L'introduzione dell'incertezza nell'analisi finora svolta appa-rentemente lascia presumere che il costo sia una variabile casuale fuori del controllo del manager ospedaliero. In realtà lo sforzo inci-de sui costi. Un maggior impegno può infatti ridurre i costi medi di produzione in quanto, ad esempio, accresce la produttività del la-voro. In tal caso il c effettivo può ex post approssimarsi a C". Lo sforzo addizionale (rispetto a quello « normale ») diminuisce l'utili-tà del manager riducendo di un valore y1 il bonus previsto dal terzo pagante. Qualora y1 > = y il manager non è incentivato a sostenere uno sforzo addizionale per ridurre c almeno al valore Cp. In tal ca-so preferirà, al limite, subire la perdita y (c — C") connessa al man-cato conseguimento dell'obiettivo C" indiman-cato. Se quindi y1 > y di fatto si torna all'analisi iniziale e alla situazione prevista dalle equazioni 4 e 5.
Se invece y1 < y il manager è spinto a ridurre c fino a Cp ac-crescendo lo sforzo in quanto il beneficio netto è positivo. Con la nuova interpretazione y1 (c — Cp) rappresenta il costo psichico con-nesso a una riduzione del costo da c a Cp mentre nella formulazione originaria y (c — C") rappresentava la penalità subita dal manager ospedaliero nel caso in cui l'obiettivo fosse stato mancato per un valore uguale a c — Cp. Se y1 < y il manager cercherà sempre di conseguire un c almeno uguale'a Cp. Se lo sforzo influenza c resta da domandarsi quali sono i valori ottimali di a, fi e y che il terzo pa-gante può dichiarare. Tali valori dovrebbero essere proporzionali: alla valutazione sociale della riduzione del costo c rispetto al valore
Cp rivelato dal manager (per il coefficiente fi); alla valutazione so-ciale di una riduzione inattesa del costo effettivo rispetto a quello dichiarato dal manager (per a); alla valutazione sociale della man-cata riduzione di c rispetto a O (per y). Se i valori dei tre parame-tri vengono dal terzo pagante decisi sulla base delle precedenti considerazioni (a < fi < y) il manager ospedaliero sceglierà il valo-re di c socialmente ottimale. E da rilevavalo-re che i valori dei
coeffi-cienti possono variare a seconda della inefficienza presunta (dal terzo pagante) e dell'importanza nel processo produttivo dei vari servizi offerti dal manager. Ad esempio y può essere tanto più grande più un dato servizio necessariamente viene utilizzato in un processo diagnostico-terapeutico o quanto più alta l'inefficienza presunta da parte del terzo pagante. Il valore di c non è quindi più solamente una variabile stocastica ma dipende anche dallo sforzo del manager. Il manager al fine di massimizzare il bonus atteso non deve solo indicare un valore di Cp ma deve anche scegliere il livello dello sforzo. Il livello ottimale dello sforzo è quello in base al quale, al margine, sono eguali il prodotto marginale dello sforzo e la disu-tilità marginale dello sforzo medesimo.
L'incertezza continua però a svolgere la propria funzione. Quando il manager dichiara Cp conosce solo la distribuzione della variabile stocastica (lo stato del mondo) in grado di influenzare il futuro valore effettivo di c. Si supponga che all'inizio del processo produttivo il manager possa conoscere il vero valore di tale varia-bile. In questo caso il manager può valutare la differenza tra il va-lore di Cp dichiarato e il valore effettivo di c che verosimilmente so-sterrà alla fine del processo produttivo dato il livello dello sforzo « normale ». Secondo Miller e Thornton [1978] il manager, cono-sciuto il valore della variabile stocastica, può reagire in tre modi. Se il valore della variabile stocastica è così piccolo da impedire al
manager di ottenere il valore Cp dichiarato e di massimizzare il
bo-nus, a prescindere dal livello dello sforzo, egli conterrà il livello dello sforzo; avrà un e > C" e subirà una penalità y (c — Cp). Se per contro il valore conosciuto della variabile stocastica è così alto da impedire il conseguimento simultaneo della massimizzazione del
bonus e del livello obiettivo di c, il manager sceglierà uno sforzo che gli consenta di massimizzare il bonus e di aver un valore di c inferiore al valore Cp dichiarato; sceglierà uno sforzo che gli consenta un bonus ad-dizionale pari a a (Cp — c). Per contro se il valore della variabile stoca-stica è intermedio ai due valori estremi il manager è in grado simulta-neamente di massimizzare il bonus e di scegliere il livello di sforzo tale da conseguire ex post un valore c = Cp.
