1 La crisi dell’idea di ‘Natura’ tra il XVIII ed il XIX secolo e
1.4. La crisi delle risorse verso una nuova natura Scritti William Ernest
1.4.2. Il sistema terra
In Terraa. Come farcela su un pianeta più ostile214, Bill McKibben esplora le
condizioni irreversibili di alterazione del pianeta e della sua atmosfera, nella prospettiva della sopravvivenza ed adattabilità ai cambiamenti climatici in corso. La rigidità delle condizioni climatiche, imposte dal ‘global warming’, i cui effetti necessitano di nuove capacità di adattamento all’irrigidirsi delle condizioni imposte dai fenomeni naturali, come approfondisce nel testo l’autore, richiedono un radicale ripensamento dei nostri stili di vita. La nostra attuale e futura vita sul pianeta, essendo essa principalmente dettata dalle alterazioni dell’ambiente, indotte dall’aumento delle temperature, dovrà costantemente rapportarsi a condizioni esogene, il cui attuale, più evidente fenomeno, si esplicita nell’aumento delle temperature e nel conseguente innalzamento del livello medio marino globale, dovuto allo scioglimento dei ghiacciai215. Come egli ricorda, per molti anni l’ambiente è stato considerato come una risorsa cui attingere: un mero contenitore fisico di minerali, petrolio 210 cit., pp.66-67. cit., pp.66-67.
211 cit., pp.71-72. cit., pp.71-72. 212 cit., p.73. cit., p.73. 213 cit., p.81.
214 McKIbben, B., Terraa, Edizioni Ambiente, Milano 2010.
215 cit., p 8.Le ipotesi stimate dall’’IPPC affrontano due scenari: un ‘aumento delle temperature medie di 1,8° cui corrisponde una stima dell’innalzamento medio marino variabile tra 10-90 cm, ed una seconda stima, settata su un’aumento delle temperature di 5,8°.
ed acqua. Il paesaggio, anch’esso, è stato considerato a tale stregua, non altro che la cornice degli elementi naturali e sfondo per gli esseri umani. Tale inziale distorsione, per cui “l’ambiente è il luogo in cui si svolge la vita dell’uomo, e non il sistema cui egli indissolubilmente appartiene”, si è configurata, nel tempo, come un irrimediabile errore di prospettiva216. Tale formulazione di scenario, cui recentemente si è data articolazione attraverso le forme dello sviluppo sostenibile non trova, nell’opinione di McKibben, una sufficiente capacità di resistenza e contrasto rispetto alle forze attualmente in campo ed a quelle stimate. La necessaria e dovuta riduzione dei consumi, non è comunque condizione sufficiente a contrastare i consumi ed i fenomeni in atto, in particolare come egli scrive, se si continua ad agire globalmente, invece che procedere con ‘il piccolo e l’indipendente’217.Ma alcune delle caratteristiche più rilevanti del nuovo secolo, che egli ricorda, saranno caratterizzate dall’aumento delle temperature e l’acuirsi di fenomeni che già abbiamo imparato a conoscere, quali l’aumento della quantità e della violenza delle precipitazioni. Esse stanno registrando un incremento annuo stimato del 5%218, caratterizzando l’acuirsi dei fenomeni proprio in quelle zone del pianeta, già climaticamente fustigate, e dove la minore disponibilità di risorse aumenta esponenzialmente il rischio per la vita stessa delle popolazioni che vi abitano, già esposte al lavoro quotidiano della sopravvivenza219. Tali considerazioni introduttive, consentono pertanto all’autore di entrare all’interno della struttura del libro, che procede attraverso quattro nuclei di riflessioni.
