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SISMONDI, ECONOMISTA APPASSIONATO

G. C. L. Sismondi, Epistolario, raccolto con introduzione e note a cura di Carlo Pellegrini. Voi. Ili, 1824-1835. « La Nuova Italia» editrice, Firenze. Un voi. in 8° di pp. 315. Prezzo L. 24.

1. — Questo terzo volume dell' « Epistolario » del Sismondi, raccolto dili­ gentemente dal Pellegrini, fa seguito a due altri volumi (I dal 1799 al 1814 di pp. XLV-480 e II dal 1823 di pp. 514) intorno ai quali scrivevo nel 1935 la seguente recensione rimasta inedita per la sospensione della rivista, in cui doveva essere pubblicata:

« Ho cominciato a leggere l'epistolario del Sismondi, raccolto con amore da Carlo Pellegrini, con la perdonabile speranza di trovarvi notizie apprezzamenti con­

fidenze su taluni economisti i quali furono sicuramente in rapporto con l’autore del carteggio; ed ho finito per interessarmi invece dell’uomo e del modo con il quale egli senti i grandi avvenimenti del tempo suo. Era ovvio aspettarsi che i molti volumi dell'Histoire des républiques italiennes du moyen âge, dell' Histoire des Français, e quelli De la littérature du midi de /’ Europe, dell’ Histoire de ta rénais­ sance de la liberté en Italie e dell' Histoire de la chiite de l’empire romain et du déclin de la civilisation ornamento delle biblioteche dei nostri nonni, avidamente letti e tradotti in molte edizioni nel tempo del risorgimento, tenessero, a cagion degli uomini che a quegli studi si interessavano, un più gran posto nel carteggio in con­ fronto alle più maneggevoli opere economiche, il Tableau de l’agricolture en Toscane, De la richesse commerciale, i Nouveat/x principes d’économie politique e le Etudes sur les sciences sociales; ma non mi aspettavo che così scarso anzi nullo fosse il manipolo dei corrispondenti intorno a problemi, i quali pure stettero assai a cuore al Sismondi. I due primi volumi del carteggio vanno sino al novembre 1823; quando tutte le maggiori opere economiche di lui erano venute alla luce, ed era già netta la sua posizione eterodossa rispetto al problema centrale del contrasto fra abbondanza e miseria. Eppure di questo aspetto, che forse è quello più veramente vivo del pen­ siero del Sismondi, quello per cui le sue tesi dottrinali, ancor oggi dibattute, co­ stringono gli studiosi a rileggere le pagine da lui scritte, non vi è praticamente traccia nelle lettere o tanto pallida da non valer la pena di prenderne nota. Dove sono finite le lettere che immagino egli dovette scrivere a Dupont de Nemours, a John Mill, a Gian Battista Say, a Tooke, forse a Ricardo, forse a Spence? Nel­ l'archivio della dinastia americana dei Dupont, in fondi inglesi non si trova dav­ vero nulla? Possibile che il Sismondi non avesse rapporti con il cenacolo degli eco- nimisti toscani, che lo chiamarono a far parte dell’Accademia dei georgofili? Fonti distrutte ovvero trascurate da ricercatori forniti particolarmente di simpatie e di intuito letterari ? Vani rimpianti ; e forse ingiusti dinnanzi al tanto che i due volumi ci offrono intorno alla figura di Sismondi uomo, che vive nel suo tempo e ne ri­ flette i sentimenti, le ansie, le aspirazioni.

2. — Dapprima pare che egli rifletta semplicemente le passioni e gli odi del cenacolo di Coppet, per il quale il mondo si imperniava nella lotta fra Napoleone

e la signora di Staël, fra il dominatore il quale non incoraggiava certamente la critica, e la assertrice, egocentrica vana passionale bizzarra amorosa fin che si vuole, ma assertrice instancabile dei diritti della critica. Ma poi ci si accorge che quelle passioni e quei sentimenti, resi caldi dalla partecipazione alle lotte ed ai dibattiti con donne ed uomini di alto sentire, rispondono alle esigenze più profonde dello spirito del Sismondi.

