MULTIMODALI PER LA MICROSCOPIA
CLEM
SINTESI E CARATTERIZZAZIONE
DI NUOVE SONDE MULTIMODALI
PER LA MICROSCOPIA
CLEM
II.1 Nuove sonde per la CLEM
Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato la sintesi e la caratterizzazione fotofisica di nuovi mezzi di contrasto per la microscopia correlativa a due fotoni/elettronica. L'idea di base dietro l'approccio seguito è stato di coniugare una molecola organica, contenente un lungo sistema coniugato, che funge da fluoroforo per la microscopia ad eccitazione di due fotoni, con un cluster esanucleare di platino che ha la funzione di fornire l'alta densità elettronica richiesta per la microscopia elettronica. La presenza inoltre di un sistema coniugato di elettroni d nel cluster porta ad un generico incremento della sezione efficace di assorbimento bifotonico σ2.
Un approccio simile, utilizzando un cluster tetranucleare di rame, è già stato provato da X. Wang e collaboratori(45)
per provare a migliorare le proprietà fotofisiche di alcuni fluorofori organici per la TPM.
Nel mio lavoro in tutto sono state preparate quattro molecole diverse (schema 1), due delle quali (Pt6Ph e
Pt6Et) contenenti dei gruppi laterali fortemente idrofobici
e due (Pt6OH e Pt6OMe) nelle quali la catena laterale
sull'azoto aveva un carattere leggermente più idrofilo.
II.1.1
Sintesi e proprietà del cluster di platino Pt
6Cl
2La scelta del cluster da utilizzare è stata governata da diversi fattori, quali la stabilità in soluzione acquosa, la stabilità all'aria e la facilità con la quale poteva essere funzionalizzato. Il cluster Pt6Cl2, già noto, sintetizzato e
studiato dal gruppo del prof. Leoni,(46)(47)(48) soddisfa tutte queste
caratteristiche: è illimitatamente stabile all'aria, è insolubile ma stabile in acqua, può essere sintetizzato con relativa facilità e con rese accettabili e presenta due atomi di cloro laterali facilmente sostituibili gruppi alchinilici attraverso reazioni di coupling catalizzate dal Cu (I). Questa particolare reattività del cluster è stata sfruttata anche per sintetizzare polimeri organometallici contenenti unità cluster intervallate da spaziatori organici coniugati.(49)(50)
La storia dei cluster di platino è ormai abbastanza lunga e si può fare partire dalla sintesi del « platino dicarbonile », ottenuto nel 1961 da Boot e Chatt(51), al quale sono poi seguiti numerosi altri
composti simili, principalmente cluster trinucleari. Generalmente per i complessi del platino il punto di partenza è un sale dell'esacloroplatinato (IV) da cui, tramite reazioni di carbonilazione riduttiva, è possibile ottenere molti derivati basati sempre un'unità di base triangolare, eventualmente ripetuta più volte per formare cluster di formula generica [Pt3(CO)6]n-2. L'aggiunta di fosfine nella sfera di coordinazione può portare ad una
Figura 12: Il cluster
esanucleare di platino Pt6Cl2
Figura 11: Il cluster Cu4I4L4 studiato dal
maggiore stabilizzazione dei cluster dei metalli del gruppo 10, i più noti dei quali sono i cluster triangolari CO/PR3 di palladio e platino zero. Si è inoltre visto recentemente che la presenza delle
fosfine permette la formazione di cluster giganti contenenti più di cento nuclei metallici(52)(53).