Un nuovo mondo, il primo capitolo, descrive le condizioni autoinflitteci, risultanti
dalla atea e volontaria fuga dal nostro paradiso terreste, il ‘pianeta terra’. Nel mondo attuale in cui viviamo, come chiarisce l’autore, il tema conduttore è l’esposizione al rischio climatico. Esso aumenta secondo fattori non lineari, dipendenti in gran parte da politiche ed azioni antropiche. Ciò ha portato, e ci porta, come conseguenza, fuori dagli schemi ricorsivi con cui abbiamo a lungo convissuto, all’estremizzazione dei fenomeni ed alla variazione dei dati, quali tra tutti, l’innalzamento della temperatura del pianeta. L’apparente risibile innalzamento medio della temperatura di quasi un grado C°, e la difficoltà di percepirne collettivamente l’effettiva portata, essendo noi abituati a misurare linearmente la vita che si è sviluppata nell’Olocene, ci rende collettivamente estranei e privi di decodifica delle interrelazioni climatiche del ‘mondo nuovo’ 216 ibidem.
217 cit., p.9. 218 cit., p.14. 219 cit., p.15.
in cui ora viviamo, che l’autore battezza come ‘Terraa’220, e delle implicazioni
cui siamo esposti221. Come ricorda McKibben, volendo dare evidenza e fisicità ai dati, a partire dal 1980 i tropici si sono espansi di circa due gradi di latitudine a nord ed a sud, producendo, come conseguenza, l’aggiunta di 22 milioni quadrati di superficie, precedentemente temperata, alle regioni aride. Tale variazione, apparentemente neutra dal punto di vista della geografia amministrativa, diventa invece drammatica nella valutazione della variazione climatica, rispetto alle popolazioni subtropicali che si sono ritrovate ad abitare in un ‘nuovo territorio arido’ in espansione i cui fenomeni, nella maggior parte dei casi, non sono reversibili. Come ricorda infatti l’autore, “Quando i ghiacciai si fondono, si fondono per sempre”222, a meno di un’altra glaciazione. Ma analoghe considerazioni si estendono a tutti i sistemi ambientali che abbiamo conosciuto, evidenziando, nella nostra ritardata risposta ai cambiamenti climatici, una sostanziale e clamorosa perdita di tempo. Nel 1988, James Hansen, scienziato della NASA, dichiarò al Congresso americano l’avvenuto inizio del riscaldamento globale del pianeta. Come ricorda McKibben223, la dichiarazione cadde inespressa né, quattro anni dopo, comparve nella dichiarazione conclusiva del Summit di Rio de Janeiro, dove le parole furono molto caute, preferendo concentrare le dichiarazioni sullo stato dell’ambiente. Ma uno dei termometri che registrano lo stato dell’atmosfera, e conseguentemente dell’ambiente, come ricorda l’autore, è la misurazione delle ‘parti per milione’ di CO2 contenute nell’atmosfera stessa. Se prima della ‘rivoluzione industriale’ si è stimato che in essa vi fossero 275 ppm, i valori correnti cui egli ha fa riferimento, scrivendo il libro, parlano di una stima di 550 parti per milione224 che, come egli sottolinea, risultavano essere un compromesso tra scienza e mondo industriale e produttivo.
A partire dal 2005, la nuova ondata di dati reali225, che misero in discussione i dati precedentemente ipotizzati, unitamente alla registrazione della fusione estiva della banchisa artica nel 2007, spezzò qualsiasi illusione di stare sempre nello stesso mondo. Secondo gli studi di James Hansen226, considerato tra i più importanti climatologi del pianeta, il livello massimo di parti per milione di CO2 nell’atmosfera, non deve superare la quantità di sicurezza di 350 ppm. L’illusione di controllare tale valore, che era già stato superato all’epoca dell’esplicitazione 220 Il titolo originale è ‘Eaarth’, n.d.r.
221 cit., p.21. 222 cit., p.24. 223 cit., p.27. 224 cit., p.29. 225 it., p.30. 226 cfr. nota 216.
dei dati reali, che si attestavano su 390 ppm di anidride carbonica in atmosfera, si è recentemente infranta nel 2016, quando si è registrato il picco di 410 ppm227.