Come P. L. Courier, di lui tanto formalmente più grande per la perfezione delle brevi prose, Sismondi è all’opposizione, finché Napoleone è potente; ma sente disgu­ sto e disprezzo per i borboni e gli emigrati, i quali, privi del genio del grande, pre­ tendono portar via alla Francia le conquiste della rivoluzione; e nei cento giorni si avvicina all’impero.

Il tramonto dell’astro napoleonico, prima ancora del disastro, pone a Sismondi inquiete domande. Il ferreo metodo di governo del grande aveva almeno uno scçpo.

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Lo avranno gli alleati ? Le pubblicazioni di Pasquale Villari intorno all’atteggiamento di Sismondi durante i cento giorni, al famoso colloquio con Napoleone, all’avvici- namento suo all'impero, hanno da tempo gettato luce su quella che fu detta illu­ sione o conversione di lui, come di altri durante quella sfortunata esperienza. Le riflessioni erano cominciate prima. Le sorti della sua Ginevra lo preoccupano. Gli alleati ne rispetteranno la indipendenza?

« C’est dans un moment semblable que j'approuve hautement M. Foscolo. Il n'a point servi le gouvernement pendant sa puissance, il n'a recherché de lui ni honneurs ni richesses, mais au moment où il menace ruine, au moment où ses dangers font oublier ses fautes et où ses adversaires nous détrompent de nos imprudentes illusions; lorsque gonflés de succès inaccoutumés pour eux, ils ne laissent entrevoir aucune espérance de paix, ils se refusent à toutes les conditions, même à celles qu'ils ont offertes, j'aime à voir un ancien ennemi de la tyrannie oublier ses ressentiments; se joindre à celui — même qu' il n'estime pas — pour re­ pousser l'étranger moins estimable encore» (10 gennaio 1814, I, 450-51).

Non solo perché stranieri egli comincia ad aborrire gli alleati ; ma perché ora, nel momento della vittoria, essi si appropriano i principii ed i sentimenti dell'uomo che dianzi dominava:

« Cet homme a professé des principes qui me font bouillir le sang lorsque je les rencontre dans quelques écrits; mais ce n'est nullement à ces principes qu'en veulent ses adversaires; au contraire, c'est peut-être par là même qu'il a le plus de rapport avec eux. Son arrogance m'a été insupportable pendant de longues années; mais l’arrogance de ceux qui ont été si humbles pendant ces mêmes années me révolte peut-être encore plus » (2 feb­ braio 1814, I, 457).

3. — Le classi dirigenti, in mezzo alle quali egli vive in Toscana, sono forse migliori del governo che sta per cadere? No.

« Ici, depuis que le gouvernement est ébranlé, je les vois lâchement faire la cour à la plus basse populace. Un charpentier et un faiseur de paniers sont à présent les rois de Pescia; comme on croit qu' ils peuvent ameuter ou apaiser à leur gré leurs compagnons de cabaret, on les encensent, on leur fait de présents, on se réjouit lorsqu'ils font les bons princes ou qu'ils mettent des baumes à leurs menaces » (ivi, 458).

Quando Napoleone cade, Sismondi sente il dovere di riconoscere che la sua libertà di scrittore non è stata menomata sotto il suo governo:

« Quant’à l'homme qui tombe aujourd'hui, j'ai publié quatorze volumes sous son règne, presque tous avec le but de combattre son sistème et sa politique, et sans avoir à me reprocher ni une flatterie, ni même un mot de louange bien que conforme à la vérité; mais au moment d'une chute si effrayante, d’un malheur dans exemple dans l’univers, je ne puis plus être frappé que de ses grandes qualités. Sa folie était de celles que la notre n'a que trop longtemps qualifiées du nom de grandeur d'ame. Les ressorts par lesquelles il maintenait un pouvoir si démesuré, quelques violents qu’ils nous parussent, étaient modérés, si on les compare à l’effort dont il avait besoin et à la résistance qu’il éprouvait (17 marzo 1814, I, 648) ».

Anche dopo i cento giorni, Sismondi seguita a credere che Napoleone me­ ritava di essere sostenuto, non per fiducia che si poteva avere nei suoi ideali, ma per quella che si doveva avere nel suo interesse:

« Je me suis peu soucié de savoir s'il était sincère dans aucune de ses déclarations; j'ai seule­ ment cherché quel devait être son intérêt, vu son état de faiblesse relative, et il n'est pas douteux que cet intérêt ne fut celui de la liberté des français et de l'indépendance des peuples, et il avait bien assez d'esprit pour le sentir (a O rlo de Constant, il 22 agosto 1813, II, 283) ».