Il punto di partenza per la sintesi di Pt6(μ-PtBu2)4(CO)4Cl2 (Pt6Cl2, figura 12), è stato il cluster
trinucleare Pt3(μ-PtBu2)3(CO)2(H), (Pt3H), che a sua volta è stato sintetizzato, come mostrato nello
schema 2, partendo da un sale dell'esacloroplatinato (IV). L'esacloroplatinato (IV) è stato inizialmente ridotto a PtCl42- utilizzando idrazina cloridrato in soluzione acquosa(54). Il prodotto
viene isolato e fatto reagire con Et2S soluzione acquosa, in modo da far precipitare il complesso a
trans-bis(dietilsolfuro)dicloroplatino(II). Quest'ultimo è sciolto quindi in toluene (nel quale è solubile la sola forma trans e quindi per filtrazione è possibile rimuovere la piccola percentuale di
isomero cis). Lavorando in atmosfera strettamente inerte e con solventi appropriatamente disidratati, si procede quindi alla reazione con l'allilmagnesio bromuro per sintetizzare il complesso
b. Anche questo non viene purificato, ma viene fatto reagire direttamente con una soluzione di
sodio ciclopentadienile, ottenuto per reazione di ciclopentadiene appena distillato con NaH in THF(55). La soluzione risultante, dopo essere stata filtrata, è quindi fatta reagire con di-tert-
butilfosfina a 60°C permettendo la precipitazione del dimero d(46). Quest'ultimo si presenta come un
solido incolore, è insolubile in tutti i solventi organici ed è stabile all'aria e all'umidità, e può quindi essere facilmente purificato per lavaggio con solventi. Una sospensione del dimero, scaldata a riflusso del toluene per 4 h sotto atmosfera di CO, porta alla formazione del cluster triangolare Pt3H(47), stabile all'aria e solubile in CHCl3. Quest'ultimo viene trattato con un forte eccesso di acido
triflico in atmosfera di azoto. Dopo qualche minuto di agitazione, l'atmosfera viene sostituita con una di CO e, dopo due ore di agitazione, la miscela è portata a secco e il solido purificato per cristallizzazione con Et2O/THF. Per trattamento del cluster Pt6(CO)22+ così ottenuto con una
soluzione satura di NH4Cl si ottiene quindi il cluster finale Pt6Cl2(48).
Quest'ultimo può essere formalmente immaginato come prodotto dalla condensazione di due
molecole di Pt3H a seguito della perdita di un fosfuro a ponte, che viene eliminato come sale di
fosfonio (tBu
2PH2)CF3SO3.
È formato da un core tetraedrico di quattro atomi di platino, con altri due atomi di Pt apicali che completano la struttura. I quattro fosfuri si pongono a ponte tra i due atomi di platino apicali, a cui sono anche legati i due atomi di cloro che verranno sostituiti successivamente, e quelli del core tetraedrico, quest'ultimi legati ad una molecola di CO per uno.
Vale la pena notare che a causa del forte ingombro sterico prodotto dai leganti fosfuro il core centrale del cluster non è accessibile ai reagenti più comuni. Di conseguenza la reattività del cluster è governata dai due atomi di platino apicali, che sembrano comportarsi come se fossero parte di due complessi mononucleari differenti. È infatti possibile funzionalizzare il cluster non solo in maniera simmetrica, come per Pt6Cl2, ma anche in maniera asimmetrica, legandoci gruppi diversi.(56) Nelle
reazioni tutta l'unità Pt6= Pt6(μ-PBut2)4(CO)4 rimane invariata e può quindi essere inglobata nelle
strutture desiderate.
Il cluster mostra un picco intenso di assorbimento a un fotone a 434 nm e mostra fosforescenza a 77K, con un massimo di emissione a 663 nm, con due processi di rilassamento con tempi di vita di 14.7 μs (95%) e 1,7 μs (5%).
II.1.2
Sintesi delle molecole organiche e coupling con il cluster
La sintesi delle molecole organiche da unire al cluster inorganico è stata eseguita come riportato nella figura 15. In tutto sono state sintetizzate quattro molecole diverse, le cui strutture sono riportate in figura 13.