Come hanno dimostrato Dardanoni e Martina [1988] l'introdu-zione dello sforzo in condizioni di incertezza non modifica il risulta-to qualora il manager sia avverso al rischio: un aumenrisulta-to dell'avver-sione al rischio spinge il manager a dichiarare un valore più elevato di Cp. Analogamente se c ha una funzione di distribuzione uniforme
un incremento di rischiosità nel senso di Rothschild e Stiglitz cau-serà un aumento del Cp dichiarato qualora il manager sia avverso al rischio e valga la condizione (y — fi) > (y — a).
7. Conclusioni.
Il modello si pone l'obiettivo di spingere l'ospedale a produrre in modo efficiente. In condizioni di certezza il manager è spinto a rivelare un valore del costo uguale al costo effettivo che a sua volta è uguale al costo minimo raggiungibile. In questo caso il manager può beneficiare del bonus massimo. Il benessere sociale viene fa-vorevolmente influenzato qualora il costo indicato dal terzo pagan-te sia superiore al valore del costo rivelato dal manager; si ha quin-di un risparmio delle risorse totali impiegate rispetto a una situazio-ne in cui il meccanismo incentivante è assente. Se il manager non conosce con certezza il valore effettivo del costo ma di esso ha solo una funzione di distribuzione il risultato del meccanismo incenti-vante dipende dell'atteggiamento verso il rischio del manager. Emerge che in presenza di avversione al rischio il manager è spin-to a rivelare un più elevaspin-to valore del cosspin-to. Un risultaspin-to analogo si ha allorché aumenta il grado di rischiosità della funzione di distri-buzione del costo. Il valore effettivo del costo non è solamente una variabile stocastica ma dipende anche dallo sforzo del manager. L'incremento dello sforzo oltre il livello « normale » comporta per il manager un costo e quindi un decremento di utilità. A seconda del livello assunto dalla variabile stocastica che influenza il costo il
manager sceglierà il livello di sforzo in grado di massimizzare il
bo-nus o minimizzare la penalità prevista.
GIUSEPPE C L E R I C O
Università di Torino
Riferimenti bibliografici
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WEITZMAN M.L. (1980), The Ratchet Principle and Performance Incentives, in
IN D I R I T T O T R I B U T A R I O (*)
1. Conobbi Enrico Allorio quando, studente di giurisprudenza all'Università Cattolica, cominciai a frequentare le lezioni del pe-nultimo anno (o dell'ultimo: non ricordo con esattezza come fosse, allora, la distribuzione temporale delle materie). Notai — come no-tarono molti, io credo — una aggregazione, apparentemente curio-sa, di insegnamenti: tre coppie di lezioni alla settimana — collocate nel tardo pomeriggio, consecutivamente — di scienza delle finanze e di diritto finanziario, l'una, e di procedura penale, l'altra, tenute entrambe dallo stesso professore, Enrico Allorio, appunto.
Anche il discente più distratto avvertiva che, dietro la fredda burocraticità dell'orario, si poteva nascondere un fenomeno incon-sueto (quantunque non unico e certamente privo della eccentricità di altri avvenimenti: ma non tutti gli studenti di allora potevano sa-pere, per esempio, che Pugliatti insegnò anche storia della musica).
La curiosità era irresistibile: si tramandavano anche voci sulla differenza, rispetto ai modi abituali, delle lezioni impartite in quelle ore serali.
Frequentai, naturalmente, e frequentarono in molti, parteci-pando a lezioni avvincenti, nelle quali la cooperazione dello stu-dente era continuamente sollecitata.
Imparammo a conoscere — in quella indimenticabile stagione della nostra giovinezza studiosa — le qualità precipue del giurista: la nitidezza concettuale e la coerenza del sistema: il rigore della esposizione; l'insofferenza per teorie e classificazioni prive di ri-scontro concreto (gli istituti giuridici si distinguono solo per i loro diversi effetti pratici: soleva e suole ripetere Enrico Allorio; ed è vero); l'eliminazione dal ragionamento giuridico e dal processo ese-getico di ogni componente teleologica.
