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La signorina Anna, terzo ed ultimo volume di novelle di Paola Drigo, esce ben quattordici anni dopo il volume precedente, a cura di una casa editrice ben più periferica, quella di Ermes Jacchìa216. La raccolta contiene sei testi, alcuni di notevole lunghezza: La signorina Anna; Paolina; Pare un sogno; Un giorno; Il compagno di scuola; Il dramma della Signora X. Anche questa volta le date non sono perfettamente esatte, dato che la maggior parte dei racconti esce in ordine sparso durante gli anni venti; nonostante ciò, il lungo periodo di assenza dalla scrittura e la distanza di anni fra le pubblicazioni vengono percepiti dall’autrice stessa e dagli amici. In una lettera di risposta ad un amico che le aveva fatto notare il lungo silenzio, oggi perduta, ella scrive:

Avete ragione; ma se sapeste quante cose ho dovuto fare in questi ultimi anni, assai più faticose e meno gradite che scrivere delle novelle! Prima la guerra, che sconvolse noi tutti come un ciclone che passasse sulle anime e sui corpi; poi la malattia di mio marito che mi gettò sulle spalle affari, amministrazioni, preoccupazione d’ogni genere, complicate dall’anarchia dei contadini e dalla mia ignoranza in argomento di agricoltura e di interessi. Feci miracoli, ma mi costarono una grande energia, e mi lasciarono così stanca moralmente, che non vi so dire. Come si può scrivere quando si deve provvedere a concimaie o sorvegliare la tenuta delle stalle?217

Oltre alla situazione personale dell’autrice, stando a quanto è riportato nelle lettere scritte da Paola all’amico Valeri218

, altro grosso problema che ostacola la pubblicazione di questo volume è la difficoltà nel reperire un editore. Ella ebbe prima dei contatti con Mondadori, non giunti a compimento, poi si appoggiò a Piero Nardi, ma anche in questo caso le cose non furono semplici: nel 1930 Paola aveva già il materiale per un terzo volume di novelle, ma impiegherà altri due anni per trovare un editore. Anche dopo la pubblicazione ufficiale del 1932, La signorina Anna non sarà un volume facilmente reperibile; in una delle prime lettere a Bernard Berenson, il quale aveva chiesto a Paola

216 P.D

RIGO, La signorina Anna, Vicenza, Jacchìa, 1932. 217

BRUNELLI, Destino di Paola Drigo, «La Lettura», xxxIx, 5, maggio, 1939. Bruneli, in questo articolo trascrive brani di lettere ricevuti nel tempo da un interlocutore di Paola Drigo (lui stesso?), delle quali oggi si sono perdute le tracce.

218

Le lettere di Paola Drigo a Valerio Valeri sono ancora inedite: sono conservate a Venezia nel Fondo Valeri dell’Istituto per le Lettere, il Teatro e il Melodramma della Fondazione «Giorgio Cini»; si tratta di 35 lettere, datate tra il 24 giugno 1930 e il 30 marzo 1937.

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di poter leggere i suoi volumi, la scrittrice stessa parla delle difficoltà nel reperire il testo:

Se avessi pensato che desideravate avere i miei libri – come ve li avrei volentieri mandati! […] Ma La signorina Anna forse non la troverete, perché per essa purtroppo – morti Emilio Treves e Beltrami – mi fu difficilissimo trovare un editore, e dovetti contentarmi di un orribile Jacchia che, dopo aver stampato, deve aver tenuto i libri nascosti in un cassetto o ne ha fatto carta per incartare il formaggio: fatto sta che la Signorina Anna non si trova in nessuna parte, ed Jacchia ha intascato duemila lire per spese di stampa, cosa veramente umiliante per me, e che non avviene certo a Colette o a Virginia Wolff. Ma non crediate che me ne disperi; e la Signorina Anna ve la manderò219.