Indicare le strategie per riportare il valore di emissione della anidride carbonica a 350 parti per milione, è l’obiettivo che ha informato ed informa, come lui stesso dichiara, il lavoro di McKibben228,nonostante il clamoroso esito negativo della Conferenza di Copenaghen, nel dicembre 2009, dove gli Stati Uniti non rettificarono l’accordo, se non nella formula già consolidata di una riduzione di CO2 del 4% rispetto ai livelli del 1990. Come ricorda l’autore, nel lungo periodo prima dell’interferenza umana, i valori di CO2 nell’atmosfera sono rimasti stabili, perché alberi, piante e plancton hanno assorbito l’anidride carbonica prodotta dai vulcani229. Ma l’irrigidimento attuale delle temperature, come egli fa notare, riduce, per essiccazione, la capacità delle piante di assorbire CO2. Così come, la crisi alimentare prodottasi in Australia nel 2002, secondo McKibben, è da attribuirsi in parte agli effetti indotti dall’aumento della siccità prodotta dall’innalzamento delle temperature, ed in parte alla riduzione drastica delle colture alimentari a vantaggio della produzione di biocarburanti 230. Egli fa inoltre notare, come il punto di frattura nell’evoluzione della società umana e del suo rapporto simbiotico con la natura, realizzatosi con la modernità, coincida con la storia dello sfruttamento delle risorse fossili 231. Attribuendo scarsa fiducia nella capacità della specie umana, messa alle strette dall’esaurimento delle riserve di petrolio, di ripensare un sia pur tardivo, ma più appropriato rapporto con il pianeta che la ospita, l’autore intravvede la fosca strada del riutilizzo del carbone quale fonte per la produzione di energia, la cui combustione, rispetto al petrolio, raddoppia l’emissione di anidride carbonica. Chiudendo infine il capitolo, l’autore ribadisce, come il ‘nuovo pianeta’ che ora noi abitiamo è molto più complicato: non solo per la complessità dei problemi che si generano, ma soprattutto per il ramificarsi delle conseguenze, che a grappolo si producono, rendendo vana, come si è già verificato, la nostra reale capacità di controllare i fenomeni ed i loro effetti.
227 Pubblicato su ‘Lifegate’ il 24 Ottobre 2016 (https://www.lifegate.it/persone/news/mondo-con-400-ppm- di-co2).
228 McKIbben, B., Terraa, cit., p.33. 229 cit., p.36.
230 cit., p.37. 231 cit., pp.36-40.
‘Alta marea’, la condizione di incertezza nella quale ci troviamo impone, secondo McKibben, un radicale cambio di prospettiva individuale e collettiva. Assunto che abitiamo in ‘un pianeta diverso’, tale condizione indirizza innanzitutto una revisione del nostro ‘rapporto con la dimensione’. Se il tratto che ha contraddistinto i secoli precedenti è stata la ‘crescita’, ora come egli ricorda232, dobbiamo saper interpretare il concetto di riduzione, ed il suo valore, esattamente come succede agli animali sotto lo stress delle temperature elevate. McKibben vuole lucidamente esplorare le virtù del ridursi233, rifiutando di voler ritrovare nel ‘mercato dell’ecologia’, la via della ‘dimensione grande’ della precedente economia, così come sta avvenendo in Cina234. Analogamente non ritiene che il paradigma dello sviluppo possa riattivare una situazione giunta, per certi versi, a fine corsa235. Come ricorda l’autore, la stessa conversione delle grandi compagnie estrattive verso le energie rinnovabili, è stata resa infatti risibile dall’entità degli investimenti impegnati, generalmente contenuti entro la percentuale del 5% dei profitti, su tempi di realizzazione molto dilatati,che generalmente oppongono una debole resistenza a fronte di una certezza di profitti e tempi certi236.