(*) Relazione letta durante la cerimonia per la consegna al prof. Enrico Al-lorio degli scritti in Suo onore.
Apprendemmo anche che il nodo centrale del diritto è l'accer-tamento giudiziale (è appunto, per riprendere un titolo alloriano, l'ordinamento giuridico nel prisma del processo): una affermazione che trova, del resto, nei principi interpretativi della realtà giuridica prima ricordati la sua fonte remota, giacché proprio nella lite giudi-ziale e nel suo compimento autoritario la norma sviluppa tutta la sua efficacia prescrittiva (senza giungere, con questo, alla immagi-ne antropomorfa del diritto, identificato con il carabiniere, come ha asserito il Carnelutti).
Queste idee erano illustrate e insegnate da Allorio con elo-quenza suggestiva, cui si accompagnava eleganza di stile e una ric-chezza lessicale che personalmente non ho mai più riscontrata.
Rendevano, poi, ulteriormente sapide queste ore, già intense, di fervore intellettuale i riferimenti — rapidi, ma significativi — ad altri rami del sapere, che lasciavano intravedere una invidiabile profondità di conoscenza. Erano, infine, insegnamenti non di scien-za (o non solo di scienscien-za), ma di vita la severità e la continuità del-l'impegno scientifico in Allorio.
Conseguimmo la consapevolezza che il giurista è tale solo se possiede un adeguato arredo di idee generali, che trascendano la materia di volta in volta trattata. Le prime lezioni di Allorio erano, per l'appunto, dedicate ad una silloge illuminante dei concetti basi-lari, cui si sarebbe attenuto, nei suoi vari contenuti, l'insegnamento successivo.
Ricordo, di questa introduzione, il concetto fondamentale: qua-lunque norma giuridica istituisce e disciplina un potere, il cui eser-cizio genera peculiari mutazioni giuridiche. Quand'anche la norma fosse formulata in modo da definire un obbligo per un soggetto, in realtà questo vincolo di condotta è l'effetto di facoltà concesse pri-mieramente ad altro soggetto, che l'ordinamento contrappone al primo. Il potere assume, poi, i connotati del diritto soggettivo, nel caso in cui sia suscettibile di autonomo accertamento giudiziale.
L'unico dovere — essenzialmente diverso, nella dottrina allo-riana, dagli obblighi di soggezione al potere altrui — è del giudice, al quale spetta, con l'autorità della sentenza, di accertare il diritto reclamato in giudizio e di imporne il rispetto.
Il primato della teoria generale era, dunque, uno dei primi messaggi che l'attento ascoltatore riceveva, frequentando le lezioni di Enrico Allorio; sicché le singole materie finivano per diventare il campo di sperimentazione dei concetti primigenii.
Si poteva comprendere quindi agevolmente che un legame uni-va gli insegnamenti di diritto tributario e di procedura penale, nei riguardi dei quali i principi sommi del diritto costituivano la sostan-za connettiva.
Così, quando — con un improvviso mutamento di temi e di problemi, nel volgere di pochi attimi — si passava da una lezione all'altra, lo studente non avvertiva, in fondo, una soluzione di con-tinuità, quantunque l'oggetto della duplice docenza alloriana fosse eterogeneo; sulla scena restava pur sempre — se mi è consentito questo linguaggio icastico — la statura del protagonista e l'essenza della sua dottrina.
D o p o le conferenze introduttive, il criterio didattico mutava: le lezioni avevano un andamento dialogato, che impegnava diretta-mente gli studenti con brevi relazioni generali sul tema da trattare e con l'esame di fattispecie concrete; il metodo casistico, allora po-co o punto diffuso, e la sollecitata po-collaborazione del discente po- con-sentivano al professore di svolgere una vera e propria attività maieutica, che aiutava l'inesperto relatore o espositore ad esprime-re il meglio di sè, nonostante la compesprime-rensibile agitazione.
2. L'opera scientifica di Enrico Allorio in materia fiscale ha la stessa carica innovatrice, già implicita nei suoi messaggi allo studente.