La sintesi delle molecole Pt6Ph e Pt6OMe è stata condotta partendo rispettivamente dalla
trifenilammina e dalla 4-fluorobenzaldeide, mentre nel caso di Pt6OMe e Pt6OH si è partiti
direttamente dagli stilbeni sostituiti riportati nel box tratteggiato in figura 15. La sintesi di Pt6Ph era
già stata messa a punto precedentemente da H. Ftouni(39). La trifenilammina è sottoposta ad una
formilazione di Vilsmeyer-Haack con DMF/POCl3 (figura 14):
La reazione procede con ottime rese (81%) e l'aldeide formata è facilmente recuperata come solido giallo. Questa può essere quindi fatta reagire con 4-bromobenzildietilfosfonato, ottenuto
Figura 13: Struttura dei quattro fluorofori sintetizzati.
per reazione di Arbuzov tra il bromuro di 4-bromobenzile e il P(OEt)3. La reazione di Wittig-
Wadsworth-Emmons tra 1 e il 4-bromobenzildietilfosfonato a formare il prodotto 2 avviene anche questa con rese elevate (90%) e il prodotto ottenuto è facilmente isolabile e purificabile per cromatografia su colonna.
Nella sintesi del prodotto 9 si è seguito un metodo leggermente diverso. Invece che tramite formilazione, quest'ultimo è stato prodotto tramite una sostituzione nucleofila aromatica con la N,N-bis(metossietil)ammina sulla 4-fluorobenzaldeide:
La reazione procede con una resa del 47%. 9 può quindi reagire con il 4-iodobenzildietilfosfonato, ottenuto sempre per reazione di Arbuzov dal bromuro di 4-iodobenzile per dare il prodotto 11. Una volta formato lo scheletro (E)-stilbenico della molecola è necessario sostituire l'alogeno presente in posizione 4', in modo da introdurre la funzionalità acetilenica necessaria per il coupling con il cluster. Questo può essere fatto tramite un coupling di Sonogashira con il trimetilsililacetilene.
Il coupling di Sonogashira permette la formazione di un legame σ tra un carbonio sp2 di un
alogenuro arilico o vinilico e il carbonio sp di un alchino in catalisi di Pd° e di Cu+:
Normalmente si preferisce però utilizzare un sale di Pd2+, come il Pd(PPh
3)Cl2, lavorando in eccesso
di trifenilfosfina. In questo modo il palladio è ridotto a Pd° direttamente nell'ambiente di reazione. Il forte eccesso di fosfina contribuisce inoltre a evitare la precipitazione di palladio metallico. Il meccanismo proposto per la reazione è riportato in schema 3.
La reazione complessiva è quindi il risultato di due cicli catalitici mutualmente interconnessi. Il primo passaggio è l'addizione ossidativa dell'alogenuro al complesso di Pd°. Allo stesso tempo il rame interagisce con l'alchino, sottraendo densità elettronica al triplo legame e rendendolo quindi più acido. L'alchino così attivato può essere quindi facilmente deprotonato dall'ammina utilizzata come solvente e può partecipare ad una reazione di transmetallazione con il complesso del Pd con l'alogenuro alchilico. Il prodotto ottenuto, in cui i due gruppi organici sono in posizione trans, può isomerizzare alla forma cis. A questo punto si può avere una eliminazione riduttiva che porta al prodotto di condensazione voluto e riforma il complesso di Pd° iniziale che può così continuare il ciclo catalitico.
È fondamentale in questa reazione la totale assenza di ossigeno. Anche minime tracce di O2 possono
infatti portare ad un accoppiamento di Glaser, in cui due molecole di alchino terminale si legano tra di loro. Un'atmosfera rigorosamente inerte è quindi fondamentale per ottenere rese soddisfacenti. Dal punto di vista pratico la reazione è normalmente condotta a temperatura ambiente, usando l'ammina come solvente e lavorando in forte eccesso di fosfina. Esistono comunque anche delle versione alternative della reazione, che permettono di lavorare in condizioni più eco-friendly, riducendo l'uso di rame e di solventi(57). In questo lavoro in particolare la reazione è stata condotta
con un metodo alternativo, ispirato da un articolo già noto in letteratura(58), basato sull'impiego di un
reattore a microonde (Anton-Paar Monowave 30). La reazione è stata condotta all'interno di appositi vial del volume di 10mL in vetro borosilicato, in cui sotto atmosfera rigorosamente inerte venivano inseriti i reagenti solidi (cioè CuI, Pd(PPh3)Cl2, PPh3 e l'alogenuro arilico), qualche
millilitro di dietilammina appena distillata e degasata sotto argon, un millilitro di DMSO anidro e infine il trimetilsililacetilene. Sempre avendo cura di non far entrare in contatto il vial con l'atmosfera, quest'ultimo veniva dunque tappato con un setto apposito di silicone, capace di sopportare le alte pressioni generate all'interno del vial (che è anch'esso appositamente progettato
Schema 3: Meccanismo proposto per il coupling di Sonogashira.