Ma Mckibben persegue una strada diversa, che possa efficacemente coniugare il problema alla sua soluzione, evitando il più possibile di inciampare nei ‘carichi di rottura’237, derivati dalla ricerca di salvare le sovrastrutture attraverso le quali abbiamo organizzato il vecchio mondo. Nella disamina della sovrastrutturazione con cui abbiamo riorganizzato la nostra vita sulla terra e le sue difese, l’autore si focalizza su alcuni punti: le infrastrutture ed i loro costi di realizzazione, di gestione e di adeguamento. Ricordando il caso dell’uragano ‘Katrina’, che nel 2005 ha colpito New Orleans, e due anni dopo il ciclone ‘Sidr’, che ha devastato il Bangladesh lasciando i bengalesi per anni senza casa238, l’autore pone in rilievo una questione nodale: se l’intensità e la distribuzione dei fenomeni colpisce globalmente, la reazione di difesa ad essi, attualmente risponde secondo le strutture e sovrastrutture con cui il mondo occidentale ha trasformato il pianeta, e tale condizione continua a sbilanciare l’attenzione ed i flussi di denaro sempre dalla stessa parte. Le vicende del ‘Mose di Venezia239’, per fare un esempio, 232 cit., p.57. 233 cit., p.58. 234 cit., p.59. 235 cit., pp.61-62. 236 cit., p.65. cit., p.65. 237 cit., p.62. 238 cit., p.69. 239 cit., p.70.
ne sono un’esplicita dichiarazione, giudicando il valore del rischio attraverso il costo per la realizzazione della difesa, e viceversa. Ma come ricorda l’autore, “il riscaldamento globale trasforma l’idea di sviluppo in ‘un gioco crudele’, sostanzialmente colpendo in modo più intenso chi ha meno possibilità di correre”240. La modificazione delle precipitazioni, le guerre per l’acqua, e per la produzione di cibo e per l’accaparramento silente della terra, hanno sostituito in questo nuovo secolo le guerre per il carbone ed il petrolio241, così come iniziano ad intensificarsi le ‘colonne dei profughi ambientali’, come nel caso del Bangladesh in marcia verso l’India242.Ma il cambiamento al quale l’autore guarda con più interesse critico, è l’ipotesi della riduzione della crescita243, cui egli fa riferimento ripartendo dalla pubblicazione dello studio I limiti dello
sviluppo nel 1972. Il rapporto dello studio244, redatto dal Massachusetts Institute of Technology attraverso le simulazioni al computer ‘World 3’ per conto del ‘Club di Roma’, ha avuto come obiettivo l’analisi del rischio di esaurimento delle risorse energetiche e naturali. Come riportato nella pubblicazione,“il compito principale della ricerca del MIT era lo studio, nel contesto mondiale, dell’’interdipendenza’ e delle interazioni di cinque fattori critici: l’aumento della popolazione, la produzione di alimenti, l’industrializzazione, l’esaurimento delle risorse naturali e l’inquinamento”245.Lo studio del MIT collocava infatti il limite naturale di crescita del nostro pianeta entro i futuri cento anni. Come sottolinea Mckibben, “avevano previsto la nuova Terraa: se avessimo dato loro ascolto, forse ne avremmo potuto impedire la nascita”. Scottati dalla percezione, e dalla resa evidenza del rischio, gli scorsi ‘anni settanta’, espressero una reazione al rischio, che si manifestò, nell’arco del decennio successivo, nell’assunzione collettiva di comportamenti a favore dell’ambiente. Di quegli anni è la pubblicazione Piccolo
è bello, di Ernst Friedrich Schumacher, anch’esso divento best sellers. Ma
l’ambiente ed il relativo paesaggio sono costantemente in balia della politica 240 cit., p.80
241 cit., p.86 242 cit., p.87 243 cit., p.92
244 Il documento è stato redatto da Donella H. Meadows, Dennis H. Meadows, Jorghen Randers, William W. Beherens, ‘I limiti dello sviluppo. Rapporto del System Dynamic Group Massachusett Institute of Tecnology