Nella recente edizione di Racconti, curata dalla Zambon, sono riproposti tre di questi testi: La signorina Anna, Il dramma della Signora X e Un giorno220. Anche per me, gli altri tre racconti non sono stati facilmente reperibili, dato che il volume, ovviamente assente dal commercio e mai ripubblicato dopo il 1932, è posseduto solamente da sette biblioteche italiane che non ne ammettono il prestito; ho comunque potuto consultare i rimanenti testi nel volume posseduto dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Ovviamente, essendo passato un po’ di tempo dalla precedente pubblicazione, in questa raccolta, come vedremo, emergono alcune tematiche nuove che hanno affascinato la scrittrice negli anni della maturità; nonostante ciò la Drigo stessa, nella prefazione al volume, ci dice che le protagoniste di queste storie sono “sorelle” di quelle de La fortuna e di Codino:

Le creature che s’incontrano qui, non sono quelle che piacciono generalmente al pubblico che dedica qualche ora alla così detta letteratura amena. Sorelle di altre alle quali diedi in passato amore e pietà, sono modeste creature senza splendore, a cui pochi o nessuno presta attenzione, figure in penombra, vestite solamente della loro sincerità e del loro dolore. Mi hanno interessato infinitamente più di quelle che posseggono brillante scorta di paggi e cavalieri, posto eminente sulla scena dell’arte e della vita, predilezione di pubblico ricco e generoso. Ho vissuto, creandole, veramente con loro, e il raccontarne le vicende, il fissare le linee toccanti o tragiche del loro destino, mi è costato talvolta vera sofferenza.221

Come avremo modo di vedere analizzando i racconti, in realtà, le problematiche delle donne di queste pagine sono talvolta diverse da quelle delle creature delle pagine precedenti; in questa raccolta si introduce un tema fondamentale per la Drigo degli anni

219

P.DRIGO, Come un fiore fatato, cit., p. 82

220

EAD., Racconti, cit., pp. 121-182.

221 E

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trenta (e non lo era in quella della prima stagione), ovvero il tempo che inevitabilmente scorre e modifica la vita. L’interesse forte per questo tema emerge in questi stessi anni in una breve rubrica, solamente due numeri, che l’autrice tiene tra le rassegne della «Nuova Antologia», intitolata alle Opinioni femminili222. In un passo in cui difende la dignità e il valore del lavoro femminile, volge lo sguardo alle signore della sua società, coloro che vivono da sempre dentro a un matrimonio e non si sono mai poste il problema del proprio sostentamento:

Ma quand’anche questo motivo (la necessità di tipo economico) non ci fosse, vi pare sia un male che la donna studi e si coltivi meno superficialmente e banalmente d’un tempo? […] L’amore e la maternità assorbono un limitato periodo della vita femminile: vent’anni o poco più. Si spegne questa gran luce, e scocca l’ora più grave, più difficile e più pericolosa, nella vita di una donna. Anche colei che è stata brava e forte in gioventù avverte in quell’ora nell’acciaio della sua corazza, come un’incrinatura, un segno di debolezza. L’amore e il figlio l’abbandona ad un tempo: all’uno e all’altro ella non è più necessaria. Singolarmente fredda e spietata è l’aria del tramonto, calano grandi ombre sui vivi colori della vita; gli alberi si spogliano; si fa notte innanzi sera223.

Questo è ciò che sta vivendo in questi anni la Drigo, situazione che si presenterà ben chiara nel romanzo, in parte autobiografico, Fine d’anno. Lo scorrere inevitabile del tempo e il dramma interiore che ne consegue è ciò che si troveranno ad affrontare alcune donne di questi racconti.

LA SIGNORINA ANNA

La signorina Anna è un racconto molto lungo, quasi un romanzo. Prima di essere inserito al primo posto dell’eponima raccolta, è stato pubblicato dall’autrice con il titolo La signorina De Friours, nel 1929224. A causa della non facile reperibilità dell’edizione Jacchìa, utilizzo come riferimento per le citazioni l’edizione della Zambon225

.

222

EAD., Opinioni femminili. Uomini di genio e donne intellettuali. Egoismo, crudeltà e amore. Il punto di vista femminile, «Nuova Antologia», LXVI, 1421, 1° giugno 1931 e EAD., Opinioni femminili. Femminismo e femminilità, «Nuova Antologia», LXVI, 1425, 1° agosto 1931.

223

Ivi, p. 403.

224

EAD., La signorina De Friours, «Nuova Antologia», LXIV, 1371-3, 1° e 16 maggio e 1° giugno 1929.

