle opportunità e agli interessi di sviluppo delle imprese locali, da quelle più grandi alle start-up, passando dalle piccole imprese che rappresentano un tessuto di innovazione ad alto potenziale.

Per innalzare il livello qualitativo della ricerca – ma il tema si applica anche alla formazione – le università devono essere nelle condizioni di assumere i migliori professori e ricercato-ri, italiani e internazionali - soddisfacendo le loro aspettative di stipendio, strutture e personale per la ricerca -, favorendo il ricambio generazionale degli stessi. Quest’ultima è un’altra sfida a cui molti attori locali pubblici e privati possono contri-buire, per capire come superare le limitazioni amministrative in questa materia, nell’attesa di una maggiore autonomia delle Università in questo senso.

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Knowledge interchange. L’attenzione e l’efficacia dell’azione

in questo ambito si è concentrata, con successo, soprattut-to in ambisoprattut-to manifatturiero, sia attraverso il trasferimensoprattut-to tecnologico diretto sia attraverso altri modelli di collabo-razione e partenariato tra università e imprese. La sfida in questo ambito richiede di continuare a innovare i modelli di relazione tra Atenei ed imprese per collocare le Università come punto di snodo dell’intenso processo di interscambio di conoscenze in atto, sia a livello locale sia a livello globale. L’ampliamento e l’innovazione dei modelli di interazione tra Università e imprese si possono allargare anche ai settori dei servizi avanzati e professionali.

Nel 2015 il Politecnico di Torino ha avviato in questo senso una strategia per trasformarsi in una vera e propria “univer-sità imprenditoriale”, definita come l’univer“univer-sità “che forma imprenditori”, “che crea imprese”, per giungere infine all’“u-niversità che imprende”.

Per favorire le collaborazioni tra università e impresa, po-trebbero essere sviluppati pochi “grandi progetti di poli d’innovazione” – che uniscono massa critica, economie di co-localizzazione e placemaking di qualità – che includano attività di ricerca pura e applicata, imprese e servizi. In que-sto senso l’area che ruota intorno alla Cittadella Politecnica ha una prospettiva di evoluzione verso un vero e proprio

Tech Innovation District. Il progetto, lanciato da poco sull’area ex MOI, di Centro Biomedico, sulla scorta del modello della Cittadella Politecnica, ma incentrato sui temi delle Scienze della Vita, in integrazione tra i due Atenei, va fortemente in questa direzione. Analogamente, hanno un importante potenziale di sviluppo le aree intorno a Biotecnologie, già in espansione, ma anche il polo di Veterinaria e Agraria a Grugliasco (che potrebbe essere potenziato dalla presen-za dell’Istituto Zooprofilattico e dall’ARPA), e il polo della

Green economy a Environment Park. Altri potranno essere valutati e identificati.

La nuova Agenzia di sviluppo (Cfr progetto A.2, Cap. 6) po-trebbe avere un ruolo decisivo nella valutazione e nello svi-luppo dei mix funzionali, dei modelli di investimento e dei sistemi di integrazione di questi e di altri progetti-chiave per l’innovazione, mettendoli in rete con il più ampio sistema delle imprese e della ricerca, ma anche connettendoli ai temi delle infrastrutture territoriali.

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