(MIT) per il progetto del Club di Roma sui dilemma dell’umanità, (pubblicato in Italia dalla Biblioteca della
EST Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori, 1972. Come scrive Aurelio Peccei nella presentazione alla edizione italiana libro “Mi auguro che la pubblicazione del libro in italiano contribuirà ad ampliare in
senso temporale e in senso spaziale l’orizzonte dei nostri interessi, spostandoli dalle questioni immediate o locali – a cui troveremo pur sempre rimedio, per quanto difficili esse siano – per considerare anche quelle ben più complesse e importanti che concernono l’organizzazione della vita di quattro o cinque o sei o sette miliardi di abitanti sul nostro pianeta in condizioni ragionevoli di benessere, di giustizia e di equilibrio con la Natura”
245 cit., p.24
e dell’economia. Il decennio successivo, come ricorda Mckibben, fu dominato dalle scelte politiche di Reagan che, appena insediato, fece togliere dal tetto della Casa Bianca i pannelli solari installati dal suo predecessore, Jimmy Carter 246.La successiva ripresa di una politica economica di espansione, determinò gli anni a venire della politica statunitense, che l’autore identifica ancora come la cultura politica dominante, tra cui annette il settore dell’allora emergente ‘economia verde247’. Giungendo ad identificare nel picco della massima espansione economica, il massimo impatto sull’ambiente248, Mckibben sceglie una strada alternativa, che identica in una decrescita ‘morbida’249, e su tale condizione orienta i suoi scritti.
‘Marcia indietro’ 250, e ‘In punta di piedi, con cautela e con rispetto’ 251, sono i titoli
dei capitoli con cui conclude il libro. Indubbiamente qui i termini cambiano, alla ricerca di un vocabolario che prenda la prossimità di una vigile adesione con un ambiente, che vive in stato di emergenza, ma che si vorrebbe riportare ad una condizione più stabile252. Staticità, ruralità, prossimità, vicinato, comunità, diffuso, locale, sono i termini che iniziano a popolare gli ultimi capitoli di Terraa 253, dove, come ricorda l’autore, il nostro mantra dovrà essere ‘manutenzione’ e ‘riparazione’254, assieme a dei termini scomodi da accettare quali ‘declino’. Come egli chiarisce, la manutenzione presuppone che le risorse vengano diffuse e distribuite sul territorio255 e le risorse primarie, cibo ed energia, coprano distanze limitate. Analogamente, gli attrezzi futuri, seguendo le parole di McKibben, saranno adatti allo spazio di una comunità: computer, bicicletta, zappa256.Costruendo il vocabolario di un nuovo spazio di vicinato, così come già egli ha esplicitato nel libro Deep Economy: The Wealth of Communities and the
Durable Future, pubblicato nel 2007257.
Riferendosi infine agli studi dell’economista Jeff Vail, McKibben identifica in ‘Suburbia’ quel territorio urbano da esplorare, sufficientemente ‘slabbrato’ per
accogliere suoli coltivabili, quale risposta locale ad una potenziale comunità, in
246 cit., p.95 247 cit., p.97 248 cit., pp.98-99 249 cit., p.99 250 cit., p.103 251 cit., p.143 252 cit., pp.103-104 253 cit., pp.118 254 cit., pp.120-121 255 cit., p.124 256 cit., p.128 257 cit., p.129
grado di fornire, significativamente cibo, acqua, ed energia. Non sarà certamente semplice, come chiarisce l’autore, così come non sarà possibile soddisfare e coprire il 100% delle sue esigenze. Ma certamente, proprio per la sua struttura ancora aperta, ed i suoi vacui, così come egli scrive,258 tali aree, potenzialmente vocate ad una economia locale, sono facilmente in grado di integrarsi con i sistemi della mobilità pubblica, del trasferimento di energia, dell’agricoltura urbana, dell’istruzione e dei legami affettivi. E’ indubbio, come scrive l’autore, che il potenziale di autosufficienza di queste aree è significativamente maggiore