per sopportare le elevate pressioni prodotte da solventi e reattivi volatili, come la dietilammina o trimetilsililacetilene, riscaldati ad alta temperatura). Il sistema veniva dunque rapidamente riscaldato a 120°C, la temperatura mantenuta costante per 25 minuti, e quindi si procedeva ad un lento raffreddamento. In tabella 1 sono riportate le rese per la reazione di formazione dei prodotti 5,
7 e 12. Come si vede la reazione procede con rese elevate, permette inoltre un significativo
risparmio di solvente (3 mL contro i 10 necessari per la sintesi di 3 con il metodo tradizionale) e soprattutto di tempo (1 h circa riscaldamento iniziale e raffreddamento compreso per il metodo con le microonde contro le 24 h di agitazione richieste col metodo classico). I prodotti ottenuti possono poi essere purificati tramite una iniziale neutralizzazione con HCl seguita da una estrazione con solvente e quindi da una cromatografia su colonna. Il passaggio successivo è quindi la deprotezione per ottenere l'alchino, eseguita all'aria con una soluzione di TBAF in THF. Questo passaggio permette anche di liberare il gruppo -OH che era protetto dal TBDMS nel composto 7.
I composti 4, 6, 8 e 13 così ottenuti sono quindi stati legati al cluster tramite un coupling catalizzato da Cu(I). La reazione è stata condotta in modo classico, poiché in questo caso l'uso del protocollo prima descritto porta alla degradazione del cluster, utilizzando quantità stechiometriche di cluster e molecola organica in presenza di una quantità catalitica di CuI, usando dietilammina come solvente e lasciando sotto agitazione a temperatura ambiente per 18-24 h. Il prodotto è quindi purificato per cromatografia su colonna. Le rese della reazione non sono elevate e sono comprese tra il 27% e il 46%. Tramite la cromatografia su colonna è però possibile recuperare, in forma pura e con facilità, tutto il cluster non reagito, che può essere riutilizzato nuovamente.
I quattro cluster ottenuti sono stati caratterizzati tramite spettroscopia 1H, 31P e 195Pt NMR e per
spettroscopia di massa ad alta risoluzione (HRMS).
Da un punto di vista meccanicistico la reazione può essere vista come un variante del coupling di Sonogashira in cui si ha direttamente la transmetallazione del cluster con l'alchino attivato dal Cu(I).
Prodotto 5 7 12
Resa 95% 81% 64%
Tabella 1: Resa del coupling di Sonogashira promosso dalle microonde.
II.2 Caratterizzazione fotofisica
II.2.1
Spettri di assorbimento a un fotone
Delle quattro molecole sintetizzate sono stati registrati gli spettri UV-VIS in CH2Cl2 (figura 16).