3. — L'insuccesso dei tentativi di riscossa del 1821 in Spagna ed in Italia lo scoraggia profondamente sovratutto perché vede che dai partiti rivoluzionari ben poco si può sperare per la indipendenza dei popoli d'Europa. Egli è rimasto fermo al sogno dei cento giorni : un uomo forte che si faccia, nel proprio interesse e per la gloria propria, paladino della libertà dei popoli contro l'oppressione della Santa Alleanza. Nelle lettere a Santorre di Santarosa, Sismondi espone il suo pensiero:

« Nous avons besoin de force avant tout. Il faut pouvoir garantir son existence avant de songer à garantir tous les droits; et ceux qui demeurent à la merci de tous leurs voisins ne sauraient se vanter de leurs institutions libérales. C'est une des grandes erreurs qu'ont commis plusieurs législateurs modernes. Les Espagnoles ont cru faire de la liberté en désorganisant; bien au contraire; malgré le prix infini que j'attacherais à une bonne justice, à une bonne garantie individuelle, à une bonne institution municipale, ce que je souhaiterais le plus à présent serait une bonne armée, une bonne garde nationale et un bon pouvoir exécutif pour mener l'une et l'autre» (26 giugno 1822, II, 479).

Ë follia iniziare la riscossa dichiarando ad un tempo la guerra al potere as­ soluto dei re, all’aristocrazia ed alla borghesia nel tempo stesso ».

A. — Nel presente terzo volume i motivi politici sono ripresi, con l'aggiunta, nelle lettere alla Fulvia Jacopetti Verri, gentile intermediaria tra il Sismondi ed il Manzoni, a Guglielmo Channing ed a Raffaello Lambruschini, di motivi religiosi. I giudizi del Sismondi sul suffragio universale e sulla sovranità popolare, sulle cospirazioni, sulle speranze dei liberali al momento della caduta dei borboni in Francia e sulle loro disillusioni durante la monarchia di luglio, su Mazzini fon­ datore della « Giovane Italia » e su Mazzini eccitatore all'inutile spedizione di Savoia, sulla censura e sui suoi benefìci effetti sul giornalismo

(Peut-être trouverez-vous [la lettera del 15 novembre 1835 è indirizzata al Brofferio] souvent que la censure vous gêne; mais, après tout, je ne suis pas sûr qu'elle ne vous serve pas aussi. Quand je me demande quelle est l'époque où les journaux français on fait le plus d'effort sur la nation, je suis disposé à croire que c’est celle où ils ont été appelés à plus de ménagements, où les rédacteurs avaient besoin de tout leur esprit, de toute leur adresse pour faire passer les vérités qu'ils voulaient répandre. Aujourd'hui, au contraire.... leur influence est presque nulle. Tant de gens croient qu'il est plus important de frapper fort que de frapper juste, qu'un ton d'exagération a gagné même les plus sages.... Les journaux français, anglais et américains sont à présent si habituellement pleins d'injures et de calomnies, que le public

doute de tout à la fois; p. 300), \

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sui pubblicisti

(les hommes qui ont du talent, et surtout du style, sont si pressés d'enseigner qu'ils n’ont plus le temps d'apprendre; p. 200),

sui vecchi

(nous autres faiseurs de livres, quand nous devenons vieux, nous sommes comme les ours en hiver qui se nourrissent en suçant leurs pattes, aucune autre substance ne nous convient que la nôtre môme, aucune autre pensée que fructifie dans notre tête que celles qui y sont

nées; p. 140),

sulla ferocia inconsapevole dei governanti persuasi di compiere un dovere

(dans les châtiments sévérité d'autant plus atroce quelle est sans colère, et qu’en soignant la discipline du Spielberg, François croit n'accomplir que son devoir; p. 254),

sulla inettitudine degli uomini d’affari a governare gli stati

(« L a source des maux de la France est peut-être d'avoir rnis des banquiers à la tête de ses affaires, d’avoir rêvé toujours le crédit et par conséquent senti plus vivement le discrédit. La baisse des fonds leur a fait croire qu'ils étaient sans force. Encore aujourd'hui [2 luglio 1831] leur armée est magnifique, ils sont prêts et pourvus de tout, mais s'ils disent quatre paroles de leur grosse voix, ils tremblent d'abord après, parce que ces paroles font baisser le trois pour cent; p. 120)».

sono spesso penetranti.