del potenziale per le aree urbane. Come egli chiarisce infatti, rimanere compatti in grandi insediamenti urbani, in un mondo climaticamente instabile, potrebbe significare un’eccessiva esposizione all’instabilità. Cercando un parallelo con la vita animale, egli ricorda come nella storia dei grandi cambiamenti climatici, la piccola misura ha sempre costituito la differenza in termini di sopravvivenza259. Come afferma, basandosi sugli studi della Banca Mondiale, la redistribuzione della terra ai piccoli agricoltori, compatibili con i sistemi urbani sopra descritti, potrebbe portare ad una maggiore produttività complessiva260. Riferendosi all’utilizzo di tecniche e cicli di produzione agricola integrati, tra agricoltura ed agroforestazione a scala locale, ne identifica i benefici in termini di fertilizzazione dei terreni coltivabili261 ma, come egli sostiene, questa è ancora una lezione difficile da trasmettere al sistema dell’agrobusiness quanto è altrettanto insostenibile che una parte di mondo persegua a non guardare l’altra. Sostituiti per un secolo nelle nostre forze fisiche dal petrolio, fatichiamo a riprenderne controllo e misura e ad assumere, come egli sostiene, una misura del tempo che si possa riposizionare nello spazio, dove coltivare significhi ancora presidiare, mantenere, alternare, integrare, bio-diversificare, tutelare.
Come infatti ricorda,
in un mondo più soggetto a siccità e inondazioni, è indispensabile quella resilienza che deriva dal coltivare trenta vegetali diversi in un solo campo e non un oceano infinito di mais o soia. In un mondo nel quale il calore contribuisce a diffondere insetti più voraci, serve la sicurezza data dalle molte varietà e specie locali: nel secolo scorso si sono estinte 5.000 specie di animali e uccelli domestici, e ogni volta i pericoli che corriamo aumentano un pò 262
.
258 ibidem. 259 cit., p.139. 260 cit., p.157. 261 ibidem. 262 cit., p.167.Concludendo, egli sostiene che il nostro futuro immediato ci chiama a risolvere problemi globali contando sulla sommatoria di azioni locali coese, sostenute dal senso di responsabilità, per arrivare prima possibile, ammesso sia ancora possibile, alla fatidica misura di 350 parti per milione di anidride carbonica nell’atmosfera.
E’ chiaro, che Henry David Thoreau, con il suo esperimento di rispettosa vita nel bosco, aveva già previsto ed anticipato l’alterazione della natura, così come Paul Shepard ne ha esplorato i nodi e le distorsioni, che hanno portato ad accettare la distruzione collettiva e personale dell’idea di natura, descritta anche da Hannah Arendt nel prologo di Vita activa. La condizione umana (1958). Come ricordano anche Pellegrino e Di Paola263,
nel suo libro la Arendt menziona il lancio dello Sputnik. Ma, a differenza di
molti, per lei l’impresa sovietica non segna l’inizio di un’era di esplorazioni, o una minaccia al predominio americano: semmai è la fine di un’età felice – il tempo in cui gli esseri umani rimanevano nell’unico mondo dove la loro vita può fiorire, il pianeta Terra. Per Arendt il lancio dello Sputnik segna il distacco dal mondo naturale (l’”alienazione della terra”, Arendt,1994). E’ separazione da un destino, il destino degli esseri umani di essere legati all’ambiente naturale dove la loro specie ha avuto origine e di non poter trascendere da questa condizione. L’alienazione della Terra è anche una confusione tra il naturale e l’artificiale, dal momento che lo Sputnik è “un oggetto fabbricato dall’uomo264, che però segue “le stesse leggi di gravitazione che determinano il movimento dei corpi celesti – del sole, della luna, e delle stelle (Arendt 1994).
263 Pellegrino, G., Di Paola, M. Nell’Antropocene. Etica e politica alla fine di un mondo, DeriveApprodi, 2018. 264 cit., p.35.