I dati spettroscopici, sia di assorbimento a un fotone sia di fluorescenza, sono riportati in tabella 2. Sono stati registrati utilizzando uno spettrometro a doppio raggio in cuvette di quarzo con cammino ottico da un centimetro e usando il solvente come riferimento. Per le misure di ε sono state utilizzate soluzioni otticamente diluite (Abs. <0.15, M≈10-4). Come si vede chiaramente le sonde
presentano due massimi di assorbimento attorno a 470 nm e uno intorno a 380 nm. Pt6Ph mostra
anche una debole banda a 303 nm dovuta ai due fenili sull'azoto. Confrontando lo spettro di Pt6Ph
con quello di 4 e del composto modello Pt6C5 (precedentemente sintetizzato nel laboratorio del
professor Leoni, vedi figura 17) si vede chiaramente come lo spettro UV-VIS di Pt6Ph sia dato dalla
sovrapposizione dello spettro del cluster e della parte organica, suggerendo così che non ci sia una significativa comunicazione elettronica nello stato fondamentale tra la parte organica e la parte
λabs
max (nm) ε (cm-1 M-1) λemixmax (nm) Φ [a] (%) σ2 max (GM)
Pt6Ph 303 385 461 39110 77550 48470 523 0,5 720 Pt6Et 384 466 71510 40000 544 1,94 850 Pt6OH 377 465 104481 55454 580 0,35 548 Pt6OMe 379 467 127410 69010 539 0,64 690 [a] Eccitazione a 380 nm
Tabella 2: Proprietà fotofisiche in CH2Cl2 delle quattro sonde organometalliche sintetizzate.
Figura 17: Confronto tra gli spettri di assorbimento (linea intera) e di emissione (linea tratteggiata) del fluoroforo Pt6Ph e dei composti modello Pt6C5 e 4 in CH2Cl2
inorganica. Gli spettri di assorbimento sono stati registrati anche in DMSO, un solvente chimicamente più simile all'ambiente cellulare rispetto al diclorometano.
In DMSO la solubilità delle quattro molecole è però molto inferiore che in CH2Cl2, per cui gli
spettri sono stati registrati con soluzioni sature e non è stato possibile determinare il coefficiente di estinzione molare. In figura 18 sono confrontati gli spettri di Pt6Et in diclorometano e in
dimetilsolfossido (DMSO). Come si vede in DMSO si ha un effetto batocromo, con il massimo di assorbimento che si sposta da 384 a 392 nm, ma la forma dello spettro è sostanzialmente identica. In tabella 3 sono riportati i massimi di assorbimento in DCM e DMSO per tutte le quattro sonde.
Figura 18: Spettri di assorbimento di Pt6Et in DCM e in DMSO
Pt6Ph Pt6Et Pt6OH Pt6OMe λabs max (nm, DCM) 303 385 461 384 466 377 465 379 467 λabs max (nm, DMSO) 390 468 392 462 386 470 387 469
Tabella 3: Confronto tra i massimi di assorbimento delle quattro sonde in DCM e in DMSO.
II.2.2
Spettri di fluorescenza
Gli spettri di fluorescenza, sia di emissione che di eccitazione, sono stati registrati con uno spettrofluorimetro Jobin-Yvon in cuvette di quarzo per fluorescenza. Sono state utilizzate soluzioni estremamente diluite, per evitare fenomeni di aggregazione molecolare che avrebbero potuto inficiare i dati e gli spettri ottenuti. In figura 17 sono riportati gli spettri di assorbimento e di emissione in CH2Cl2 di Pt6Ph e dei composti modello Pt6C5 e 4. Si notano chiaramente tre aspetti:
• La fluorescenza del cluster non legato a fluorofori organici è praticamente non misurabile a
temperatura ambiente;
• I massimi di emissione del cluster sostituito Pt6Ph e dell'alchino isolato 4 cadono a
differenti lunghezze d'onda, suggerendo un'interazione nello stato elettronico eccitato tra cluster e fluoroforo organico.
Quest'ultima assunzione è confermata anche dal fatto che mentre l'intensità di fluorescenza degli alchini 4, 6, 8, 13 è tale da essere facilmente visibile a occhio nudo, anche in soluzioni estremamente diluite, la fluorescenza di Pt6Ph e degli altre derivati organometallici è rilevabile solo
strumentalmente.