5. — Nel terzo volume — e perciò esso interessa anche gli economisti e la storia delle dottrine economiche — gli accenni economici non sono cosi rari come nei due primi volumi. In quegli anni, dal 1824 al 1833, Sismondi ripubblicava in seconda edizione i Nouveaux principes d’économie politique (1827). E preparava le Éludes sur l'économie politique (1836-38). Egli sentiva profondamente i problemi discussi nei suoi libri ; non era mosso soltanto dal desiderio o dalla necessità di fare il libro, che è bisogno artificiale, e neppure soltanto dalla brama di far qualche nuovo passo sulla via della scoperta del vero. Il Sismondi non è invero chiuso a questa ambizione nobilissima : « je demeure convaincu que je suis entré dans la voie de la vérité » (p. 239). Ma sovratutto egli tende alla verità scientifica come a mezzo per attuare il bene:

« je suis persuadé que j'ai entrevu un principe vrai, un principe neuf sur la direction à donner à l'économie politique en faveur du pauvre, sur la manière d'assurer son indépendance. Je le poursuis quand même personne ne m'écoute, personne ne me croit, ou plutôt même ne se donne la pleine de réfléchir assez pour me comprendre.... J ’écris donc avec le sentiment que je ne serai pas lu ou pas bien lu, mais avec le sentiment aussi que je signale un précipice vers lequel nous courons d'un pas accéléré, et que, quoiqu'on ne m'écoute pas, c'est mon devoir de crier : prenez garde » (p. 234).

Mandando a Teodoro Fix un articolo per la sua « Revue mensuelle d'économie politique » dimostra quanta fosse la sua passione nello scrivere :

« à présent que mon article est fini, je sent une extrême impatience qu'on pourrait appeler d'enfant, et qui pourtant est bien plutôt celle d'un vieillard qui sent que le temps lui échappe. Je sens si vivement les vérités que j'ai exposées dans cet article, qu'il me semble avoir du réussir & les dire d'une manière qui fasse quelque impression sur le pubblic et comme pérystyle de la science nouvelle ; ce serait, ce me semble, un bon article de commencement d'année»

(P- 213).

6. — Il Sismondi era poco accessibile al ragionamento economico astratto : « le sciences sociales admettent peu de théorèmes aussi clairs pour qu'ils comprennent toute la vérité, et pour qu'en modifiant légèrement la proposition on ne puisse pas rester dans le vrai, et détruire cependant tout le raisonnement qui le suit » (p. 308).

Egli si interessa particolarmente al concreto e più che ai risultati materiali di incremento della ricchezza derivante dall'applicazione dei metodi economici libe- ristici guarda agli effetti sugli uomini :

« L’Angleterre s'est en quelque sorte chargée de faire pour le reste du monde l'expérience des systèmes d'économie politique où toutes les nations se précipitent aujourd' hui. J 'e n étudie les résultats, mais avec anxiété, car il me semble qu'ils ont associé des souffrances bien cruelles pour les pauvres » (Da Liverpool, il 22 luglio 1826, p. 41).

Rallegrandosi (il 25 agosto 1833) con Gian Pietro Vieusseux perché lo sente vicino a lui nell’attribuire alla concorrenza illimitata la responsabilità della cre­ scente miseria delle classi lavoratrici che si accompagna al progresso deH’industria, insiste sulla sua teoria della sovraproduzione :

« Il y a longtemps qu'on a commencé à raconnaitre qu'il peut y avoir trop de popu­ lation ; il n'est pas plus étrange qu'il puisse y avoir trop aussi de tout autre moyen de produire, trop de machines et trop de capitaux et enfin trop de production, car la santé du corps politique, c'est la proportion entre ces operations » (p. 197).