225E

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La protagonista di questa novella è la signorina De Friours, proveniente da una famiglia nobile piemontese, che un giorno giunge, accompagnata dal padre, al convento delle Orsoline e vi prende posto come nuova insegnante di inglese. Ella tutte le mattine si reca in convento e ne esce alle dodici in punto: quando è brutto tempo trascorre i suoi pomeriggi in casa, ma quando c’è il sole si reca a fare lunghe passeggiate con il padre, verso la riva del fiume. Un giorno, durante una di queste passeggiate, il padre della ragazza, vecchio colonnello in pensione, viene colto da un malore improvviso e stramazza al suolo; dopo essere stato soccorso dai passanti viene portato in farmacia, ma si scopre che il dottore è fuori per lavoro. A quel punto arriva per caso un signore giovane, di ritorno da una battuta di caccia, che dopo essersi presentato come Orsenigo alla figlia del colonnello, propone, essendo laureato in medicina, di trasportare subito l’uomo a casa sua e adagiarlo sul letto; così viene fatto. Il colonnello inizia ad aprire gli occhi, ma sembra non ricordare più nulla se non il nome di sua figlia, Anna, che chiama insistentemente con la voce angosciosa di un bimbo che nel terrore invoca la madre. Il contegno della fanciulla è esemplare:

Ella non aveva ancora versato una lagrima, né, si può dire, pronunciato parola. Si muoveva per la stanza senza rumore; aveva delle mani piccole, leggere e rapide, di un’estrema delicatezza di tocco, che eseguivano tutto con prontezza e con precisione. Quando non poteva far nulla, rientrava nell’ombra, aspettando, e nella scarsa luce della stanza si discerneva soltanto il biondo dei suoi capelli e la bianchezza delle sue mani.226

Dopo un paio di settimane il dottor Bartoli, nel frattempo rientrato al paese, incoraggia Anna a riprendere il suo lavoro da insegnante, dato che suo padre sta meglio e durante la sua assenza lui stesso o il conte Orsenigo possono passare a fargli visita. Il dottor Bartoli, non aveva mai nutrito una grande simpatia per le donne e le considerava con una specie di diffidenza, come se fossero un ingombro; apprezza però di Anna il suo essere taciturna, la precisione intelligente con cui esegue gli ordini e soprattutto la totale mancanza di ostentazione nel dolore. Lo stesso vale per Orsenigo, a cui è mancata in

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primo luogo la tenerezza e la compagnia di una madre, il quale ha una scarsa opinione delle donne accompagnata dal disinteresse nel conoscerle. Egli si chiama Piero, ed è figlio del conte Alvise Orsenigo e di una bella cameriera, morta dandolo alla luce: è cresciuto lontano da suo padre per poi riceverne tutta l’eredità. Adesso egli, a soli ventisei anni, si accontenta di una vita mediocre divisa fra la caccia e l’amministrazione dei suoi beni, esistenza talvolta noiosa, ma non malvagia. Quando si è offerto di assistere al colonnello De Friours ha obbedito a un impulso generoso del suo cuore, ma se ne pente ben presto, non appena si trova a doversi aggirare in quelle stanze così piccole, proprio lui che è abituato alle vaste sale della sua villa; di lì a poco però si abitua all’ambiente. Inoltre la medicina lo appassiona vivamente e in fondo gli piace aiutare e sentirsi capace di qualche cosa:

E inconsciamente, malgrado l’ambiente ristretto e povero, quell’intimità, quell’atmosfera semplice e affettuosa, il lieve vapore del tè, gli occhi buoni del colonnello, il tranquillo sorriso e le piccole mani di Anna, davano al giovane un’impressione di benessere, quasi di aver ritrovato per un’ora ciò che nella sua vita non aveva avuto mai: la dolcezza di una famiglia227.