Uno spettro di emissione è registrato mantenendo costante la lunghezza d'onda di eccitazione e studiando come varia l'intensità della luce emessa per fluorescenza al variare della lunghezze d'onda di osservazione. Normalmente gli spettri di emissione hanno la stessa forma indipendentemente dalla lunghezza d'onda di eccitazione. Dalla figura 1 si vede infatti che la fluorescenza ha origine sempre dal livello vibrazionale fondamentale dello stato elettronico eccitato S1, indipendentemente
da quale livello vibrazionale era stato raggiunto precedentemente (principio di Kasha).
Uno spettro di eccitazione è invece ottenuto variando la lunghezza d'onda di eccitazione e osservando l'intensità della luce emessa ad una determinata lunghezza d'onda. Dato che, come detto prima, la forma dello spettro di emissione e quindi la resa quantica di fluorescenza sono costanti al variare della lunghezza d'onda di eccitazione, l'intensità della luce emessa è direttamente proporzionale all'intensità della luce assorbita. Un massimo di assorbimento corrisponde quindi a un massimo nello spettro di eccitazione. Per questo motivo gli spettri di eccitazione in genere ricalcano esattamente gli spettri di assorbimento.
Figura 20: Confronto tra gli spettri di eccitazione e di assorbimento Figura 19: Confronto tra gli spettri di emissione e di assorbimento.
una parte all'altra della molecola, queste due ultime assunzioni sugli spettri di emissione e di eccitazione possono non essere vere. In figura 20 sono confrontati gli spettri di eccitazione e di assorbimento per le quattro sonde. In tabella 4 sono confrontati numericamente i massimi di assorbimento e di eccitazione.
Le bande di eccitazione sono spostate a lunghezze d'onda inferiori rispetto quelle di assorbimento, di 40-50 nm (105 nm per Pt6Ph) per le bande a energia più bassa, mentre quelle a energia superiore
mostrano uno shift compreso tra i 35 e i 72 nm. Questi spostamenti sono una conferma della separazione dei due stati elettronici allo stato fondamentale.
Anche le intensità relative cambiano molto, invertendosi nei due casi. In assorbimento la banda a energia più alta, quella attribuibile alla parte organica, è più intensa, mentre in eccitazione è la banda attribuibile al cluster ad essere preminente. Questo può essere sintomo di una riorganizzazione elettronica che avviene a livello dello stato eccitato, mentre allo stato fondamentale le due sezioni della molecola si comportano indipendentemente. La differenza di intensità tra i massimi di assorbimento e di eccitazione può essere giustificato immaginando che anche la resa quantica di fluorescenza non sia costante, ma cambi con la lunghezza d'onda. Può essere ipotizzato un trasferimento di carica LMCT, dal legando organico al cluster metallico, che diminuisce molto la resa quantica di fluorescenza favorendo un decadimento di tipo non radiativo. È interessante ricordare la caratteristica del cluster di mostrare fosforescenza a 77 K. In figura 21 sono riportati gli spettri di emissione dei quattro probe in 2-MeTHF registrati in azoto liquido. Come si vede gli spettri sono tra loro sovrapponibili e mostrano un picco corrispondente a quello del cluster Pt6Cl2 (vedi paragrafo II.1.1 ). Questo non solo continua a confermare la separazione
elettronica tra i due stati, ma rinforza anche l'idea della possibilità di un trasferimento elettronico intersistema tra uno stato elettronico eccitato di singoletto della molecola organica, di energia 2700 cm-1 (λ = 465 nm), ad uno stato eccitato di tripletto del cluster a 1520 cm-1 ( λ = 660 nm).
Pt6Ph Pt6Et Pt6OH Pt6OMe λabs max (nm) 385 461 384 466 377 465 379 467 λeccit max (nm) 356 308 427 342 413 304 419
Figura 21: Spettri di emissione a 77 K in 2-MeTHF
Un altro aspetto che vale la pena sottolineare è lo spostamento del massimo di emissione per il composto Pt6OH con la lunghezza d'onda di eccitazione. Mentre per gli altri tre composti la
variazione del massimo di emissione con λeccitazione è trascurabile, in questo caso lo shift è di 600 cm-1.