L'aspirazione all’armonia ed alla proporzione fa quasi rimpiangere al Sismondi istituzioni d’altri tempi :

« L'économie politique c’est une belle science et une science qui sied aux femmes — scri­ veva l’8 settembre 1833 alla ventenne Hulalia de Saint-Aulaire —, car c'est la théorie de la bienfaisance universelle; mais il ne faut pas la prendre dans les livres, il faut se défier des écrits modernes, où l’on nous donne comme principes des axiomes que l’expérience vient démentir tous le jours. C’est un superbe résultat que celui qu'on a obtenu en Autriche, de cette classe de cultivateurs propriétaires qui jouissent d'une si grande aisance, qui donnent à leurs filles des dots que la gentry ne donne point aux siennes en Angleterre, qui n'est jamais dé­ placée par les grands propriétaires, qui se maintient toujours à peu près au même nombre. Si tout cela est contraire aux principes des économistes, ce sont les économistes qui ont tort... Nous nous sommes figuré depuis quelque terni» que la concurrence universelle, que l'effort de chacun pour tout attirer à soi, pour déplacer tous les autres, était l’état normal de la société, tandis qu'en regardant le passé, nous trouvons souvent que la tendance des législations qui ont répandu beaucoup de bonheur, était directement opposée, qu'elle garantissait les positions acquises, qu'elle contenait cette effervescence d'intérêts personnels, cette lutte de chacun contre yous,

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qui finit par obliger tous aux plus grands efforts possibles avec les moindres résultats. Dans cette vieille société pétrifiée de l'Autriche qui, repoussant tout changement, de toute l'apathie germanique, et de toute la défiance du gouvernement, a conservé plusieurs parties de l'orga­ nisation du moyen âge, il y a beaucoup de choses à étudier, beaucoup d'effets d'institutions réprouvées partout ailleurs, et auxquelles on ne veut plus croire qu'aucun avantage soit at­ taché » (pp. 108-9).

7. — Sismondi credeva di aver veduto il vizio delle teorie economiche; l’ido­ latria della concorrenza e della iniziativa individuale come mezzo all'incremento della produzione dei beni materiali poneva dinnanzi alla sua mente il paradosso della ricchezza in mezzo alla miseria dei più, delle merci invendibili di fronte a grandi bisogni insoddisfatti. Affermava che gli economisti avrebbero dovuto occu­ parsi degli uomini produttori invece che delle cose prodotte. «Heureux paysans! » ecco, secondo il Sismondi, il vero « prodotto » dell'attività economica, non il fru­ mento od il vino o l'olio o il carbone:

« ce produit qu’au rebours de tous les autres économistes je regarde comme le but, et tous les autres comme moyens » (p. 257).

A furia di guardare all’uomo, egli finisce per svalutare i prodotti dei quali l'uomo pur vive:

«ceux qui nous disent: la vraie charité, c'est de faire travailler, encouragent en nous le pen­ chant le plus funeste, celui de rapporter tout à nous-mêmes; ils accroissent dans la société le mal même dont elle souffre, celui de multiplier des productions qui ne trouvent point d'ache­

teurs » (p. 243).

8. — L’entusiasmo il quale gli fa scrivere di getto le pagine contro i vizi dell'organizzazione sociale a base di concorrenza illimitata non gli fa tuttavia velo agli occhi. Che cosa sostituire alla società attuale? Vuole aiutare i poveri ad elevarsi; ma non sa decidersi del tutto fra la carità legale e la beneficenza privata, fra le scuole d’arti e mestieri e gli aiuti ai meritevoli che elevano alcuni e l’elemosina che porge la mano a tutti i caduti anche colpevoli. Egli diffida anche delle sue proprie teorie :

« il faut savoir nous défier de nos raisonnements et de nos systèmes, nous bien convaincre que nous ne voyons jamais l'ensemble et nous proposer de soulager le plus de douleurs qu'il nous est possible dans l’organisation sociale où nous nous trouvons (pp. 243-44).

Il suo grido ultimo è forse un grido di disperazione. Egli che tanto ha scritto per dimostrare che ci si era dimenticati del vero scopo della scienza politica ed economica: elevare le sorti degli umili e delle moltitudini, vede che l’opera di