Qualche giorno dopo il conte Orsenigo si ritrova nella piccola casa a badare il vecchio, da solo; per la prima volta si rende conto che, visto l’arredamento dell’abitazione e la necessità della donna di rientrare al lavoro, i due devono essere molto poveri. Mentre attende che il colonnello si svegli, la sua attenzione è attratta da un ritratto a pastello, che raffigura una giovane donna (Anna..? una sua sorella..?) e guardando quell’immagine come non aveva mai guardato Anna, gli sembra di riconoscerla. Non appena la donna rientra a casa, Piero si mette a guardare i suoi movimenti come se la vedesse per la prima volta:

Senza volerlo, i suoi occhi andavano insistentemente da lei al ritratto, dal ritratto a lei. No; Anna non era così bella. Ad uno sguardo distratto poteva anzi apparire insignificante. Le tinte meno splendide, i lineamenti tracciati con segno meno sicuro, più lieve, e quasi eccessivo di delicatezza, l’esilità delle spalle e del collo, facevano di lei un pallido fiore cresciuto nell’ombra, in confronto al trionfale splendore dell’altra, rosa di pieno meriggio. Ma la bocca, il colore degli occhi, erano ben gli stessi. E la diversità non stava nelle linee, né nei colori, ma in qualche cosa di più profondo e inafferrabile, che Orsenigo non

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riusciva a precisare, e di cui cercava il perché, forse negli occhi, forse nel sorriso di entrambe.

Larghi, aperti e sorridenti, erano gli occhi dell’ignota: occhi di giovinezza, occhi spensierati, occhi di felicità; quelli di Anna invece, spesso chini, velati da lunghe ciglia, mettevano sul viso fine e un po’ stanco di lei, un’ombra di malinconia, un’espressione toccante di patimento e di chiusa dolcezza228.

Piero scopre che la donna del ritratto è la madre di Anna. Da quel pomeriggio inizia ad interessarsi vivamente alla vita dei suoi amici; sa ben poco, sa che sono piemontesi, devono essere poveri, ma intuisce che appartengono ad un ceto sociale piuttosto elevato: «entrambi avevano nella persona e nei modi l’impronta della signorilità che viene dalla nascita e dall’abitudine, e che la povertà non era riuscita a sopprimere»229

. Anna ispira soggezione all’uomo, la trova sempre gentilissima e cordiale, ma con un sorriso cortese e freddo che disarma qualunque velleità di indiscrezione. Quando torna da scuola, la donna si occupa del padre, dà lezioni private alle bambine che non sono ammesse alle Orsoline e, la sera, esegue certe traduzioni che gli aveva affidato un libraio: Piero avrebbe voluto aiutare economicamente i suoi amici, ma teme di offendere quella creatura così orgogliosa e, talvolta, così distante:

C’era fra loro, malgrado la consuetudine quotidiana, come un limite, che Anna difendeva, e che i timidi tentativi di Orsenigo non riuscivano a varcare. Ella accoglieva il giovane come un ottimo amico, ma c’era uno spazio di pensieri, di ricordi, di dolori e di difficoltà, che non acconsentiva a dividere con lui né con nessuno, e quello spazio lo teneva a distanza: dopo tre mesi come il primo giorno230.

Ogni anno, in primavera, le allieve dell’ultimo corso del Convento delle Orsoline, accompagnate da Suor Teresa e da un’istruttrice, si recavano a visitare Villa Orsenigo, monumento nazionale e orgoglio della città e dei dintorni; anche quest’anno arriva a Piero il biglietto della superiora che annuncia la visita per la prossima domenica. Per la prima volta egli, sapendo che Anna avrebbe accompagnato le ragazze, è preoccupato dall’abbandono visibile in cui la villa era lasciata da anni e del fatto che la signorina De Friours possa non apprezare lo sfarzo dell’ala abitata da lui. Tutto il suo malumore

228 Ivi, p. 137. 229 Ivi, p. 138. 230 Ivi, p. 140.

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svanisce improvvisamente quando vede arrivare la donna, la quale, però, pallida e stanca, parla poco e sembra sofferente per aver dovuto lasciare il povero padre da solo tutto il pomeriggio. Di lì a poco il sole irrompe nella prateria, illuminando tutto ciò che c’è di più bello in quei giardini e Piero nota che anche Anna non può rimanere indifferente a cotanto splendore:

Piero guardò Anna. E vide che il suo volto, come il cielo, si era improvvisamente illuminato. Il fascino delle cose belle, la soavità dell’imminente primavera, senza ch’ella lo volesse, senza che se ne rendesse conto – più forti per un attimo della sua stanchezza, più forti dell’inquietudine – le avevano gettato un po’ di sole nell’anima, si erano impadroniti anche di lei.