Prima che fosse dato alle stampe il Diritto processuale tributa-rio (edito, per la prima volta, nel 1942), l'approfondimento dottri-nale della imposizione era assai scarso, e addirittura inesistente la ricerca giurisprudenziale. Dominavano — anche per pigra assuefa-zione a vecchie formule — certe idee che costituivano il frutto di una meditazione primitiva e rozza sul prelievo tributario.
Rammento, in proposito, che l'imposta era considerata la rive-lazione più significativa di un potere statale d'impero, di cui la dot-trina non ha mai chiarito i connotati. Di fronte a questo dominio e al suo esercizio concreto (e forse, a ben vedere, sulla spinta di pau-re ancestrali, provocate dagli arbitrii del principe) la posizione del contribuente assumeva (o avrebbe assunto) i connotati del diritto soggettivo. La persona, succube dell'imposizione, avrebbe sempre potuto pretendere — nonostante l'attività dell'Amministrazione fi-nanziaria e le sue vicende — che l'imposta fosse commisurata allo stato di fatto, da cui il prelievo avrebbe tratto origine.
Anche le concezioni riguardanti la lite tributaria riflettevano la generale arretratezza degli studi. Il processo davanti alle
commis-sioni (della cui natura giurisdizionale allora si dubitava) era conce-pito come una semplice digressione dell'attività compiuta dagli uffi-ci: più precisamente come la fase contenziosa dell'accertamento, conseguente a quella amministrativa. L'una e l'altra, poi, erano in-tese come attuazione del rapporto d'imposta.
Insomma erano tanto carenti le analisi processuali, che al con-tenzioso tributario era negata addirittura autonomia istituzionale.
In questo contesto, Enrico Allorio offre agli uomini di cultura giuridica la prima trattazione organica del processo tributario, un'opera di superba compattezza sistematica, svolta con l'abituale rigore scientifico; e da essa nasce un impianto dottrinale, che è ret-to da solidi fondamenti di teoria generale, e che appare eversivo dell'ordine concettuale precedente.
E difficile riassumere, in un compendio adeguato, la pregnan-za delle argomentazioni esposte da Enrico Allorio; si può invece in-dicare — e cercherò di farlo nel modo più acconcio possibile — i capisaldi della sua dottrina, secondo l'ultimo approdo cui è giunto il pensiero dell'Autore.
A) Innanzitutto le norme tributarie sono regole strumentali che attribuiscono all'Amministrazione finanziaria un potere autori-tario (o autoritativo, come suol dirsi meno bene); esse non contem-plano e non disciplinano il diritto soggettivo alla imposta giusta, di cui ha favoleggiato, fino ad allora, la dottrina (in senso pragmatico, e non secondo la concezione ideale di L. V. Berliri).
Enrico Allorio ripudia — nella fase più recente della sua elabo-razione dottrinale — qualunque riferimento finalistico; sicché i pre-cetti dell'ordinamento tributario si qualificano non già per l'interes-se che il loro artefice si è proposto di raggiungere (e che resta finato tra le motivazioni politiche delle norme), ma per il loro con-tenuto (appunto strumentale) cui ho accennato.
B) Se tale è la natura delle norme tributarie, il contribuente — di fronte all'esercizio del potere d'imposizione — non gode che di un interesse legittimo; questo, tuttavia, non esprime una condi-zione giuridica soggettiva, ma più semplicemente indica, in modo breviloquente, la possibilità, offerta dall'ordinamento alla persona soggetta a quel potere, di reagire contro un atto illegittimo dell'Am-ministrazione (cioè non conforme alle norme che ne regolano i compiti), e di chiederne la rimozione.
C) L'avveramento storico del presupposto imponibile — ov-verosia la vicenda o la condizione cui la legge connette il
pagamen-to di un tribupagamen-to — non genera alcun rapporpagamen-to giuridico nel quale al credito dello Stato si contrapponga — come asserisce la dottrina tradizionalistica — il debito del contribuente; quegli eventi danno origine, invece, ad una serie di doveri funzionali per l'autorità pub-blica o impongono comportamenti al contribuente, con l'avvertenza che quest'ultima espressione descrive lo stato di colui il quale subi-sce le conseguenze di iniziative assunte da una entità munita di po-teri (cioè, con riguardo specifico ai tributi, l'azione autoritaria di controllo e di accertamento).