Anch’ella, ora, sorrideva al cielo, ai prati, agli alberi; alle belle linee dolci e serene della natura circostante. Fu una cosa così inattesa!...come una malìa, come un’ebbrezza: Piero la vide animarsi, uscire dal suo mutismo, interessarsi a ogni cosa. Una statua mutilata apparsa nel fitto degli alberi, uno zampillo d’acqua nel verde, una violetta indovinata nell’erba, le strappavano esclamazioni di entusiasmo e di piacere231

.

A quel punto si dirigono tutti verso la cappella per vedere la vera attrazione della villa: gli affreschi del Veronese. Piero, su richiesta di suor Teresa, inizia la sua spiegazione ma non può che notare lo sguardo di Anna, così appassionato e triste allo stesso tempo: ella sembra distante, i suoi occhi di lì a poco sono totalmente spenti e nulla nel suo contegno rivela un minimo turbamento. Dopo che le educande se ne sono andate, l’uomo sente un senso di vuoto e delusione mai provato; non riesce a capire i comportamenti di Anna, colei che per un momento si era animata e poi, subito dopo, si era fatta così fredda, impenetrabile e lontana. Egli, abituato ad un solido equilibrio morale e fisico, non sa convivere con i dubbi e le incertezze e decide quindi di scendere per la campagna a correre con i cani cercando una qualche distrazione, ma quando si volta a guardare la sua casa percepisce solo una grande solitudine e perfino la mancanza di quel complesso di piccoli avvenimenti famigliari che rimangono profondamente impressi nell’animo di un bambino. Quella vita di paese senza varianti, che fino a ieri gli sembrava tollerabile, adesso gli sembra insopportabile, sente che non potrà continuare così per sempre. Lui non ha il temperamento gaudente di suo padre e ha

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sempre disprezzato il suo ignobile stile di vita: per la prima volta l’idea del matrimonio gli si presenta concreta alla mente:

Anna gli piaceva; aveva una grande stima di lei; apprezzava la sua finezza. Era nobile, e questo gli era gradito; povera, ma egli era ricco per due. Farsi una famiglia, avere dei bimbi; dare uno scopo a quella sua vitaccia arida e vuota..

Parlarne al più presto al Bartoli, l’unico che poteva dire una parola assennata e facilitargli la strada…Parlarne ad Anna…E frattanto, non tormentarsi più, non almanaccare più, non arrovellarsi l’anima!

Ecco la campanella che annuncia la cena […] E Piero rientra a testa alta, fischiettando, rasserenato e tranquillo; e si mette a tavola con grande appetito232.

A questo punto si ha nell’edizione del 1932 il capitolo quattro che la Zambon decide di non riprodurre233. In queste pagine è narrato come il giorno dopo il colonnello De Friours viene aggredito verbalmente da due volgari individui che gli chiedono di pagare un debito contratto in passato; stabilita la verità della storia Piero dà i soldi ai due uomini. Poi il colonnello fa a Piero un lungo racconto sulle ragioni della decadenza della sua famiglia: tutto è nato dalla sua stessa volontà di prendere in moglie una bellissima giovane straniera, contro il volere della propria famiglia. La donna con Anna è sempre stata una presenza severa ed esigente, talvolta anche cattiva; al contrario adorava il figlio maschio a tal punto da crescerlo senza nessun tipo di disciplina e incapace di rinunciare a tutto ciò che gli piaceva. Il sacrificio di Anna ha inizio quindi in giovane età, quando la fanciulla sceglie di stare accanto al fratello fino alla fine dei suoi giorni, rinunciando persino a vivere la sua vita.

Il capitolo cinque si apre con Orsenigo che si incammina lungo la via che Anna percorre per rincasare, intenzionato più che mai a parlarle. Quando però la incontra, il luogo non le sembra più così tanto adatto per chiedere a una donna di sposarlo; inoltre l’unica preoccupazione della signorina sembra essere quella di correre a casa da suo padre. Allora Piero ha un’idea, quella di chiedere ad Anna di dargli qualche lezione di inglese,

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